ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, commi da 1 a 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive); dell'art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti); degli articoli da 1 a 11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale); del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A, B, C e D dello stesso decreto legislativo n. 198 del 2002; promossi con ricorsi: della Regione Marche, notificati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12 novembre 2002, depositati il 28 febbraio, il 31 ottobre e il 18 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81 e 86 del registro ricorsi 2002; della Regione Toscana, notificati il 22 febbraio, il 1° e il 24 ottobre, e l'11 novembre 2002, depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ottobre, e il 16 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85 del registro ricorsi 2002; della Regione Umbria, notificati il 22 febbraio e l'11 novembre 2002, depositati il 4 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 13 e 89 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Trento, notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4 marzo e il 5 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14 e 83 del registro ricorsi 2002; della Regione Emilia-Romagna, notificati il 23 febbraio e il 12 novembre 2002, depositati il 5 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31 successivo ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2002; della Regione Campania, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2002; della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 19 successivo ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2002; della Regione Lombardia, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2002; e del comune di Vercelli, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 91 del registro ricorsi 2002. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' gli atti di intervento dell'Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della Societa' Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone Omnitel s.p.a., della Societa' H3G s.p.a., della T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile e dei comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS); Udito nell'udienza pubblica del 25 marzo 2003 il giudice relatore Carlo Mezzanotte; Uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche; Vito Vacchi, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana; Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta per la Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento; Giandomenico Falcon, Luigi Manzi e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano; Beniamino Caravita di Toritto e Massimo Luciani per la Regione Lombardia; Vincenzo Cocozza per la Regione Campania; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il comune di Vercelli; Corrado V. Giuliano per l'Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Caravita di Toritto e Vittorio D. Gesmundo per la Societa' Wind Telecomunicazioni s.p.a; Marco Sica e Mario Libertini per la Vodafone Omnitel s.p.a; Nicolo' Zanon per la Societa' H3G s.p.a; Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo Malinconico per la T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il comune di Pontecurone; Antonino Cimellaro per i comuni di Monte Porzio Catone e Mantova; Sebastiano Capotorto per il comune di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il comune di Polignano a Mare; Carlo Rienzi per il CODACONS; e l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione e, limitatamente alla Provincia autonoma di Trento, all'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - dell'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive), anche detta «legge obiettivo». In particolare, le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna hanno denunciato i commi da 1 a 12 ed il comma 14 del menzionato art. 1, mentre la Regione Marche ha impugnato soltanto i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma di Trento ha censurato a sua volta i commi da 1 a 4 dello stesso art. 1, precisando di non ritenere lese le prerogative ad essa spettanti in forza dello statuto e delle norme di attuazione, bensi' affermando di voler denunciare l'incostituzionalita' della legge n. 443 del 2001 «in quanto essa contraddice l'ulteriore livello di autonomia, spettante alla Provincia ai sensi dell'art. 117 della Costituzione» e dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende alle Regioni ad autonomia differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II della Costituzione «per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite». 2. - Quanto alle singole censure, tutte le ricorrenti denunciano il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito di individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione del Paese. Si lamenta anzitutto la violazione dell'art. 117 Cost., adducendosi al riguardo che il predetto compito non e' ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale. Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento sostengono, inoltre, che, non essendo piu' contemplata dall'art. 117 Cost. la materia dei «lavori pubblici di interesse nazionale», non sarebbe nemmeno possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell'interesse cosi' da escludere la potesta' legislativa regionale, atteso che la scelta del legislatore costituzionale e' stata proprio quella di considerare detta dimensione come rilevante in relazione al riparto solo nell'ambito di quanto assegnato allo Stato a titolo di potesta' legislativa esclusiva o concorrente. Le Regioni Marche e Toscana adducono poi che l'individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall'art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia), ma la disposizione censurata, da un lato, prevederebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e dunque lesiva dell'autonomia legislativa regionale; dall'altro escluderebbe le Regioni dal processo «codecisionale», che dovrebbe essere garantito in base allo strumento dell'intesa tra Stato e Regioni medesime. Tale ultimo profilo di censura, sia pure in subordine all'assunto per cui nella specie non sarebbe comunque possibile far riferimento ad alcuna delle materie elencate nel terzo comma dell'art. 117 Cost., e' fatto proprio anche dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento, secondo le quali la potesta' legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni su tali opere, chiaramente anche di interesse «nazionale», richiederebbe che su di esse vi sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo. In definitiva, si ritiene che la disposizione del comma 1 violi anche il principio di leale collaborazione, giacche' non prevede che l'individuazione delle c.d. grandi opere sia determinata dalle Regioni, o quanto meno dal Governo d'intesa con le Regioni interessate. 2.1. - Il comma 1 dell'art. 1 viene altresi' specificamente denunciato dalla Regione Marche per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una puntuale indicazione dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarieta', un'allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla programmazione, decisione e realizzazione delle singole opere strategiche oggetto della disciplina censurata, risulterebbe violato il primo comma dell'art. 118 Cost. La ricorrente rileva inoltre che la disposizione censurata non potrebbe giustificarsi neppure come una forma di intervento previsto dall'art. 119, quinto comma, Cost., ossia quale attribuzione di risorse aggiuntive e di interventi speciali in favore delle singole autonomie locali, giacche' essa si limita a prevedere una competenza generale dello Stato sulla determinazione di programmi e interventi da realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno definirsi e ricercarsi le relative risorse. Cosi', attribuendo al Governo il compito di reperire tutti i finanziamenti allo scopo disponibili, la disposizione denunciata verrebbe ad incidere sull'autonomia finanziaria delle Regioni, costituzionalmente garantita «in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale». 3. - Tutte le ricorrenti impugnano poi il comma 2 dell'art. 1 della «legge obiettivo», che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principi ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo e' chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o piu' decreti legislativi «volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1». In base ad analoghe censure, che evocano il contrasto con l'art. 117 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa, in quanto derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109), violerebbe la potesta' legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici. Si sostiene inoltre che, pur nella ipotesi in cui si intenda riconoscere in materia una potesta' legislativa concorrente, sarebbero egualmente violate le competenze regionali perche' il denunciato comma 2 detta principi non gia' alle Regioni ma al Governo e cio' attraverso una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale. In particolare le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonche' la Provincia autonoma di Trento, affermano che la disposizione del comma 2 sarebbe ben lungi dal conformarsi al modello costituzionale, per il quale, anche in relazione alle opere maggiori, la competenza legislativa ripartita deve riflettersi in una gestione congiunta tra Stato e Regioni in «tutti i momenti in cui l'amministrazione di tali opere si scompone, secondo le regole dei principi di sussidiarieta' e di leale cooperazione». 3.1. - La sola Regione Marche assume altresi' l'esistenza della violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nella parte in cui il comma 2 prevede criteri direttivi rivolti all'esercizio di competenze amministrative e al reperimento e all'organizzazione delle risorse. 3.2. - Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonche' la Provincia autonoma di Trento sollevano inoltre ulteriori specifiche censure avverso le lettere g) ed n), del comma 2, lamentandone il contrasto con il «diritto europeo». Quanto alla lettera g), nella parte in cui circoscrive l'obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo «nel caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici», si tratterebbe di previsione che non trova riscontro nella direttiva 93/37 CEE, neppure nel caso del ricorso all'istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3, 1/2 1) o all'affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo, infatti, pur sempre quello dell'appalto di lavori un contratto a titolo oneroso tra un imprenditore e un'amministrazione aggiudicatrice, la stessa partecipazione diretta al finanziamento dell'opera o il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti, da parte del contraente generale [comma 2, lettera f)], non rileverebbe ai fini dell'esenzione dal regime comunitario. Secondo la Regione ricorrente l'interesse a siffatta censura si radicherebbe sia nella titolarita' di competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che l'emanazione di disposizioni contrastanti con la normativa europea «rendera' non piu' semplice ma al contrario piu' difficoltosa la realizzazione delle opere», cui la Regione stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in sede comunitaria. Da tale ultimo profilo muove l'ulteriore censura che investe la lettera n), seconda frase, dello stesso comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti gli «interessi patrimoniali», la tutela cautelare al «pagamento di una provvisionale». Questa disposizione - che preclude la sospensione del provvedimento impugnato e rende possibile la prosecuzione della gara fino alla stipulazione del contratto, consolidando gli effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nella procedura di gara - si porrebbe in contrasto con la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), riducendo «le possibilita' di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti» e cio' in quanto anticiperebbe alla fase cautelare quella limitazione della tutela al risarcimento del danno che l'art. 2, paragrafo 6, della citata direttiva consente nella fase successiva alla «stipulazione di un contratto in seguito all'aggiudicazione dell'appalto». Una scelta, questa, che - oltre a risultare incompatibile con l'art. 113 Cost. - potrebbe determinare «un forte aggravio dei costi, data la necessita' di pagare due volte il profitto d'impresa (una volta a titolo di compenso, la seconda a titolo di danno)» e tale, in ogni caso, da rendere presumibile una reazione negativa da parte delle autorita' comunitarie e delle imprese interessate, cosi' da «complicare ulteriormente la vicenda delle opere interessate». 4. - E' poi denunciato, da tutte le ricorrenti, il comma 3, che abilita il Governo a modificare o integrare il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale lo Stato non avrebbe alcuna potesta' regolamentare nella predetta materia. 5. - Tutte le parti ricorrenti impugnano inoltre il comma 4, che delega il Governo, limitatamente agli anni 2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui al precedente comma 2, uno o piu' decreti legislativi recanti l'approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1. Le censure mosse dalle ricorrenti, che si svolgono secondo argomentazioni gia' sviluppate in riferimento alla questione concernente il comma 2, evidenziano che le cosiddette «infrastrutture strategiche» rientrano in parte in materie di potesta' legislativa concorrente, in parte in materie di potesta' legislativa regionale residuale, sicche' non sarebbe ammissibile, in riferimento a queste ultime, l'intervento di alcun «decreto legislativo» per la diretta approvazione definitiva dell'opera, mancando appunto la potesta' legislativa statale specifica nella materia. 6. - La sola Regione Marche censura il comma 5, sostenendo che la prevista clausola di salvaguardia in favore delle autonomie speciali confermerebbe «la violazione, a danno delle Regioni di diritto comune, delle competenze costituzionalmente garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.». 7. - Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano infine i commi da 6 a 12 ed il comma 14 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, che dettano una disciplina in materia edilizia. Nel delineare sinteticamente il contenuto delle censurate disposizioni, le ricorrenti evidenziano, segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni interventi edilizi per i quali l'interessato puo' scegliere la realizzazione «in base a semplice denuncia di inizio di attivita» in alternativa a concessione o autorizzazione edilizia; ad esso si ricollega il comma 12, il quale stabilisce che «le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge», e che le stesse Regioni «con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia». Le censure, di analogo tenore, prospettano la violazione dell'art. 117 Cost., sostenendosi, in linea principale, che l'edilizia rientra nelle materie a potesta' legislativa residuale delle Regioni e dunque non potrebbe essere oggetto di disciplina statale. In ogni caso, secondo le ricorrenti, ove si intendesse ricondurre la materia dell'edilizia a quella del governo del territorio e, quindi, a materia di legislazione concorrente, sarebbe egualmente violato l'art. 117 Cost., in quanto le disposizioni denunciate pongono una disciplina analitica e dettagliata, non limitandosi dunque a dettare i principi fondamentali. In particolare, poi, avverso il comma 12 la Regione Toscana deduce che la norma, rendendo applicabile alle Regioni quanto disposto dal comma 6, vanificherebbe le leggi regionali che hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi per l'attivita' edilizia. Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna precisano altresi' che, seppure il denunciato comma 12 ritarda di novanta giorni l'applicazione del comma 6 e consente alle leggi regionali di individuare quali degli interventi indicati dal medesimo comma continuino ad essere assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia, tuttavia, da un lato, permarrebbe il carattere operativo e non di principio della disciplina statale; dall'altro, al legislatore regionale sarebbe lasciata soltanto la scelta «di fissare se per un certo intervento e' necessario o meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che pure contengono mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili da parte del legislatore regionale». Sempre le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna svolgono ulteriori considerazioni sull'incostituzionalita' del comma 14, il quale delega il Governo a modificare il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443. Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare il riparto costituzionale delle competenze e cio' non soltanto per le materie «residuali regionali», nelle quali non e' prevista, in linea di principio, alcuna interferenza della normativa statale, ma anche per le materie di competenza concorrente; per queste ultime la diretta disciplina operativa dovrebbe essere essenzialmente regionale, con il vincolo di conformazione ai principi della legislazione statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare un «testo unico» delle disposizioni relative ad una materia concorrente, giacche' un simile testo conterrebbe norme statali per le quali sarebbe naturale la impossibilita' di applicazione in ambito regionale «se non attraverso il vincolo che i principi esercitano sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo unico». Risulterebbe, poi, paradossale - sostengono ancora le ricorrenti - la concezione di un testo unico (come nel caso dell'edilizia) delle disposizioni statali legislative e regolamentari, atteso che gia' nel precedente assetto costituzionale non poteva aversi, nelle materie di competenza legislativa regionale, una normativa statale regolamentare. 8. - Con memorie di identico contenuto, si e' costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la reiezione dei ricorsi. Quanto alla dedotta incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, per cui si lamenta l'omessa previsione legislativa di una intesa tra Stato e Regioni interessate, la difesa del Presidente del Consiglio osserva, anzitutto, che la materia dei lavori pubblici non rientra nella potesta' legislativa residuale regionale e cio' in quanto, nel testo riformato dell'art. 117 Cost., nel quale non compare il riferimento alla materia dei lavori pubblici di interesse regionale, si sarebbe adottato il «criterio della strumentalita» di detta materia (gia' presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998). In tal senso, allo Stato sarebbe attribuita la «potesta' legislativa di principio» in tema di appalti che sono riferibili a quelle materie rientranti nella potesta' legislativa concorrente (porti e aeroporti; grandi reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazionale dell'energia; protezione civile). Peraltro, argomenta ancora l'Avvocatura dello Stato, dovrebbe escludersi, in ogni caso, la necessita' dello strumento dell'intesa in ordine all'attivita' diretta all'individuazione di un'opera pubblica, giacche' essa non richiede esercizio di potesta' legislativa, trattandosi di «esplicazione della funzione amministrativa, come tale disciplinata dall'art. 118 Cost.». Sicche', venendo in rilievo, nella fattispecie, l'individuazione e la realizzazione di opere di «preminente interesse nazionale», sarebbe «in re ipsa che, per assicurarne l'esercizio unitario, siffatte funzioni non possano che spettare allo Stato». Nondimeno, il fatto che la disposizione censurata preveda, quanto all'attivita' di individuazione dell'opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in proprio, sia come componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad escludere che vi sia un vulnus alle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni stesse. Altrettanto infondate sarebbero, ad avviso della difesa erariale, le censure mosse al comma 2 dell'art. 1, posto che l'avere la disposizione dettato principi e criteri direttivi per la futura attivita' normativa di delegazione, si' da consentire - secondo la prospettata doglianza - l'emanazione di una disciplina di dettaglio e, quindi, invasiva delle competenze regionali, non concreterebbe una lesione delle prerogative costituzionali delle Regioni, bensi' «una mera eventualita» di lesione. Di dette prerogative la legge n. 443 del 2001 avrebbe, comunque, tenuto conto, prevedendo (al comma 3) il parere della Conferenza unificata. In riferimento, poi, alla censura che investe il comma 3 dell'art. 1 - a supporto della quale si adduce la carenza di potesta' regolamentare in capo allo Stato - l'Avvocatura ribadisce la natura concorrente della competenza legislativa nel settore dei lavori pubblici, potendo cosi' lo Stato, «per il principio di continuita», dettare una disciplina di dettaglio, «seppur con carattere di cedevolezza». Quanto, inoltre, alle doglianze mosse avverso i commi 6 e seguenti dello stesso art. 1 - le quali fanno leva sull'asserita violazione dell'art. 117 Cost., per essere la materia dell'edilizia ricompresa nella sfera di competenza legislativa esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta tale materia al governo del territorio, per aver le disposizioni denunciate previsto una disciplina di dettaglio - la difesa erariale ricorda che le norme censurate riguardano le condizioni per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e i casi in cui a siffatti provvedimenti puo' sostituirsi, facoltativamente, la denuncia di inizio attivita'; riguardano cioe' l'attivita' di «uso e governo del territorio», in quanto tale rientrante nella competenza concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. Ad avviso dell'Avvocatura, dovrebbe comunque escludersi che in tal caso sia stata adottata una normativa di dettaglio: la previsione, «a livello di principio», della «surrogabilita' della concessione edilizia con la denuncia di inizio attivita', in presenza di particolari condizioni obiettive», supererebbe, infatti, il principio, contenuto in altra legge statale, per il quale era possibile il ricorso alla denuncia di inizio attivita' soltanto in relazione ad interventi edilizi minori. 