ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 32, comma 2,
e  32-bis,  delle  disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale,  nel  testo  introdotto  con  la  legge  6 marzo  2001, n. 60
(Disposizioni in materia di difesa d'ufficio), promosso con ordinanza
del  21 gennaio  2002 dal Tribunale di Milano sul ricorso proposto da
Ciancia Giuseppe nel procedimento penale contro Kondo Erion, iscritta
al  n. 564  del  registro  ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 2, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 2 luglio 2003 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Milano, con ordinanza emessa il
21 gennaio  2002  e  pervenuta  alla  Corte  l'11 dicembre  2002,  ha
sollevato  questione  di legittimita' costituzionale «degli artt. 32,
comma 2,  e/o  32-bis» delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura  penale,  nel  testo  introdotto  dagli artt. 17 e 18 della
legge   6 marzo  2001,  n. 60  (Disposizioni  in  materia  di  difesa
d'ufficio), per violazione dell'art. 3 della Costituzione;
        che il giudice a quo e' investito del ricorso di un difensore
nominato  d'ufficio  avverso  il  provvedimento  di rigetto della sua
istanza   di   liquidazione   del   compenso,   presentata  ai  sensi
dell'art. 32-bis  disp.  att.  cod.  proc.  pen. e dell'art. 12 della
legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione  del patrocinio a spese
dello Stato per i non abbienti);
        che  il rimettente rileva che il ricorrente aveva prestato la
propria  opera  di  difensore  d'ufficio  a  favore  di  un  imputato
residente  all'estero,  il  quale,  pur  non essendo stato dichiarato
irreperibile,  risulta  essere tale di fatto, tanto che il decreto di
citazione  a  giudizio,  l'avviso  del  deposito  e  l'estratto della
sentenza  erano  stati  notificati  a  mani  del  difensore, ai sensi
dell'art. 161 cod. proc. pen;
        che  secondo il giudice a quo il testo dell'art. 32-bis disp.
att.  cod.  proc.  pen.  non  consente una interpretazione diversa da
quella  censurata,  dal  momento  che l'irreperibilita' dell'imputato
deve  essere  intesa  in  senso tecnico e presuppone le ricerche e la
pronuncia del decreto previsti dall'art. 159 cod. proc. pen.;
        che, come osserva ancora il rimettente, non sarebbe possibile
un'interpretazione   estensiva   delle  disposizioni  censurate,  dal
momento  che  l'art. 1, comma 5, della legge n. 217 del 1990 contiene
una previsione piu' ampia in materia di difesa dei minorenni;
        che, sempre secondo il Tribunale di Milano, l'emissione di un
decreto di irreperibilita' ai soli fini di consentire la liquidazione
dei  compensi  al  difensore  a  carico dello Stato costituirebbe una
«procedura    anomala»,    essendo   detto   provvedimento   previsto
esclusivamente  in  relazione  ad  alcuni specifici atti del processo
penale;
        che,  come si dice nell'ordinanza di rimessione, il difensore
d'ufficio,  pur  essendo tenuto a prestare il patrocinio a favore del
suo  assistito,  non  puo'  nel  caso di specie recuperare il proprio
credito   professionale,   ne'  ai  sensi  dell'art. 32-bis,  ne'  in
applicazione dell'art. 32, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., e 633
cod.  proc.  civ., posto che l'assistito, residente all'estero, si e'
dichiarato  privo  di  fissa  dimora e nei suoi confronti non possono
essere  esperite  le  procedure  previste per il recupero dei crediti
professionali;
        che, per tutti questi motivi, il giudice a quo ritiene che la
formulazione  delle  norme  impugnate  impedisca al professionista di
esercitare il diritto alla retribuzione delle prestazioni effettuate,
pur trovandosi in una situazione sostanzialmente identica a quella di
chi  ha  prestata  la  sua  opera  a  favore  di  imputato dichiarato
irreperibile  all'esito  delle  previste  ricerche,  con  conseguente
violazione dell'art. 3 Cost.;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile
o infondata;
        che  con una successiva memoria l'Avvocatura ha osservato che
la  questione, come prospettata dal rimettente, e' priva di rilevanza
nel  giudizio a quo, essendo nel frattempo intervenuta l'abrogazione,
ad  opera  dell'art. 9,  comma 1,  del  decreto legislativo 9 ottobre
2002,  n. 231  (Attuazione  della  direttiva 2000/35/CE relativa alla
lotta  contro  i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali),
dell'ultimo  comma  dell'art. 633 del codice di procedura civile, con
la  conseguente utilizzabilita' del decreto ingiuntivo anche nei casi
in cui la notifica debba essere fatta fuori dal territorio italiano;
        che  la difesa erariale ha quindi chiesto alla Corte di voler
restituire  gli atti al Tribunale di Milano per una nuova valutazione
della  rilevanza  della  questione  nel giudizio a quo, alla luce del
nuovo quadro normativo.
    Considerato  che il Tribunale di Milano dubita della legittimita'
costituzionale   «degli   artt. 32,   comma 2,   e/o   32-bis»  delle
disposizioni  di attuazione del codice di procedura penale, nel testo
introdotto  dagli  artt. 17  e  18  della  legge  6 marzo 2001, n. 60
(Disposizioni   in  materia  di  difesa  d'ufficio),  per  violazione
dell'art. 3  della  Costituzione,  poiche'  creano  una disparita' di
trattamento,  quanto  al  recupero  del  credito  per  le prestazioni
professionali,  tra  i  difensori  d'ufficio  di  imputati dichiarati
irreperibili e quelli di imputati irreperibili solo di fatto, ma tali
non dichiarati;
        che occorre preliminarmente osservare che le due disposizioni
impugnate  sono  state  espressamente  abrogate,  dopo  la  pronuncia
dell'ordinanza  di  rimessione, dall'art. 299 del decreto legislativo
30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia    di   spese   di   giustizia),   essendo   peraltro   state
sostanzialmente riprodotte nel testo degli artt. 116 e 117 del citato
testo unico, sui quali la questione va quindi trasferita;
        che,  come  risulta  dalla stessa ordinanza di rimessione, le
censure  svolte  dal giudice a quo sono prospettate in modo congiunto
ovvero  alternativo  («e/o»)  su due norme di legge che regolano casi
fra loro diversi, quello della liquidazione del compenso al difensore
d'ufficio  che  deve  dimostrare  di  aver  esperito  inutilmente  le
procedure  per  il  recupero  del suo credito professionale, e quello
della  liquidazione  al  difensore,  sempre  d'ufficio, della persona
irreperibile;
        che   dal  tenore  dell'atto  introduttivo  del  giudizio  di
legittimita'  costituzionale  non e' dato desumere a quale fra le due
disposizioni   alternativamente   indicate   il   giudice  rimettente
attribuisca carattere prioritario;
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente  inammissibile, in quanto prospettata in modo ancipite
(cfr.,  ex  plurimis,  ordinanze  n. 78  e n. 418 del 2000, ordinanza
n. 420 del 2001, ordinanza n. 88 del 2002).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.