ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 3, commi 3,
4  e  6,  e  7, comma 3, della legge della Regione Marche 13 novembre
2001,  n. 25  (Disciplina  regionale  in materia di impianti fissi di
radiocomunicazione  al fine della tutela ambientale e sanitaria della
popolazione);  degli articoli 1, comma 2, 2, commi 1, 2 e 3, 3, 7 e 8
della   legge   della   Regione   Campania  24 novembre  2001,  n. 13
(Prevenzione  dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati
da  elettrodotti); degli articoli 3, comma 1, lettera m), 4, comma 1,
e  10,  commi 1  e  2, della legge della Regione Puglia 8 marzo 2002,
n. 5    (Norme    transitorie   per   la   tutela   dall'inquinamento
elettromagnetico   prodotto   da   sistemi   di  telecomunicazioni  e
radiotelevisioni operanti nell'intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300
GHz);  e degli articoli 1, commi 1 e 2, 2, 4, comma 1, lettera b), 5,
comma 1,  lettera  c),  e  comma 2,  12, comma 1, 13 e 16 della legge
della  Regione  Umbria  14  giugno 2002,  n. 9  (Tutela  sanitaria  e
ambientale   dall'esposizione   ai   campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici),  promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio
dei  ministri  notificati  il  17  e il 25 gennaio, il 10 maggio e il
23 agosto  2002,  depositati in cancelleria il 26 e il 31 gennaio, il
16 maggio  e  il  2 settembre  2002  ed iscritti, rispettivamente, ai
numeri 4, 5, 35 e 52 del registro ricorsi 2002.
    Visti  gli  atti  di costituzione delle Regioni Marche, Campania,
Puglia   e   Umbria   nonche'  gli  atti  di  intervento  della  Wind
Telecomunicazioni  S.p.a.,  dell'ENEL S.p.a., dell'ENEL Distribuzione
S.p.a.,  della TERNA-Trasmissione Elettricita' Rete Nazionale S.p.a.,
del  Gestore  della Rete di Trasmissione Nazionale S.p.a., del comune
di Lacco Ameno e della Vodafone Omnitel S.p.a;
    Udito nell'udienza pubblica del 25 marzo 2003 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi gli avvocati dello Stato Ivo M. Braguglia e Glauco Nori per
il Presidente del Consiglio dei ministri, gli avvocati Stefano Grassi
per  la  Regione  Marche,  Giovanni  Tarantini per la Regione Umbria,
Vincenzo  Cocozza  per  la  Regione  Campania, Sergio Panunzio per la
Regione   Puglia,   Beniamino   Caravita   di  Toritto  per  la  Wind
Telecomunicazioni  S.p.a.,  Giuseppe de Vergottini per l'ENEL S.p.a.,
per   l'ENEL   Distribuzione  S.p.a.  e  per  la  TERNA--Trasmissione
Elettricita'  Rete  Nazionale S.p.a., Marcello Clarich per il Gestore
della  Rete  di Trasmissione Nazionale S.p.a., Lorenzo Bruno Molinaro
per  il  comune  di  Lacco Ameno, Marco Sica e Mario Libertini per la
Vodafone Omnitel S.p.a.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso dell'11 gennaio 2002, depositato in cancelleria
il  26 gennaio  2002  (registro ricorsi n. 4 del 2002), il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale  della  legge  della  Regione Marche 13 novembre 2001,
n. 25   (Disciplina   regionale  in  materia  di  impianti  fissi  di
radiocomunicazione  al fine della tutela ambientale e sanitaria della
popolazione),   ed  «in  particolare»  delle  seguenti  disposizioni:
dell'art. 3,  commi 3  e  4,  in riferimento agli articoli 117, commi
secondo, lettera s), e terzo (tutela della salute e ordinamento della
comunicazione),  della Costituzione, ed in relazione agli articoli 1,
comma 6,  lettera  a,  numero  2, e 2, comma 6, della legge 31 luglio
1997,  n. 249  (Istituzione  dell'Autorita'  per  le  garanzie  nelle
comunicazioni   e   norme   sui  sistemi  delle  telecomunicazioni  e
radiotelevisivo),  all'art. 2,  comma 1, del decreto-legge 23 gennaio
2001,  n. 5  (Disposizioni  urgenti per il differimento di termini in
materia   di  trasmissioni  radiotelevisive  analogiche  e  digitali,
nonche'  per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito,
con    modificazioni,   nella   legge   20 marzo   2001,   n. 66,   e
all'art. 2-bis,  comma 2,  del  decreto-legge  1° maggio 1997, n. 115
(Disposizioni  urgenti  per  il  recepimento  della direttiva 96/2/CE
sulle    comunicazioni   mobili   e   personali),   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  1° luglio  1997,  n. 189;  dell'art. 3,
comma 6,  in  riferimento  all'art. 117,  terzo  comma  (tutela della
salute)  della  Costituzione,  ed  in  relazione all'art. 4, comma 1,
lettera  a),  della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla
protezione   dalle   esposizioni  a  campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici);    e    dell'art. 7,   comma 3,   in   riferimento
all'art. 117,  terzo  comma  (ordinamento della comunicazione), della
Costituzione,  ed  in  relazione allo stesso art. 4, comma 1, lettera
a), della legge n. 36 del 2001.
    Il  ricorrente,  dopo  avere  notato  che  dal titolo della legge
regionale  n. 25  del 2001 e dal suo art. 1 risulta espressamente che
la  disciplina  dettata  dalla  Regione  Marche riguarda gli impianti
fissi  di  radiocomunicazione  «al  fine  della  tutela  ambientale e
sanitaria  della  popolazione»,  osserva,  in  linea generale, che lo
Stato ha legislazione esclusiva nella materia della tutela ambientale
(art. 117,  secondo  comma, lettera s), della Costituzione, nel testo
novellato  dalla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), mentre
costituiscono  materie  di  legislazione concorrente (art. 117, terzo
comma)  la  tutela  della salute e l'ordinamento della comunicazione,
con  conseguente  potesta'  legislativa  esclusiva  dello Stato nella
determinazione  dei  principi  fondamentali.  Cio'  premesso,  alcune
disposizioni  della  legge regionale impugnata apparirebbero invasive
della competenza legislativa statale.
    In  particolare,  l'art. 3,  comma 3,  della legge regionale, che
prevede    che    l'installazione    degli    impianti    fissi    di
radiocomunicazione  di  cui al precedente art. 2 venga sottoposta «ad
opportune  procedure  di valutazione di impatto ambientale ...», e il
comma 4  dello  stesso  art. 3,  che  prevede che la Giunta regionale
adotti  le disposizioni di attuazione, eccederebbero dalle competenze
regionali,  in  quanto  la  predisposizione dei piani di assegnazione
delle  frequenze  e  l'individuazione dei siti per l'ubicazione degli
impianti,  per  quanto  riguarda  gli  impianti  di  radiodiffusione,
sarebbero riservate allo Stato dagli articoli 1, comma 6, lettera a),
numero  2,  e 2, comma 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249, nonche'
dall'art. 2,   comma 1,  del  decreto-legge  23 gennaio  2001,  n. 5,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  20 marzo 2001, n. 66:
tutte   norme  statali  dettate  o  a  tutela  dell'ambiente,  ovvero
costituenti  principi  fondamentali  (stante  il carattere fortemente
unitario  della  materia)  in  materia  di  tutela  della salute e di
ordinamento della comunicazione.
    Ancora,  per  cio'  che  riguarda gli impianti fissi di telefonia
mobile,  l'art. 2-bis,  comma 2,  del  decreto-legge  1° maggio 1997,
n. 115,  aggiunto  dalla legge di conversione 1° luglio 1997, n. 189,
ha  previsto  che  la  «installazione di infrastrutture dovra' essere
sottoposta   ad   opportune   procedure  di  valutazione  di  impatto
ambientale»,  ma  non ha individuato, direttamente od indirettamente,
ne'  le  competenze,  ne'  i  criteri  di  carattere  generale  e  le
procedure.  Sicche',  almeno  al  momento,  la  competenza resterebbe
riservata  allo  Stato, in funzione della tutela dell'ambiente, e, di
conseguenza, il richiamo al citato art. 2-bis, contenuto nell'art. 3,
comma 3,  della  legge regionale impugnata, non sarebbe rilevante per
attribuire   la   competenza   alla   Regione.   D'altro  canto,  per
l'installazione  delle  infrastrutture  in  questione  non  sarebbero
applicabili  le  disposizioni  statali  generali sulla valutazione di
impatto ambientale.
    Ancora,  la  disposizione di cui all'art. 3, comma 6, della legge
regionale  impugnata,  che  prevede,  sia pure in via transitoria, un
valore   limite   di   campo   elettrico  per  la  progettazione,  la
realizzazione  e  la  modifica  degli  impianti  di  cui  si  tratta,
invaderebbe l'attribuzione riservata allo Stato dalla disposizione di
cui   all'art. 4,   lettera a),  della  legge  n. 36  del  2001,  che
costituisce  principio fondamentale in materia di tutela della salute
«in   considerazione   del   preminente   interesse   nazionale  alla
definizione  di  criteri unitari e di normative omogenee in relazione
alle finalita' indicate nell'art. 1» della stessa legge.
    Infine,  l'art. 7,  comma 3, della legge regionale impugnata, che
demanda  alla  Giunta  regionale  di  adottare  un valore di distanza
minima,  da  determinate  aree  ed  edifici, nell'installazione degli
impianti  di  cui  al  precedente art. 2, introdurrebbe un parametro,
quello  della  distanza,  diverso  da  quelli  di  attenzione, la cui
determinazione  e' riservata allo Stato dall'art. 4, comma 1, lettera
a),  della  legge  quadro  n. 36  del  2001.  Il solo parametro della
distanza  sarebbe  inadeguato,  dovendosi  invece  tenere conto delle
caratteristiche  rilevanti  delle  stazioni trasmittenti (altezza dal
suolo,  potenza  irradiata,  sistema  radiante),  nonche' del livello
massimo di campo ammissibile nelle aree abitate.
    2. - Si  e' costituita nel giudizio davanti alla Corte la Regione
Marche, chiedendo che il ricorso venga dichiarato infondato.
    Come   risulterebbe  dall'insieme  della  disciplina  legislativa
dettata dalla legge regionale impugnata, essa Regione avrebbe infatti
esercitato   la  propria  competenza  legislativa  concorrente  nelle
materie   della   tutela   della  salute,  nonche'  del  governo  del
territorio.   La   legge   regionale,   infatti,   si  limiterebbe  a
disciplinare, in modo peraltro completo ed esaustivo, l'installazione
degli  impianti  fissi  di  radiocomunicazione,  per  consentirne una
localizzazione  in  grado  di  rispettare sia un corretto assetto del
territorio sia il rispetto dei principi fondamentali e delle esigenze
ineludibili  di  tutela  della  salute  dei  cittadini.  Sotto questo
profilo,  la  difesa regionale richiama, ritenendola valida anche nel
contesto  del  nuovo  Titolo  V della parte II della Costituzione, la
giurisprudenza  di  questa  Corte  secondo  cui la Regione, come ente
rappresentativo  della  molteplicita'  degli  interessi  legati  alla
dimensione  territoriale,  non  potrebbe non reputarsi titolare anche
del  potere  di  verifica  della compatibilita' degli interventi che,
attuati  dai  vari  soggetti,  comportano  effetti  sul territorio. E
sarebbe   questa   indubbiamente   la   prospettiva  nella  quale  si
collocherebbe  la  legge denunciata, che rimarrebbe nell'ambito delle
competenze  regionali,  pur  comportando  l'imposizione  di  distanze
superiori  a  quelle  richieste per il rispetto dei limiti massimi di
esposizione  ai  campi  elettrico  e magnetico, quali stabiliti dallo
Stato   nell'esercizio  delle  attribuzioni  ad  esso  riservate.  La
circostanza  che  la  legge  regionale abbia tra le proprie finalita'
anche  quella della tutela ambientale non implicherebbe in alcun modo
l'invasione   della   competenza   statale   in   materia  di  tutela
dell'ambiente.   Tale   materia  potrebbe  essere  individuata  nella
disciplina  direttamente  finalizzata  alla  tutela  degli  equilibri
ecologici  (stato dei fattori ambientali - aria, acqua, suolo, ecc. -
e  tutela  di  questi  dagli  inquinamenti,  protezione della natura,
salvaguardia  e  gestione  razionale  delle risorse naturali, ecc.) e
potrebbe  in  qualche  modo  coincidere  con quelle che sono le norme
statali  dirette  alla  «salvaguardia,  tutela  e miglioramento della
qualita'   dell'ambiente»   nonche'  alla  «utilizzazione  accorta  e
razionale  delle  risorse  naturali»  e  alla  promozione  sul  piano
internazionale   delle   misure  destinate  a  risolvere  i  problemi
dell'ambiente  (secondo la definizione che di tali obiettivi fornisce
l'art. 174   par.   1  del  Trattato  della  Comunita'  Europea).  Ma
l'ambiente  non sarebbe soltanto una materia: esso costituirebbe, per
giurisprudenza  costante  di  questa  stessa Corte costituzionale (ed
oggi  tanto  piu' dopo l'espressa menzione della tutela dell'ambiente
nella  lettera s), dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione),
un  valore  costituzionale, e dunque, come tale, sarebbe un obiettivo
perseguibile e da perseguire da parte di tutti i livelli territoriali
di  governo.  In  altri termini, sarebbe pacifico che, nell'esercizio
delle   competenze   in   materia   di   legislazione  concorrente  o
esclusivamente  affidata  alla  legislazione  delle  Regioni,  queste
possano  e  debbano perseguire finalita' di tutela ambientale. E cio'
in  applicazione  del fondamentale principio di «integrazione» di cui
all'art. 6  del  Trattato  comunitario,  che  sarebbe stato applicato
dalla  Regione  Marche  con  la  legge  impugnata,  la  quale sarebbe
espressamente  diretta  ad  attuare  i principi fissati in materia di
tutela  dell'ambiente  sia  dalla legge quadro statale n. 36 del 2001
sia dal decreto ministeriale 10 settembre 1998, n. 381.
    Con  specifico  riferimento alle norme di cui il ricorso contesta
la  legittimita'  costituzionale,  la difesa regionale osserva quanto
segue.
    Quanto  alla  prima  censura,  la previsione della attivazione di
procedure  di  valutazione  di impatto ambientale definite nelle loro
modalita'  di  attuazione  con  atto  della  Giunta regionale sarebbe
pienamente  coerente  con i principi fondamentali vigenti in materia.
Infatti,  l'art. 2-bis,  comma 2,  del decreto-legge n. 115 del 1997,
come  convertito  dalla  legge  n. 189 del 1997, prevede l'obbligo di
sottoporre   ad   opportune   procedure  di  valutazione  di  impatto
ambientale  la  installazione  di infrastrutture quali quelle oggetto
della  disciplina  dettata  dalla  legge regionale impugnata. Sarebbe
pacifico  che  lo  Stato  potra'  dettare  principi  fondamentali  in
materia,  al  fine di garantire criteri uniformi per la installazione
di  queste infrastrutture; ma, in assenza di una esplicita e puntuale
definizione  di  tali principi, non vi sarebbero dubbi che le Regioni
possano (e debbano, per dare attuazione ai principi costituzionali in
materia  di  tutela  della  salute e ai valori connessi con la tutela
dell'ambiente)  dettare  norme in grado di consentire quella corretta
valutazione  degli  effetti  diretti ed indiretti sui singoli fattori
ambientali e sul loro reciproco equilibrio. La valutazione di impatto
ambientale  sarebbe  infatti  una  procedura,  le  cui finalita' sono
definite  dalle  direttive  comunitarie 85/337/CEE e 97/11/CE, la cui
attuazione  costituisce  una forma concreta di gestione, nel rispetto
del  diritto  alla  salute  e  della tutela dell'ambiente, dei poteri
decisori  relativi  ad  attivita'  suscettibili  di rilevante impatto
ambientale.  L'attivazione  della procedura di valutazione di impatto
ambientale  costituirebbe  quindi  un  preciso  obbligo  derivante da
direttive comunitarie, e si inquadrerebbe comunque come uno strumento
essenziale  di  gestione e governo del territorio, per tutti i poteri
pubblici  che  possano  autorizzare  attivita'  in  grado di produrre
effetti  sull'ambiente,  la  cui disciplina deve essere dettata sia a
livello  legislativo  statale  sia - in assenza dell'intervento della
legge statale - a livello legislativo regionale. Del resto, l'attuale
disciplina  legislativa,  che  definisce  l'assetto  delle competenze
amministrative   in   questo  settore,  riserverebbe  allo  Stato  la
competenza   a  definire  le  procedure  di  valutazione  di  impatto
ambientale  solo con riferimento alle opere indicate nell'art. 71 del
d.lgs.  112  del  1998:  non  si  potrebbe  quindi  negare, in attesa
dell'ulteriore eventuale nuova definizione legislativa delle relative
competenze,  la  competenza regionale a disciplinare legislativamente
questo tipo di procedura.
    Quanto  alla  censura  relativa  all'art. 3, comma 6, della legge
regionale, essa non sarebbe fondata, per la considerazione che - come
pure  ammette lo stesso ricorrente - l'obiettivo di qualita' definito
da  tale  norma  (valori  di  campo  elettrico  non  superiori  a tre
Volt/metro,  in  corrispondenza  di  edifici adibiti a permanenza non
inferiore  a 4 ore) viene definito ed imposto solo «fino all'adozione
dei  decreti e regolamenti previsti dall'art. 4 della legge 36/2001».
Non  vi sarebbe quindi invasione della competenza statale, che potra'
essere  regolarmente  esercitata,  mediante  l'emanazione delle norme
regolamentari  e  dei provvedimenti espressamente previsti dal citato
art. 4  della  legge  n. 36 del 2001. Ma sarebbe altrettanto evidente
che,  nell'attesa  delle  norme  che debbono essere dettate a livello
centrale (ed il termine relativo e' gia' abbondantemente scaduto), le
Regioni  abbiano  piena  competenza  a  disciplinare  e  definire gli
obiettivi di qualita' in attuazione degli stessi principi fissati dal
legislatore  statale nella legge quadro n. 36 del 2001. Cio' anche in
relazione  alla  circostanza  che  tali  obiettivi  di  qualita' sono
dettati in funzione della tutela della salute, e quindi la disciplina
regionale    costituisce   esercizio   di   competenza   concorrente,
sicuramente  esplicabile  in  attesa di una precisazione di ulteriori
principi fondamentali da parte dello Stato.