9. - Le ricorrenti hanno ribadito le rispettive ragioni con memoria illustrativa depositata in prossimita' dell'udienza pubblica fissata per il 19 novembre 2002 e poi rinviata al 25 marzo 2003. 9.1. - Nelle memorie si puntualizza, tra l'altro, che la disciplina posta dalla legge impugnata e' stata innovata dall'art. 13 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, in particolare, ha sostituito il comma 1 dell'art. 1 (concernente le modalita' di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici) ed il successivo comma 2, lettera c) (sulle procedure di approvazione dei relativi progetti). Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, le predette norme, cosi' come innovate, conservano i vizi di incostituzionalita' gia' dedotti nei vari ricorsi proposti avverso la legge n. 443 del 2001. In particolare, secondo le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento, le ricordate modifiche non inciderebbero sull'interesse al ricorso, non essendo venuto meno l'impianto fondamentale della legge n. 443 del 2001, basato sulla attrazione alla competenza statale non solo della programmazione, ma anche dell'approvazione dei progetti e, in buona parte, della realizzazione delle opere - sia pubbliche che private - tramite la semplice soggettiva qualificazione delle stesse come «strategiche» e di «preminente interesse nazionale». Sicche', la «norma» censurata sarebbe ancora presente nella disposizione impugnata e quindi la questione di costituzionalita' sollevata non avrebbe affatto «perso d'attualita', riguardando l'art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, come modificato dalla legge n. 166 del 2002». In ogni caso, sostengono ancora le ricorrenti, l'originaria disposizione e' gia' stata attuata con la deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I° Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera n. 121/2001)], «sicche' l'interesse al ricorso permane anche in relazione alla formulazione originaria della disposizione». 9.2. - La Regione Toscana, diversamente dalle altre parti ricorrenti, ha inoltre dichiarato di non voler piu' insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e del comma 14, poiche' tale normativa e' stata oggetto di successiva modifica da parte dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002, nel senso del riconoscimento della validita' delle leggi regionali emanate in materia edilizia e della possibilita' per le Regioni di ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei titoli abilitativi previsti dal legislatore nazionale. 10. - Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Trento con la quale insiste per il rigetto del ricorso, evidenziando in particolare che le modifiche apportate dalla legge n. 166 del 2002 alla legge impugnata sarebbero tali da determinare la carenza di interesse a ricorrere in relazione a tutte le censure imperniate sul difetto di una previa intesa Stato-Regioni. 11. - In prossimita' dell'udienza pubblica del 25 marzo 2003 hanno depositato ulteriori memorie illustrative le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna nonche' la Provincia autonoma di Trento. 11.1. - Nel ribadire le argomentazioni svolte nei precedenti scritti la Regione Toscana ritiene altresi' che le disposizioni denunciate non potrebbero trovare giustificazione neppure in base all'art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la legge che disciplina le procedure atte a garantire l'esercizio del potere sostitutivo nel rispetto del principio di sussidiarieta' e, in ogni caso, tale esercizio non potrebbe mai essere consentito in base a previsioni astratte di interventi a fronte di motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie di propria competenza. Giammai potrebbe poi ritenersi che il dissenso della Regione sul progetto preliminare e definitivo di un'opera pubblica rappresenti fattispecie legittimante l'attivazione del potere sostitutivo, e cio' in quanto la Regione non sarebbe inadempiente ma esprimerebbe il proprio dissenso motivato ed offrirebbe soluzioni alternative cosi' da rendere necessaria, alla luce del principio di leale collaborazione, una soluzione condivisa che tenga conto delle molteplici competenze regionali incise dalla localizzazione di un'opera. Nella memoria si contesta poi che le norme censurate possano giustificarsi in base all'art. 118, primo comma, Cost., giacche' l'individuazione e la realizzazione di un'opera pubblica richiedono comunque l'esercizio di potesta' legislativa e questa deve essere esercitata nel rispetto del riparto delle competenze stabilite nella Costituzione. Sicche', nelle materie di competenza regionale (concorrente e residuale) spetterebbe alle Regioni medesime disciplinare, nell'esercizio della propria potesta' amministrativa, il procedimento in questione, attribuendo agli enti locali le relative funzioni nel rispetto dei criteri di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione di cui all'art. 118 Cost. Da ultimo si insiste nella rinuncia all'impugnazione, per sopravvenuto difetto di interesse, dei commi da 6 a 12 e 14 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, atteso che le modifiche apportate dalla successiva legge n. 166 del 2002 permettono alla Regione di esercitare le proprie competenze legislative in materia edilizia. 11.2. - Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Provincia autonoma di Trento, con memorie di identico contenuto, ribadiscono le ragioni gia' sviluppate in precedenza, contestando le argomentazioni sostenute dalla difesa erariale. In particolare, si insiste nel fatto che non sarebbe possibile fare ricorso, al fine di radicare nello Stato la competenza legislativa a provvedere alla disciplina delle cosiddette grandi opere, al criterio della strumentalita' delle materie coinvolte, ne' tanto meno ai principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, che attengono all'allocazione delle funzioni amministrative. Si esclude inoltre che, al medesimo scopo, possa invocarsi l'interesse nazionale, giacche', come tale, esso rappresenterebbe un criterio generico che, nel contesto della riforma del Titolo V, non potrebbe piu' operare al fine del riparto delle materie, al quale provvede accuratamente l'art. 117 Cost. in base ad una specifica elencazione: l'interesse nazionale non costituirebbe dunque titolo autonomo di competenza statale, ne' giustificherebbe una disciplina che rimetta alla discrezionalita' del Governo la sua definizione. Da ultimo si riafferma la sussistenza di un interesse ad una pronuncia nel merito sulla censura che lamenta l'assenza dell'intesa Stato-Regioni e cio' nonostante la modifica introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al denunciato comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacche' la disposizione originaria aveva gia' trovato attuazione con la predisposizione del primo programma di infrastrutture strategiche. 12. - Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 68 del 2002, ritualmente notificato e depositato, la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), denunciandone il contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost. La Regione osserva preliminarmente che la disposizione impugnata ha modificato l'art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, concernente le modalita' di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici, e che proprio quest'ultima disposizione e' stata da essa in precedenza denunciata con ricorso iscritto al n. 11 del reg. ric. dell'anno 2002. Ad avviso della Regione le modifiche apportate dall'art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbero tali da elidere i dubbi di incostituzionalita' gia' prospettati, tanto piu' che lo stesso art. 13 risulterebbe illegittimo e lesivo dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita. 12.1. - Secondo la ricorrente le disposizioni censurate avrebbero potuto trovare fondamento nella materia «lavori pubblici di interesse nazionale», ma la stessa non e' prevista tra quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che ha eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale dell'interesse, affidando al contrario alla competenza legislativa concorrente materie (quali: porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia) in cui la predetta dimensione e' implicita nel loro stesso contenuto. Dovrebbe inoltre escludersi, ad avviso della Regione, che le stesse disposizioni possano fondarsi sul terzo comma dell'art. 117 Cost., giacche' le c.d. grandi opere non sono necessariamente collegate a materie ivi elencate, come nel caso, ad esempio, della realizzazione degli insediamenti produttivi che si riconnette alla materia dell'industria, di competenza residuale regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. Analogamente e' da dirsi per la disciplina dei lavori pubblici e privati, trattandosi di materia riservata alla legislazione regionale, con l'unico limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. In ogni caso, ove si volesse ammettere una competenza statale relativamente ad opere strategiche collegate a materie elencate nel terzo comma dell'art. 117 Cost., la stessa non potrebbe che esercitarsi attraverso l'individuazione dei principi regolatori, mentre la normativa denunciata non si limita a dettare principi alle Regioni in tema di individuazione e realizzazione delle c.d. grandi opere, ma al contrario definisce i criteri ai quali il Governo dovra' attenersi nell'esercizio della delega con una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa, tale da elidere ogni possibilita' di intervento normativo da parte delle Regioni medesime. Argomenta ancora la ricorrente che una tale illegittima appropriazione da parte dello Stato di potesta' legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome dell'interesse nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla piu' come limite alla potesta' legislativa delle Regioni, cosi' come non prevede un generale potere di indirizzo e coordinamento. Non sarebbe dunque ammissibile reintrodurre limiti alla potesta' legislativa regionale non espressamente previsti in Costituzione riferendosi alla rilevanza nazionale di un'opera. 12.2. - Ad avviso della Regione le disposizioni impugnate violerebbero anche l'art. 118 Cost. A tale riguardo si osserva che, per un verso, l'effettivo rispetto dei criteri di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza imporrebbe che ogni scelta legislativa di allocazione delle funzioni debba essere supportata dall'analisi e dalla verifica dei livelli di governo maggiormente rispondenti a detti criteri e che, dunque, debbano essere resi conoscibili i motivi della scelta e quindi dell'esercizio in concreto di tale potere discrezionale: il che non avviene nel caso in esame. Per altro verso, le esigenze di esercizio unitario richiamate dall'art. 118 Cost. non potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante l'intervento del legislatore statale, come invece accade in base alle denunciate disposizioni. Cio' perche' l'art. 118, primo comma, Cost. e' norma che fissa i criteri per l'allocazione delle funzioni, ma non disciplina le fonti deputate ad allocare le stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui fondare variazioni e spostamenti rispetto alla titolarita' della potesta' legislativa, come stabilita dall'art. 117. 12.3. - Il fatto poi che il comma 3 del censurato art. 13 abbia introdotto il principio per cui l'individuazione delle grandi opere avviene d'intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza unificata, anziche' sulla base del loro parere (come originariamente previsto), non costituirebbe, secondo la ricorrente, una modifica tale da far superare gli evidenziati dubbi di incostituzionalita', in quanto, da un lato, l'intesa non puo' rappresentare un meccanismo tramite il quale lo Stato si appropria di potesta' legislative ad esso non riservate e, dall'altro, non e' contemplato alcun meccanismo a garanzia che l'intesa non sia di fatto recessiva rispetto al potere dello Stato di provvedere ugualmente a fronte del motivato dissenso regionale. In definitiva l'intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, con cio' ledendo il principio di leale cooperazione che imporrebbe, nella materia in esame, una effettiva codeterminazione del contenuto dell'atto di individuazione delle grandi opere. 12.4. - La Regione sostiene altresi' che neppure i commi 5 e 6 del denunciato art. 13, che dettano i criteri ai quali deve attenersi il Governo nell'emanare il decreto legislativo volto a disciplinare le modalita' di approvazione dei progetti preliminari e definitivi delle opere strategiche, garantirebbero il rispetto delle attribuzioni regionali. Cio' in quanto il ruolo della Regione nell'approvazione dei progetti (demandata al CIPE o a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni, sentita la Conferenza unificata, previo parere delle competenti commissioni parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un parere, mentre l'approvazione di detti progetti assume particolare rilievo poiche' determina la localizzazione urbanistica dell'opera, la compatibilita' ambientale della medesima e sostituisce ogni permesso ed autorizzazione comunque denominati. Ad avviso della ricorrente le disposizioni denunciate inciderebbero quindi sulla materia, di legislazione concorrente, del governo del territorio, dettando un regime derogatorio per l'individuazione delle opere e per l'approvazione dei progetti delle stesse che non lascerebbe spazio alla legislazione regionale; interferirebbero sulla normativa regionale gia' vigente che disciplina i procedimenti per l'approvazione delle opere pubbliche, prevedendo le necessarie verifiche di natura urbanistica, idrogeologica e di difesa del suolo (laddove essa Regione ha attribuito tali funzioni amministrative ai comuni e alle Province); esautorerebbero la Regione delle proprie attribuzioni in merito alla valutazione di impatto ambientale delle opere. A tal specifico riguardo la Regione Toscana rileva che il comma 3 dell'art. 13 prevede che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, cio' comportando che la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo comma 5 e dunque dal Ministro competente, restando cosi' sottratto alle Regioni, con lesione delle relative attribuzioni in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali. 12.5. - La ricorrente osserva poi che le prospettate censure non potrebbero essere superate dal fatto che il comma 3 del denunciato art. 13 della legge n. 166 del 2002 prevede che il Governo, nell'emanare il decreto delegato, dovrebbe agire «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni», giacche', oltre ad essere espressione vaga e generica, si tratta di indicazione che non potrebbe comunque essere rispettata, considerato che sono gia' i principi posti dalla delega a vulnerare le attribuzioni delle Regioni. 12.6. - La Regione assume infine che i commi 1 e 11 dell'art. 13, nel prevedere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche individuate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto «fanno riferimento al programma predisposto dal CIPE che [...] e' elaborato in spregio alle competenze regionali», sia con l'art. 119 Cost., incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni che la norma costituzionale garantisce in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale. 13. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 117 Cost., la difesa erariale osserva che l'omessa previsione della materia dei lavori pubblici regionali nella legge costituzionale n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento del criterio, gia' presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998, della strumentalita' della materia dei lavori pubblici, per cui allo Stato spetta la potesta' legislativa di principio per la disciplina degli appalti relativi alle materie ricomprese nella potesta' legislativa concorrente. Con riferimento poi al profilo di censura che sostiene esservi lesione delle attribuzioni regionali in considerazione della minuziosita' della normativa introdotta, l'Avvocatura rileva che l'attivita' di individuazione di un'opera pubblica non richiederebbe l'esercizio di potesta' legislative, ma solo di quelle amministrative, ai sensi dell'art. 118 Cost. Quanto poi alla denunciata violazione proprio dell'art. 118, primo comma, Cost. si osserva che, allorquando e' necessario assicurare l'esercizio unitario di funzioni amministrative, come e' in riferimento all'individuazione e realizzazione di opere di «preminente interesse nazionale», la fonte normativa di distribuzione delle funzioni medesime non potrebbe che essere una legge statale. Legge che, nel caso di specie, correttamente espliciterebbe i presupposti per l'allocazione delle funzioni al massimo livello, che sono espressamente indicati in «finalita' di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale», in «fini di garanzia della sicurezza strategica e di contenimento dei costi dell'approvvigionamento energetico del Paese» e nell'«adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi pubblici locali di difesa dell'ambiente». La difesa erariale sostiene inoltre che proprio le doglianze mosse avverso la mancata previsione sia di una previa intesa per l'individuazione delle opere strategiche, sia dell'integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti delle Regioni per l'approvazione dei relativi progetti, hanno indotto il legislatore a modificare in questo senso la legge n. 443 del 2001, tramite l'art. 13 della legge n. 166 del 2002, e cio' per assicurare «il rispetto delle attribuzioni costituzionali» delle Regioni. Quanto infine alle censure riguardanti i commi 1 e 11 del menzionato art. 13, l'Avvocatura ritiene che gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle argomentazioni gia' spese, non siano violati nella procedura di individuazione e approvazione dei progetti da parte del CIPE e che parimenti non possa reputarsi leso l'art. 119 Cost. giacche', trattandosi di progettazione e realizzazione di opere di preminente interesse nazionale, e' allo Stato che compete autorizzare i limiti di impegno e la destinazione della spesa derivanti dagli stanziamenti del proprio bilancio. 14. - In prossimita' dell'udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria con cui, ribadendo le argomentazioni gia' svolte, insiste nelle conclusioni gia' rassegnate. 15. - Nello stesso giudizio hanno depositato, fuori termine, congiunto atto di intervento ad adiuvandum l'Associazione Italia Nostra-Onlus, Legambiente-Onlus, l'Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, per sentire dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge n. 166 del 2002, denunciato dalla Regione Toscana. 16. - La Regione Toscana, le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Regione Marche hanno proposto questione di legittimita' costituzionale in via principale di numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, recante «Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale», denunciandone il contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonche' con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Piu' nello specifico, la Toscana impugna gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15. 17. - Il ricorso della Provincia autonoma di Trento e' stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 5 novembre 2002, cioe' il giorno successivo alla scadenza del termine di dieci giorni previsto dall'art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita istanza la Provincia rende noto che il mancato rispetto del termine non puo' essere imputato a negligenza, ma alla impossibilita', conseguente alla mancata disponibilita' dell'atto presso l'Ufficio notifiche, per ragioni che atterrebbero al funzionamento di tale ufficio e che sono state espressamente riconosciute dal medesimo con certificato allegato al ricorso depositato. Pur non negando il carattere perentorio del termine di cui e' discorso, la Provincia istante ritiene che cio' non dovrebbe impedire l'applicazione di ulteriori principi giuridici come quello dell'errore scusabile, espressamente riconosciuto nel giudizio amministrativo. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma di Trento il 5 novembre 2002. In subordine, peraltro, ove la Corte ritenesse che la mancata menzione dell'errore scusabile negli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte ritenuta preclusiva dell'applicazione di tale istituto, l'istante eccepisce l'illegittimita' costituzionale in parte qua di tali disposizioni, per violazione dell'art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza. 18. - In tutti i ricorsi si osserva preliminarmente come la disciplina statale non potrebbe trovare fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e), m) e s), dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto di impugnazione non avrebbe nulla a che vedere con la tutela della concorrenza [lettera e)], dell'ambiente e dell'ecosistema [lettera s)] ne' tanto meno con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale [lettera m)]. Le ricorrenti pongono inoltre in risalto come le Regioni sarebbero divenute titolari della competenza legislativa concorrente in molte delle materie che attengono alla realizzazione di opere pubbliche, quali «porti e aeroporti civili», «grandi reti di trasporto e navigazione», «trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», «governo del territorio». Solo in relazione alle opere pubbliche relative ai predetti settori materiali lo Stato sarebbe dunque titolare di potesta' legislativa, che dovrebbe peraltro essere esercitata attraverso la predisposizione di una normativa di principio, non anche attraverso discipline di dettaglio che, come nella specie, comprimano gli spazi di scelta politica delle Regioni. La materia degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture strategiche, per di piu', sarebbe interamente affidata alla potesta' legislativa residuale delle Regioni, cosi' da escludere ogni intervento normativo statale. L'esigenza di tutelare un interesse nazionale non potrebbe giustificare la deroga al riparto delle competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe introdotto, in quanto l'interesse nazionale non potrebbe piu' costituire il titolo per sottrarre oggetti alle materie di competenza regionale. Egualmente, si aggiunge nel ricorso della Regione Toscana, non varrebbe invocare l'art. 118, primo comma, e le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante l'intervento del legislatore statale in materie di competenza delle Regioni, giacche' l'art. 118 non conterrebbe un riparto di materie ulteriore e potenzialmente antagonista rispetto a quello contenuto nell'art. 117 Cost. Le disposizioni impugnate sarebbero illegittime pure per contrasto con l'art. 76 Cost., giacche' la legge di delegazione espressamente prevedeva che la delega dovesse essere esercitata «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni». 18.1. - Nello specifico, sono oggetto di impugnazione: a) l'art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l'approvazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, individuati da un apposito programma approvato dal CIPE (art. 1 legge n. 443 del 2001). Le opere sono differenziate in categorie. Quelle per le quali l'interesse regionale e' concorrente con il preminente interesse nazionale sono individuate con intese quadro fra Governo e singole Regioni e per esse e' previsto che le Regioni medesime partecipino, con le modalita' stabilite nelle intese, alle attivita' di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, «in accordo alle normative vigenti ed alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate». La Provincia autonoma di Bolzano ritiene che tale disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze ad essa riconosciute dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze che le spetterebbero ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost. Risulterebbe inoltre violato l'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale impone il sollecito adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai principi della legislazione statale, tenendo ferma «l'immediata applicabilita' nel territorio regionale (...) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma e' attribuita delega di funzioni statali»; b) l'art. 1, comma 5, il quale dispone che le Regioni, le Province, i Comuni, le Citta' metropolitane applicano, per le proprie attivita' contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall'approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), «le norme del presente decreto legislativo fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (...) per tutte le materie di legislazione concorrente». Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento ne denunciano il contrasto con l'art. 117 Cost., poiche' in materie di competenza regionale concorrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, non sarebbe piu' consentito; c) l'art. 1, comma 7, lettera e), che, nel definire opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (...) non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di piu' Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale», sarebbe incostituzionale in primo luogo per eccesso di delega, giacche' la legge n. 443 del 2001 non avrebbe autorizzato il Governo a porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso della Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi, la disposizione in oggetto, nell'escludere la concorrenza dell'interesse regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, sarebbe lesiva delle competenze attribuite alle Regioni dagli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, primo comma, Cost. Del pari illegittima sarebbe la subordinazione all'intesa statale dell'individuazione delle opere per le quali esista un concorrente interesse regionale. La medesima disposizione contrasterebbe inoltre con gli artt. 19, 20 e 21 delle norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), giacche' escluderebbe la necessita' di un'intesa per le infrastrutture e i collegamenti interregionali e internazionali; d) l'art. 2, comma 1, il quale stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le attivita' tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attivita' di supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle infrastrutture». Secondo la prospettazione delle Province autonome di Trento e di Bolzano sarebbero riservati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i compiti tecnici e amministrativi che l'art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alle Province autonome, con violazione anche dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale prevede che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge non puo' attribuire agli organi statali funzioni amministrative (...) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di attuazione»; e) l'art. 2, commi 2, 3, 4, 5 e 7, il quale, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'attivita' di progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle attivita' progettuali, anziche' assegnare i fondi direttamente alle Province autonome di Trento e Bolzano, violerebbe l'art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l'art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992, secondo cui «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese ne' concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale»; f) l'art. 2, comma 5, il quale, nel prevedere che per la nomina di commissari straordinari destinati a seguire l'andamento delle opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate, si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte le ricorrenti, con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto su tale oggetto dovrebbe essere prevista la forma piu' intensa di collaborazione dell'intesa. I commi 5 e 7 sarebbero inoltre incostituzionali anche perche' attribuirebbero allo Stato compiti decisionali che in base all'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 sarebbero di competenza della Provincia autonoma di Bolzano; g) l'art. 2, comma 7, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri competenti, nonche', per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatari regionali, i Presidenti delle Regioni, il potere di abilitare i commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della normativa vigente e con le modalita' di cui all'art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire l'occupazione), i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti competenti. Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento lamentano la lesione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la previsione impugnata si applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto riguardare provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province adottare nell'esercizio delle proprie competenze normative e amministrative. Secondo la Regione Toscana difetterebbero inoltre i presupposti ai quali l'art. 120 Cost. subordina il legittimo esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine, si sostiene nel ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe violato anche l'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, giacche' allo Stato sarebbero stati attribuiti compiti decisionali spettanti alla Provincia; h) l'art. 3, il quale disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le procedure di valutazione d'impatto ambientale (VIA) e localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe illegittimo nella sua interezza, in quanto disciplinerebbe la procedura di approvazione del progetto preliminare con regolazione di minuto dettaglio, mentre, in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del territorio, la legislazione statale avrebbe dovuto limitarsi alla predisposizione dei principi fondamentali. Il medesimo art. 3, nella parte in cui affida al CIPE l'approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell'intesa sulla localizzazione dell'opera, ma prevedendo pure che il medesimo progetto non sia sottoposto a conferenza di servizi, ad avviso della Regione Toscana violerebbe l'art. 76 Cost., poiche' l'art. 1, comma 2, lettera d), della legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla del tutto. Del pari incostituzionali sarebbero, secondo tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9 dell'art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque all'approvazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero infatti relegate in posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla potesta' legislativa concorrente. Per le ragioni appena esposte sarebbero incostituzionali anche gli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell'art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio; i) l'art. 4, comma 5, nella parte in cui prevede che l'approvazione del progetto definitivo sia adottata «con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del CIPE», sarebbe, ad avviso della Regione Toscana, costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 76 Cost., e specificamente con l'art. 1, comma 3-bis, della legge di delega, il quale prevede quale momento indefettibile del procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza unificata; j) le norme contenute negli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che introducono rilevanti modifiche in materia di appalti e di concessioni dei lavori pubblici, secondo le Regioni Toscana e Marche sarebbero illegittime in quanto incidenti su materie ascrivibili alla competenza legislativa residuale delle Regioni, inerendo alla materia dei lavori pubblici e degli appalti. Non varrebbe neppure, si soggiunge nel ricorso della Regione Toscana, rilevare che in tale materia siano recepite ed applicate norme di fonte comunitaria, giacche' l'attuazione di norme comunitarie in materia di competenza regionale spetterebbe comunque alle Regioni; k) l'art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblichi la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori e, se la proposta e' presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica, secondo la Regione Toscana sarebbe illegittimo, oltre che per i profili evidenziati alla lettera j), anche per l'ulteriore ragione che non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle gia' ricomprese nel programma di opere strategiche formato d'intesa con le Regioni, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001, o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa e' stata raggiunta con le Regioni interessate; l) l'art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione, l'approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l'approvvigionamento energetico, richiamando gli artt. 3 e 4, sarebbe incostituzionale, secondo la Regione Marche, per le medesime ragioni gia' esposte con riguardo alle disposizioni citate; inoltre esso, secondo la Provincia autonoma di Trento, violerebbe l'art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, in quanto, per effetto della semplice individuazione, con atto statale di carattere amministrativo, del preminente interesse nazionale di alcuni insediamenti privati, spoglierebbe la Provincia ricorrente dei poteri amministrativi ad essa spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe inoltre lesivo delle competenze costituzionali della Provincia autonoma di Bolzano per il fatto di prevedere che l'approvazione del CIPE sostituisce le autorizzazioni, concessioni edilizie e approvazioni in materia di urbanistica e opere pubbliche che rientrano nelle competenze della Provincia medesima; m) l'art. 15, il quale attribuisce al Governo la potesta' regolamentare di integrazione di tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, e, nel comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della potesta' di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia, si porrebbe in contrasto, ad avviso della Regione Toscana, con l'art. 1, comma 3, della legge di delega n. 443 del 2001, che delegava il Governo ad integrare e modificare solo il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le ricorrenti lamentano inoltre che l'attribuzione al Governo di potesta' regolamentare in materia di appalti e di opere pubbliche, materia che non sarebbe qualificabile come di potesta' esclusiva statale, contravverrebbe al rigido riparto di competenza posto nell'art. 117, sesto comma, Cost. La potesta' di dettare norme regolamentari in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure alla condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a quelli regionali, poiche' l'articolo impugnato avrebbe espressamente escluso la propria cedevolezza per la parte della disciplina da esso recata non riconducibile a materie di competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo e' impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce l'applicabilita' nei confronti delle Regioni e delle Province autonome della disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. 23 dicembre 1999, n. 554, in radicale contrasto con quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 482 del 1995; n) l'art. 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7, il quale, anticipando la disciplina procedimentale oggetto di impugnazione ai progetti gia' in corso, incorrerebbe, secondo la Regione Toscana, nei medesimi vizi gia' illustrati in riferimento alle singole fasi del procedimento; o) gli artt. 17, 18, 19 e 20, per la parte in cui dettano una disciplina della procedura di VIA di opere e infrastrutture che deroga alla disciplina regionale e provinciale, sono denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le quali ritengono lese le proprie competenze a disciplinare gli strumenti attuativi della tutela dell'ambiente dettati dal legislatore comunitario; p) l'art. 19, comma 2, che demanda la valutazione di impatto ambientale a una commissione speciale costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sarebbe illegittimo, a giudizio delle Regioni Marche e Toscana, per la mancata previsione di una partecipazione delle Regioni, che sarebbero in tal modo estromesse dalla funzione di attuazione del valore costituzionale «ambiente»; q) gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; e 15, nel prevedere procedimenti di approvazione che comportano l'automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l'accertamento della compatibilita' ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione, approvazione e parere, disattenderebbero, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano l'adozione di alcune delle opere previste dal decreto impugnato alla previa intesa con la Provincia. 