    Quanto  alla terza censura, la difesa regionale afferma che anche
l'introduzione  del  valore di distanza minima, indicato dall'art. 7,
comma 3,  della  legge  regionale,  costituirebbe  corretto esercizio
della  competenza legislativa concorrente della Regione in materia di
governo  del  territorio  e  di  tutela della salute. Ne' si potrebbe
ritenere  che la determinazione di tale parametro sia necessariamente
riservata  allo  Stato,  trattandosi  di  un  parametro che, con ogni
evidenza,  attiene  anche e soprattutto al governo del territorio. Si
tratterebbe,  inoltre, di un parametro che viene, in relazione a tali
specifiche  finalita',  stabilito  dalla  Regione,  e  che sarebbe da
ritenere  ulteriore rispetto a quelli che lo Stato potra' definire in
applicazione delle previsioni dell'art. 4, comma 1, lettera a), della
legge n. 36 del 2001.
    3. - Con  ricorso  del 21 gennaio 2002, depositato in cancelleria
il  31 gennaio  2002  (reg.  ric.  n. 5  del 2002), il Presidente del
Consiglio   dei  ministri  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  delle seguenti disposizioni della legge della Regione
Campania 24 novembre 2001, n. 13 (Prevenzione dei danni derivanti dai
campi   elettromagnetici   generati  da  elettrodotti):  dell'art. 1,
comma 2,  in relazione all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione;   dell'art. 2,   commi 1,   2   e   3,  in  riferimento
all'art. 117,   terzo   comma  (tutela  della  salute  e  produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia), della Costituzione
ed  in  relazione  agli  artt. 4,  comma 1, lettera h), e 5, comma 1,
della  legge  22 febbraio  2001,  n. 36;  dell'art. 3, in riferimento
all'art. 117,   terzo   comma  (tutela  della  salute  e  produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia), della Costituzione
ed  in relazione agli artt. 4, comma 1, lettera d), e 9, della stessa
legge  n. 36  del  2001;  dell'art. 7,  in  riferimento all'art. 117,
secondo  comma,  lettera  s),  della Costituzione, anche in relazione
all'art. 15  della  stessa  legge  n. 36  del 2001; e dell'art. 8, in
riferimento  all'art. 117, commi secondo, lettera s), e terzo (tutela
della  salute  e  produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia), della Costituzione ed in riferimento all'art. 16 della
stessa legge n. 36 del 2001.
    La  legge  regionale  impugnata  investirebbe,  secondo la difesa
statale,  le  materie  della  tutela della salute e della produzione,
trasporto   e  distribuzione  nazionale  dell'energia,  che  sono  di
legislazione  concorrente  ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione,  ed anche la materia della tutela dell'ambiente che, ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, e'
di  legislazione  esclusiva  dello Stato. La legge quadro 22 febbraio
2001,  n. 36,  sulla  protezione dalle esposizioni a campi elettrici,
magnetici  ed elettromagnetici, avrebbe posto la disciplina integrale
ed   esclusiva  rivolta  alla  tutela  dell'ambiente  ed  i  principi
fondamentali per le altre materie, ai quali la legislazione regionale
si  deve  attenere.  La  legge  regionale  impugnata in parte avrebbe
invaso  la  sfera  statale  di legislazione esclusiva ed in parte non
avrebbe osservato i principi della legislazione statale.
    Quanto  all'art. 1,  comma 2, della legge regionale, l'Avvocatura
afferma  che  l'art. 5,  comma 1, della legge statale n. 36 del 2001,
«al fine di tutelare l'ambiente», ha disciplinato le competenze ed il
procedimento   per   la   localizzazione   dei  tracciati  e  per  la
progettazione,  la  costruzione  e  la  modifica di elettrodotti e di
impianti  per  telefonia  mobile  e radiodiffusione, mentre in questa
materia la Regione non avrebbe potesta' legislativa.
    Quanto  all'art. 2, commi 1, 2, 3, della legge regionale, secondo
la  difesa  statale  nell'art. 4, comma 1, lettera h), e nell'art. 5,
comma 1,  della  legge  statale  n. 36  del  2001  si  troverebbe  la
normativa di principio sui parametri per le fasce di rispetto per gli
elettrodotti,   mentre   le   norme   impugnate   avrebbero   fissato
direttamente  il  valore  limite  di  induzione  magnetica (comma 3),
attribuendo  ai  comuni  la  disciplina dell'ampiezza dei corridoi ed
alla  Regione  il  potere  di  direttiva, senza nessun raccordo con i
parametri  desumibili  dalla  normativa  statale,  come se la materia
rientrasse nella legislazione esclusiva della Regione.
    Nell'art. 3,   invece,  la  legge  regionale  disciplinerebbe  la
materia  del  risanamento  degli elettrodotti riservando alla Regione
l'approvazione degli appositi piani, anche in questo caso non tenendo
conto  di  quanto  dispone  l'art. 4, comma 2 [recte: 1], lettera d),
della  legge statale n. 36 del 2001, che avrebbe riservato allo Stato
i  «criteri  di  elaborazione  dei  piani  di  risanamento» anche con
riferimento   «alle   modalita'   di  coordinamento  delle  attivita'
riguardanti piu' regioni», e la norma regionale, non adeguandosi alla
disciplina  statale  di  principio,  si  sarebbe  sottratta  ad  ogni
possibilita' di coordinamento. La legge regionale non avrebbe nemmeno
tenuto  conto del termine fissato dall'art. 9 della legge statale per
assicurare la necessaria uniformita' di tutela sull'intero territorio
nazionale anche dal punto di vista temporale.
    Quanto  all'art. 7  della  legge regionale, l'Avvocatura sostiene
che  l'art. 15,  comma 4,  della  legge statale, nell'esercizio della
competenza  esclusiva  a  tutela  dell'ambiente,  avrebbe previsto un
apposito   sistema   sanzionatorio,   assicurando   cosi'   anche  la
uniformita'  degli interventi repressivi in tutte le Regioni, in modo
da evitare che tra di esse possa instaurarsi una sorta di concorrenza
sanzionatoria: ma l'art. 7 della legge regionale avrebbe disciplinato
un  sistema  del  tutto  autonomo  senza tenere conto della normativa
statale.
    Infine,  quanto all'art. 8, la normativa transitoria ivi prevista
si  sovrapporrebbe  a quella fissata dall'art. 16 della legge statale
senza alcun coordinamento. Del resto, secondo la difesa erariale, una
disciplina  transitoria  era  indispensabile  a  tutela dell'ambiente
nell'esercizio  della  legislazione  statale  esclusiva,  e  principi
generali sarebbero necessari anche per la disciplina transitoria, che
investe   il   periodo  in  cui  gli  impianti  preesistenti  possono
costituire pericolo non controllabile per la salute.
    4. - Ha  depositato  memoria  di costituzione e difesa la Regione
Campania,  chiedendo  che  il  ricorso sia dichiarato inammissibile e
infondato.
    Riservandosi   di   dimostrare   in  una  successiva  memoria  la
legittimita'   della   disciplina   regionale,   la   Regione  espone
sinteticamente   le   ragioni   che  dovrebbero  portare  a  ritenere
ammissibile  la  propria  costituzione  in  giudizio,  nonostante sia
avvenuta  oltre  il termine previsto dall'art. 23, terzo comma, delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. In
primo  luogo,  il termine per la costituzione delle parti in giudizio
sarebbe  contenuto nelle norme integrative con una formulazione nella
quale, diversamente da quanto disposto in generale dalla legge per il
deposito  del  ricorso,  viene  adoperata  l'espressione  «puo» e non
«deve».  In  secondo  luogo,  nell'ipotesi  di  costituzione  tardiva
dell'amministrazione  regionale  non  potrebbero invocarsi le ragioni
che  la  Corte da tempo richiama per escludere l'applicabilita' della
sospensione   dei  termini  processuali  e  per  caratterizzare  come
perentori  i termini, ragioni riferite alla necessita' di definire il
giudizio  in  modo  celere  e  certo.  In terzo luogo, l'analogia con
quanto si verifica nel processo amministrativo, ove il termine per la
costituzione   in   giudizio  non  e'  ritenuto  perentorio,  sarebbe
rafforzata  dal  rinvio che l'art. 22, primo comma, della legge n. 87
del  1953  effettua  alle  norme  del  regolamento  di  procedura del
Consiglio  di  Stato  in sede giurisdizionale. Inoltre, in assenza di
una  formula  letterale  cogente,  dovrebbe  ritenersi  preminente il
generale  interesse  pubblico  di  un  ente politico ad esporre tutto
quanto  e' necessario per fornire al giudice delle leggi gli elementi
utili  alla  piena  valutazione della scelta compiuta dal legislatore
regionale,  tenendo anche presente che nel caso di specie la Regione,
ai  fini  della scelta di costituirsi in giudizio, ha dovuto assumere
tutti  gli  elementi  di conoscenza ulteriore per cogliere la portata
della  complessa  riforma costituzionale da poco intervenuta. Infine,
la   diversa  modulazione  dei  termini  e  delle  modalita'  per  la
proposizione    del    ricorso   fissata   dalla   nuova   disciplina
costituzionale  imporrebbe  una  riflessione  sulla  portata  e sulla
qualificazione  delle  precedenti  regole  disciplinanti il processo,
attesa   la  sua  incidenza  sulla  posizione  delle  parti  e  sulla
complessiva logica processuale.
    4.1  -  In  una  successiva  memoria  la  Regione  ha  illustrato
ulteriormente   le   ragioni   che   possono   militare  per  la  non
perentorieta'  dei termini di costituzione in giudizio, ripercorrendo
la giurisprudenza costituzionale sul tema, dalla quale emergerebbero,
da  una  parte,  la  stretta  correlazione  della  peculiarita' della
normativa  processuale  con l'interesse pubblico di diritto obiettivo
alla  sollecita  definizione  soprattutto  di  rapporti  pubblici  e,
dall'altra, l'assenza di una puntuale motivazione sulla perentorieta'
o meno dei termini di costituzione in giudizio.
    Nel  merito,  la  Regione  sostiene  che la materia oggetto della
legge  regionale  non  rientra  nell'ambito  della potesta' esclusiva
dello  Stato,  ma  investe  piuttosto  una  pluralita'  di competenze
legislative  che si vanno inestricabilmente a collegare. La finalita'
specifica  sarebbe infatti l'esigenza di tutelare in modo efficace la
salute   dei  cittadini,  e  cio'  si  conseguirebbe  attraverso  una
disciplina  legislativa  afferente  alla predisposizione di strumenti
urbanistici  (di  competenza  esclusiva regionale ovvero connessa, al
piu',  alla  materia  «governo  del  territorio») e alle procedure di
risanamento industriale (materia anch'essa non presente negli elenchi
relativi  alla  potesta'  esclusiva  statale); in ogni caso, la legge
regionale  non si caratterizzerebbe come volta a tutelare quel bene -
l'equilibrio  ecologico,  costituito  dalla  protezione  della fauna,
delle   risorse  ambientali  e  del  paesaggio  -  che  sottenderebbe
l'endiadi   utilizzata   dal   legislatore   costituzionale  («tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema») per definire la competenza statale.
E,  ancora,  anche  ove  si  ritenesse  che  l'intervento legislativo
regionale  si  trovi  ad  interferire con la «materia» ambientale, la
Regione  dovrebbe  considerarsi  legittimata ad esercitare le proprie
competenze  in  materia  di  governo del territorio e di tutela della
salute,   nel   rispetto  dei  principi  e  delle  esigenze  unitarie
desumibili  dalla  legge  statale,  ai  quali  la normativa regionale
sarebbe appunto conforme.
    4.2. - Nel  giudizio  nei  confronti  della  legge  della Regione
Campania  (reg.  ric. n. 5 del 2002) ha depositato atto di intervento
il  Gestore  della  Rete  di Trasmissione Nazionale S.p.a., chiedendo
l'accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso del Presidente
del    Consiglio    dei    ministri.   Quanto   alla   ammissibilita'
dell'intervento, si sostiene che il corretto esercizio delle funzioni
legislative  di  Stato  e  Regioni  e  il rispetto da parte di queste
ultime  dei  principi  fondamentali dettati dallo Stato e dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario sarebbero essenziali affinche'
il Gestore della rete possa svolgere regolarmente le funzioni ad esso
assegnate  dal d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, recante «Attuazione della
direttiva  96/1992/CE  recante  norme  comuni  per il mercato interno
dell'energia  elettrica»,  e  dai  successivi  decreti  del Ministero
dell'industria 21 gennaio e 17 luglio 2000.
    4.3. - Nel medesimo giudizio hanno in seguito depositato un unico
atto   di   intervento   le  seguenti  societa':  ENEL  S.p.a.,  ENEL
Distribuzione   S.p.a.  e  TERNA  -  Trasmissione  Elettricita'  Rete
Nazionale    S.p.a.,   chiedendo   anch'esse   l'accoglimento   delle
conclusioni  formulate  nel  ricorso del Presidente del Consiglio dei
ministri.   L'interesse   delle   societa'   all'intervento   sarebbe
qualificato  dalla  necessita' di assicurare uniformita' di modalita'
di  realizzazione  della rete di trasmissione nazionale, di cui TERNA
e'  proprietaria per il 95%, e di quella di distribuzione di energia,
di  cui  ENEL  Distribuzione  e'  concessionaria:  entrambe  societa'
detenute da ENEL S.p.a.
    4.4. - Nel  giudizio  promosso  nei  confronti  della legge della
Regione  Campania  hanno  depositato  unico  atto  di  intervento  ad
opponendum  il  comune  di  Lacco  Ameno,  nella persona del Sindaco,
nonche'  quest'ultimo quale Ufficiale di Governo. Essi, assumendo che
l'esito  del  presente  giudizio  e' destinato ad incidere su proprie
posizioni  giuridiche,  che  trovano adeguata tutela nella perdurante
vigenza  della  legge  impugnata  -  il riferimento e' ad un giudizio
amministrativo  promosso  in relazione all'inibizione, da esso Comune
disposta,  dell'attivazione di un impianto di trasformazione, annesso
ad  un  elettrodotto, realizzato dall'Enel nel centro abitato - hanno
concluso per l'infondatezza della questione sollevata.
    5. - Con  ricorso del 9 maggio 2002, notificato il 10 maggio 2002
(reg.  ric. n. 35 del 2002), il Presidente del Consiglio dei ministri
ha  sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3,
comma 1,  lettera  m); 4, comma 1; 10, commi 1 e 2, della legge della
Regione  Puglia  8 marzo  2002, n. 5 (Norme transitorie per la tutela
dall'inquinamento    elettromagnetico    prodotto   da   sistemi   di
telecomunicazioni   e  radiotelevisivi  operanti  nell'intervallo  di
frequenza  fra  0 Hz e 300 GHz), in riferimento all'art. 117, secondo
comma,  lettera  s),  e  117,  terzo  comma  (tutela  della  salute e
ordinamento  della  comunicazione) della Costituzione, e in relazione
agli  artt. 4,  comma 2;  5,  comma 1;  e  8,  comma 1,  della  legge
22 febbraio 2001, n. 36.
    Il ricorrente osserva innanzitutto in linea generale che la legge
impugnata ha la finalita', come emerge dall'art. 1, di assicurare «la
tutela  dell'ambiente  dall'inquinamento elettromagnetico connesso al
funzionamento  e all'esercizio degli impianti per telecomunicazione e
radiotelevisivi», e che essa sarebbe quindi invasiva della competenza
statale,  poiche'  lo  Stato  ha legislazione esclusiva nella materia
della tutela ambientale, mentre costituiscono materie di legislazione
concorrente quelle della tutela della salute e dell'ordinamento della
comunicazione, con conseguente potesta' legislativa dello Stato nella
determinazione dei principi fondamentali.
    Quanto  alle disposizioni dell'art. 3, comma 1, lettera m), della
legge  regionale  impugnata,  che  definisce  le  «aree sensibili», e
dell'art. 4,  comma 1,  secondo  cui  la  Regione  «detta  i  criteri
generali  per  la  localizzazione  degli  impianti, nonche' i criteri
inerenti  l'identificazione  delle  "aree  sensibili"  e  la relativa
perimetrazione»,   esse   eccederebbero   le   competenze  regionali,
contrastando  con il principio introdotto dall'art. 8, comma 1, della
legge  statale  n. 36  del 2001, il quale prescrive che le competenze
regionali  si esercitano «nel rispetto dei limiti di esposizione, dei
valori  di  attenzione  e  degli  obiettivi  di  qualita' nonche' dei
criteri e delle modalita' fissati dallo Stato».
    Quanto  all'art. 10,  comma 1,  della  legge regionale, che vieta
«l'installazione  di  sistemi  radianti  relativi  agli  impianti  di
emittenza  radiotelevisiva  e  di  stazioni  radio base per telefonia
mobile  su  ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido»,
esso conterrebbe un divieto assoluto, eccedente rispetto al parametro
richiamato in via transitoria dall'art. 16 della legge quadro statale
n. 36  del  2001,  e quindi rispetto all'art. 4 del d.m. 10 settembre
1998,  n. 381,  che  assume  come  unico parametro il valore di campo
elettromagnetico.
    In  ordine all'art. 10, comma 2, della legge regionale impugnata,
che  vieta  la  localizzazione  degli  impianti  di  cui  all'art. 2,
comma 1,  nelle  aree  vincolate ai sensi del d.lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490,  nelle aree classificate di interesse storico-architettonico,
nelle  aree  di pregio storico, culturale e testimoniale, nonche' nei
parchi  ed  aree  protette,  esso  invaderebbe,  in  primo  luogo, la
competenza  esclusiva statale in materia ambientale, e contrasterebbe
con l'art. 5, comma 1, della legge quadro n. 36 del 2001, che riserva
ad  apposito regolamento, di competenza statale, l'adozione di misure
specifiche finalizzate alla tutela dell'ambiente e del paesaggio.