19. - Si e' costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene innanzitutto che la materia dei lavori pubblici, non richiamata nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., non potrebbe essere ascritta alla potesta' residuale della Regione, ma che, al contrario, lo Stato conserverebbe la potesta' legislativa di principio per la disciplina degli appalti riferibili alle materie comprese nella potesta' legislativa concorrente. Cio' senza considerare che anche nel nuovo Titolo V l'interesse nazionale potrebbe legittimare il superamento della ripartizione per materie posta nel medesimo art. 117. Inoltre, prosegue l'Avvocatura, la legge n. 166 del 2002, recependo le istanze regionali, avrebbe previsto che l'individuazione delle opere avvenga d'intesa fra lo Stato e le Regioni, sicche' il decreto impugnato si dovrebbe considerare rispettoso delle attribuzioni regionali. La partecipazione effettiva delle Regioni alla fase di approvazione, come prevede l'art. 2, comma 1, del decreto impugnato, priverebbe di fondamento la censura relativa al potere sostitutivo conferito al Governo nell'ipotesi di dissenso della Regione interessata, tanto piu' che la fattispecie sarebbe perfettamente conforme allo schema di esercizio del potere sostitutivo delineato nell'art. 120, secondo comma, Cost., venendo in questione opere che, per la loro indubitabile rilevanza strategica, sarebbero in grado di incidere sull'unita' economica del Paese. Quanto alla ammissibilita' di una normativa statale di dettaglio, ovviamente cedevole, in materia di potesta' concorrente, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri osserva che cio' risponderebbe «ad una esigenza imprescindibile, in applicazione del principio di continuita', quando non vi sia alcuna altra norma applicabile alla fattispecie». Neppure dovrebbe dirsi leso l'art. 118 Cost., poiche' la nuova formulazione di tale articolo attribuisce le funzioni amministrative sulla base del principio di sussidiarieta', precisando che tali funzioni devono essere attribuite allo Stato quando occorra assicurarne l'esercizio unitario, cio' che, secondo l'Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, dovendosi realizzare opere di «preminente interesse nazionale». Con riguardo alle censure che investono la previsione della nomina governativa di un commissario straordinario che vigili sull'andamento delle opere e l'attribuzione ad esso del potere di adottare i provvedimenti necessari alla tempestiva esecuzione dell'opera, la difesa erariale replica osservando: che la procedura ha luogo solo per le opere di interesse internazionale o interregionale; che comunque e' previsto che siano sentiti i Presidenti delle Regioni coinvolte; che infine i poteri sostitutivi del commissario non potranno oltrepassare le competenze dell'ente conferente, non potendo lo Stato conferire poteri maggiori di quelli di cui esso stesso gode. In merito alla mancata previsione della partecipazione regionale alla procedura di valutazione di impatto ambientale dell'opera si rileva che la VIA attiene alla tutela dell'ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato. 20. - In prossimita' dell'udienza pubblica del 25 marzo 2003 tutte le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano contestano l'esistenza di un criterio di strumentalita' della materia dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la conseguenza che lo Stato sarebbe abilitato a dettare i principi per la disciplina degli appalti riferibili alle materie soggette alla potesta' legislativa concorrente. Di strumentalita', si argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe parlare solo se nell'art. 117 Cost. fosse stata inserita tra le materie riservate allo Stato quella dei «lavori pubblici di interesse nazionale», cio' che non e' avvenuto. Anche ad accedere alla tesi della strumentalita', peraltro, non verrebbero meno le ragioni di illegittimita' costituzionale delle norme denunciate. In tale ottica, osservano la Regione Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere ritenuta di competenza statale la sola disciplina delle opere pubbliche comprese nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale, ad esempio le opere concernenti la difesa o l'ordine pubblico, non anche tutte le altre opere che i decreti impugnati invece menzionano e regolamentano con normativa di minuto dettaglio. Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano, spetterebbe solo la determinazione dei principi fondamentali della disciplina dei lavori che riguardino le infrastrutture sulle quali e' riconosciuta una potesta' legislativa concorrente e quindi, proprio applicando il criterio della strumentalita', non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure per la realizzazione di infrastrutture riconducibili a materie attribuite alla competenza esclusiva o concorrente della Provincia. Del pari infondata, secondo tutte le ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo la quale l'interesse nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla potesta' legislativa regionale che consentirebbe di superare la ripartizione posta nell'art. 117 Cost., giacche' in tal modo sarebbe inammissibilmente reintrodotto in Costituzione un limite che non e' piu' espressamente previsto. La tutela degli interessi unitari potrebbe ormai essere realizzata solo attraverso poteri e istituti espressamente previsti in Costituzione. Si aggiunge nella memoria della Provincia autonoma di Trento che, se le Regioni non potessero intervenire la' dove sono in gioco interessi nazionali, non si giustificherebbero nemmeno i poteri sostitutivi disciplinati nell'art. 120, secondo comma, Cost. Inoltre, osserva la Provincia, gia' dall'art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, risultava che opere «di rilevante interesse nazionale» potevano non di meno essere di competenza regionale, mentre il decreto legislativo n. 112 del 1998 avrebbe attribuito allo Stato la competenza su «grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge statale» sul presupposto che non fosse giustificabile una disciplina che, come quella impugnata, rimettesse la definizione di tale interesse alla discrezionalita' del Governo. Neppure si potrebbe affermare, soggiunge la Regione Toscana, che la normativa impugnata sarebbe rispettosa dell'autonomia regionale poiche' e' stato in essa previsto che l'individuazione delle opere sia effettuata d'intesa fra Stato e Regioni e l'approvazione dei progetti avvenga attraverso l'intesa. Gli accordi e le intese non possono infatti vincolare il legislatore statale o regionale, visto che l'ordine costituzionale delle competenze legislative e' indisponibile. Il richiamo che la difesa erariale fa all'art. 120 Cost., si prosegue nella memoria della Toscana, non sarebbe pertinente, perche' tale disposizione richiede la definizione, con legge, delle procedure atte a garantire che il potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto del principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione, e tale legge non e' stata ancora emanata, con conseguente impossibilita' di applicare il medesimo art. 120. Inoltre l'intervento sostitutivo in discorso sarebbe attivato in assenza di un inadempimento regionale, e per effetto della sola manifestazione del dissenso da parte della Regione (memoria della Regione Toscana), e non sarebbe giustificabile con l'esigenza di garantire l'unita' economica del Paese (memoria della Provincia autonoma di Bolzano), sicche' l'avere legittimato un intervento sostitutivo in assenza di ogni inadempimento regionale sarebbe ragione di illegittimita' del decreto legislativo per violazione del principio di leale collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, secondo comma, Cost. Quanto alla asserita legittimita' delle norme di dettaglio «cedevoli», le ricorrenti ricordano la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe chiaramente desumibile che la competenza statale nelle materie di potesta' concorrente e' «limitata alla determinazione dei principi fondamentali della materia», sicche' non sarebbero piu' ammissibili normative suppletive statali. L'Avvocatura, si osserva nella memoria della Provincia autonoma di Bolzano, invoca la legge n. 166 del 2002, che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze regionali in materia, ma il richiamo sarebbe inconferente, poiche' la legge in questione e' precedente rispetto al decreto impugnato, cosi' da non poter spiegare alcuna influenza sulla questione all'esame della Corte. Nella medesima memoria e in quella della Provincia di Trento si ribadisce che la soluzione procedimentale contemplata nell'art. 3, comma 6, per superare il dissenso della Provincia sarebbe illegittima, per la mancata previsione di un'intesa, e respinge sul punto le diverse considerazioni dell'Avvocatura, che invocherebbe in modo errato l'art. 1, comma 2, del decreto impugnato. Parimenti incostituzionale sarebbe la nomina del commissario straordinario. Il rilievo che la procedura censurata riguarderebbe soltanto le opere di interesse internazionale o interregionale, oltre a non trovare fondamento nella lettera della norma impugnata (cosi' nella memoria della Provincia autonoma di Trento) non varrebbe comunque a farne venire meno l'illegittimita', posto che per i collegamenti di tale natura gli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974 imporrebbero il raggiungimento di un'intesa, non essendo sufficiente la mera audizione dei Presidenti delle Regioni interessate (memorie delle Province autonome di Trento e Bolzano). In riferimento alla denunciata lesione dell'art. 118 Cost., secondo la Provincia autonoma di Bolzano, non sarebbe possibile invocare la sussistenza di esigenze unitarie relativamente alle funzioni amministrative, giacche' la Costituzione, «lasciando alle Regioni la competenza a dettare la disciplina della materia, ha ritenuto che non sussistesse un'esigenza di assoluta uniformita' tra Regione e Regione nemmeno quanto a disciplina legislativa». Comunque, alla Provincia di Bolzano, in base all'art. 16 dello statuto di autonomia, non potrebbero essere sottratte le funzioni amministrative nelle materie che rientrano nella sua competenza legislativa, non essendo applicabile alla medesima l'art. 118 Cost., quando cio' determini un regime di minor garanzia rispetto a quello assicurato dallo statuto. Inoltre, si legge nella memoria della Provincia autonoma di Trento, l'art. 118 sancirebbe il principio del parallelismo non quanto alla spettanza delle funzioni amministrative, ma in ordine al potere di allocare le funzioni, sicche' lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le funzioni amministrative relative a opere pubbliche, salvo quelle rientranti in materie di potesta' legislativa esclusiva statale. 21. - Ha anche depositato ulteriori memorie, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla constatazione che non si possano enfatizzare gli aspetti innovativi della riforma del Titolo V e al contempo continuare ad utilizzare schemi concettuali propri del precedente assetto costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare l'orizzonte all'esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva sarebbe innegabile la rilevanza costituzionale dell'interesse nazionale, che legittima, negli Stati Uniti con la formula degli implied powers, in Germania con quella della Sachzusammenhang (connessione delle materie) e con la Natur der Sache (natura della cosa), l'intervento della Federazione nelle materie di competenza degli Stati membri. Proprio in considerazione della natura delle opere da realizzare in base al decreto impugnato, che pur avendo rilevanza regionale, convergerebbero funzionalmente nel programma di modernizzazione del Paese, sarebbe evidente come la competenza debba spettare allo Stato. I soggetti privati non sarebbero infatti invogliati a investire risorse se la localizzazione e progettazione delle opere venisse rimessa a discipline e soggetti diversi e la stessa procedura per l'individuazione del contraente, che incide sulle condizioni economiche dell'operazione, dipendesse dalle scelte legislative e amministrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe sarebbero legittimi anche i meccanismi di superamento del dissenso regionale e gli interventi sostitutivi da parte dei commissari straordinari, i quali sarebbero diretti non solo a garantire l'interesse pubblico statale alla realizzazione dell'opera, ma anche a diminuire il «rischio amministrativo» dell'operazione finanziata con capitali privati. Alla luce di tali considerazioni l'Avvocatura sostiene che le attribuzioni costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata considerazione nella partecipazione alle sedi deliberative statali. Tornando al tema della configurabilita' del limite dell'interesse nazionale, l'Avvocatura ricorda come nel dibattito dottrinario siano state numerose le voci che hanno radicato tale limite nell'art. 5 Cost., e, con specifico riguardo alla materia dei lavori pubblici, osserva come essa presenti aspetti che non possono prescindere da un'impostazione unitaria. Il regime degli appalti, ad esempio, presupporrebbe la concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata alla competenza esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della concorrenza dovrebbe essere ricondotta tutta la disciplina che riguarda i meccanismi di aggiudicazione e di qualificazione delle imprese con riferimento alla materia delle opere pubbliche, che pure e' di competenza regionale. Proprio in considerazione dei profili delle materie di potesta' concorrente che possono incidere su interessi tutelati a livello unitario, e ricadenti nell'ambito delle materie di competenza esclusiva statale, sarebbe giustificato il ricorso a una gestione uniforme e ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello nazionale di opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del Paese. 22. - Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia hanno proposto questione di legittimita' costituzionale in via principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonche' all'art. 174 del trattato istitutivo della Comunita' europea, dell'intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante «Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443», e in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12. Nei ricorsi regionali si osserva in via preliminare che la legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava l'adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture di telecomunicazione puntualmente individuate anno per anno, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si osserva nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di «grandi opere», mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicita' di piccole opere, del tutto estranee all'oggetto della delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, lungi dall'uniformarsi ai principi e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell'art. 1, porrebbe i principi che informano le disposizioni successive, con cio' confermando la violazione della delega. Si invoca la violazione dei limiti della delega, nello specifico: a) per l'art. 3, in quanto la delega stabiliva che le infrastrutture strategiche dovessero essere individuate d'intesa con la Regione, mentre di tale intesa non vi sarebbe traccia (ricorso della Regione Toscana); b) per l'art. 3, comma 1, sull'assunto che non era stato conferito al Governo alcun potere di derogare alle norme della legge 22 febbraio del 2001, n. 36 (ricorso delle Regioni Marche e Lombardia); c) per l'art. 3, comma 2, che dispone la deroga, sotto il profilo urbanistico, «ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento», la' dove l'art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001 prevedeva solo una deroga «agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109», nonche' alle ulteriori disposizioni della medesima legge che non fossero necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie (ricorsi delle Regioni Marche e Lombardia); d) per l'art. 4, comma 1, poiche' in tale disposizione mancherebbe ogni riferimento a infrastrutture che siano state dichiarate «strategiche» ai sensi della legge n. 443 del 2001, cosi' da potere essere riferita alle infrastrutture radioelettriche tout court (tutti i ricorsi); e) per l'art. 11, che avrebbe illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (ricorso della Regione Marche); f) per l'art. 12, commi 1 e 2, il quale, disponendo l'efficacia delle nuova disciplina anche alle installazioni di infrastrutture gia' assentite dalle amministrazioni, farebbe assumere al decreto impugnato, in assenza di una specifica previsione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel programma approvato dal CIPE nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi delle Regioni Toscana e Marche); g) per l'art. 12, comma 4, che avrebbe eliminato le procedure di «valutazione di impatto ambientale», la' dove la delega contemplava solo la loro riforma (ricorso della Regione Marche). Inoltre la medesima delega stabiliva che le infrastrutture strategiche sarebbero state individuate d'intesa con la Regione, ma di tale intesa non vi sarebbe traccia nell'art. 3 del decreto legislativo impugnato (ricorso della Regione Toscana). In merito alla denunciata lesione dell'art. 117 Cost., nei ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata e Lombardia si sostiene che il decreto legislativo n. 198 disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie «ordinamento della comunicazione», «governo del territorio» e «tutela della salute», di potesta' concorrente, con disposizioni di minuto dettaglio. Nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato come sia lo stesso legislatore a escludere di agire nell'esercizio della potesta' esclusiva quando asserisce, all'art. 1, di dettare i «principi fondamentali» nella materia considerata, si afferma che nella materia oggetto del decreto legislativo n. 198 spetterebbe alle Regioni una potesta' legislativa piena, salvi gli aspetti relativi alla tutela dell'ambiente, della salute e quelli collegati al governo del territorio, ossia alla localizzazione delle opere. Risulterebbe inoltre indefinito, secondo la ricorrente Regione Marche, lo stesso criterio di individuazione delle infrastrutture di telecomunicazione che dovrebbero rientrare nell'ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge di delega, era affidata l'individuazione delle opere, infatti, avrebbe semplicemente indicato i flussi di investimento, non anche le opere da realizzare. Da cio' la conclusione che le infrastrutture di telecomunicazioni si atterrebbero, per una parte, alla materia di potesta' concorrente «ordinamento della comunicazione», per l'altra, a materie come l'urbanistica e l'edilizia, l'industria e il commercio, che sarebbero ascrivibili alla potesta' legislativa residuale delle Regioni e che non potrebbero essere svuotate del loro contenuto semplicemente invocando il carattere di «interesse nazionale» delle opere da realizzare. Nello specifico, i ricorsi regionali censurano le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 198 del 2002: a) l'art. 1, che imporrebbe, con normazione di dettaglio, una procedura derogatoria e unificata a livello nazionale per opere che rientrerebbero anche nella competenza regionale, per la connessione dell'oggetto della disciplina con materie di competenza regionale sia concorrente, sia residuale (ricorsi delle Regioni Campania, Marche, Basilicata e Lombardia); b) l'art. 3, per la parte in cui afferma che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto, in deroga alle disposizioni dell'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001, che aveva previsto la competenza legislativa regionale nella definizione delle modalita' per il rilascio delle autorizzazioni all'installazione degli impianti; i commi 2 e 3 del medesimo articolo sono inoltre impugnati in quanto stabiliscono che le infrastrutture di comunicazione possono essere realizzate in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento, con la precisazione che la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria e' applicabile alle opere civili e in genere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed edilizie locali determinerebbe lesione delle competenze regionali in materia di ordinamento della comunicazione, governo del territorio, urbanistica ed edilizia e renderebbe vana ogni pianificazione territoriale, anche a livello comunale (ricorsi delle Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia); inoltre la medesima disposizione, liberalizzando, sotto il profilo urbanistico, il diritto di installazione degli impianti di telecomunicazione, sacrificherebbe in modo eccessivo interessi costituzionali come quello alla tutela del paesaggio e all'ordinato sviluppo urbanistico del territorio, determinando una violazione del limite della utilita' sociale che l'art. 41 Cost. pone alla iniziativa economica privata (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria); c) l'art. 4, il quale prevede che l'autorizzazione alla installazione sia rilasciata previo accertamento della compatibilita' del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualita' stabiliti, con riferimento ai campi elettromagnetici, uniformemente a livello nazionale. Cosi' disponendo, il legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione regionale gia' adottata in materia sulla base dell'art. 3, comma 1, lettera d), della legge n. 36 del 2001 (ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e Umbria) e impedito alle Regioni di porre, a tutela di interessi sanitari e ambientali delle rispettive popolazioni, misure di garanzia ulteriori rispetto a quelle che il legislatore nazionale abbia fissato su tutto il territorio nazionale (ricorso della Regione Lombardia); d) gli artt. 5 e 6, nel disciplinare i procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, detterebbero regole di estremo dettaglio in materia di competenza regionale concorrente; inoltre le disposizioni in oggetto, unitamente all'art. 7, comma 7, autorizzando l'installazione degli