    6. - La  Regione  Puglia ha depositato, oltre il termine previsto
dall'art. 23,  terzo  comma,  delle  Norme  integrative per i giudizi
davanti  alla Corte costituzionale, atto di costituzione e deduzioni,
chiedendo  di  respingere  il  ricorso  del  Presidente del Consiglio
siccome inammissibile e infondato.
    Riservandosi  di  svolgere  in  una successiva memoria piu' ampie
deduzioni  difensive,  la  Regione nota comunque che le censure mosse
alla   legge   regionale  muovono  da  una  concezione  errata  della
competenza dello Stato relativa alla «tutela dell'ambiente», la quale
non  sarebbe  tanto una materia riservata, quanto piuttosto un valore
costituzionalmente  protetto  che  non  esclude  la  competenza delle
Regioni;  mentre,  se  fosse  intesa  come  mostra  di  intenderla il
Governo,  essa finirebbe per svuotare di contenuto e significato gran
parte delle competenze regionali concorrenti o residuali-esclusive.
    6.1. - Ha depositato atto di intervento la Wind Telecomunicazioni
S.p.a.,   in   qualita'   di  concessionaria  per  l'installazione  e
l'esercizio  di  impianti di telecomunicazioni per l'espletamento del
servizio  pubblico  radiomobile  di comunicazione con il sistema GSM,
chiedendo   l'accoglimento   delle   conclusioni   rassegnate   dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri.
    7. - Con ricorso del 13 agosto 2002, notificato il 23 agosto 2002
(reg.  ric. n. 52 del 2002), il Presidente del Consiglio dei ministri
ha   sollevato   questioni   di   legittimita'  costituzionale  degli
articoli 1,  commi 1  e  2;  2;  4,  comma 1,  lettera b; 5, commi 1,
lettera  c),  e  2;  12,  comma 1;  13 e 16 della legge della Regione
Umbria   14   giugno 2002,   n. 9   (Tutela  sanitaria  e  ambientale
dall'esposizione  ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici),
in riferimento agli articoli 3, 117, secondo comma, lettere e (tutela
della  concorrenza)  e  s) (tutela dell'ambiente), e 117, terzo comma
(tutela  della  salute)  della  Costituzione,  ed  in  relazione agli
artt. 4, commi 1 e 2; 5, comma 1; 8, comma 1; e 9, commi 3 e 6, della
legge  22 febbraio  2001,  n. 36,  e  all'art. 1, comma 4, del d.P.R.
12 aprile  1996  (Atto  di indirizzo e coordinamento per l'attuazione
dell'art. 40,   comma 1,   della   legge  22 febbraio  1994,  n. 146,
concernente   disposizioni  in  materia  di  valutazione  di  impatto
ambientale).
    La difesa statale premette che, poiche' la legge regionale indica
tra  le  sue  finalita',  all'art. 1,  comma 1, anche la salvaguardia
dell'ambiente  e  del  paesaggio,  essa sarebbe illegittima in quanto
contrastante  con  l'attribuzione  della  tutela  dell'ambiente  alla
legislazione  esclusiva  dello  Stato,  qualunque  sia  la nozione di
ambiente che si voglia seguire.
    Quanto  all'art. 1,  comma 2,  della  legge  regionale impugnata,
l'Avvocatura  dello  Stato  premette  che  la  Regione deve agire nel
rispetto   dei   principi   fondamentali  comunque  risultanti  dalla
legislazione  statale  gia'  in vigore, e dunque di quelli desumibili
dalla  legge  quadro  22 febbraio  2001, n. 36 sulla protezione dalle
esposizioni   a   campi  elettrici,  magnetici  ed  elettromagnetici.
L'art. 5,   comma 1,  della  legge  statale  riserva  allo  Stato  la
determinazione delle «misure specifiche relative alle caratteristiche
tecniche  degli  impianti  e alla localizzazione dei tracciati per la
progettazione,  la  costruzione  e  la  modifica di elettrodotti e di
impianti  per  telefonia  mobile  e  radiodiffusione»,  oltre che «le
particolari  misure  atte  ad  evitare  danni  ai valori ambientali e
paesaggistici»,  e  lo  scopo  dichiarato  della  norma  e' quello di
tutelare  «l'ambiente  e  il  paesaggio».  La disposizione impugnata,
invece,    riserva   ad   una   futura   disciplina   regionale   «la
localizzazione,  la  costruzione,  la modificazione ed il risanamento
degli impianti».
    Secondo  la  difesa  statale,  una volta accertato che la materia
rientra  nella  competenza  esclusiva  dello Stato, va escluso che la
disciplina  introdotta  dalla  legge  statale  possa essere messa nel
nulla da quella regionale successiva.
    Se  poi  si  ritenesse che la disciplina regionale sia volta alla
tutela  della  salute,  occorrerebbe  verificare  se le norme statali
richiamate  abbiano  o  meno natura di principi fondamentali ai sensi
dell'art. 117,  terzo  comma,  della Costituzione. E tale indagine, a
sua   volta,   sarebbe  condizionata  alla  verifica  se  sia  o  non
ragionevole  che  il  livello  di  protezione  contro  le  radiazioni
elettromagnetiche  in  Umbria  sia  diverso  (maggiore  o  minore non
importerebbe)  di  quello  previsto,  ad  esempio,  in  Piemonte o in
Puglia.  La risposta positiva, secondo l'Avvocatura, potrebbe basarsi
soltanto  su  una accertata diversita' biologica degli abitanti delle
Regioni interessate o su una situazione ambientale che neutralizzi in
tutto  o  in  parte  gli  effetti  dannosi  delle radiazioni: ipotesi
entrambe smentite dalle attuali acquisizioni scientifiche.
    Di  qui  la conferma che tra i principi fondamentali rimessi allo
Stato  ci  sono  anche  quelli  che  assicurano  la realizzazione del
principio di uguaglianza quando, naturalmente, operante. E non a caso
nell'art. 4,  comma 1,  della  legge  statale sarebbe stata posta per
prima, tra le funzioni dello Stato, quella di tutelare «il preminente
interesse  nazionale  alla definizione di criteri unitari e normative
omogenee in relazione alle finalita' di cui all'articolo 1».
    Quanto  all'art. 2  della legge regionale impugnata, che richiede
ai    gestori    e    ai   concessionari   la   dimostrazione   della
indispensabilita'  degli  impianti, non prevista dalla legge statale,
in vista di una successiva verifica da parte della Regione, la difesa
statale   premette   che  l'art. 8  della  legge  quadro,  sempre  in
considerazione del principio di eguaglianza, ha fissato le competenze
delle   Regioni,   individuandole   nelle  materie  nelle  quali  una
differenziazione territoriale delle discipline risulta ragionevole.
    Nel  caso,  quella svolta dai gestori e dai concessionari sarebbe
attivita'  di  impresa, e la indispensabilita' degli impianti sarebbe
valutazione  attinente  alla  gestione,  sulla  quale  la Regione non
potrebbe  avere  competenza;  inoltre,  l'eventuale giudizio negativo
dato  nella  Regione Umbria potrebbe creare difficolta' operative per
il  gestore,  alterando le condizioni del mercato e cosi' sconfinando
nella  sfera  della  concorrenza  la  cui  tutela  e' attribuita alla
legislazione esclusiva dello Stato.
    Anche  in  ordine  all'art. 4,  comma 1,  lettera b), della legge
regionale  impugnata,  che  attribuisce  ai comuni poteri vari per il
risanamento  degli  impianti  esistenti, in relazione al principio di
eguaglianza  non sarebbe giustificabile una differenza di discipline,
articolata addirittura per territori comunali.
    Per  le medesime ragioni sarebbe incostituzionale anche l'art. 5,
comma 1, lettera c), della legge regionale impugnata, con il quale la
Regione  riserva  a  se  stessa  il  potere  di  elaborare  piani  di
risanamento.
    L'art. 5,  comma 2,  della  legge impugnata, che attribuisce alla
Regione  un  potere  di  proposta,  si sovrapporrebbe alla disciplina
contenuta  nell'art. 9,  commi 3  e  6,  della  legge quadro statale,
secondo  cui  competente  e'  il  Ministero dell'ambiente, sentiti le
Regioni  e i comuni interessati. Attribuendosi un potere di proposta,
la  Regione porrebbe dei limiti ai poteri deliberativi statali, salvo
che  la  norma  non  vada  interpretata  nel  senso  che  la proposta
costituisce  in  questo caso solo un sollecitazione per il Ministero,
che potra' deliberare un piano del tutto diverso da quello proposto.
    Quanto all'art. 12, comma 1, della legge regionale impugnata, che
richiede   la   valutazione   d'impatto   ambientale   in  violazione
dell'art. 4,   comma 1,  del  d.P.R.  14 aprile  1996,  in  relazione
all'allegato  B,  n. 7, lettera z) (valutazione non richiesta nemmeno
dalla  direttiva  87/117  CE),  esso  violerebbe  il  principio della
parita'  di  trattamento,  incidente  anche  sotto  il  profilo della
concorrenza.
    In  ordine  all'art. 13  della  legge  regionale  impugnata,  che
rimette   alla   Giunta   regionale  la  disciplina,  oltre  che  dei
procedimenti  amministrativi,  anche  dei  criteri  preordinati  alla
localizzazione  ed  al  risanamento degli impianti, la difesa statale
afferma  che  la  illegittimita'  costituzionale sarebbe evidente con
riguardo  ai  criteri,  che  sarebbero  addirittura rimessi alla sede
amministrativa   senza   la   fissazione  di  limiti  o  orientamenti
legislativi, e che, con riguardo al procedimento, la norma violerebbe
l'art. 9 della legge quadro statale.
    Quanto  all'art. 16  della legge regionale impugnata, che prevede
che  una  apposita  disciplina transitoria sia posta con regolamento,
esso  sarebbe illegittimo, poiche' la disciplina transitoria e' stata
posta dall'art. 16 della legge quadro statale.
    8. - Si  e'  costituita  in giudizio la Regione Umbria, chiedendo
che  la  Corte  respinga  il  ricorso  dichiarando manifestamente non
fondate le questioni sollevate dal Presidente del Consiglio.
    La  difesa  regionale riassume dapprima l'intera vicenda relativa
alla  legge impugnata. L'originario disegno di legge, predisposto nel
vigore  del  testo  costituzionale previgente, era stato rinviato dal
Governo  con  nota  del  23 giugno 2001, prot. n. 01/439, nella quale
venivano  formulati  cinque rilievi. Il Consiglio regionale, aderendo
alle  valutazioni  svolte  dalla II Commissione consiliare, aveva poi
riapprovato  con  modificazioni il testo, adeguandosi integralmente a
due  rilievi  e  parzialmente  ad  altri due. Il Governo aveva quindi
presentato ricorso in via principale di fronte alla Corte, censurando
alcune disposizioni della delibera regionale.
    Poiche'  tuttavia nelle more del giudizio e' entrata in vigore la
riforma  del  titolo V della parte II della Costituzione, il giudizio
davanti   alla   Corte   e'   stato   definito   con   ordinanza   di
improcedibilita' n. 182 del 2002.
    Successivamente, il testo della delibera legislativa regionale e'
stato   approvato  nuovamente,  senza  modificazioni,  dal  Consiglio
regionale, e poi impugnato dal Governo nei termini sopra esposti.
    Ritenendo che la prima censura del ricorso governativo si appunti
anche  sull'art. 1,  comma 1,  della  legge  regionale  impugnata, la
difesa regionale sostiene che l'approccio del Governo, secondo cui lo
scopo  dichiarato della legge sarebbe quello di tutelare l'ambiente e
il  paesaggio,  e'  fondato  su  una  interpretazione  formalistica e
nominalistica  della  materia  oggetto  della legge regionale e della
legge  statale.  Chiarisce  quindi  che la finalita' preminente della
legge regionale, peraltro espressamente indicata nello stesso art. 1,
comma 1,  e'  quella  di  tutelare  la salute della popolazione dagli
effetti   della   esposizione   ai   campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici;  e  considera  inoltre  che  la conservazione di un
ambiente  salubre  costituisce  espressione  del diritto fondamentale
alla    salute   riconosciuto   ai   cittadini   dall'art. 32   della
Costituzione,  la  cui  tutela  e'  ora  attribuita  alla  competenza
concorrente della Regione.
    Quanto  alla  censura  relativa  all'art. 1, comma 2, della legge
impugnata,  la  difesa regionale sostiene che dal confronto di questa
norma  con  quella contenuta nell'art. 5, comma 1, della legge quadro
statale  n. 36  del  2001  emergerebbe  che il potere normativo dello
Stato, destinato ad assicurare profili di tutela ambientale, e quello
della  Regione  sarebbero  diretti a soddisfare finalita' diverse. In
particolare,  sarebbe manifestamente estranea alla disciplina statale
la considerazione puntuale di qualunque profilo attinente alla tutela
della  salute.  Paradossale  sarebbe quindi il timore del Governo che
disposizioni   regionali   dettate   nell'esercizio   della  potesta'
legislativa  concorrente  possano  prevalere  su quelle dettate dallo
Stato in materia di competenza esclusiva.
    Quanto  alla  censura  proposta  in  via  subordinata all'art. 1,
comma 2,  e a quelle rivolte contro gli artt. 4, comma 1, lettera b),
e  5,  comma 1,  lettera  c),  della  legge  impugnata, relative alla
necessita'   di   rispettare   il   principio  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza,  esse sarebbero «del tutto infondate, anzi aberranti,
ponendosi al di fuori sia del sistema costituzionale delle competenze
e  dei meccanismi che presiedono all'esercizio del potere legislativo
regionale  concorrente,  sia  delle piu' consolidate applicazioni del
principio di uguaglianza».
    Inoltre,  erronea sarebbe la qualificazione dell'art. 5, comma 1,
quale norma di principio, essendo tale norma esclusivamente destinata
a  fissare  una  competenza  statale,  la  cui  riconducibilita' alla
legislazione  esclusiva  dello  Stato  andrebbe peraltro puntualmente
dimostrata e non data semplicemente per presupposta.
    Ancora,   le   censure   del   Governo  si  fonderebbero  su  una
interpretazione  del  principio di uguaglianza rigida e formalistica,
che  verrebbe  a  impedire alle Regioni di intervenire a tutela della
salute  dei  propri  cittadini  offrendo  piu'  elevati  standard  di
protezione  rispetto a quelli essenziali che vanno garantiti su tutto
il  territorio  nazionale.  Anzi,  a  causa  dell'incertezza circa la
pericolosita'    delle    emissioni    di    cui    si    discute   e
dell'imponderabilita',    allo   stato   delle   attuali   conoscenze
scientifiche,  delle conseguenze sulla salute della collettivita', la
legge     regionale    impugnata    costituirebbe    un    intervento
all'avanguardia, in coerenza con i principi sanciti dall'art. 152 del
Trattato CE, che impongono l'eliminazione delle fonti di pericolo per
la salute umana.
    Quanto  alla censura sull'art. 2 della legge impugnata, la difesa
regionale   sostiene   che   con   l'introduzione  del  principio  di
giustificazione la Regione non avrebbe fatto altro che riaffermare il
valore  primario  della  tutela  della  salute che, nel bilanciamento
operato  dal legislatore regionale con il diritto di impresa, avrebbe
condotto  alla  previsione  non  certo  di  un  limite  all'esercizio
dell'attivita'  imprenditoriale,  ma  di  un  criterio  ragionevole e
strumentale  ad una migliore ponderazione comparativa degli interessi
coinvolti   da  parte  dell'amministrazione  competente,  in  stretta
applicazione  del  principio  di  proporzionalita'.  La disposizione,
infatti,    mirerebbe    ad    una    maggiore   responsabilizzazione
dell'imprenditore,  a sollecitare una sua piu' fattiva collaborazione
in  vista della tutela di un bene primario quale quello della salute,
e a prevenire o ridurre pericolose manovre speculative.
    Ne'   il  legislatore  regionale  avrebbe  invaso  la  competenza
esclusiva  dello  Stato in materia di tutela della concorrenza: cosi'
ritenendo,  infatti, si giungerebbe ad una sistematica erosione delle
competenze della Regione in rilevanti settori economico-produttivi.
    Anche  la  censura  relativa  all'art. 5,  comma 2,  della  legge
impugnata  non  sarebbe  fondata,  in  quanto  il  potere sostitutivo
attribuito  alla  Regione,  in  caso  di  mancata presentazione della
proposta  da  parte  dei  gestori  del  piano  di risanamento per gli
elettrodotti  con  tensione  superiore a 150kv, integra la previsione
statale e non incide sul potere attribuito al Ministro dell'ambiente,
di  concerto con gli altri ministri competenti, di approvare il piano
medesimo.
    In ordine alla censura relativa all'art. 12, comma 1, della legge
impugnata,  la  difesa  regionale  fa  notare  che  l'art. 2-bis  del
decreto-legge   1° maggio   1997,   n. 115,  convertito  nella  legge
1° luglio   1997,   n. 189,   prevede   che   la   installazione   di
infrastrutture   relative   alla   telefonia  mobile  «dovra'  essere
sottoposta   ad   opportune   procedure  di  valutazione  di  impatto
ambientale».  In  ogni caso, la procedura di v.i.a. di cui si discute
apparterrebbe  al  potere legislativo concorrente regionale, inerendo
alla  tutela  della salute, alla valorizzazione dei beni ambientali e
culturali  e,  soprattutto,  al  governo  del territorio. Inoltre, la
scelta del legislatore regionale umbro di sottoporre a valutazione di
impatto  ambientale la installazione di impianti di telefonia mobile,
in  casi  determinati da individuarsi successivamente con regolamento
della Giunta, rientrerebbe nell'ambito della sua potesta' legislativa
e  sarebbe  ragionevole  esercizio  di discrezionalita' politica, non
censurabile in sede di controllo di costituzionalita'.