impianti in qualunque posizione, senza imporre distanze minime dalle abitazioni, recherebbero un eccessivo e ingiustificato pregiudizio alla tutela dell'ambiente e della salute e violerebbero in particolare il principio di precauzione di cui all'art. 174, comma 2, del trattato istitutivo della CE, non essendo consentito, in tale materia, affidarsi alla «autodisciplina» dei privati come si e' fatto con la previsione di denunce di inizio attivita' e meccanismi di silenzio-assenso (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia); e) gli artt. 7, 8, 9 e 10, che pongono una disciplina di favore per le opere civili, gli scavi e le occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni operatori nel settore delle telecomunicazioni senza che le Regioni, pur titolari della potesta' legislativa in materia di ordinamento della comunicazione, abbiano in alcun modo potuto interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla necessita' di ammetterli a tale regime speciale e derogatorio (tutte le ricorrenti); f) l'art. 12, il quale, nel dettare le disposizioni finali, attribuisce valore di autorizzazione e di dichiarazione di inizio attivita' anche ai titoli gia' rilasciati per l'installazione delle infrastrutture e alle istanze gia' presentate, alla data di entrata in vigore della nuova normativa, per gli impianti con tecnologia UMTS o con potenza di antenna eguale o inferiore a 20 Watt. La disposizione in oggetto, per un verso, anticiperebbe l'applicazione della nuova normativa anche a infrastrutture che non sono state ancora individuate con il programma delle opere strategiche, contraddicendo cosi' l'art. 1 della legge di delega n. 443 del 2001, per l'altro estenderebbe retroattivamente la disciplina derogatoria gia' denunciata come lesiva delle competenze regionali. Pure incostituzionale sarebbe, secondo la Regione Marche, l'abrogazione dell'art. 2-bis della legge 1 luglio 1997, n. 189, per effetto della quale risulterebbe esclusa la competenza della Regione a prevedere, nell'esercizio delle proprie attribuzioni legislative, l'applicazione di procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione ad oggetti non specificamente individuati dalle direttive comunitarie. Ulteriori censure, diverse da quelle che denunciano la violazione del quadro costituzionale delle competenze legislative, investono: a) gli artt. 3, comma 2; 5; 7; 9; 12, commi 3 e 4; nonche' gli allegati A, B, C e D. Le norme e gli allegati in discorso attribuirebbero al Governo un potesta' normativa diretta alla modificazione o integrazione dei regolamenti di esecuzione e attuazione della legislazione finora vigenti in materie di potesta' concorrente, in tal modo violando l'art. 117, sesto comma, Cost., il quale riconosce allo Stato la potesta' regolamentare solo nelle materie di legislazione esclusiva statale (ricorso della Regione Marche); b) gli articoli e allegati citati nel punto precedente (ricorso della Regione Marche), nonche' gli artt. da 4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel disciplinare dettagliatamente il procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi per l'installazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e per le opere connesse, si porrebbero in contrasto con l'art. 118 Cost., il quale affiderebbe alle Regioni la competenza a distribuire le funzioni nelle materie in cui e' ad esse riconosciuta potesta' legislativa concorrente o residuale. Nel caso di specie sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali l'allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative relative alla specifica localizzazione sul territorio e alla concreta realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione; c) gli artt. 5, commi 3, 4, 5, 6, e 7; 6, comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7; 8, comma 3; 9, commi 1, 2, e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche), che, disponendo una serie di semplificazioni procedurali dei processi decisionali per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni impedirebbero alle Regioni di concorrere all'attuazione del valore costituzionale della tutela ambientale; d) in particolare gli artt. 7, comma 5; e 9, comma 3, sono impugnati nel ricorso della Regione Basilicata per la parte in cui prevedono che nell'ipotesi di contrasto fra le amministrazioni interessate nella procedura di installazione di infrastrutture di comunicazione la decisione sia rimessa al Presidente del Consiglio dei ministri, con cio' sacrificando, secondo la prospettazione regionale, le attribuzioni riconosciute in materia alla Regione e contraddicendo la legge n. 241 del 1990, che affida la decisione finale al Consiglio dei ministri solo quando l'amministrazione dissenziente o procedente sia un'amministrazione statale e non anche nelle altre ipotesi, nelle quali la potesta' decisionale sarebbe conferita ai competenti organi esecutivi degli enti territoriali; e) l'art. 9, commi 5 e 10, per la parte in cui impone agli enti locali forme di programmazione in tempi predefiniti dal legislatore statale e limita, per gli operatori, gli oneri connessi alle attivita' di installazione, scavo e occupazione di suolo pubblico, violerebbe il principio dell'autonomia finanziaria, il quale postulerebbe che tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle ordinarie siano finanziate attraverso la diretta attribuzione di risorse ai loro bilanci, senza vincoli sulle modalita' di spesa, e comunque precluderebbe allo Stato di limitare l'autonomia regionale nella selezione degli strumenti da impiegare per realizzare le grandi opere di interesse nazionale (ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Umbria); f) gli artt. 5, comma 6; 7, comma 4; 9, comma 2, che estendono la regola della maggioranza all'adozione dell'atto finale in Conferenza dei servizi, con cio' determinando, secondo la ricorrente Regione Campania, la totale pretermissione della volonta' della Regione in materie di propria competenza; g) l'intero decreto legislativo, poiche', nel disporre, nel complesso delle sue disposizioni e segnatamente nell'art. 13, un trattamento differenziato per le Regioni ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale, violerebbe il principio di parita' di trattamento fra le autonomie regionali e il principio di ragionevolezza, posto che tale diversita' di trattamento sarebbe ormai ingiustificata, alla luce della revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione e specificamente della clausola di estensione di cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia). 23. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano rigettati. Secondo la difesa erariale non sussisterebbe alcuna violazione dell'art. 76 Cost., giacche' la legge di delega specificamente riguardava le «infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese», la cui individuazione concreta era rimessa a un programma approvato dal CIPE che, nell'allegato 5, elencherebbe le infrastrutture di telecomunicazioni per la realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e digitale terrestre. La piena conformita' alla delega del decreto legislativo impugnato sarebbe comprovata anche dal fatto che con esso si sarebbero razionalizzate le procedure autorizzatorie per l'installazione degli impianti di telecomunicazioni, come richiedeva l'art. 1, comma 2, lettera b), della delega. Il decreto non inciderebbe neppure, prosegue l'Avvocatura, sulla disciplina relativa ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici contenuta nella legge n. 36 del 2001, ma al contrario imporrebbe il rispetto dei limiti attualmente fissati nel decreto ministeriale 3 settembre 1997, n. 381. In ordine alla denunciata lesione della competenza legislativa concorrente delle Regioni, la difesa statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto legislativo sia esclusivamente quella della tutela dell'ambiente e non gia' quella del governo del territorio e contesta il rilievo secondo il quale non sarebbe consentito nel caso in esame stabilire una normativa uniforme a livello nazionale, poiche' alcune Regioni avrebbero gia' esercitato la loro potesta' legislativa in tema di localizzazione degli impianti di telecomunicazioni, rammentando come le leggi regionali emanate in questa materia siano state tutte impugnate dal Governo proprio sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva statale in materia di ambiente. L'ulteriore interesse sottostante la disciplina oggetto di impugnazione consisterebbe nella tutela della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, che sarebbe certo favorita dalla previsione di procedure autorizzatorie uniformi su tutto il territorio nazionale. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 118 Cost., l'Avvocatura contesta l'assunto dei ricorrenti, secondo il quale l'esigenza di esercizio unitario delle funzioni amministrative non potrebbe costituire un titolo autonomo legittimante l'intervento del legislatore statale, osservando come sia ancora controversa, in dottrina, l'applicabilita' alla legislazione concorrente regionale dei principi di sussidiarieta' e di adeguatezza e proseguendo che il limite dell'interesse nazionale, pur non piu' menzionato in Costituzione, potrebbe comunque essere considerato contenuto implicito del principio di unita' e indivisibilita' della Nazione. 24. - Nei giudizi instaurati con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Marche hanno spiegato intervento le societa' H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (gia' Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a; in quelli introdotti con i ricorsi delle Regioni Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia tutte le societa' menzionate, tranne H3G s.p.a. Tutti gli intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate improponibili, inammissibili e comunque infondate. 25. - Avverso gli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 12 e gli allegati A, B, C, D del decreto legislativo n. 198 del 2002 ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimita' costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenderebbe dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione avrebbe attribuito direttamente ai comuni potesta' amministrative e normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimita' costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione. 25.1. Nel giudizio promosso dal comune di Vercelli si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale preliminarmente ha eccepito il difetto di legittimazione al ricorso da parte del comune, chiedendo che il ricorso sia dichiarato improponibile e inammissibile. Ha spiegato intervento, con atto pervenuto fuori termine, T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile. 26. - In prossimita' dell'udienza pubblica del 25 marzo tutte le parti, nonche' gli intervenienti, hanno depositato ulteriori memorie difensive. 26.1. - In via preliminare le Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia contestano che la disciplina impugnata riguardi infrastrutture inserite nel programma di individuazione delle opere strategiche approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001. Si afferma in proposito che, in base all'allegato 5 richiamato dalla difesa erariale, il legislatore avrebbe proceduto solo sulla base di una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle telecomunicazioni», rinviando a una futura delibera del CIPE l'individuazione delle opere ritenute strategiche, cio' che peraltro la legge di delega non avrebbe consentito. La disciplina impugnata troverebbe dunque applicazione nei confronti di opere che non sarebbero state indicate come strategiche e si sarebbero percio' sottratte alla previa intesa con le Regioni. Tale conclusione, secondo la Regione Toscana, sarebbe confermata dall'art. 12 del decreto, che attribuisce efficacia retroattiva alle norme impugnata. Nelle memorie si contesta anzitutto che il decreto legislativo in esame, come sostenuto dall'Avvocatura, si attenga alle materie della tutela della concorrenza (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia) o a quella della tutela dell'ambiente e della salute (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale ultimo caso come la relazione al decreto fornisca una indicazione palesemente contraria. Del resto, si osserva nelle memorie difensive di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, la giurisprudenza costituzionale piu' recente sarebbe chiara nell'affermare che in materia di tutela dell'ambiente spetterebbe allo Stato solo il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, non anche di escludere l'intervento regionale negli ambiti di propria competenza, come sarebbe quello dei lavori pubblici, materia non piu' contemplata negli elenchi dell'art. 117, commi secondo e terzo, Cost. La stessa tutela della concorrenza, si aggiunge nella memoria delle Marche, non potrebbe giustificare la previsione di un procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacche' nessuna violazione della par condicio degli imprenditori interessati al settore potrebbe derivare dal rispetto di tali procedure. Nella memoria della Regione Toscana si pone in risalto come la disciplina del procedimento di installazione degli impianti non costituisca di per se' una materia e si sostiene che spetterebbe all'ente competente legiferare nella materia cui inerisce il procedimento. Nelle materie di potesta' concorrente, come quelle coinvolte dalle disposizioni impugnate, il legislatore statale avrebbe dovuto dettare i principi cui il legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi nella disciplina legislativa di quel procedimento, conformemente, del resto, a quanto era stato gia' fatto con la legge n. 36 del 2001. Del pari da respingere, si sostiene nella memoria dell'Emilia-Romagna, sarebbe la prospettazione della difesa erariale secondo la quale tutte le attivita' che coinvolgono interessi sovraregionali, in forza dei principi di sussidiarieta' e di adeguatezza, esigerebbero una disciplina unitaria a livello statale. Si afferma al riguardo che il decreto legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe interessi sovraregionali, disciplinando l'installazione di vari singoli impianti di comunicazione e che comunque i principi di sussidiarieta' e adeguatezza riguardano l'allocazione delle funzioni amministrative da parte dei legislatori competenti, mentre l'allocazione delle funzioni legislative e' direttamente posta nell'art. 117 Cost. Ad avviso della Regione Lombardia, nell'impianto del decreto legislativo impugnato assumerebbe una particolare rilevanza l'art. 3, comma 2, che sancirebbe l'automatica prevalenza dell'interesse statale alla installazione delle infrastrutture su tutti gli interessi alla cui tutela sono preposte le autonomie territoriali, potendo essa derogare anche agli strumenti urbanistici. La difformita' di tale automatismo rispetto all'ordine costituzionale delle competenze sarebbe stata gia' riconosciuta dalla Corte costituzionale in altre consimili occasioni (si citano, ad esempio, le sentenze n. 524 del 2002 e n. 206 del 2001), nelle quali la modifica dello strumento urbanistico senza il consenso della Regione sarebbe stata ritenuta lesiva delle competenze regionali in materia urbanistica. Riguardo agli interventi degli operatori di telecomunicazione Tim, Wind, Vodafone Omnitel e H3G, le Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia ne eccepiscono preliminarmente la inammissibilita' e contestano puntualmente le argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali. 26.2. - L 'Avvocatura generale dello Stato insiste per il rigetto del ricorso. Tutti i ricorsi, secondo la difesa statale, prenderebbero le mosse da una errata impostazione concettuale: la totale svalutazione della nozione di «rete», che assumerebbe un decisivo rilievo, tanto sotto il profilo tecnico quanto nei risvolti giuridici, per quanto attiene alle infrastrutture di telecomunicazione. La natura delle opere in oggetto renderebbe del tutto priva di senso la visione parcellizzata e atomistica dell'impianto di telecomunicazione che appare sottesa alle censure di costituzionalita'. Dalla struttura fenomenica dell'oggetto della disciplina discenderebbe dunque la assoluta necessita' di fissare, su base nazionale, limiti e criteri omogenei, uniformi e non discriminanti, in assenza dei quali una «rete» non sarebbe neppure configurabile. Non potrebbero comunque essere compromessi, «in assenza di obiettive ragionevoli giustificazioni e di essenziali interessi meritevoli di tutela dall'ordinamento», la completezza e la funzionalita' delle reti e l'efficiente espletamento del servizio universale, che peraltro costituiscono oggetto di obblighi comunitari. Quanto alla denunciata violazione della competenza legislativa concorrente delle Regioni si osserva che la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198 deve considerarsi quella della tutela dell'ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale: il principale interesse al quale e' preordinata la disciplina impugnata sarebbe infatti quello del rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche. Pur volendo accedere alla ricostruzione dell'ambiente come materia trasversale, non potrebbe negarsi, ad avviso della difesa erariale, che il legislatore nazionale possa fissare principi e criteri uniformi, per l'intero territorio, proprio ad evitare distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio la stessa esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilita' per lo Stato di legiferare anche in materie di potesta' legislativa concorrente o addirittura esclusiva, quando vi sia la necessita' di garantire livelli minimi e uniformi di tutela sull'intero territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002. Nella fattispecie all'esame della Corte un limite alla legislazione regionale sarebbe desumibile dall'art. 120, comma 1, Cost., il quale mira ad escludere che le Regioni possano adottare «provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni»: l'efficacia di funzionamento della rete potrebbe essere compromessa da normative regionali che frappongano ostacoli alla sua configurazione funzionale e alla circolazione degli apparati di telefonia mobile. La normativa statale impugnata sarebbe poi preordinata ad attuare il principio costituzionale della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale. Se non fossero definite procedure certe e uniformi sull'intero territorio nazionale, prosegue la difesa statale, non solo si violerebbe la disciplina comunitaria, ma si verrebbe a determinare una anomala distorsione del mercato sia a livello internazionale, sia all'interno. Sarebbe da respingere anche la censura fondata sull'asserita lesione dell'art. 118 Cost., essendo possibile sostenere, in applicazione del principio di sussidiarieta', che le potesta' regionali debbano conformarsi agli interessi della comunita' regionale, mentre tutte le attivita' che coinvolgono interessi sovraregionali esigono una disciplina unitaria a livello statale, anche nelle materie di competenza concorrente. L'Avvocatura si diffonde infine sulle conseguenze di carattere economico che deriverebbero dall'accoglimento dei ricorsi e rammenta come l'esigenza di una armonizzazione nell'adozione di procedure per l'installazione degli impianti di telecomunicazione sia stata espressa anche nella cosiddetta direttiva «quadro», 2002/21/CE, in via di recepimento. 26.3. - Nelle memorie depositate dalle societa' TIM s.p.a. - Telecom Italia Mobile, H3G s.p.a., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si argomenta anzitutto sulla ammissibilita' degli interventi proposti e si sostiene che esse sono titolari di un interesse, rilevante, autonomo e particolarmente qualificato, anche in virtu' della delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ad ottenere l'accertamento della legittimita' delle norme impugnate, poiche', qualora i ricorsi fossero accolti, vi sarebbe una diretta e irrimediabile lesione della propria liberta' di iniziativa economica. Inoltre, la societa' TIM assume che negare la possibilita' di intervenire a difesa dei propri interessi concreterebbe una lesione del diritto di difesa che l'art. 24 Cost. assicura come inviolabile e cio' in quanto, nell'ipotesi di accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte risulterebbe incontestabile in altre sedi giudiziarie. La medesima societa' chiede in ogni caso che sia preso in considerazione il contributo informativo che e' in grado di offrire a causa della sua specifica competenza di esercente un servizio di rilevanza pubblicistica. Nel merito tutti gli atti di intervento si diffondono nell'argomentare le ragioni della ritenuta legittimita' del decreto legislativo n. 198 del 2002. 