    Quanto alle censure svolte nei confronti dell'art. 13, la Regione
resistente  ne denuncia la genericita', e nota come nel nuovo disegno
costituzionale  delle  funzioni  degli  organi  regionali  il  potere
regolamentare  dell'esecutivo abbia assunto un rilievo determinante e
una  ampiezza tale da non potersi configurare soltanto come potere di
mera esecuzione delle leggi regionali.
    Inconferente  sarebbe inoltre il rilievo circa il contrasto della
disposizione  regionale  impugnata  con  l'art. 9, commi 3 e 6, della
legge  quadro n. 36 del 2001, commi che disciplinano nelle loro linee
generali  le  sole procedure concernenti i piani di risanamento degli
elettrodotti  con  tensione  superiore  a  150  kv (e gli effetti del
mancato  risanamento  degli  stessi),  delle  stazioni  e dei sistemi
radioelettrici,  degli impianti per telefonia mobile e degli impianti
per  radiodiffusione,  conseguenti all'inerzia o all'inadempienza dei
gestori.  In  ogni  caso,  anche  a  voler  applicare le disposizioni
statali,  queste risultano palesemente insufficienti a disciplinare i
concreti  aspetti  procedimentali che meglio debbono essere precisati
nell'interesse degli imprenditori coinvolti.
    L'ultima  censura,  relativa  all'art. 16  della  legge regionale
impugnata, sarebbe infine «incomprensibile», visto che il legislatore
regionale  si e' soltanto preoccupato di colmare, in via transitoria,
l'eventuale  vuoto normativo nella fase precedente all'emanazione dei
decreti  di  cui  all'art. 4 della legge quadro statale: tanto che la
normativa  regolamentare  prevista  in  capo alla Giunta regionale e'
destinata   a   rimanere   in   vigore   «in   via  transitoria  fino
all'approvazione»  dei  citati  decreti,  e  non  a  sostituire  o  a
sovrapporsi a questi ultimi.
    9. - Nell'imminenza  dell'udienza  originariamente fissata per il
19 novembre  2002,  nel  giudizio  promosso nei confronti della legge
della  Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002) ha depositato memoria
il  Presidente  del  Consiglio,  insistendo  nelle conclusioni di cui
all'atto introduttivo.
    Quanto alla prima censura, osserva la difesa erariale, la Regione
non  potrebbe  prevedere  una  procedura  di  valutazione  di impatto
ambientale  in  relazione  alle  infrastrutture di telecomunicazione,
nonostante  il  disposto dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 115 del
1997, in quanto anche la mera ripetizione in legge regionale di norma
materialmente  appartenente  alla  competenza  esclusiva  dello Stato
sarebbe    costituzionalmente    illegittima.    Inoltre,    per   le
infrastrutture   di   telecomunicazione,   non   sarebbe   vero   che
l'attivazione  della  procedura  di valutazione di impatto ambientale
costituisca un preciso obbligo derivante da direttive comunitarie, in
quanto  negli  allegati  I  e  II  della  direttiva n. 85/337/CEE gli
impianti di telecomunicazione non sono mai menzionati.
    Quanto  alla  seconda  censura, l'Avvocatura afferma che anche in
mancanza  dei  decreti previsti dall'art. 4 della legge quadro esiste
una  disciplina  statale  dei  valori-limite,  e che essa costituisce
disciplina  di  principio  che,  nella materia «tutela della salute»,
spetta solo allo Stato.
    La difesa erariale ricorda quindi che secondo l'art. 4, commi 2 e
3,  del  d.m. n. 381 del 1998, in corrispondenza di edifici adibiti a
permanenze  non  inferiori a quattro ore non devono essere superati -
con  riferimento  agli impianti di telefonia - il valore di 6 V/m per
il  campo  elettrico: valore che sarebbe superiore a quello stabilito
dalla  legge  regionale impugnata. Del medesimo decreto ministeriale,
di particolare importanza sarebbe poi l'art. 4, comma 3, in relazione
al  quale  la  giurisprudenza  amministrativa  avrebbe  chiarito  che
l'attribuzione  alle  Regioni  e alle Province autonome di competenze
relative  al  raggiungimento  di  eventuali obiettivi di qualita' non
appare  giustificare  l'introduzione  di  limiti  ulteriori o diversi
rispetto  a  quelli  stabiliti  nel  decreto,  e  cio'  in  quanto il
perseguimento    dell'anzidetta    finalita'    risulta    delimitato
dall'esigenza  di  garantire il rispetto dei limiti dell'art. 3 e dei
valori  di  cui all'art. 4, comma 2, del decreto. Insomma, in nessuna
fonte   statale  si  troverebbe  un'autorizzazione  alle  Regioni  ad
introdurre,  a tutela della salute, limiti ulteriori e piu' severi, o
basati  su  criteri  diversi,  rispetto a quanto previsto nelle fonti
statali,   ed   in  particolare  nella  legge  n. 36  del  2001,  che
conterrebbe  appunto  le  norme  e i principi fondamentali statali in
tema di protezione della salute dall'inquinamento elettromagnetico.
    I  principi  enunciati  da tale legge risulterebbero chiarissimi.
Come prevede l'art. 3, comma 1, lettera d), gli obiettivi di qualita'
sarebbero  di  due  tipi:  da  una parte i criteri localizzativi, gli
standard   urbanistici,  le  prescrizioni  e  le  incentivazioni  per
l'utilizzo  delle  migliori  tecnologie  disponibili, che hanno a che
vedere  con  le  competenze regionali, ai sensi dell'art. 8, comma 1,
lettera  e),  della  legge;  dall'altra, i valori di campo elettrico,
magnetico    ed    elettromagnetico,   che   apparterrebbero   invece
all'esclusiva  competenza statale, come sottolinea l'art. 4, comma 1,
lettera  a),  della  legge.  In  questo  senso,  si ridimensionerebbe
l'interpretazione  da dare alla sentenza n. 382 del 1999, secondo cui
sarebbero  consentiti  interventi  normativi  regionali in materia di
obiettivi di qualita' di tipo urbanistico, ma non normative regionali
piu'  severe in tema di valori di campo, in quanto la tutela del bene
«salute»  non  potrebbe  essere  che  unitaria su tutto il territorio
nazionale.
    Quanto alla terza censura, tra i principi fondamentali in materia
di  governo  del  territorio e di tutela della salute rientrerebbe la
determinazione  di tetti massimi di radiofrequenza, e quindi anche il
divieto  di  installazione  basato sul rispetto di distanze minime da
obiettivi   cosiddetti   sensibili.  Inoltre,  l'art. 4  del  decreto
ministeriale n. 381 del 1998 individuerebbe il livello di esposizione
al  campo  elettromagnetico  quale  unico  parametro per garantire la
tutela  della  popolazione dagli effetti dell'esposizione; e, infine,
la  previsione  di  un  divieto  fondato  sul rispetto di determinate
distanze  non  sarebbe  idonea,  alla  luce dei parametri determinati
dallo Stato, a garantire la finalita' di tutela della salute e, anzi,
il  parametro  della  distanza  sarebbe  inadeguato  e irragionevole,
giacche'  non  consentirebbe  di  tenere  conto delle caratteristiche
realmente  rilevanti  delle stazioni trasmittenti (altezza dal suolo,
potenza irradiata, sistema radiante). E il fatto che il parametro sia
«ulteriore» rispetto a quelli dettati dal decreto ministeriale n. 381
del  1998, come ricorda la Regione, da una parte sarebbe motivo della
sua   illegittimita',   perche'  le  Regioni  non  possono  stabilire
parametri  ulteriori  se intendono rispettare i principi fondamentali
dettati  dallo  Stato,  dall'altro  non lo renderebbe, per cio' solo,
adeguato e ragionevole in vista della tutela del bene salute.
    9.1. - Nell'imminenza   dell'udienza   del  19 novembre  2002  ha
depositato   memoria  la  Regione  Umbria,  resistente  nel  giudizio
rubricato   al  n. 52  del  registro  ricorsi  del  2002,  insistendo
affinche'  la  Corte  voglia  dichiarare  manifestamente infondate le
questioni sollevate.
    In  particolare,  la  Regione rileva che il ragionamento condotto
dall'Avvocatura  in  relazione all'art. 3 della Costituzione potrebbe
ritenersi  corretto  solo  qualora  si  riconoscesse  allo  Stato una
potesta'   esclusiva  in  materia  di  tutela  dell'ambiente;  ma  la
disposizione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), sarebbe invece
una  clausola  di carattere generale diretta ad assicurare allo Stato
la   tutela   di  interessi  primari,  unitari  e  indivisibili,  che
confermerebbe  la  nozione  di  ambiente come «valore» gia' delineata
dalla    giurisprudenza   costituzionale   nel   vigore   del   testo
costituzionale originario.
    La  difesa  regionale  ricorda poi che, per effetto della riforma
costituzionale,  sarebbe venuto meno proprio il limite dell'interesse
nazionale,  quale argine della potesta' legislativa concorrente della
Regione,  per  cui  non  sarebbe  pertinente  il richiamo all'art. 4,
comma 1,  della  legge quadro statale, che pone tra le funzioni dello
Stato  la tutela del «preminente interesse nazionale alla definizione
di criteri unitari e normative omogenee».
    Quanto  alla censura sull'art. 2 della legge regionale impugnata,
svolta  in  relazione  alla  riserva  allo  Stato della materia della
tutela  della  concorrenza,  essa  sarebbe  apodittica  e  carente di
motivazione.    L'interpretazione   di   questa   materia,   che   si
configurerebbe  come  trasversale  rispetto  a  rilevanti  settori  e
materie  ricadenti  nella  competenza  concorrente  o esclusiva della
Regione, dovrebbe essere restrittiva, poiche', diversamente opinando,
si  giungerebbe  a  sottrarre completamente alla Regione il potere di
curare  interessi  essenziali  dei  propri  cittadini  in  ordine  al
godimento  di  diritti  fondamentali  mediante  la  conformazione  di
procedimenti  e  provvedimenti affidati per lo piu' alla legislazione
esclusiva regionale.
    10. - In  prossimita'  dell'udienza,  nel  giudizio  promosso nei
confronti  della legge della Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002)
ha  depositato  una  seconda  memoria il Presidente del Consiglio dei
ministri, insistendo nelle conclusioni formulate.
    La  difesa  erariale  si sofferma in particolare sulla incidenza,
sulla  normativa  regionale  denunciata, del d.lgs. 4 settembre 2002,
n. 198  (Disposizioni  volte  ad  accelerare  la  realizzazione delle
infrastrutture    di    telecomunicazioni    strategiche    per    la
modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese,  a  norma  dell'art. 2,
comma 2,  della  legge  21 dicembre  2001,  n. 443), il quale - cosi'
l'art. 1,  comma 1  -  «detta  principi  fondamentali  in  materia di
installazione   e  modifica  delle  categorie  di  infrastrutture  di
telecomunicazioni,  considerate  strategiche  ai  sensi  dell'art. 1,
comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443».
    La  prima censura, avente ad oggetto l'art. 3, commi 3 e 4, della
legge  regionale,  che sottopone l'installazione di impianti fissi di
radiocomunicazione  a procedure di valutazione di impatto ambientale,
era  fondata  sulla esistenza del principio, posto dalla legislazione
statale  all'art. 2-bis  della  legge  n. 189  del  1997, che appunto
prevedeva  la  sottoposizione  a  procedure di valutazione di impatto
ambientale  delle  installazioni  di  infrastrutture per gli impianti
fissi di telefonia mobile. Tale ultima disposizione sarebbe stata ora
abrogata  dall'art. 12,  comma 4,  del  d.lgs.  n. 198  del  2002. Si
sarebbe soddisfatto, in questo modo, l'interesse nazionale unitario e
strategico   alla   realizzazione   celere  delle  infrastrutture  di
telecomunicazione,   sulla   base   della   constatazione   che   nel
procedimento   previsto   per   tali   realizzazioni   esistono  gia'
sufficienti  valutazioni e controlli, che consentono di non aggravare
il   procedimento   con   la  valutazione  d'impatto  ambientale.  Ne
conseguirebbe,  nella  fattispecie,  l'abrogazione  delle dette norme
regionali,  per effetto del disposto dell'art. 10, primo comma, della
legge  10 febbraio  1953,  n. 62,  e, in ogni caso, la presenza nella
legislazione  statale  di  un principio fondamentale secondo il quale
nelle  procedure  che  riguardano l'installazione di tali impianti le
regioni non possono introdurre anche la procedura di v.i.a.
    Quanto  alla censura, svolta con il terzo motivo del ricorso, nei
confronti  dell'art. 7,  comma 3,  della  legge  della Regione Marche
n. 25  del  2001,  che  demanda  alla Giunta regionale di adottare un
valore   di   distanza   minima,  da  determinate  aree  ed  edifici,
nell'installazione  di detti impianti, censura fondata sulla norma di
principio  dettata  dall'art. 4,  comma 1,  lettera  a),  della legge
quadro  n. 36  del  2001,  rileva  la  difesa  erariale che l'art. 3,
comma 2,  del d.lgs. n. 198 del 2002, costituente anch'esso principio
fondamentale,  dispone che le infrastrutture di telecomunicazione per
impianti  radioelettrici,  ad esclusione di torri e tralicci relativi
alle  reti  di  televisione digitale terrestre, «sono compatibili con
qualsiasi destinazione urbanistica, e sono realizzabili in ogni parte
del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e
ad  ogni  altra  disposizione  di legge e di regolamento». Tale norma
avrebbe abrogato l'art. 7, comma 3, della legge regionale impugnata.
    Quanto  alla  terza  disposizione  regionale impugnata, l'art. 3,
comma 5, rileva la difesa erariale che l'art. 4 del d.lgs. n. 198 del
2002  avrebbe  confermato  «i valori di attenzione e gli obiettivi di
qualita', stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al
disposto   della   legge   22 febbraio   2001,   n. 36,   e  relativi
provvedimenti di attuazione».
    11. - In   prossimita'   dell'udienza,   gia'   fissata   per  il
19 novembre 2002, ha depositato memoria la Regione Marche, insistendo
nel senso dell'infondatezza delle questioni sollevate.
    La  Regione  premette  che  la  legge n. 25 del 2001 impugnata ha
inteso  muoversi «nel segno dell'attuazione della legge quadro» n. 36
del  2001  ed in sintonia con essa, al fine della tutela ambientale e
sanitaria  della popolazione, collocandosi in un contesto comunitario
e  nazionale  ispirato  all'introduzione  di  misure  di  cautela nei
confronti    del    nuovo   fenomeno   dell'inquinamento   da   campi
elettromagnetici,  predisponendo  misure  che  necessariamente devono
trovare disciplina adeguata in tutti i livelli di governo coinvolti.
    In  ordine  alle  finalita' di tutela ambientale perseguite dalla
legge  regionale,  accanto  a quelle della tutela della salute, della
tutela  e  sicurezza  del  lavoro,  governo  del  territorio, nonche'
ordinamento  della  comunicazione,  la  Regione  nega sia ravvisabile
alcuna invasione della competenza statale in materia, alla luce delle
nozioni   di   ambiente  come  «valore  costituzionale»  e  obiettivo
trasversale   fornita   dalla   sentenza   n. 382   del  1999,  della
interpretazione    della    «materia»    tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema  di cui al nuovo art. 117, secondo comma, lettera s),
della  Costituzione  data dalla sentenza n. 407 del 2002, dell'art. 6
del  Trattato  CE,  e  del  principio  di  integrazione come ribadito
nell'art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE.
    Dopo  aver richiamato decisioni di giudici amministrativi in tema
di  superamento  di  distanze  minime  fissate da leggi regionali, la
Regione  si  chiede se, accogliendo una diversa interpretazione della
«tutela dell'ambiente» - intesa come «equilibrio ecologico», riferita
alla  specifica  disciplina orientata a definire e garantire, in modo
diretto   e   immediato,   determinati  equilibri  ecologici  -,  sia
ravvisabile   nella   legge  impugnata  violazione  della  competenza
legislativa  statale. La risposta, sul punto, e' negativa, non avendo
la  legge  ad  oggetto  direttamente  l'inquinamento dell'ambiente da
campi  elettromagnetici,  ma  incidendo  su  di  esso  solo in misura
parziale  e  in  via  immediata  e  indiretta. Del resto, prosegue la
Regione,   come  si  evince  anche  dalla  legge  quadro,  la  stessa
disciplina  del  cosiddetto  inquinamento  elettromagnetico  persegue
innanzitutto  e  soprattutto  finalita'  di  tutela  sanitaria  della
popolazione e dei lavoratori.
    Passando  all'esame  delle  specifiche norme di cui il ricorrente
contesta  la  legittimita' costituzionale, osserva la Regione che, in
ordine all'art. 3, commi 3 e 4, della legge regionale n. 25 del 2001,
per  quel  che riguarda gli impianti di radiodiffusione, il principio
leso  e'  individuato  dall'Avvocatura  nella  competenza statale per
l'assegnazione  delle  frequenze  e  l'individuazione  dei  siti  per
l'ubicazione  degli  impianti, ai sensi degli artt. 1 e 2 della legge
n. 249 del 1997 e dell'art. 2 del decreto-legge n. 5 del 2001.
    In proposito, la Regione osserva che «principi fondamentali» sono
«i  nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni
esprimono  per  i  principi enunciati e da esse desumibili» (cosi' la
sentenza  n. 482  del  1985  e  anche  la  sentenza n. 192 del 1987),
sicche'  non  possono  essere  considerate tali le norme, come quelle
citate,  prive  di una propria e diretta portata prescrittiva, che si
limitano  ad attribuire una competenza normativa. Cio' sarebbe ancora
piu'  vero alla luce del «limite della Costituzione», posto dal nuovo
testo  dell'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione, tanto alle
leggi regionali che a quelle statali, in quanto si affermerebbe cosi'
che, traendo l'autonomia legislativa di tutti gli «enti territoriali»
maggiori  e  minori  -  e  quindi lo Stato e le Regioni, «ordinamenti
parziali» in seno all'ordinamento generale della Repubblica (art. 114
della   Costituzione)   -  il  suo  fondamento  diretto  dalla  Carta
costituzionale,  a  nessuno  di  essi sarebbe consentito di porre dei
limiti diversi e ulteriori rispetto a quelli previsti dalla stessa.
    Quanto  alla  previsione  regionale  di  sottoporre  le  opere da
eseguire  a valutazioni di impatto ambientale, in assenza di principi
fondamentali in materia, alle Regioni non sarebbe precluso di dettare
norme  dirette  a  consentire  una  corretta  rappresentazione  degli
effetti  diretti  e  indiretti sui singoli fattori ambientali e sulle
loro   reciproche   interazioni;   ne'   si   rinverrebbero  principi
fondamentali che consentano alle Regioni di sottoporre a procedure di
v.i.a.  solo  gli oggetti espressamente individuati dallo Stato, come
sarebbe  confermato  da  talune  leggi  regionali (e' citata la legge
della   Regione   Friuli-Venezia   Giulia  7 settembre  1990,  n. 43,
articoli 5,   8  e  9),  sussistendo  una  sensibile  differenza  tra
attivita'  normativa  diretta a disciplinare i procedimenti di v.i.a.
(in  ipotesi, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato),  e  l'attivita'  normativa  diretta  a stabilirne la semplice
applicabilita'  agli  oggetti  piu'  svariati,  che  rimarrebbe nella
disponibilita'  delle  Regioni, ove riconducibile ad oggetti compresi
nella loro competenza legislativa concorrente o residuale.
    Per  gli impianti fissi di telefonia mobile, invece, il principio
fondamentale  che  lo  Stato  assume violato sarebbe quello contenuto
nell'art. 2-bis,  comma 2,  del  decreto-legge n. 115 del 1997 - oggi
abrogato,  si  assume,  dal d.lgs. n. 198 del 2002 - secondo il quale
«l'installazione   di  infrastrutture  dovra'  essere  sottoposta  ad
opportune  valutazioni di impatto ambientale». Ma rispetto ad esso la
disposizione  regionale  avrebbe carattere meramente «ripetitivo». Il
potere  regolamentare in proposito attribuito alla Giunta dal comma 4
dello  stesso  art. 3  della  legge  regionale  sarebbe finalizzato a
stabilire  le  norme  esecutive  e  attuative per la sottoposizione a
v.i.a.   degli   impianti   in  oggetto,  sicche'  la  conformita'  a
Costituzione  della  norma  andrebbe valutata in relazione al riparto
fra  Stato e Regioni del potere regolamentare. Quand'anche si volesse
considerare   la   disciplina   delle   procedure   di   v.i.a.  come
riconducibile  alla  materia  «tutela  dell'ambiente»,  il  combinato
disposto   del   secondo   comma,   lettera s),  e  del  sesto  comma
dell'art. 117  della  Costituzione  stabilirebbe,  in questa materia,
l'esclusione   della   potesta'   legislativa   regionale,   ma   non
l'esclusione  assoluta  della potesta' delle Regioni di emanare norme
sub-legislative,  potendo  lo  Stato,  nelle  materie di legislazione
esclusiva,  delegare  il  potere  regolamentare  alle  Regioni.  Cio'
sarebbe  avvenuto in forza del d.P.R. 12 aprile 1996, che all'art. 1,
comma 2,  affida alle Regioni ed alle Province autonome la disciplina
dei  contenuti e delle procedure di valutazione d'impatto ambientale,
ovvero   l'armonizzazione   delle  disposizioni  vigenti  con  quelle
contenute nell'atto di indirizzo.
    Passando  alla  censura  rivolta all'art. 3, comma 6, della legge
regionale,  la  difesa  della  Regione  Marche  osserva che il valore
limite  di  campo  elettrico  di  3  volt/metro, in corrispondenza di
edifici  adibiti  a  permanenza  non inferiore a quattro ore, fissato
dalla  legge  impugnata, e' destinato espressamente a permanere «fino
all'adozione  dei  decreti  e  regolamenti previsti dall'art. 4 della
legge  n. 36  del  2001».  I  valori  limite  rappresenterebbero, per
espressa  previsione  della  legge impugnata, «obiettivi di qualita»,
ispirati  al  principio  della  «massima  sicurezza  tecnologicamente
possibile»  (gia'  contenuto embrionalmente nell'art. 2087 del codice
civile),  e  costituenti  pertanto  un  criterio  di  valutazione non
statico   ma  dinamico,  che  impone  l'aggiornamento  delle  cautele
prevenzionali in relazione ai continui progressi tecnico-scientifici.
Secondo quanto previsto dall'art. 16 della legge n. 36 del 2001, fino
all'entrata in vigore del d.P.C.m. che dovra' stabilire gli obiettivi
di  qualita',  si  applicano  i  valori  limite  definiti dai decreti
23 aprile  1992,  28 settembre  1995  e  10 settembre 1998, n. 381, i
quali,  per  loro  stessa  natura, necessitano di un aggiornamento in
considerazione  delle progressive acquisizioni delle scienze teoriche
e  applicate.  A  tale  aggiornamento,  nell'inerzia  del legislatore
statale,  sarebbe chiamata a provvedere la Regione, ancorche' con una
normativa che puo' risultare provvisoria e pertanto cedevole rispetto
al  futuro  intervento  statale. Sulla legittimita' costituzionale di
una disciplina regionale che introduca misure di tutela piu' rigorose
di quelle previste dallo Stato, vengono richiamate le sentenze n. 382
del 1999 e n. 407 del 2002.
    L'ultima disposizione impugnata, l'art. 7, comma 3, che introduce
il  parametro  della  «distanza  minima»  -  dal perimetro esterno di
alcuni  edifici  destinati  ad  ospitare  la permanenza prolungata di
persone  -,  ulteriore  rispetto  ai  parametri  di attenzione di cui
all'art. 4  della  legge quadro, non pregiudicherebbe ne' limiterebbe
affatto la competenza statale (peraltro ancora non esercitata) per la
determinazione  dei  parametri  di attenzione, costituendo una tipica
modalita'  di  attuazione  concreta  del  principio  secondo cui alla
Regione non e' impedita l'adozione di misure di tutela piu' rigorose,
purche'  cio'  avvenga  negli  ambiti  materiali  che la Costituzione
affida alla legislazione regionale e purche' non siano vanificati gli
obiettivi di protezione perseguiti dal livello di governo statale o i
limiti che quest'ultimo abbia specificamente individuato.
    Tale  parametro costituirebbe un indice strettamente connesso con
materie  di  sicura  competenza  regionale: non solo la «tutela della
salute»  e  la  «tutela  e  sicurezza  del lavoro», ma soprattutto il
«governo   del   territorio»  e  le  materie  dell'  «urbanistica»  e
dell'«edilizia»  (materie  queste due ultime non menzionate nel terzo
comma  dell'art. 117 e come tali affidate alla competenza legislativa
c.d. «residuale» delle Regioni).
    La  legge  impugnata ha infatti come scopo quello di disciplinare
un  fenomeno  che  non  ha  solo riflessi ambientali e di sicurezza e
salute,  ma anche un impatto di grande rilievo sul territorio, con la
conseguente necessita' di una rigorosa disciplina edilizia.
    La  previsione  di  fasce  di rispetto in relazione a determinate
aree   ed   edifici,   quale   disciplinata   dall'art. 7,   comma 3,
costituirebbe  una  tipica  disciplina  urbanistica  ed edilizia, che
correttamente  la  legge  regionale  affida,  nel  dettaglio, a norme
regolamentari  della  Giunta  regionale  (art. 7,  comma 3)  ed  agli
strumenti di pianificazione urbanistica comunali (art. 7, comma 4).
    La  Regione si sofferma infine sulla entrata in vigore del d.lgs.
4 settembre  2002, n. 198, osservando che esso non farebbe cessare la
materia    del    contendere,    riferendosi    esclusivamente   alle
infrastrutture  di telecomunicazione considerate strategiche ai sensi
dell'art. 1,  comma 1,  della  legge  21 dicembre  2001, n. 443, e, a
tutt'oggi,  non ancora specificamente individuate. La legge regionale
resterebbe  quindi  sicuramente  in  vigore,  sia per quanto riguarda
tutti  gli  impianti  fissi  di  radiocomunicazione diversi da quelli
disciplinati  dal d.lgs. n. 198, sia per questi ultimi, fino a quando
non  siano  individuati  secondo la procedura speciale indicata dalla
c.d.   «legge   obiettivo».  Il  d.lgs.  n. 198  del  2002,  poi,  si
presenterebbe come attuativo dei principi e delle norme relative alle
emissioni  elettromagnetiche  di  cui  alla  legge  22 febbraio 2001,
n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione (lettera d, dell'art. 1
del  citato  decreto  n. 198),  sicche' la legge della Regione Marche
rimarrebbe  in  vigore, in quanto attuativa della legge statale n. 36
del 2001.
    12. - In  prossimita' dell'udienza ha depositato un'unica memoria
illustrativa il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione ai
giudizi  promossi  nei  confronti  della legge della Regione Campania
n. 13  del 2001 (reg. ric. n. 5 del 2002) e della legge della Regione
Umbria n. 9 del 2002 (reg. ric. n. 52 del 2002).
    Nella prima parte di essa l'Avvocatura svolge difese di carattere
generale,  mentre  nella  seconda  sviluppa  le  censure alle singole
disposizioni delle due leggi impugnate.
    In   relazione  alle  finalita'  di  «salvaguardia  dell'ambiente
dall'inquinamento  elettromagnetico» e di «salvaguardia dell'ambiente
e  del  paesaggio», enunciate, rispettivamente, dalla legge campana e
dalla  legge  umbra accanto a quella della «tutela della salute della
popolazione»,  sulla  scorta dei rilievi svolti dalla sentenza n. 407
del  2002  sulla «trasversalita» della materia e sulla configurazione
dell'ambiente  come  valore,  osserva  l'Avvocatura  che  allo  Stato
spettano  le  discipline  che  debbono  essere  uniformi  sull'intero
territorio nazionale, e che occorre distinguere, settore per settore,
se  la  esigenza  della  uniformita'  precluda interventi legislativi
regionali, ovvero, ferma la riserva allo Stato della tutela minima da
assicurare inderogabilmente su tutto il territorio, sia possibile per
la  Regione,  esercitando  la  sua  competenza legislativa in materie
diverse,  aumentare  i livelli di tutela senza pregiudicare la tutela
uniforme  apprestata  per  l'intero  territorio nazionale dalla legge
statale.
    Premesso  che  la  tutela  disposta  dallo  Stato  in  materia di
inquinamento  elettromagnetico  e' conforme ai dati provenienti dalla
ricerca  scientifica,  acquisiti  anche  in  sede  comunitaria (viene
richiamata, in tema di «norme tecniche», la sentenza n. 61 del 1997),
osserva   la   difesa   erariale   che   la  legislazione  ambientale
interferisce,  oltre  che  con la tutela della salute, con la materia
della  tutela  della concorrenza, riservata allo Stato dall'art. 117,
secondo  comma,  lettera  e),  della  Costituzione,  e che al Governo
compete,  a  norma  dell'art. 95  della  Costituzione,  «la  politica
generale»,  nelle  cui linee, specie in questo periodo, sono comprese
la  politica  economica  -  implicante  la  fissazione  di criteri di
compatibilita'  con l'ambiente per rendere l'obiettivo di sollecitare
l'aumento   delle   risorse   nazionali   sostenibile   -   e  quella
dell'occupazione  -  diretta  all'incremento  di quest'ultima dove la
disoccupazione e' piu' preoccupante.
    Tanto la sostenibilita' dello sviluppo economico che l'incremento
della  occupazione richiederebbero politiche programmate e coordinate
sull'intero  territorio  nazionale,  che  rendono  incompatibile  una
normazione  differenziata Regione per Regione su iniziativa di queste
ultime,  se  non  nei  limiti in cui sia compatibile con le politiche
statali.  Ogni  misura  contro  l'inquinamento ambientale, per la sua
natura  necessariamente  restrittiva, determinerebbe costi aggiuntivi
per  le  imprese. «Una diversa graduazione in ogni Regione verrebbe a
creare una sorta di competizione ambientale, rendendo piu' appetibile
l'insediamento  laddove le misure risultano meno gravose. Attraverso,
dunque,  la  tutela della salute al di sopra dei limiti di sicurezza,
fissati  dalla  legislazione  dello  Stato a tutela dell'ambiente, si
finirebbe    con   lo   scoraggiare   gli   investimenti   produttivi
pregiudicando    anche   l'occupazione,   mettendo   in   dubbio   la
realizzazione degli obiettivi della politica governativa».
    Se ne avrebbe una conferma nel fatto che le iniziative rivolte ad
una  piu'  incisiva  tutela  ambientale sarebbero «spesso contrastate
dalle  rappresentanze  sindacali  che  vi  vedono  un  ostacolo serio
all'incremento della produzione e, quindi, dell'occupazione».
    Nello  stesso  tempo  si  finirebbe  con  l'incidere  anche sulla
concorrenza,  poiche' chi scegliesse per il suo insediamento una zona
piu' tutelata si troverebbe in posizione di partenza svantaggiata dal
punto di vista competitivo.
    Pertanto,  la  legge regionale, da una parte non puo' mai ridurre
il   livello   di   tutela  dell'ambiente,  determinato  dallo  Stato
nell'esercizio della sua legislazione esclusiva; dall'altra, non puo'
elevare  quel  livello  quando  l'interesse  perseguito  dallo  Stato
esclude  che  si  possano  avere discipline differenziate Regione per
Regione, tenendo anche conto delle esigenze delle politiche generali,
anche esse riservate allo Stato.
    Tali  parametri normativi, osserva l'Avvocatura, non fatti valere
nei ricorsi, vengono richiamati solo come canoni interpretativi della
legislazione   statale   in   materia  di  ambiente  e  dei  principi
fondamentali sulla tutela della salute.
    Richiamata   la   raccomandazione   comunitaria  in  materia  del
12 luglio  1999,  i cui «limiti di esposizione raccomandati si basano
solo  su  effetti  accertati»  (considerando  10),  osserva la difesa
erariale  che  ogni  diverso  limite  sarebbe  fondato su valutazioni
legate alla sensibilita' locale, non sostenuta da dati scientifici, e
che  dovendosi basare le disposizioni degli Stati membri su un quadro
normativo  concordato, per garantire una protezione uniforme in tutta
la  comunita',  quest'ultima  presupporrebbe l'uniformita' nazionale,
compresa   nella   materia   dei   rapporti   con   l'UE,  attribuita
dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e), della Costituzione alla
competenza  esclusiva dello Stato. E poiche' la raccomandazione rende
comunitariamente  legittime le norme conformi e viene richiamata come
fonte   di  cognizione  e  di  conferma  dei  dati  scientifici  piu'
aggiornati  acquisiti  in  materia,  tenuto  conto  delle indicazioni
comunitarie,  lo  Stato,  salvo  che  nelle zone per le quali fossero
riscontrabili   esigenze   ambientali   differenziate,  non  potrebbe
introdurre  misure  non  omogenee  su  tutto il territorio nazionale,
incorrendo,  in  difetto  di ragioni giustificative, nella violazione
dell'art. 3   e   del   principio  di  ragionevolezza  («nel  settore
imprenditoriale  la  normativa della concorrenza ha come obiettivo di
tutelare   la   uguaglianza   delle   imprese   dal  punto  di  vista
competitivo»)  e  dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  a), della
Costituzione.
    Ne'  verrebbe in questo modo pregiudicata la competenza regionale
in  materia  di  tutela della salute, in quanto i relativi interventi
non potrebbero essere fondati su valutazioni di pura discrezionalita'
politica,  ma  «sulla  verifica delle conoscenze scientifiche e delle
evidenze sperimentali acquisite» (sentenza n. 282 del 2002).
    Pertanto,  rispetto  ai  limiti (limiti di esposizione, valori di
attenzione)   fissati   dalla  normativa  statale,  «interventi  piu'
incisivi  della  Regione,  privi  di giustificazione scientifica come
sono,   possono   fondarsi  solo  su  di  una  scelta  politica,  che
interferendo   anche   sulla   politica   economica,  sulla  politica
dell'occupazione   e   sulla   concorrenza,   pregiudicherebbero  gli
obiettivi della politica nazionale in queste materie».
    Se  ci  si  orientasse in senso contrario, prosegue l'Avvocatura,
verrebbero   neutralizzati  gli  strumenti  governativi  di  politica
economica,  cosicche'  i poteri, e di conseguenza le responsabilita',
in  materia  di  sviluppo  e  di occupazione andrebbero ripartiti tra
Stato  e  Regioni «addirittura con una posizione prevalente di queste
ultime   che,   attraverso   l'esercizio   della   loro  legislazione
concorrente od esclusiva, potrebbero impedire il raggiungimento degli
obiettivi che si propone la legislazione statale».
    La natura di valutazioni «di pura discrezionalita' politica» alla
base   delle  diverse  discipline  regionali  in  materia  troverebbe
conferma  nell'atto  di  costituzione della Regione Umbria (reg. ric.
n. 52   del   2002),   la   quale,   definendo   il   suo  intervento
«all'avanguardia»,  ha riconosciuto che la normativa regionale non ha
base  scientifica,  asserendo  che  «proprio  l'incertezza  circa  la
pericolosita'    delle    emissioni    elettriche,    magnetiche   ed
elettromagnetiche  e  l'imponderabilita' delle gravissime conseguenze
cui  la  popolazione,  in  un  regime che non consenta limitazioni al
riguardo,  potrebbe  essere  esposta, rende ragionevoli le previsioni
del  legislatore  umbro,  che,  in  attesa  di  una  seria e concorde
valutazione  della  comunita'  scientifica in proposito, si attiene a
prudenti canoni di prevenzione».
    Se  le diverse leggi regionali introducessero discipline tra loro
diverse,  la  salute  sarebbe  non  una nozione fondata sulla scienza
medica,  ma  una  nozione  politica,  con rilevanti effetti di ordine
pratico.  Osserva,  infatti,  la  difesa  dello Stato che «la rete di
trasmissione  dell'energia elettrica e' unica e connessa con le altre
reti  europee.  Anche  ad  ammettere  che  la  sua  gestione restasse
tecnicamente   affidabile,   essa  comporterebbe  costi  estremamente
elevati  con  incidenza  sui  prezzi,  che, per ragioni di parita' di
trattamento,  dovrebbero essere diversi da Regione a Regione, in base
agli aggravi dei costi provocati dalle legislazioni rispettive».