27. - Sono intervenuti, con atti pervenuti fuori termine, il comune di Roma nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Umbria; i comuni di Monte Porzio Catone, Pontecurone e Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e del comune di Vercelli; il comune di Polignano a Mare e il Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS) nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Lombardia. 28. - All'udienza pubblica del 25 marzo 2003, in sede di discussione, le parti ricorrenti, nonche' gli intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ribadito le conclusioni gia' rassegnate negli atti depositati. Considerato in diritto 1. - Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive), cosiddetta «legge obiettivo», il cui unico articolo e' impugnato in piu' commi e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione. La Regione Toscana (reg. ric. n. 68 del 2002) impugna, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., anche l'art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che reca alcune modifiche alla legge n. 443 del 2001. La Regione Toscana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Marche e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano altresi' numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonche' allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Infine, le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia ed il comune di Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002) impugnano sia l'intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia, specificamente, numerosi articoli del medesimo decreto legislativo, lamentando la violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonche' dell'art. 174 del trattato istitutivo della comunita' europea. 1.1. - La stretta connessione per oggetto e per titolo delle norme denunciate, tutte contenute nella legge di delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n. 190 e n. 198 del 2002 che se ne proclamano attuativi, nonche' la sostanziale analogia delle censure prospettate dalle ricorrenti, rendono opportuna la trattazione congiunta dei ricorsi, che vanno quindi decisi con un'unica sentenza. 2. - Prima di affrontare nel merito le censure proposte dalle ricorrenti e' opportuno soffermarsi sul contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una disciplina che definisce il procedimento da seguire per l'individuazione, la localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il procedimento si articola secondo queste cadenze: il compito di individuare le suddette opere, da assolversi «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni», e' conferito al Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la disposizione stabiliva che l'individuazione avvenisse, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma «formulato su proposta dei ministri competenti, sentite le Regioni interessate, ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i ministri competenti». Il programma doveva tener conto del piano generale dei trasporti e doveva essere inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere. Nell'individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo era tenuto a procedere «secondo finalita' di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale» e ad indicare nel disegno di legge finanziaria «le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili». L'originario comma 1 prevedeva, infine, che «in sede di prima applicazione della presente legge il programma e' approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il 31 dicembre 2001». Il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 e' stato modificato dall'art. 13, comma 3, della legge 1 agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo al Governo l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici e di preminente interesse nazionale, ma ha elevato il livello di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome, introducendo espressamente un'intesa: in base all'art. 1, comma 1, attualmente vigente, l'individuazione delle opere si definisce a mezzo di un programma che e' predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti «d'intesa con i ministri competenti e le Regioni o Province autonome interessate». Tale programma deve essere inserito sempre nel DPEF ma previo parere del CIPE e «previa intesa della Conferenza unificata», e gli interventi in esso previsti «sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici ed ambientali [...] e sono compresi in un'intesa generale quadro avente validita' pluriennale tra il Governo e ogni singola Regione o Provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere». Anche nella sua attuale versione la norma ribadisce tuttavia che «in sede di prima applicazione della presente legge il programma e' approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001». Regolata la fase di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del 2001, al comma 2, conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o piu' decreti legislativi «volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1», dettando, alle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2, i principi e i criteri direttivi per l'esercizio del potere legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti di carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali per addivenire all'approvazione dei progetti, preliminari e definitivi, delle opere [lettere b) e c)], dovendo risultare, quelli preliminari, «comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell'opera d'intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i comuni interessati» [lettera b)]; sono individuati i modelli di finanziamento [tecnica di finanza di progetto: lettera a)], di affidamento [contraente generale o concessionario: in particolare lettere e) ed f)] e di aggiudicazione [lettere g) e h)], ed e' predisposta la relativa disciplina, anche in deroga alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ma nella prescritta osservanza della normativa comunitaria. L'assetto procedimentale cosi' sinteticamente descritto - che trova ulteriore svolgimento in numerose altre disposizioni della legge n. 443 del 2001, tra le quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12 e comma 14), anch'esse impugnate - si completa con il comma 3-bis, introdotto dal comma 6 dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002, il quale prevede una procedura di approvazione dei progetti definitivi «alternativa» a quella stabilita dal precedente comma 2, demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. 2.1. - Questa Corte non e' chiamata, nella odierna sede, a giudicare se le singole opere inserite nel programma meritino di essere considerate strategiche, se sia corretta la loro definizione come interventi di preminente interesse nazionale o se con tali qualificazioni siano lese competenze legislative delle Regioni. Simili interrogativi potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della deliberazione approvativa del programma, che non ha natura legislativa. In questa sede si tratta solo di accertare se il complesso iter procedimentale prefigurato dal legislatore statale sia ex se invasivo delle attribuzioni regionali; si deve cioe' appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per assumere e regolare l'esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso non vanti una potesta' legislativa esclusiva, ma solo una potesta' concorrente. Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali. In questo quadro, limitare l'attivita' unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potesta' esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potesta' concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensi' circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell'ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere piu' flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l'ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei piu' svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principi giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unita' e indivisibilita' della Repubblica. Un elemento di flessibilita' e' indubbiamente contenuto nell'art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarira' subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, la' dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. E' del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarieta' che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalita' che si intenda raggiungere; ma se ne e' comprovata un'attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche l'ambito regionale, la funzione amministrativa puo' essere esercitata dallo Stato. Cio' non puo' restare senza conseguenze sull'esercizio della funzione legislativa, giacche' il principio di legalita', il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarieta' siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto. 2.2. - Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtu' dell'art. 118, primo comma, la legge puo' attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa e' anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l'esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell'intesa consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che si discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi gia' operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalita' delle funzioni amministrative ai comuni, e' resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarieta', che consente ad essa di operare non piu' come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilita' di quell'ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie. Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarieta' e dell'adeguatezza. Si comprende infatti come tali principi non possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perche' cio' equivarrebbe a negare la stessa rigidita' della Costituzione. E si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che aveva un tempo l'interesse nazionale, la cui sola allegazione non e' ora sufficiente a giustificare l'esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all'art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V l'equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l'erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, e' divenuta priva di ogni valore deontico, giacche' l'interesse nazionale non costituisce piu' un limite, ne' di legittimita', ne' di merito, alla competenza legislativa regionale. Cio' impone di annettere ai principi di sussidiarieta' e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiche' l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'. 2.3. - La disciplina contenuta nella legge n. 443 del 2001, come quella recata dal decreto legislativo n. 190 del 2002, investe solo materie di potesta' statale esclusiva o concorrente ed e' quindi estranea alla materia del contendere la questione se i principi di sussidiarieta' e adeguatezza permettano di attrarre allo Stato anche competenze legislative residuali delle Regioni. Ed e' opportuno chiarire fin d'ora, anche per rendere piu' agevole il successivo argomentare della presente sentenza, che la mancata inclusione dei «lavori pubblici» nella elencazione dell'art. 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potesta' legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti. 3. - Alla stregua dei paradigmi individuati nei paragrafi che precedono, devono essere saggiate le censure che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella sua versione originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002. 3.1. - Per primo deve essere esaminato il ricorso della Provincia autonoma di Trento, nel quale vengono censurati i commi da 1 a 4 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 sul parametro dell'art. 117 Cost. Il ricorso e' proposto sulla premessa che le competenze provinciali fondate sullo statuto speciale non siano scalfite; sarebbero invece lese le attribuzioni spettanti alla Provincia ai sensi dell'art. 117 Cost., in virtu' della clausola di favore contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, secondo la quale alle Regioni speciali e alle Province autonome, fino all'adeguamento dei rispettivi statuti, si applica la disciplina del nuovo titolo V nella parte in cui assicura forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle previste dagli statuti stessi. In particolare, il comma 5 del denunciato art. 1, nel fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, di cui agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione, lascerebbe indenni le attribuzioni di cui al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi concernenti le autostrade (art. 19), la viabilita', le linee ferroviarie e gli aerodromi (art. 20), lo Stato deve ottenere la previa intesa della Provincia. Del pari la posizione della Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 e segnatamente dall'art. 4, che le riserva «la gestione amministrativa di ogni opera che lo statuto non assegni alla competenza statale». La Provincia, ponendo a base del proprio ricorso la violazione di competenze piu' ampie rispetto a quelle statutarie, che assume derivanti dall'art. 117 Cost., aveva l'onere di individuarle nel raffronto con le competenze statutarie, che, per sua stessa ammissione, sono fatte salve dalla legge oggetto di impugnazione. Ai fini di una corretta instaurazione del giudizio di legittimita' costituzionale la ricorrente non poteva quindi limitarsi al mero richiamo all'art. 117 Cost. Il ricorso e' pertanto inammissibile. 3.2. - In via preliminare va dichiarato inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum dell'Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus, dell'Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito l'orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale nei giudizi di legittimita' costituzionale in via di azione non e' ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potesta' legislativa il cui esercizio e' oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 49 del 2003, n. 533 e n. 510 del 2002, n. 382 del 1999). 4. - Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano il comma 1 nella sua prima formulazione, lamentando anzitutto la violazione dell'art. 117 Cost., perche' la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale; e del resto, argomentano le ricorrenti, non essendo piu' contemplata dall'art. 117 Cost. la materia dei «lavori pubblici di interesse nazionale», non sarebbe possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell'interesse al fine di escludere la potesta' legislativa regionale o provinciale. Le predette ricorrenti sostengono poi che l'individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall'art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia), ma la disposizione censurata, da un lato, detterebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e quindi sarebbe comunque lesiva dell'autonomia legislativa regionale; dall'altro, escluderebbe le Regioni dal processo «codecisionale», che dovrebbe essere garantito attraverso lo strumento dell'intesa. La Regione Marche denuncia inoltre il medesimo comma 1 per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. sul rilievo che non sarebbero stati rispettati i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza e che sarebbe stata lesa l'autonomia finanziaria regionale con l'attribuzione al Governo del compito di reperire tutti i finanziamenti. La Regione Toscana, con distinto e successivo ricorso, impugna il comma 1 anche nella formulazione modificata dall'art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002, ribadendo che la disposizione violerebbe l'art. 117 Cost., in quanto non troverebbe fondamento nella competenza legislativa statale esclusiva o concorrente; e in ogni caso, in quanto detterebbe una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa che precluderebbe alla Regione ogni possibilita' di scelta. La ricorrente deduce altresi' la violazione dell'art. 118, primo comma, Cost., assumendo che, da un lato, non sarebbero stati rispettati i criteri di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza; dall'altro, le esigenze di esercizio unitario di cui parla l'art. 118 Cost. non autorizzerebbero una deroga al riparto della potesta' legislativa posto dall'art. 117 Cost. Infine, sempre ad avviso della Regione Toscana, l'introduzione di un'intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza unificata ai fini dell'individuazione delle grandi opere non consentirebbe di eliminare i prospettati dubbi di incostituzionalita', giacche' l'intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, in assenza di meccanismi atti ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al preminente potere dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del motivato dissenso regionale. 4.1. - Vanno scrutinate nel merito le censure che le Regioni sollevano avverso il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne investono l'originaria versione, dovendosi escludere che le sopravvenute modifiche recate dall'art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002 abbiano determinato sul punto una cessazione della materie del contendere. Cio' in quanto proprio in base alla disposizione originaria e' stato approvato il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del CIPE (con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001) ed e' a tale programma che fa riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 166 del 2002, come puo' desumersi chiaramente dal fatto che la norma, riprendendo in parte la disposizione anteriore, stabilisce che «in sede di prima applicazione della presente legge il programma e' approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001». Tutte le censure sono infondate e per dar conto di cio' e' bene esaminare preliminarmente l'impugnazione proposta dalla sola Regione Toscana avverso il comma 1, nel testo sostituito dalla legge 1 agosto 2002, n. 166. Quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidiarieta', di regola il titolo del legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perche' la sussidiarieta' deroga al normale riparto delle competenze stabilito nell'art. 117 Cost. Tuttavia, nel caso presente, l'assenza di un richiamo espresso all'art. 118, primo comma, non fa sorgere alcun dubbio circa l'oggettivo significato costituzionale dell'operazione compiuta dal legislatore: non di lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza, che soli possono consentire quella attrazione di cui si e' detto. Predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi e' attivita' che non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che puo' coinvolgere anche potesta' legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell'energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina. Nella specie l'intesa e' prevista e ad essa e' da ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l'efficacia stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma di cui all'impugnato comma 1 dell'art. 1. Nel congegno sottostante all'art. 118, l'attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non e' giustificabile solo invocando l'interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma e' necessario un procedimento attraverso il quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all'esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben puo' darsi, infatti, che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarieta' le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perche' l'interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita' di svolgere in tutto o in parte la funzione. L'esigenza costituzionale che la sussidiarieta' non operi come aprioristica modificazione delle competenze regionali in astratto, ma come metodo per l'allocazione di funzioni a livello piu' adeguato, risulta dunque appagata dalla disposizione impugnata nella sua attuale formulazione. Chiarito che la Costituzione impone, a salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia, va altresi' soggiunto che non e' rilevante se essa preceda l'individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilaterale attivita' del Governo. Se dunque tale attivita' sia stata gia' posta in essere, essa non vincola la Regione fin quando l'intesa non venga raggiunta. In questo senso sono quindi da respingere anche le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto che in essa era previsto che le Regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata e non veniva invece esplicitamente sancito il principio dell'intesa. L'interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-Regioni affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a quel programma su cui le Regioni interessate non abbiano raggiunto un'intesa per la parte che le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121. 