    Sulla  base  di  tali  rilievi  di  carattere  generale,  osserva
l'Avvocatura  che  sono  sicuramente  illegittime  le norme regionali
rivolte  espressamente alla tutela dell'ambiente, come gli artt. 1 di
entrambe  le  leggi  impugnate,  la'  dove  enunciano  che  per  tale
finalita' viene disciplinata la localizzazione degli elettrodotti, e,
conseguentemente  gli artt. 2 e 3 della legge campana n. 13 del 2001,
e l'art. 2 della legge umbra.
    In  ordine  alle  singole  disposizioni della legge della Regione
Campania, la difesa erariale osserva quanto segue.
    Quanto  all'art. 2, non sarebbe coerente con quello fissato dalla
legislazione  statale  il  valore  limite  della induzione magnetica,
stabilito  in 0,2 micro-Tesla, «misurata al ricettore» in prossimita'
degli  insediamenti  e  localita'  indicate, non essendo posti limiti
alla   distanza   o  alla  potenzialita'  delle  emittenti.  A  norma
dell'art. 3,  comma 1,  lettera b),  i  limiti  di  esposizione  sono
infatti  fissati  «in  quanto  valori di campo», come valore prodotto
dalla fonte nello spazio circostante «che non deve essere superato in
alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori»,
e  non  come  valore misurato al ricettore, vale a dire presso chi ne
riceve  gli effetti (viene richiamata la nozione di «campo elettrico»
fornita    dall'all. A   del   decreto   ministeriale   dell'ambiente
10 settembre 1998, n. 381).
    L'adozione   di   un   siffatto  criterio  non  soddisferebbe  il
preminente «interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e
di  normative  omogenee»  postulato dall'art. 4 della legge n. 36 del
2001  per  il  perseguimento  della  finalita'  fissata  dall'art. 1,
utilizzando  per  la  fissazione dei valori uno strumento, il decreto
del   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  (art. 4,  comma 2,
lettera a), che consente, in linea con la raccomandazione comunitaria
richiamata   («il  quadro  dovrebbe  essere  riesaminato  e  valutato
regolarmente  alla  luce  delle nuove conoscenze e degli sviluppi nel
settore  tecnologico»),  l'aggiornamento  in tempi brevi, prevedendo,
peraltro, l'intesa in sede di conferenza unificata ed il parere delle
commissioni  parlamentari.  Principio fondamentale, precisa quindi il
ricorrente,  e' che la disciplina sia uniforme su tutto il territorio
nazionale e, per essere tale, che sia fissata dallo Stato.
    Nella  specie, la misurazione al ricettore prevista dalla Regione
Campania  puo'  portare  alla  riduzione  delle  tutele  previste per
l'ambiente  dalla  legislazione  statale, consentendo valori di campo
anche superiori.
    Ma   la   norma  sarebbe,  altresi',  illegittima  per  non  aver
rispettato  i  principi  fondamentali  desumibili  dalla legislazione
preesistente,  espressamente  individuati, per il regime transitorio,
dall'art. 16  della  legge  quadro,  nel  d.m.  appena  citato  e nel
d.P.C.m.   23 aprile   1992,   dei  quali  l'Avvocatura  illustra  il
fondamento   scientifico,   confrontandolo  con  quello  della  norma
regionale.
    Vengono  altresi'  spiegate le conseguenze, in termini economici,
del  risanamento  degli  impianti  con spesa a carico dei proprietari
degli   elettrodotti,   e  l'incidenza  sulle  tariffe  derivanti  da
mutamenti  del  quadro  normativo, con eventuali problemi, in caso di
normative  diverse  nelle  varie  Regioni,  in  ordine al livello dei
prezzi dell'energia.
    Osserva   infatti  il  Presidente  del  Consiglio  che  l'art. 3,
comma 10,   della  legge  16 marzo  1999,  n. 79,  prevede  che  «per
l'accesso  e  l'uso della rete di trasmissione nazionale e' dovuto al
gestore   un   corrispettivo   determinato   indipendentemente  dalla
localizzazione  geografica degli impianti di produzione e dei clienti
finali  e,  comunque,  sulla  base  di criteri non discriminatori. La
misura  del corrispettivo e' determinata dall'Autorita' per l'energia
elettrica».  Pertanto,  «se fosse consentita una normativa a pelle di
leopardo,  ci  si  troverebbe  di  fronte  a  questa  alternativa:  i
consumatori   di  energia  elettrica  (sarebbero  questi  i  soggetti
economicamente  incisi),  essendo unica la tariffa, pur risiedendo in
una  Regione  dove  opera  il  livello  di  protezione previsto dalla
normativa statale o, comunque, un livello superiore a quello di altre
Regioni,  dovrebbero subire l'onere di un livello, ad esempio, di 0,2
micro-Tesla, disposto da altre Regioni a tutela dei propri residenti,
anche  in  mancanza di giustificazioni scientifiche: non e' difficile
prevedere  che insorgerebbero dubbi sulla legittimita' costituzionale
di  un  tale regime di corrispettivi. La seconda soluzione sarebbe la
previsione di corrispettivi variabili Regione per Regione, in ragione
di  costi subiti per l'adeguamento degli elettrodotti alle discipline
rispettive,  dandosi  luogo  ad  un  sistema  di  prezzi anche esso a
macchia di leopardo, per cui non sarebbe piu' possibile parlare di un
mercato nazionale».
    L'art. 3,   nel   regolare   il  risanamento  degli  impianti  di
distribuzione   dell'energia   elettrica,   violerebbe  il  principio
fondamentale  posto  dall'art. 4,  comma 1,  lettera  d), della legge
quadro,  che  riserva  allo  Stato  la determinazione «dei criteri di
elaborazione  dei  piani  di  risanamento  di cui all'art. 9», la cui
unicita'  e'  diretta  a  rendere  i  piani  omogenei  in  vista  del
«coordinamento delle attivita' riguardanti piu' Regioni».
    Se  un  sistema  a  rete  debba o non essere uniforme su tutto il
territorio  nazionale, infatti, sarebbe una valutazione di principio,
che  non puo' essere sottratta allo Stato, la cui competenza precipua
e' appunto la tutela degli interessi unitari.
    La  norma  impugnata,  senza  tenere  in considerazione l'art. 9,
comma 2,   della  legge  statale  che  attribuisce  alle  Regioni  la
redazione  dei  piani  «su  proposta dei soggetti gestori e sentiti i
comuni   interessati»,   avrebbe  attribuito  ai  comuni,  attraverso
l'adeguamento  della  pianificazione  urbanistica,  la  competenza ad
individuare  gli  elettrodotti  in  esercizio che non rientrano nelle
condizioni  di  cui al comma 3 dell'articolo 2, e che per questo sono
oggetto di interventi prioritari di risanamento, imponendo, poi, alle
imprese  distributrici  la  predisposizione  del piano di risanamento
«con  le  modalita'  e i tempi degli interventi da realizzare», senza
alcun  richiamo ai criteri fissati dallo Stato, e, infine, riservando
a se' l'approvazione finale, attribuendosi cosi' una autonomia piena,
svincolata da ogni possibilita' di coordinamento nazionale attraverso
l'osservanza dei criteri di elaborazione riservati allo Stato.
    L'art. 7,  nel prevedere sanzioni a carico di chi superi i limiti
di  campo,  non  terrebbe conto del fatto che il potere sanzionatorio
non  puo'  competere  a  un  soggetto diverso dal titolare del potere
tutelato, e cioe', dallo Stato.
    L'art. 8,  nel  dettare  una  disciplina transitoria - diversa da
quella  fissata  dall'art. 16  della  legge  quadro - in attesa della
formulazione   dei   nuovi  principi  generali  per  la  legislazione
concorrente  regionale,  non  terrebbe  conto  che  cio' non puo' che
competere, evidentemente, allo Stato.
    Quanto  alla  legge della Regione Umbria n. 9 del 2002, la difesa
erariale,  richiamate  le  argomentazioni  gia' svolte in ordine alla
legge  campana,  in  particolare si sofferma sull'art. 1, che riserva
alla  futura disciplina regionale «la localizzazione, la costruzione,
la  modificazione ed il risanamento degli impianti», in contrasto con
l'art. 5 della legge quadro, che le riserva allo Stato, anche al fine
di   assicurare  l'uguaglianza  dei  residenti  nelle  varie  Regioni
rispetto  ai  livelli  di protezione da radiazioni elettromagnetiche,
realizzando  cosi'  il  principio  di uguaglianza sancito dall'art. 3
della  Costituzione.  L'art. 2  della  legge  impugnata  richiede  ai
gestori  ed  ai  concessionari  degli impianti la dimostrazione delle
«ragioni  obiettive  della  indispensabilita'  degli  impianti»,  non
prevista dall'art. 8 della legge quadro, e sconfina cosi' nella sfera
della  concorrenza,  la  cui  tutela  e' attribuita alla legislazione
esclusiva  dello  Stato  dall'art. 117,  comma 2,  lettera  e), della
Costituzione.  Gli  artt. 4,  comma 1,  lettera  b),  e 5 fissano una
specifica disciplina regionale per il risanamento degli impianti, che
sarebbe illegittima per le ragioni esposte, in contrasto con l'art. 9
della  legge  quadro.  L'art. 12,  comma 2,  richiede  valutazioni di
impatto  ambientale,  le  cui  procedure  non  possono  essere che di
competenza statale, regolate da criteri unitari. Del pari, i «criteri
preordinati  alla  localizzazione  ed  al risanamento», che l'art. 13
della  legge  impugnata  rimette  alla  giunta regionale, non possono
essere che unitari su tutto il territorio nazionale.
    12.1.  - In prossimita' dell'udienza pubblica, fissata, a seguito
di   rinvio,  al  25 marzo  2003,  ha  depositato  ulteriore  memoria
riferita,  come  la  precedente, ad entrambi i ricorsi, il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  soffermandosi  in  particolare  sulle
implicazioni comunitarie delle questioni sollevate.
    La  difesa  erariale ricorda che tra i compiti della Comunita' il
Trattato  pone  la  garanzia  di  un  elevato  livello  di protezione
dell'ambiente,  da  mettere  in relazione con lo sviluppo sostenibile
(artt. 2 e 6), mentre tra i principi di tutela in materia di ambiente
pone  il  principio  di  precauzione,  il  quale,  considerato il suo
carattere  elastico,  incontra  limiti  a  tutela di altri interessi,
ugualmente  rilevanti,  che  non  possono  essere  sacrificati  senza
giustificazione.
    Cio'  comporterebbe  che  ogni  misura  di  tutela  vada  presa e
modificata  successivamente  in  base  alle acquisizioni scientifiche
disponibili.
    Tra i principi cui le Regioni, in materia di tutela della salute,
dovevano  attenersi  vanno  ricondotte le prescrizioni, fondate sulle
acquisizioni  tecniche  disponibili,  rispetto  alle quali sono stati
applicati criteri uniformi di precauzione.
    Viene definita la portata della raccomandazione CE intervenuta in
materia e la natura del vincolo da essa posto, anche alle Regioni.
    13. - In  prossimita'  dell'udienza fissata per il 25 marzo 2003,
il  comune  di  Lacco  Ameno  ed  il  suo sindaco, quale ufficiale di
Governo,  che  avevano  spiegato  intervento  nel  giudizio mosso nei
confronti  della  legge  campana  (reg.  ric.  n. 5  del 2002), hanno
depositato una memoria illustrativa.
    13.1.   -   Ha   altresi'   depositato   memoria  in  prossimita'
dell'udienza  nel  medesimo  giudizio  (reg.  ric.  n. 5 del 2002) il
Gestore  della  Rete di Trasmissione Nazionale s.p.a. che, insistendo
nelle  richieste  gia'  avanzate, illustra, in particolare, il d.lgs.
16 marzo  1999, n. 79, recante «Attuazione della direttiva 96/1992 CE
recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica».
    14. - In  prossimita'  dell'udienza,  nel  giudizio  promosso nei
confronti  della  legge  pugliese  (reg.  ric.  n. 35  del  2002), ha
depositato   memoria  il  ricorrente  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  che,  insistendo  nelle  conclusioni  gia'  rassegnate, ha
soprattutto  ricordato l'entrata in vigore del d.lgs. n. 198 del 2002
e  la  sua  incidenza nel giudizio in corso, svolgendo considerazioni
analoghe  a quelle gia' formulate nel giudizio promosso nei confronti
della legge della Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002).
    15. - Ha   depositato   una  prima  memoria  la  Regione  Puglia,
insistendo per il rigetto della questione.
    Con   una   successiva  memoria  la  Regione  Puglia,  insistendo
nell'infondatezza   delle   questioni,   ha  escluso  possa  incidere
sull'esame  di  esse  da parte della Corte il d.lgs. n. 198 del 2002,
sopravvenuto  nel  corso  del  giudizio promosso in via d'azione, nel
quale  il  parametro  di  costituzionalita' e' costituito dalle norme
vigenti  al momento della proposizione del ricorso (sentenze n. 376 e
n. 422 del 2002).
    15.1.  -  Nel  giudizio  promosso nei confronti della legge della
Regione  Puglia  (reg. ric. n. 35 del 2002), ha depositato memoria la
Wind Telecomunicazioni s.p.a., gestore di telecomunicazioni in quanto
titolare  di  licenza  per  il  servizio di telefonia mobile GSM e di
licenza  UMTS,  e  come  tale  tenuta  a garantire l'espletamento del
servizio  mediante  una  adeguata  rete  infrastrutturale sull'intero
territorio nazionale. Assumendo, dunque, che dalle sorti del presente
giudizio  potrebbero  discendere conseguenze dirette e immediatamente
incidenti sulla sua sfera giuridica, la Wind insiste nel chiedere che
le questioni sollevate siano dichiarate fondate.
    16. - Ha depositato atto di intervento ad adiuvandum nel giudizio
avente  ad oggetto la legge della Regione Umbria (reg. ric. n. 52 del
2002),  e  successivamente  ampia  memoria  illustrativa,  la  s.p.a.
Vodafone   Omnitel,   titolare   di  licenza  per  l'installazione  e
l'esercizio  di  reti da radiotelefonia mobile nei sistemi GSM, DCS e
UMTS,  concludendo  per  l'accoglimento della questione sollevata nei
confronti della legge regionale n. 9 del 2002.
    16.1.  - Ha depositato nuova memoria, in prossimita' dell'udienza
del   25 marzo  2003,  la  Regione  Umbria,  eccependo  anzitutto  la
tardivita'  dell'intervento  della  Vodafone  Omnitel s.p.a., perche'
depositato   oltre   i   venti   giorni   dal  deposito  del  ricorso
introduttivo.
    Nel  riportarsi alle deduzioni formulate ed alle conclusioni gia'
rassegnate,  la  Regione  in  particolare  contesta  che  la politica
dell'occupazione  e  la  politica economica, assunte nelle difese del
Presidente  del  Consiglio  alla  base  dell'esigenza  di uniformita'
perseguita  dalla  legge  quadro,  siano  «materie», essendo, invece,
«politiche»,   perseguibili,   nell'ambito  delle  diverse  sfere  di
competenza, tanto nell'esercizio della politica statale che di quella
regionale.
    Sarebbe  altrimenti  violato l'art. 5 della Costituzione, nonche'
l'intero  titolo V, alla cui fonte si pone l'autonomia politica delle
Regioni e degli enti locali.
    La  Regione  osserva poi che una disciplina uniforme per l'intero
territorio   nazionale   non   puo'  essere  sinonimo  di  identita',
implicando  le  nozioni di livello minimo di tutela e di standard una
certa elasticita' nonche' possibilita' di scostamento.
    Quanto   al  difettoso  fondamento  scientifico  della  normativa
regionale  ed  alla  asserita  violazione della competenza statale in
materia   di  rapporto  dello  Stato  con  l'Unione  europea  di  cui
all'art. 117,  secondo comma, lettera a), della Costituzione, osserva
che   tale   competenza   fa   riferimento  alla  relazione  di  tipo
rappresentativo   ed  internazionale  ed  alle  sole  responsabilita'
statali,  essendo  invece  regolati  dall'art. 117,  quinto  comma, i
rapporti   tra   le  Regioni  e  l'Unione  europea.  In  ordine  alla
raccomandazione  comunitaria  richiamata, sottolinea poi la richiesta
agli   Stati   membri   di  un  «atteggiamento  di  precauzione»  che
implicherebbe la non esclusione della possibilita' di danni ulteriori
rispetto a quelli scientificamente accertati al momento dell'adozione
della  stessa  raccomandazione,  il  che  troverebbe  conferma  nello
studio,   commissionato   al   Parlamento   europeo,   sugli  effetti
fisiologici  ed  ambientali  delle  radiazioni  elettromagnetiche non
ionizzanti,  che  suggerisce  canoni  rigorosissimi  circa  l'uso dei
telefoni  mobili  in  particolare  da  parte  dei  bambini. La natura
probabilistica  delle  conoscenze  in  materia,  poi, sarebbe ammessa
implicitamente dalla stessa Avvocatura generale.
    Quanto  alla paventata incidenza di una legislazione non uniforme
in  materia  sui costi sostenuti dai gestori e, di conseguenza, sulle
tariffe, secondo la Regione non potrebbe costituire elemento idoneo a
determinare  la  rinuncia  ad  una  piu'  alta  tutela  della salute,
trattandosi  di  valori  che  trovano  una  diversa  tutela a livello
costituzionale.
    16.3.  -  La  Vodafone Omnitel S.p.a. ha depositato nuova memoria
illustrativa   in   prossimita'   dell'udienza   del  25 marzo  2003,
concludendo per l'accoglimento della questione.

                       Considerato in diritto

    1. - Con  quattro distinti ricorsi il Presidente del Consiglio ha
impugnato diverse disposizioni di quattro leggi regionali: si tratta,
precisamente,  della  legge  regionale delle Marche 13 novembre 2001,
n. 25,  recante «Disciplina regionale in materia di impianti fissi di
radiocomunicazione  al fine della tutela ambientale e sanitaria della
popolazione»  (ricorso  iscritto al n. 4 del registro dei ricorsi del
2002);  della legge regionale della Campania 24 novembre 2001, n. 13,
recante  «Prevenzione  dei danni derivanti dai campi elettromagnetici
generati  da elettrodotti» (ricorso iscritto al n. 5 del registro dei
ricorsi  del  2002); della legge regionale della Puglia 8 marzo 2002,
n. 5,  recante  «Norme  transitorie  per  la tutela dall'inquinamento
elettromagnetico   prodotto   da   sistemi   di  telecomunicazioni  e
radiotelevisivi  operanti nell'intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300
GHz» (ricorso iscritto al n. 35 del registro dei ricorsi del 2002); e
della  legge  regionale  dell'Umbria  14  giugno 2002,  n. 9, recante
«Tutela  sanitaria  e ambientale dall'esposizione ai campi elettrici,
magnetici   ed  elettromagnetici»  (ricorso  iscritto  al  n. 52  del
registro dei ricorsi del 2002). Secondo il ricorrente le disposizioni
impugnate   fuoriescono  dall'ambito  della  competenza  regionale  o
violano i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
    2. - Attesa  l'oggettiva  comunanza  della  materia  trattata nei
ricorsi (tutte le leggi impugnate riguardano la tutela dal cosiddetto
«elettrosmog»,  cioe'  dall'inquinamento elettromagnetico prodotto da
impianti  fissi di telecomunicazione o radiotelevisivi e di trasporto
di energia, benche' due leggi - Marche e Puglia - concernano solo gli
impianti  di  telecomunicazione  o  radiotelevisivi, una - Campania -
solo gli elettrodotti, e una - Umbria - entrambi i tipi di impianti),
e'  opportuno  riunire  i  giudizi  perche'  siano  decisi  con unica
pronunzia.
    3. - Devono  essere  preliminarmente  dichiarate inammissibili la
costituzione  della  Regione  Campania  nel  giudizio  introdotto col
ricorso  iscritto  al n. 5 del registro dei ricorsi del 2002 e quella
della  Regione  Puglia  nel giudizio rubricato col n. 35 del registro
dei  ricorsi  del 2002, avvenute entrambe oltre il termine prescritto
dall'articolo 23,  terzo comma, delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
    La Regione Campania argomenta l'ammissibilita' della costituzione
tardiva.  Tuttavia  la Corte non ritiene di discostarsi dalla propria
giurisprudenza  consolidata  (cfr.,  tra le molte, sentenze n. 71 del
1982  e  n. 417 del 2000), che considera perentori i termini previsti
per la costituzione delle parti nei giudizi in via principale.
    4. - Devono   altresi'   essere   dichiarati   inammissibili  gli
interventi  spiegati,  nel  giudizio  avverso  la legge della Regione
Campania  (reg.  ric.  n. 5  del  2002),  dal  Gestore  della Rete di
Trasmissione  Nazionale  S.p.a.,  dalle  societa'  ENEL  S.p.a., ENEL
Distribuzione S.p.a., TERNA--Trasmissione Elettricita' Rete Nazionale
S.p.a.,  e  dal  comune  di  Lacco  Ameno, nella persona del Sindaco,
nonche'  da  quest'ultimo  quale  Ufficiale  di Governo; nel giudizio
avverso  la  legge regionale della Puglia (reg. ric. n. 35 del 2002),
dalla  Societa' Wind Telecomunicazioni S.p.a; e, nel giudizio avverso
la  legge  regionale  dell'Umbria  (reg.  ric. n. 52 del 2002), dalla
S.p.a. Vodafone Omnitel.
    Si  tratta  di  un  comune  e,  negli  altri  casi,  di  soggetti
imprenditoriali   interessati  alla  disciplina  recata  dalle  leggi
impugnate;  ma, in conformita' alla costante giurisprudenza di questa
Corte  (cfr. da ultimo sentenze n. 35 del 1995 e n. 382 del 1999), e'
inammissibile  l'intervento,  nei  giudizi promossi in via principale
nei  confronti  di  leggi regionali o statali, di soggetti diversi da
quelli titolari delle potesta' legislative della cui delimitazione si
discute,  ancorche' destinatari attuali o potenziali delle discipline
normative recate dalle leggi impugnate.
    5. - Tutte  le  leggi  regionali impugnate sono state emanate nel
vigore  del  nuovo  titolo  V della parte seconda della Costituzione,
come  risultante  dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e
fanno  seguito  altresi'  alla  legge statale 22 febbraio 2001, n. 36
(«Legge  quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici,
magnetici  ed  elettromagnetici»:  d'ora  in  poi indicata come legge
quadro).
    Quanto alle censure sollevate nei ricorsi, e' opportuno anzitutto
sgomberare  il  campo  da  un  assunto  di carattere generale, che il
ricorrente  sostiene,  in  modo  piu' esplicito nel ricorso contro la
legge  dell'Umbria,  invocando  la  competenza  legislativa esclusiva
attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei
beni  culturali»,  per escludere qualsiasi competenza delle Regioni a
legiferare in vista di finalita' di tutela dell'ambiente.
    Tale assunto non e' fondato. Questa Corte ha gia' chiarito che la
«tutela  dell'ambiente»,  piu'  che  una  «materia» in senso stretto,
rappresenta  un compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il
potere  di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le
Regioni e non derogabili da queste; e che cio' non esclude affatto la
possibilita'   che  leggi  regionali,  emanate  nell'esercizio  della
potesta'   concorrente   di  cui  all'art. 117,  terzo  comma,  della
Costituzione,  o  di  quella  «residuale» di cui all'art. 117, quarto
comma,  possano assumere fra i propri scopi anche finalita' di tutela
ambientale (cfr. sentenze n. 407 del 2002 e n. 222 del 2003).
    Nel  caso  delle  discipline  regionali impugnate, esse attengono
essenzialmente agli ambiti materiali - richiamati del resto anche dal
ricorrente    -    della    «tutela    della    salute»,   minacciata
dall'inquinamento     elettromagnetico,    dell'«ordinamento    della
comunicazione» (per quanto riguarda gli impianti di telecomunicazione
o  radiotelevisivi),  della  «produzione,  trasporto  e distribuzione
nazionale dell'energia» (per quanto riguarda gli elettrodotti), oltre
che,  piu'  in generale, del «governo del territorio» (che comprende,
in  linea di principio, tutto cio' che attiene all'uso del territorio
e   alla   localizzazione  di  impianti  o  attivita):  tutti  ambiti
rientranti nella sfera della potesta' legislativa «concorrente» delle
Regioni  a  statuto  ordinario,  ai sensi dell'art. 117, terzo comma,
della Costituzione, e pertanto caratterizzati dal vincolo al rispetto
dei (soli) principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
    6. - Assume  dunque essenziale rilievo la disciplina di principio
stabilita  dalla  legge  quadro, ai fini di verificare se le Regioni,
nel  deliberare  le  leggi  impugnate,  si  siano  attenute ai limiti
fissati per l'esercizio della loro potesta' legislativa.
    Tale  legge,  che  si  applica  a  tutti gli impianti che possono
comportare    l'esposizione   a   campi   elettrici,   magnetici   ed
elettromagnetici  con  frequenze  comprese  tra  0 Hz e 300 GHz, e in
particolare  sia  agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici
(art. 2,  comma 1),  stabilisce  distintamente  le funzioni spettanti
allo  Stato  (artt. 4 e 5) e le competenze delle Regioni e degli enti
locali  (art. 8),  e disciplina specificamente i piani di risanamento
(art. 9),  i  controlli  (art. 14), le sanzioni (art. 15) e il regime
transitorio  applicabile  in  attesa  dell'emanazione del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per
la  popolazione,  previsto  dall'art. 4,  comma 2 (art. 16: cfr. oggi
d.P.C.m. 8 luglio 2003).
    In   particolare,  nel  sistema  della  legge,  gli  standard  di
protezione dall'inquinamento elettromagnetico si distinguono (art. 3)
in  «limiti di esposizione», definiti come valori di campo elettrico,
magnetico  ed  elettromagnetico  che  non  devono  essere superati in
alcuna  condizione  di esposizione della popolazione e dei lavoratori
per assicurare la tutela della salute; «valori di attenzione», intesi
come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai
possibili  effetti  a  lungo  termine,  negli  ambienti  abitativi  e
scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate; e «obiettivi
di qualita». Questi ultimi sono distinti in due categorie, di cui una
consiste   ancora   in  valori  di  campo  definiti  «ai  fini  della
progressiva   minimizzazione   dell'esposizione»   (art. 3,  comma 1,
lettera  d,  n. 2),  l'altra invece - del tutto eterogenea - consiste
nei   «criteri   localizzativi,  (...)  standard  urbanistici,  (...)
prescrizioni  e  (...)  incentivazioni  per l'utilizzo delle migliori
tecnologie disponibili» (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1).
    La  legge  attribuisce allo Stato la determinazione dei limiti di
esposizione,  dei  valori di attenzione e degli obiettivi di qualita'
del  primo  dei due tipi indicati, cioe' dei valori di campo definiti
ai fini della ulteriore progressiva «minimizzazione» dell'esposizione
(art. 4,  comma 1,  lettera a),  mentre  attribuisce  alla competenza
delle  Regioni la indicazione degli obiettivi di qualita' del secondo
dei  tipi  indicati,  consistenti  in criteri localizzativi, standard
urbanistici,  prescrizioni e incentivazioni (art. 3, comma 1, lettera
d, n. 1, e art. 8, comma 1, lettera e).
    Al  di  la' della discutibile terminologia, la logica della legge
e'  quella  di  affidare  allo  Stato la fissazione delle «soglie» di
esposizione,  graduate  nel  modo  che  si  e' detto, alle Regioni la
disciplina  dell'uso  del territorio in funzione della localizzazione
degli  impianti,  cioe'  le ulteriori misure e prescrizioni dirette a
ridurre  il  piu'  possibile  l'impatto  negativo  degli impianti sul
territorio  (anche  se  poi  alcune  scelte localizzative sono a loro
volta   riservate   allo  Stato:  e'  il  caso  dei  tracciati  degli
elettrodotti  con  tensione  superiore  a  150  kV:  art. 4, comma 1,
lettera g),  oltre  che  la disciplina dei procedimenti autorizzativi
(cfr.  art. 8,  comma 1,  lettera c):  cio', in coerenza con il ruolo
riconosciuto alle Regioni per quanto attiene al governo e all'uso del
loro territorio.
    E'  vero  che  la  stessa  legge  prevede  poi l'emanazione di un
regolamento  statale destinato a contenere anche misure relative alla
localizzazione  degli  impianti  e  altre  misure dirette ad «evitare
danni  ai  valori  ambientali  e  paesaggistici»  e  a  tutelare  gli
«interessi    storici,   artistici,   architettonici,   archeologici,
paesaggistici  e  ambientali»,  nonche' una disciplina dei «principi»
relativi  ai  procedimenti  autorizzativi  (art. 5 e art. 8, comma 1,
lettera a).  Ma,  a prescindere da ogni considerazione circa la sorte
che  potra'  riservarsi a tale potesta' regolamentare a seguito della
entrata   in   vigore   del   nuovo   art. 117,  sesto  comma,  della
Costituzione,  che  limita la potesta' regolamentare dello Stato alle
sole  materie  di competenza statale esclusiva, la circostanza che il
regolamento  previsto  non  e'  stato  emanato, in assenza inoltre di
qualsiasi  disciplina  legislativa  transitoria su questi temi, rende
superflua ogni ulteriore disamina in argomento, restando fermo che le
leggi  regionali  impugnate  devono essere valutate in relazione alla
loro conformita' o meno ai soli principi fondamentali contenuti nella
legge quadro.
    7. - L'esame   di  alcune  delle  censure  proposte  nei  ricorsi
presuppone  che  si  risponda  all'interrogativo  se i valori--soglia
(limiti  di  esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualita'
definiti  come  valori  di  campo), la cui fissazione e' rimessa allo
Stato,    possano   essere   modificati   dalla   Regione,   fissando
valori--soglia  piu'  bassi,  o  regole  piu'  rigorose  o tempi piu'
ravvicinati per la loro adozione.
    La   risposta   richiede  che  si  chiarisca  la  ratio  di  tale
fissazione.  Se  essa  consistesse  esclusivamente nella tutela della
salute dai rischi dell'inquinamento elettromagnetico, potrebbe invero
essere lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che
stabilisse  limiti  piu'  rigorosi  rispetto  a  quelli fissati dallo
Stato,  in  coerenza  con  il  principio,  proprio  anche del diritto
comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici
territori,  con  effetti  di  maggiore protezione dei valori tutelati
(cfr. sentenze n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002).
    Ma  in  realta',  nella  specie,  la fissazione di valori--soglia
risponde  ad  una  ratio  piu'  complessa  e  articolata. Da un lato,
infatti,  si  tratta  effettivamente  di  proteggere  la salute della
popolazione  dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche
(e  da  questo  punto  di  vista  la determinazione delle soglie deve
risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non
pregiudicare   il   valore   protetto);   dall'altro,  si  tratta  di
consentire,  anche  attraverso  la  fissazione  di  soglie diverse in
relazione   ai  tipi  di  esposizione,  ma  uniformi  sul  territorio
nazionale,  e  la  graduazione  nel tempo degli obiettivi di qualita'
espressi  come  valori  di  campo,  la realizzazione degli impianti e
delle  reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle
competenze  concorrenti  di  cui  all'art. 117,  terzo  comma,  della
Costituzione,   come   quelli   che   fanno  capo alla  distribuzione
dell'energia  e  allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali
interessi,  ancorche'  non  resi  espliciti  nel  dettato della legge
quadro  in  esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del
«preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e
di  normative  omogenee»  che,  secondo l'art. 4, comma 1, lettera a,
della legge quadro, fonda l'attribuzione allo Stato della funzione di
determinare  detti  valori--soglia.  In  sostanza,  la  fissazione  a
livello  nazionale  dei  valori--soglia, non derogabili dalle Regioni
nemmeno in senso piu' restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio
fra  le  esigenze  contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle
emissioni  elettromagnetiche,  e  di realizzare impianti necessari al
paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di
trasporto  dell'energia  e  di  ordinamento della comunicazione e' di
tipo  concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle
leggi dello Stato.
    Tutt'altro  discorso e' a farsi circa le discipline localizzative
e  territoriali.  A  questo  proposito  e'  logico che riprenda pieno
vigore  l'autonoma  capacita'  delle  Regioni  e degli enti locali di
regolare  l'uso  del proprio territorio, purche', ovviamente, criteri
localizzativi  e  standard  urbanistici  rispettino le esigenze della
pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali
da  impedire  od  ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli
stessi.
    8. - Alla luce di queste premesse possono ora essere esaminate le
specifiche  censure  mosse  nei ricorsi alle disposizioni delle leggi
regionali impugnate.
    L'art. 3,  comma 3,  della legge della Regione Marche prevede che
l'installazione degli impianti sia sottoposta «ad opportune procedure
di   valutazione   di   impatto   ambientale   cosi'   come  previsto
dall'articolo 2--bis   della   legge   1° luglio  1997,  n. 189».  Il
successivo  comma 4 demanda ad un atto della Giunta la determinazione
delle modalita' di attuazione. Le due disposizioni sono impugnate dal
Presidente  del  Consiglio  sul  presupposto  che  esse  eccedano  la
competenza regionale, poiche' la competenza resterebbe riservata allo
Stato in funzione della tutela dell'ambiente.
    La questione e' infondata per quanto riguarda il comma 3: infatti
la   sottoposizione   a   valutazione  di  impatto  ambientale  della
installazione  degli impianti in questione, anche a prescindere dalla
previsione  analoga  contenuta  nella  legge  statale  (poi  abrogata
dall'art. 12  del  d.lgs. n. 198 del 2002, a sua volta pero' caducato
dalla  sentenza  n. 303  del  2003  di  questa Corte), afferisce alla
disciplina  dell'uso  del  territorio,  e  non  contrasta  con  alcun
principio fondamentale della legislazione statale.
    Non  vale  in  contrario  il  richiamo  agli articoli 1, comma 6,
lettera  a, n. 2, e 2, comma 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e
all'art. 2,   comma 1,   del  decreto-legge  23 gennaio  2001,  n. 5,
convertito con la legge 20 marzo 2001, n. 66, che si riferiscono alla
elaborazione  dei  piani  di  assegnazione  delle  frequenze da parte
dell'Autorita'  per  le  garanzie  nelle  comunicazioni.  Tali  piani
comportano   bensi'  la  necessita'  di  prevedere  in  via  generale
l'ubicazione  degli  impianti  sul  territorio, ma non esauriscono le
decisioni  di concreta localizzazione degli stessi, che restano nella
sfera  della  competenza  regionale  e  locale,  come  confermano sia
l'art. 8,  comma 1,  lettera  a, della legge quadro, sia, per la fase
transitoria,  l'art. 2,  commi 1 e 1--bis, del decreto-legge n. 5 del
2001.
    9. - Fondata e' invece la questione relativamente al comma 4, per
l'assoluta  indeterminatezza  del  potere  demandato alla Giunta. Una
procedura  di  valutazione  di  impatto  puo' di fatto tradursi in un
ostacolo  ingiustificato  alla  realizzazione  di  impianti  che sono
oggetto  di  una  programmazione nazionale, a seconda del modo in cui
venga  disciplinata  e  degli  effetti attribuiti alle determinazioni
assunte  nell'ambito della stessa. La totale liberta' attribuita alla
Giunta  nel  dettare  tale  disciplina,  senza l'indicazione di alcun
criterio  da  parte  della  legge,  viola  il  principio di legalita'
sostanziale,   oltre   che   consentire  l'emanazione  di  discipline
regionali  eccedenti l'ambito dei poteri della Regione o contrastanti
con  i principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale: e
determina pertanto l'illegittimita' costituzionale della disposizione
impugnata.