5. - Tutte le Regioni ricorrenti impugnano il comma 2 dell'art. 1, che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principi ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo e' chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o piu' decreti legislativi «volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1». Con analoghe censure, che evocano il contrasto con l'art. 117 Cost., e, per la Regione Marche, anche gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994 violerebbe la potesta' legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici. Si sostiene inoltre che le competenze regionali sarebbero ugualmente violate anche se si ricadesse nell'ambito della potesta' legislativa concorrente, perche' il denunciato comma 2 detterebbe una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale. Le censure sono genericamente formulate e quindi inammissibili. Per comprenderlo e' sufficiente la ricognizione del contenuto delle disposizioni denunciate. Il comma 2 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 ha ad oggetto la delega ad emanare uno o piu' decreti legislativi volti a definire il quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi individuati ai sensi del comma 1. Nell'esercizio della delega il Governo, autorizzato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l'autorizzazione integrata ambientale, nel rispetto dell'art. 2 della direttiva 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad introdurre un regime speciale anche derogatorio di numerose disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che non siano necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie, e' tenuto a rispettare i principi e criteri direttivi fissati nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2. Come gia' detto in precedenza, l'indirizzo imposto al legislatore delegato investe una molteplicita' di aspetti a carattere procedimentale e muove dal modello di finanziamento delle opere, con il concorso del capitale privato, attraverso la disciplina della tecnica di finanza di progetto [lettera a)] per finanziare e realizzare le infrastrutture e gli insediamenti di cui al comma 1. La delega autorizza poi il Governo a definire i moduli procedurali sostitutivi di quelli previsti per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per l'approvazione dei progetti preliminari, «comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell'opera d'intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i comuni interessati, e, ove prevista, della VIA», nonche' a prefigurare le procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza e per l'approvazione del progetto definitivo, con previsione di termini perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati e di responsabilita' patrimoniali in caso di mancata tempestiva risoluzione [lettera b)]. Viene quindi impartita al Governo la direttiva di attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei promotori, di approvare il progetto preliminare e quello definitivo, di vigilare sull'esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell'opera e, ove prevista, della VIA istruita dal competente Ministero. Si prescrive inoltre che vengano affidati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti compiti di istruttoria e di formulazione di proposte e quello di assicurare il supporto necessario per l'attivita' del CIPE, eventualmente tramite un'apposita struttura tecnica di advisor e di commissari straordinari [lettera c)]. La delega prosegue autorizzando la modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento [lettera d)]. Vengono quindi individuati i modelli di affidamento e di aggiudicazione concernenti la realizzazione delle opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice della rispettiva disciplina, anche in deroga alla legge n. 109 del 1994, ma si impone al Governo il rispetto della normativa comunitaria. Si prevede inoltre che il legislatore delegato affidi la realizzazione delle infrastrutture strategiche ad un unico soggetto contraente generale o concessionario [lettera e)] e si dettano i criteri che devono presiedere alla disciplina dell'affidamento a contraente generale, con riferimento all'art. 1 della direttiva 93/37/CEE [lettera f)]. Quanto poi al soggetto aggiudicatore, si stabilisce l'obbligo, nel caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di beni o servizi, «ma con soggezione ad un regime derogatorio rispetto alla citata legge n. 109 del 1994 per tutti gli aspetti di essa non aventi necessaria rilevanza comunitaria» [lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della normativa comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilita' degli strumenti giuridici, l'introduzione di specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizzazione degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l'attivita' del contraente generale e la costituzione di societa' di progetto [lettera h)]. La delega investe ancora i profili concernenti l'individuazione di misure adeguate per valutare il regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraente generale [lettera i)], la previsione, nel caso di concessione di opera pubblica unita a gestione della stessa, di appositi meccanismi di corresponsione del prezzo al concessionario, nonche' di fissazione della durata della concessione medesima [lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari [lettera m)]. La delega detta criteri anche in ordine alle forme di tutela risarcitoria susseguente alla stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente generale, prescrivendo che debba essere esclusa la reintegrazione in forma specifica e ristretta la tutela cautelare, per tutti gli interessi patrimoniali, «al pagamento di una provvisionale» [lettera n)]. Infine si stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di collaudo delle opere, «termini perentori che consentano, ove richiesto da specifiche esigenze tecniche, il ricorso anche a strutture tecniche esterne di supporto alle commissioni di collaudo» [lettera o)]. Si e' dunque in presenza di una disciplina particolarmente complessa che insiste su una pluralita' di materie, tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla potesta' legislativa concorrente ma anche a quella esclusiva dello Stato (ad esempio la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema). In un quadro normativo siffatto, le censure mosse dalle ricorrenti non raggiungono il livello di specificita' che si richiede ai fini di uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del 1999), poiche' nei motivi del ricorso non vi e' neppure una sintetica esposizione delle ragioni per cui le disposizioni contenute nel comma 2 denunciato, singolarmente considerate, determinino una lesione delle attribuzioni regionali. 6. - Sono invece sufficientemente circostanziate le questioni che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2, sostenendone il contrasto con il «diritto europeo». In particolare la lettera g), nella parte in cui circoscrive l'obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo «nel caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici», violerebbe la direttiva 93/37/CEE, alla quale non sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso all'istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3 1/2 l) o all'affidamento ad unico soggetto contraente generale. La questione deve essere scrutinata nel merito, nel senso della non fondatezza, a prescindere dal problema piu' generale, che investe ora l'interpretazione dell'art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti l'ipotesi di contrasto di una norma interna con l'ordinamento comunitario sia idonea a radicare la competenza del giudice delle leggi. Nei giudizi di impugnazione deve essere tenuto fermo l'orientamento gia' espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del 1994), secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie, manifestamente insussistente il denunciato contrasto. La lettera g) dell'art. 2, infatti, contiene una delega al Governo perche' siano adottate procedure di aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n. 109 del 1994 quando non si tratti di opere realizzate prevalentemente con fondi pubblici, ma non autorizza il Governo a violare il diritto comunitario: al contrario si prevede che la deroga non debba riguardare gli aspetti aventi necessaria rilevanza comunitaria. Anche la disciplina dell'aggiudicazione in appalto di opere realizzate con prevalenti fondi privati dovra' quindi rispettare il diritto comunitario, qualunque ne sia il contenuto. 6.1. - La lettera n), seconda frase, a sua volta, nella parte in cui restringe, per tutti gli «interessi patrimoniali», la tutela cautelare al «pagamento di una provvisionale», disattenderebbe la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), giacche' ridurrebbe «le possibilita' di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti». Anche in questo caso si puo' prescindere dal problema appena richiamato dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di questi rapporti possa conoscere la Corte costituzionale. La questione e' infatti inammissibile per difetto di interesse sotto un duplice profilo: in primo luogo, essa evoca un contrasto col diritto comunitario senza pero' dedurre l'esistenza di una lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione denunciata investe la tutela giurisdizionale di terzi e non riguarda quindi materie di competenza legislativa delle Regioni. 6.2. - La Regione Toscana denuncia infine la lettera c) del medesimo comma 2, come sostituito dall'art. 13, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducendo il contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto delle attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente consultivo nell'approvazione dei progetti, demandata al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate. Inoltre la ricorrente, premesso che il comma 3 dell'art. 13, nel sostituire il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443, dispone che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, rileva che la previsione secondo cui la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba essere effettuata dal Ministro competente e non dalle Regioni violerebbe le attribuzioni di queste ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali. La questione non e' fondata. Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la disposizione impugnata, nell'attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate, il compito di approvare i progetti preliminari e definitivi delle opere individuate nel programma di cui al comma 1, non circoscrive affatto il ruolo delle Regioni (o delle Province autonome) a quello meramente consultivo, giacche' queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno titolo componenti dell'organo e partecipano direttamente alla formazione della sua volonta' deliberativa, potendo quindi far valere efficacemente il proprio punto di vista. Occorre inoltre considerare che l'approvazione dei progetti deve essere comprensiva anche della localizzazione dell'opera, sulla quale, come gia' per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1 dell'art. 1, e' prevista l'intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata [lettera b) del medesimo comma 2]. Ne' infine puo' dirsi che la disposizione denunciata, come sostenuto dalla ricorrente, affidi al Ministro competente l'effettuazione della valutazione di impatto ambientale sulle opere inserite nel programma, considerato che dalla piana lettura della norma risulta che una siffatta valutazione e' affidata al CIPE in composizione allargata ai rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Ministro e' lasciata unicamente la relativa fase istruttoria. 7. - E' fondata la questione di legittimita' costituzionale - sollevata da tutte le ricorrenti - che investe l'art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui autorizza il Governo a integrare e modificare il regolamento di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a quest'ultima legge e ai decreti legislativi di cui al comma 2. Che ai regolamenti governativi adottati in delegificazione fosse inibito disciplinare materie di competenza regionale era gia' stato affermato da questa Corte avendo riguardo al quadro costituzionale anteriore all'entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Nelle sentenze n. 333 e n. 482 del 1995 e nella piu' recente sentenza n. 302 del 2003 l'argomento su cui e' incentrata la ratio decidendi e' che lo strumento della delegificazione non puo' operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze. Solo la diretta incompatibilita' delle norme regionali con sopravvenuti principi o norme fondamentali della legge statale puo' infatti determinare l'abrogazione delle prime. La ragione giustificativa di tale orientamento si e', se possibile, rafforzata con la nuova formulazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale la potesta' regolamentare e' dello Stato, salva delega alle Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva, mentre in ogni altra materia e' delle Regioni. In un riparto cosi' rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale e' inibita in radice la possibilita' di vincolare l'esercizio della potesta' legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principi di sussidiarieta' e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacita' che e' estranea al loro valore, quella cioe' di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Quei principi, lo si e' gia' rilevato, non privano di contenuto precettivo l'art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicita' intesi ad attenuare la rigidita' nel riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non puo' quindi essere loro riconosciuta l'attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarieta' ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come gia' chiarito, alla legge statale e' consentita l'organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarieta', va precisato che la legge stessa non puo' spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principi che orientino l'esercizio della potesta' regolamentare, circoscrivendone la discrezionalita'. 8. - E' fondata pure la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dall'art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle Regioni sarebbe stato riservato un ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere individuate nel programma governativo. La disposizione denunciata consente che tale approvazione, in alternativa alle procedure di cui al comma 2, avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per questa procedura alternativa e' previsto che il decreto del Presidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento «alternativo») discende che la partecipazione in esso delle Regioni interessate non costituisce piu' una garanzia sufficiente, tanto piu' se si considera che non e' previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle Regioni interessate nella fase preordinata al superamento del loro eventuale dissenso. 9. - Tutte le Regioni impugnano il comma 4 dell'art. 1, in riferimento all'art. 117 e, limitatamente al ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e 119 Cost. La disposizione contiene una delega al Governo ad emanare, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui al comma 2, previo parere favorevole del CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, sentite la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le competenti commissioni parlamentari, uno o piu' decreti legislativi recanti l'approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1. Le impugnazioni delle ricorrenti sono svolte molto succintamente e si limitano ad operare un mero rinvio agli argomenti sviluppati in relazione a disposizioni di diverso contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si verserebbe in materia di potesta' legislativa residuale sulla quale lo Stato sarebbe radicalmente privo di competenza. Anche il denunciato comma 4 dell'art. 1, come le precedenti disposizioni, riguarda pero' materie di competenza concorrente o esclusiva dello Stato e non investe potesta' residuali. Ne' tra queste ultime, per le ragioni gia' esposte, possono ritenersi compresi i lavori pubblici. Le impugnazioni vanno pertanto rigettate. 10. - Il motivo del ricorso proposto dalla Regione Marche contro l'art. 1, comma 5, della legge n. 443 del 2001, a mente del quale, ai fini della presente legge, «sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome», non ha una sua autonoma consistenza ma deve essere interpretato come argomento teso a corroborare le censure svolte negli altri motivi di ricorso, sulle quali si e' appena deciso. 11. - Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano i commi da 6 a 12 e il comma 14 dell'art. 1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime degli interventi edilizi con disposizioni il cui contenuto conviene subito illustrare. Il comma 6 prevede che, per determinati interventi, in alternativa a concessioni ed autorizzazioni edilizie, l'interessato possa avvalersi della denuncia di inizio attivita' (DIA). L'alternativa riguarda in particolare: a) gli interventi edilizi minori, di cui all'art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito nella legge n. 493 del 1993); b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; d) i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio. Rimane ferma la disciplina previgente quanto all'obbligo di versare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7). Il comma 8 stabilisce che la tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale per la realizzazione degli interventi di cui al comma 6 sia subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle disposizioni di legge vigenti e in particolare dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. Il comma 9 e il comma 10 contengono la disciplina relativa al caso in cui le opere da realizzare riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela competa, anche in via di delega, all'amministrazione comunale (comma 9) ovvero soggetti a un vincolo la cui tutela spetti ad amministrazioni diverse da quella comunale (comma 10). Nel primo caso e' previsto che il termine per la presentazione della denuncia di inizio attivita', di cui all'art. 4, comma 11, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Nel secondo caso si prevede che, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e il termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio dell'attivita' decorre dall'esito della conferenza. Tanto nel caso in cui l'atto dell'autorita' comunale preposta alla tutela del vincolo non sia favorevole, quanto nel caso di esito non favorevole della conferenza, la denuncia di inizio attivita' e' priva di effetti. Il comma 11, a sua volta, abroga il comma 8 dell'art. 4 del decreto-legge n. 398 del 1993, il quale prevedeva la possibilita' di procedere ad attivita' edilizie minori sulla base di denuncia inizio attivita' a condizione che gli immobili non fossero assoggettati alle disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939, alla legge n. 1497 del 1939, alla legge n. 394 del 1991, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all'art. 1-bis del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o dalla legge n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico artistiche, storico architettoniche e storico testimoniali. In base al comma 12 le disposizioni di cui al comma 6 «si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge» e «le Regioni a statuto ordinario, con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia». Con il comma 14 viene delegato il Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto legislativo volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all'art. 7 della legge n. 50 del 1999, e successive modificazioni, le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 (quest'ultima disposizione, non denunciata, fa salva la potesta' legislativa esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano). E' importante rilevare che il comma 12 e' stato modificato dall'art. 13, comma 7, della legge n. 166 del 2002, il quale ha aggiunto alla versione originaria le seguenti disposizioni: «salvo che le leggi regionali pubblicate prima della data di entrata in vigore della presente legge siano gia' conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente». Tutte le disposizioni il cui contenuto si e' ora esposto hanno portata generale e prescindono dalla disciplina procedimentale concernente le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della quale non costituiscono ulteriore svolgimento. Contro di esse si orientano le censure delle ricorrenti, le quali assumono che lo Stato avrebbe violato la competenza residuale delle Regioni in materia edilizia e, subordinatamente, avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio, la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio. Nelle memorie presentate in prossimita' dell'udienza, la Regione Toscana, in considerazione della sopravvenuta modifica del comma 12, ha espressamente dichiarato di rinunciare ai motivi del ricorso concernenti i commi da 6 a 12 ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, sicche' questa Corte deve pronunciarsi su di esse. 11.1. - E' innanzitutto da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica che, in base all'art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola «urbanistica» non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma cio' non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia piu' ricompresa nell'elenco del terzo comma: essa fa parte del «governo del territorio». Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel «governo del territorio», appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti cosi' rilevanti, quali quelli connessi all'urbanistica, e che il «governo del territorio» sia stato ridotto a poco piu' di un guscio vuoto. 11.2. - Chiarito che si versa in materia di competenza concorrente, resta da chiedersi se nelle disposizioni denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina poc'anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi e' nulla in essa che non sia riconducibile ad una enunciazione di principio e che possa essere qualificato normativa di dettaglio. Giova premettere che i principi della legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma hanno subito sensibili evoluzioni. Dal generale e indifferenziato onere della concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si e' passati all'autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici soggetti a disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso e' stato successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9 del 1982). Alle Regioni e' stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di semplificare le procedure ed accelerare l'esame delle domande di concessione e di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli edifici, l'asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa l'istituto della denuncia di inizio attivita'. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993, convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale ad acta con il compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del comune. Si e' giunti quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di inizio attivita' (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi, imponendo alle Regioni l'obbligo di adeguare la propria legislazione ai nuovi principi (legge n. 662 del 1996). E' dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potesta' di dettare i principi della materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si puo' procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attivita' a scelta dell'interessato integrano il proprium del nuovo principio dell'urbanistica: si tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante entita' o, comunque, di attivita' che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio dell'urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla pubblica amministrazione. Ne' puo' dirsi che le modificazioni introdotte nell'ultimo periodo del comma 12 dell'art. 1, e cioe' l'attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le categorie di opere per le quali e' prevista in principio la dichiarazione di inizio attivita', abbiano comportato, nella disciplina contenuta nel comma 6, un mutamento di natura e l'abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi e' solo una maggiore flessibilita' del principio della legislazione statale quanto alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio attivita' puo' applicarsi. Resta come principio la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l'autorizzazione, ed oggi, nel nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale e' la DIA, considerata procedura di semplificazione che non puo' mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo. La materia del contendere in relazione ai commi 6 e 12 non e' dunque cessata, come invece vorrebbe l'Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di queste disposizioni non possono essere accolte, giacche', anche dopo le sopravvenute modificazioni del comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a porre principi e non costituiscono norme di dettaglio. 11.3. - Del pari va respinta la censura relativa al comma 7, il quale, senza avere il contenuto di norma di dettaglio, si limita a reiterare l'obbligo dell'interessato di versare gli oneri di urbanizzazione commisurati al costo di costruzione anche quando il titolo abilitativo consista nella denuncia di inizio attivita'. L'onerosita' del titolo abilitativo riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica «governo del territorio». 11.4. - Non sono fondate le questioni concernenti i commi da 8 a 11 dell'art. 1, per le quali sono svolti motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati. Seppure, infatti, non si fosse in presenza di una legislazione statale rientrante nell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, ecosistema e beni culturali, le disposizioni censurate non eccederebbero l'ambito della potesta' legislativa statale nelle materie di competenza concorrente, e in particolare nella materia «governo del territorio». In effetti esse, lungi dal porre una disciplina di dettaglio, costituiscono espressione di un principio della legislazione statale diverso da quello previgente, contenuto nell'art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 398 del 1993 (che viene espressamente abrogato), secondo il quale puo' procedersi con denuncia di inizio attivita' anche alla realizzazione degli interventi edilizi di cui al comma 6 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001 che riguardino aree o immobili sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale nuovo principio, ha coordinato l'istituto della denuncia di inizio attivita' con le vigenti disposizioni che pongono vincoli, a tal fine ribadendo la indispensabilita' che l'amministrazione preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la cui assenza priva di effetti la denuncia di inizio attivita'. In definitiva le disposizioni censurate si limitano a far salva la previgente normativa vincolistica, senza alterare il preesistente quadro delle relative competenze, anche delegate alle amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato ulteriori competenze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese. 11.5. - Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi inducono a ritenere priva di fondamento la censura che le ricorrenti muovono al comma 14, contenente la delega al Governo ad emanare un decreto legislativo volto ad introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si sostiene dalle ricorrenti che la disposizione sia illegittima in quanto sarebbe «il concetto stesso di testo unico che ripugna al riparto costituzionale delle competenze» e cio' non soltanto per le materie residuali regionali, ma anche per le materie di competenza concorrente, nelle quali sulle Regioni grava soltanto il vincolo di conformarsi ai principi della legislazione statale. Le disposizioni impugnate - lo si e' appena visto - non sono tuttavia ascrivibili a competenze residuali e hanno il contenuto di principi che le Regioni possono svolgere con proprie norme legislative. Inserire quei principi in un testo unico gia' vigente e' dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale. 12. - La Regione Toscana ha impugnato anche i commi 1, 4 e 11 dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002. 12.1. - Il comma 4 inserisce, dopo il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001, il «comma 1-bis», il quale detta le indicazioni che deve contenere il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da inserire nel documento di programmazione economico-finanziaria. La ricorrente assume che la disposizione violerebbe gli artt. 117 e 118, primo comma, Cost. per le stesse identiche ragioni gia' poste a fondamento della censura svolta avverso il comma 3 dell'art. 13 della legge n. 166 del 2002, che ha sostituito il comma 1 della citata legge n. 443. Il motivo del ricorso e' da respingersi sulla base delle stesse argomentazioni che hanno condotto a ritenere infondate le censure avverso il menzionato comma 1 dell'art. 1 nella versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti alcuna autonomia rispetto a quella gia' scrutinata, con la quale, del resto, e' prospettata congiuntamente. 12.2. - Nei commi 1 e 11 dell'art. 13 della legge n. 166 sono individuati ed autorizzati i limiti di impegno di spesa quindicennali per la progettazione e realizzazione delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale «individuate in apposito programma approvato» dal CIPE, prevedendo, tra l'altro, che le risorse autorizzate «integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili». Il successivo comma 11 dispone i necessari stanziamenti di bilancio. In ordine a tali disposizioni la Regione Toscana sostiene che esse, nel prevedere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche approvate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal CIPE che si assume elaborato «in spregio alle competenze regionali»; sia con l'art. 119 Cost., perche' inciderebbero sull'autonomia finanziaria delle Regioni garantita dalla Costituzione anche in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture di competenza regionale. La censura va respinta per considerazioni analoghe a quelle gia' svolte nel punto 4.1. della presente pronuncia: in assenza dell'intesa con la Regione interessata i programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa disposizione deve essere interpretata nel senso che i finanziamenti concernenti le infrastrutture e gli insediamenti produttivi individuati nel programma approvato dal CIPE potranno essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole opere che siano state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o Province autonome interessate. Quanto all'evocato parametro dell'art. 119 Cost., e' sufficiente osservare che si tratta di finanziamenti statali individuati e stanziati in vista della realizzazione di un programma di opere che lo Stato assume, nei termini gia' chiariti, in base ai principi di sussidiarieta' ed adeguatezza anche in considerazione degli oneri finanziari che esso comporta e non e' pensabile che lo Stato possa esimersi dal reperire le risorse. Non e' pertanto apprezzabile alcuna lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni. 13. - Si tratta ora di esaminare i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana e Marche e dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 della Costituzione, nonche' agli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative norme di attuazione, avverso numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, attuativo della delega contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Specificamente la Toscana impugna gli artt. 1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11; 13 e 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15. 14. - Il ricorso della Provincia autonoma di Trento e' stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale oltre il termine previsto dall'art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con apposita istanza, pur non disconoscendo il carattere perentorio del termine per il deposito, ritiene che possa trovare applicazione alla fattispecie la disciplina dell'errore scusabile, che, per il processo costituzionale, non e' espressamente previsto. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la Provincia sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui precludono l'applicazione di tale istituto, per violazione dell'art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza. Entrambe le richieste non possono essere accolte. Nei giudizi in via di azione va senz'altro esclusa l'applicabilita' della disciplina dell'errore scusabile, cosi' come e' da escludersi che la Corte possa ritenere non manifestamente infondata una questione di legittimita' proprio su quelle norme legislative che, regolando il processo costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di certezza e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del giudizio. Il ricorso della Provincia autonoma di Trento deve essere pertanto dichiarato inammissibile. 15. - L'art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l'approvazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, individuati dall'apposito programma, e' impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano. Preliminarmente la ricorrente lamenta che la disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze riconosciutele dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze derivanti dagli artt. 117 e 118, applicabili alle Regioni ad autonomia differenziata in virtu' della clausola di estensione contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque che violerebbe l'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Tale disposizione definisce le condizioni dell'adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai principi della legislazione statale, tenendo ferma «l'immediata applicabilita' nel territorio regionale (...) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma e' attribuita delega di funzioni statali». La pretesa avanzata dalla Provincia di Bolzano e' quella di rimanere indenne dall'obbligo di applicazione immediata nel proprio territorio della disciplina contenuta nella disposizione impugnata. Un'applicazione immediata, tuttavia, e' esclusa dallo stesso art. 1, il quale, per un verso, fa salve le competenze delle Province autonome e delle Regioni a statuto speciale; per altro verso subordina l'applicazione della disciplina a una previa intesa, alla quale la stessa Provincia autonoma, proprio perche' titolare di competenze statutarie che le sono fatte salve, puo' sottrarsi. In questi termini la censura e' infondata. Anche competenze ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste, che possano derivare alla Provincia di Bolzano dalla clausola contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti propri delle funzioni corrispondenti delle Regioni ordinarie; e se per queste e' l'intesa, quale limite immanente all'operare del principio di sussidiarieta', ad assicurare la salvaguardia delle relative attribuzioni, un identico modulo collaborativo deve agire anche nei confronti della Provincia di Bolzano. Per le stesse ragioni va respinta la censura svolta dalla Provincia di Bolzano, sempre in riferimento al parametro dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, nei confronti dell'art. 13, comma 5, il quale stabilisce che l'approvazione del CIPE, adottata a maggioranza dei componenti con l'intesa dei presidenti delle Regioni, sostituisce, anche a fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' e urgenza delle opere e consente la realizzazione e l'esercizio delle infrastrutture strategiche per l'approvvigionamento energetico e di tutte le attivita' previste nel progetto approvato. 16. - Le Regioni Marche e Toscana impugnano l'art. 1, comma 5, secondo il quale le Regioni, le province, i comuni, le citta' metropolitane applicano, per le proprie attivita' contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall'approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto legislativo «fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (...) per tutte le materie di legislazione concorrente». Si denuncia la lesione dell'art. 117 della Costituzione poiche' in materie di competenza concorrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio. Non puo' negarsi che l'inversione della tecnica di riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilita' di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell'art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, che consente l'attrazione allo Stato, per sussidiarieta' e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si e' gia' avuto modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com'e' ad assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita'. Del resto il principio di cedevolezza affermato dall'impugnato art. 1, comma 5, opera a condizione che tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome interessate sia stata raggiunta l'intesa di cui al comma 1, nella quale si siano concordemente qualificate le opere in cui l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale e si sia stabilito in che termini e secondo quali modalita' le Regioni e le Province autonome partecipano alle attivita' di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore rafforzamento delle garanzie poste a favore delle Regioni, l'intesa non puo' essere in contrasto con le normative vigenti, anche regionali, o con le eventuali leggi regionali emanate allo scopo. 17. - L'art. 1, comma 7, lettera e), definisce opere per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (...) non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di piu' Regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale». La Regione Toscana lamenta la violazione dell'art. 76 Cost., giacche' la legge n. 443 del 2001 non autorizzerebbe il Governo a porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale. In realta' l'art. 1 del decreto legislativo n. 190 fa riferimento a infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici e «di preminente interesse nazionale» e non parla mai di opere di interesse regionale, ma solo di opere nelle quali con il «preminente interesse nazionale», che permane in posizione di prevalenza, concorre l'interesse della Regione. Opere di interesse esclusivamente regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina impugnata. Non e' pertanto ravvisabile nella disposizione denunciata alcun eccesso di delega. 17.1. - La stessa Regione Toscana, la Regione Marche e la Provincia di Bolzano assumono poi che l'art. 1 comma 7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 Cost., poiche' la disposizione escluderebbe la concorrenza dell'interesse regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, mentre il solo fatto della localizzazione di una parte dell'opera sul territorio di una Regione implicherebbe il coinvolgimento di un interesse regionale e la conseguente legittimazione della Regione interessata all'esercizio nel proprio territorio delle competenze legislative, regolamentari e amministrative ad essa riconosciute dalla