    10. - L'art. 3, comma 6, della legge marchigiana impone, sia pure
in  via  transitoria,  e  cioe'  fino  all'adozione  «dei  decreti  e
regolamenti  previsti  dall'articolo 4» della legge statale n. 36 del
2001,  che  la  progettazione,  la  realizzazione e la modifica degli
impianti  siano  attuate  in  modo  da  ottenere  «quale obiettivo di
qualita»,  in  corrispondenza  di  edifici  adibiti  a permanenze non
inferiori  a quattro ore, valori di campo elettrico non superiori a 3
Volt/metro.
    Il   ricorrente   censura   tale   disposizione  in  quanto  essa
invaderebbe   l'attribuzione,   riservata   allo  Stato  dall'art. 4,
comma 1,  lettera  a,  della  legge  n. 36 del 2001, di determinare i
limiti  di  esposizione,  i  valori  di attenzione e gli obiettivi di
qualita' in termini di valori di campo.
    La questione e' fondata.
    Come  si  e'  detto, la legge quadro distingue nettamente fra gli
«obiettivi  di  qualita» in termini di valori di campo, ai fini della
«progressiva  minimizzazione dell'esposizione» - definiti dallo Stato
-  e  gli «obiettivi di qualita» in termini di criteri localizzativi,
standard  urbanistici,  prescrizioni  e incentivazioni per l'utilizzo
delle   migliori   tecnologie   disponibili,   indicati  dalle  leggi
regionali.   Nel   caso   della  disposizione  impugnata,  si  tratta
all'evidenza  di  un  obiettivo del primo tipo, la cui definizione e'
rimessa  allo  Stato:  onde  essa  eccede  l'ambito  della competenza
regionale.
    11. - L'art. 7,  comma 3, della legge delle Marche stabilisce che
con  atto della Giunta regionale sono determinate le distanze minime,
da   rispettare  nell'installazione  degli  impianti,  dal  perimetro
esterno  di edifici «destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad
attivita'  diverse  da  quelle  specificamente connesse all'esercizio
degli  impianti  stessi»,  di  ospedali,  case  di  cura e di riposo,
edifici  adibiti  al culto, scuole ed asili nido, nonche' di immobili
vincolati  ai  sensi della legislazione sui beni storico--artistici o
individuati come edifici di pregio storico--architettonico, di parchi
pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.
    Il  Presidente  del Consiglio censura tale disposizione in quanto
essa introduce un parametro, quello della distanza, diverso da quelli
«di  attenzione»  la  cui  determinazione  e' riservata allo Stato ai
sensi dell'art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro.
    La questione e' fondata.
    La   totale   liberta'  attribuita  alla  Giunta  ai  fini  della
determinazione   delle   distanze   minime,   e   la  genericita'  ed
eterogeneita'  delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il
vincolo  di  distanza  minima viene previsto, configurano non gia' un
quadro  di  prescrizioni  o  standard  urbanistici,  bensi' un potere
amministrativo in contrasto con il principio di legalita' sostanziale
e tale da poter pregiudicare l'interesse, protetto dalla legislazione
nazionale,  alla  realizzazione  delle  reti di telecomunicazione. La
norma impugnata eccede pertanto i limiti della competenza regionale.
    12. - Della  legge regionale della Campania e' impugnato in primo
luogo  l'art. 1, comma 2, in cui si enuncia che «per i fini di cui al
comma 1»  -  vale  a  dire  per  la  tutela  della  salute  e  per la
salvaguardia  dell'ambiente  dall'inquinamento  elettromagnetico - la
legge «detta norme per la localizzazione degli elettrodotti».
    Secondo   il   ricorrente,  il  rinvio  a  finalita'  di  «tutela
dell'ambiente»  violerebbe  la  competenza  esclusiva  dello Stato in
questa materia.
    La  generica  censura  e'  infondata  per le ragioni gia' esposte
sopra, al n. 5.
    13. - L'art. 2  della stessa legge stabilisce che i comuni devono
indicare  nei loro strumenti urbanistici gli elettrodotti esistenti e
i  corridoi  aerei  o  interrati  per  la  localizzazione delle linee
elettriche  di  voltaggio  superiore  a  30.000  volt  (comma 1); che
l'ampiezza  dei  corridoi  e'  definita «con direttiva della Regione»
(comma  2);  che  gli  strumenti  urbanistici  devono  assicurare  il
rispetto  di  un  valore  limite  di  induzione magnetica difforme da
quello  definito  dallo  Stato,  in  prossimita' di edifici adibiti a
permanenze prolungate (comma 3).
    Dette  norme  sono  censurate  per contrasto con i principi della
legge statale.
    La questione e' infondata relativamente al comma 1, che si limita
a  prevedere  la indicazione obbligatoria negli strumenti urbanistici
degli  elettrodotti  e  dei  corridoi per la loro localizzazione (che
dovra',  evidentemente,  essere  conforme  alla specifica normativa e
alla  pianificazione  statale), nonche' relativamente al comma 2, che
si  limita  a  prevedere  una  direttiva  regionale sull'ampiezza dei
corridoi,  che  e'  altra  cosa  rispetto alla definizione di vincoli
nelle fasce di rispetto.
    14. - E' invece fondata, per le ragioni esposte sopra al n. 7, la
questione  relativamente  al  comma 3  dell'art. 2,  che introduce un
valore  limite  di  induzione magnetica in prossimita' di determinati
edifici  ed  aree,  il  quale  si sovrappone ai limiti di esposizione
fissati dallo Stato [cfr. art. 4 del d.P.C.m. 23 aprile 1992, recante
«Limiti  massimi  di  esposizione  ai  campi  elettrico  e  magnetico
generati  alla  frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti
abitativi  e  nell'ambiente  esterno»,  richiamato in via transitoria
dall'art. 16 della legge quadro].
    15. - L'art. 3  della  legge regionale della Campania stabilisce,
al   comma 1,  che  i  comuni,  con  le  procedure  previste  per  la
localizzazione  delle  opere  pubbliche,  adeguano  la pianificazione
urbanistica  individuando  gli  elettrodotti  in  esercizio  che  non
rispettano il valore limite di induzione magnetica di cui all'art. 2,
comma 3,  e che sono oggetto di interventi prioritari di risanamento;
al  comma 2,  che  le  imprese distributrici di energia elettrica con
elettrodotti  di  tensione  fino  a 150 kV presentano alla Regione un
piano  di  risanamento con le modalita' e i tempi degli interventi da
realizzare,  piano  che  e'  approvato,  ai  sensi del comma 3, dalla
Regione  sentiti  il  comune interessato e l'Agenzia regionale per la
protezione  dell'ambiente;  infine  il  comma 4  prevede  che «per le
finalita'  di  cui  al  comma 1»  le imprese distributrici di energia
elettrica  per  le  reti  di  tensione superiore a 150 kV attivano la
procedura  di  risanamento  con  le  modalita'  previste dal d.P.C.m.
23 aprile  1992  (erroneamente  indicato  con  la  data del 23 aprile
1993).
    Il  ricorrente  censura tutta la disposizione perche' non avrebbe
tenuto  conto della riserva allo Stato della competenza a stabilire i
criteri   di   elaborazione  dei  piani  di  risanamento,  anche  con
riferimento   alle   modalita'   di   coordinamento  delle  attivita'
riguardanti piu' Regioni.
    La  questione  e'  fondata per quanto riguarda il comma 1, che fa
riferimento   ai   valori-limite   di  cui  all'art. 2,  comma 3,  in
conseguenza  della  illegittimita'  di  quest'ultimo; nonche', per le
stesse  ragioni,  per  quanto  riguarda  il rinvio alle finalita' del
comma 1 contenuto nel comma 4 dello stesso art. 2.
    16. - Non  e'  invece  fondata  la  medesima questione per quanto
riguarda  i  commi 2  e 3, che fanno riferimento alla competenza alla
approvazione  dei piani di risanamento degli elettrodotti di tensione
fino  a  150  kV,  competenza  riconosciuta alla Regione dall'art. 9,
comma 3, secondo periodo, della legge quadro. Ne' puo' sostenersi che
la  Regione  debba  attendere la statuizione da parte dello Stato dei
criteri   di   elaborazione   e   delle  modalita'  di  coordinamento
interregionale  dei  piani (ai sensi dell'art. 4, comma 1, lettera d,
della  legge quadro), che non condizionano, anche ai sensi del citato
art. 9  della legge statale, la predisposizione dei piani, ma semmai,
eventualmente,  ne potranno comportare l'adeguamento una volta che lo
Stato abbia provveduto.
    Parimenti  non  fondata  e' la questione con riguardo al comma 4,
escluso l'inciso iniziale: per gli elettrodotti di tensione superiore
a  150  kV  si  fa  infatti rinvio alle procedure stabilite dall'atto
statale (sia pure erroneamente indicato quanto alla data).
    17. - E'  censurato  anche  l'art. 7  della  legge  della Regione
Campania,  che  stabilisce  le sanzioni per il superamento dei limiti
fissati  dalla  stessa legge e per la mancata presentazione dei piani
di  risanamento.  Il  ricorrente  lamenta  che  sia fissato un regime
sanzionatorio   autonomo   senza   tener  conto  di  quello  previsto
dall'art. 15 della legge quadro.
    La questione e' fondata.
    La  competenza  a disciplinare le sanzioni per il superamento dei
valori--limite  non  puo'  che  seguire  la  competenza a fissare gli
stessi  valori, e quindi nella specie spetta allo Stato (cfr. infatti
l'art. 15  della  legge  quadro).  Quanto  agli effetti della mancata
presentazione  dei piani di risanamento, o del mancato rispetto delle
prescrizioni  dei piani, provvede l'art. 9 della legge quadro, ai cui
sensi  la  Regione e' abilitata a sostituirsi ai gestori adottando il
piano per gli elettrodotti minori (comma 3, terzo periodo), mentre il
mancato  risanamento  comporta,  a  titolo  di  sanzione,  che non si
riconosca  al  gestore  inadempiente  il  canone per l'utilizzo della
linea  non  risanata,  nonche'  la  disattivazione  temporanea  degli
impianti,   con  provvedimento  del  Ministro  per  gli  elettrodotti
maggiori, della Regione per quelli minori (comma 6).
    La  disciplina impugnata e' dunque costituzionalmente illegittima
in quanto si sovrappone a quella statale recata dalla legge quadro.
    18. - Infine  il ricorrente impugna l'art. 8 della legge campana,
che  impone  l'adeguamento degli elettrodotti gia' autorizzati ma non
ancora  in esercizio al valore--limite di induzione magnetica fissato
dall'art. 2,  comma 3, disponendo la sospensione della autorizzazione
fino   alla  pronuncia  della  Regione:  secondo  il  Presidente  del
Consiglio   la   normativa   transitoria  della  legge  regionale  si
sovrapporrebbe a quella recata dall'art. 16 della legge quadro.
    La  questione e' fondata, in conseguenza del riconoscimento della
illegittimita' costituzionale del richiamato art. 2, comma 3.
    19. - La  prima  disposizione impugnata della legge della Regione
Puglia   e'   l'art. 3,  comma 1,  lettera  m,  che  definisce  «aree
sensibili»  le  «aree  per  le  quali le amministrazioni comunali, su
regolamentazione   regionale,   possono   prescrivere  localizzazioni
alternative  degli  impianti,  in  considerazione  della  particolare
densita'  abitativa,  della  presenza di infrastrutture e/o servizi a
elevata   intensita'   d'uso,   nonche'   dello  specifico  interesse
storico--architettonico  e  paesaggistico--ambientale». Il successivo
art. 4,  comma 1, stabilisce che la Regione, «nel rispetto dei limiti
previsti   dal  d.m.  n. 381/1998»  (contenente  la  disciplina,  cui
rimanda, in via transitoria, l'art. 16 della legge quadro, sui limiti
di  esposizione,  le  misure  di  cautela e gli obiettivi di qualita'
relativamente    ai   sistemi   fissi   delle   telecomunicazioni   e
radiotelevisivi),    e   «tenendo   conto   degli   strumenti   della
pianificazione  territoriale,  paesaggistica  e ambientale, a livello
regionale  e locale», «detta i criteri generali per la localizzazione
degli  impianti,  nonche'  i criteri inerenti l'identificazione delle
`aree sensibili' e la relativa perimetrazione».
    Secondo   il   ricorrente,   tale  disciplina  eccederebbe  dalla
competenza  regionale:  definendo  le «aree sensibili» e prevedendo i
criteri  per  la loro identificazione e perimetrazione, introdurrebbe
nozioni estranee alla legislazione statale di principio e si porrebbe
in contrasto con essa.
    La questione non e' fondata.
    Le  «aree  sensibili»  sono  definite  dalla  legge regionale con
riguardo  a  situazioni  e  interessi (tutela della popolazione nelle
aree densamente abitate o frequentate, interesse storico--artistico o
paesistico  dell'area)  di  cui  la  Regione ha certamente titolo per
occuparsi  in  sede  di  regolazione dell'uso del proprio territorio.
Soprattutto,  poi,  la  definizione e la perimetrazione di tali aree,
nel  sistema della legge regionale, hanno l'unico scopo di fondare la
previsione  di  «localizzazioni alternative», cioe' un tipo di misura
che,   fermo  restando  il  necessario  rispetto  dei  vincoli  della
programmazione  nazionale  delle  reti  e  della  pianificazione  del
territorio,  rientra  appieno  nella  competenza regionale in tema di
governo  del territorio, e specificamente nella competenza regionale,
riconosciuta  dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la
«individuazione  dei  siti  di  trasmissione  e  degli  impianti  per
telefonia  mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per
radiodiffusione».   Essa   non  prelude  dunque  alla  fissazione  di
valori--soglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato,
ma  attiene  e  puo'  attenere  solo alla indicazione di obiettivi di
qualita'  non  consistenti  in  valori  di  campo,  ma  in criteri di
localizzazione,  standard  urbanistici, prescrizioni e incentivazioni
all'utilizzo  della  miglior  tecnologia  disponibile,  o  alla  cura
dell'interesse   regionale   e   locale   all'uso  piu'  congruo  del
territorio,  sia  pure  nel  quadro  dei  vincoli  che derivano dalla
pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici,
nonche' dai valori--soglia stabiliti dallo Stato.
    20. - E'  poi impugnato l'art. 10, comma 1, della legge pugliese,
ai  cui sensi e' vietata l'installazione di sistemi radianti relativi
agli  impianti  di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base
per telefonia mobile su «ospedali, case di cura e di riposo, scuole e
asili  nido».  Secondo il ricorrente tale divieto assoluto avrebbe un
contenuto  diverso  ed  eccedente  rispetto  all'unico  parametro del
valore di campo elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998,
cui rinvia la norma transitoria dell'art. 16 della legge quadro.
    La  questione  e'  infondata. Il divieto in questione, riferito a
specifici   edifici,   non   eccede   l'ambito  di  un  «criterio  di
localizzazione», in negativo, degli impianti, e dunque l'ambito degli
«obiettivi  di  qualita» consistenti in criteri localizzativi, la cui
definizione  e' rimessa alle Regioni dall'art. 3, comma 1, lettera d,
e dall'art. 8, comma 1, lettera e, della legge quadro; ne' di per se'
e' suscettibile di pregiudicare la realizzazione delle reti.
    21. - Diversa  e'  la  conclusione  quanto  all'art. 10, comma 2,
della  stessa  legge,  che estende il divieto di localizzazione degli
impianti  alle  aree  vincolate ai sensi della legge statale sui beni
culturali   e   ambientali,   alle  aree  classificate  di  interesse
storico--architettonico,  alle  aree  «di pregio storico, culturale e
testimoniale»,  e  alle  fasce  di  rispetto, perimetrate secondo una
delibera  della Giunta regionale, degli immobili «protetti» di cui al
comma 1  (ospedali,  case  di cura e di riposo, scuole e asili nido):
disposizione   al   cui  proposito  il  ricorrente  rileva  che  essa
invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale
e contrasterebbe con l'art. 5 della legge quadro, che riserverebbe ad
un  regolamento  statale  l'adozione di misure specifiche finalizzate
alla tutela dell'ambiente e del paesaggio.
    Tale questione e' fondata. In questo caso infatti l'ampiezza e la
eterogeneita' delle categorie di aree contemplate, l'indeterminatezza
di   alcune   definizioni   (come  quella  di  aree  «di  pregio  ...
testimoniale»)  e la assoluta discrezionalita' attribuita alla Giunta
nel perimetrare le fasce di rispetto relative agli immobili di cui al
comma 1,  fanno del divieto legislativo - analogamente a quanto si e'
osservato  sopra,  al  n. 11,  a proposito di una simile disposizione
della   legge   delle  Marche  -  un  vincolo  in  grado,  nella  sua
assolutezza, di pregiudicare l'interesse, protetto dalla legislazione
nazionale,   alla  realizzazione  delle  reti  di  telecomunicazione,
nonche'  lesivo, per cio' che attiene alla determinazione delle fasce
di rispetto, del principio di legalita' sostanziale.
    22. - Della   legge   regionale   umbra  e'  impugnato  anzitutto
l'art. 1,  comma 1, perche', nell'enunciare le finalita' della legge,
afferma  che  le  sue  norme  sono dettate, oltre che «a tutela della
salute  e  della popolazione dagli effetti della esposizione ai campi
elettrici,  magnetici  ed  elettromagnetici»,  anche  «a salvaguardia
dell'ambiente  e  del  paesaggio»:  la  tutela  dell'ambiente sarebbe
infatti attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato.
    La  questione  e'  infondata per le ragioni gia' esposte sopra al
n. 5.
    23. - E'  impugnato anche il comma 2 dell'art. 1, ai cui sensi «i
fini   di   cui   al   comma 1   sono   conseguiti  disciplinando  la
localizzazione,  la  costruzione,  la modificazione ed il risanamento
degli  impianti  che  producono»  le  emissioni in questione, nonche'
«mediante  l'individuazione,  in coerenza con le previsioni contenute
nella legge n. 36/2001, di adeguati limiti di esposizione».
    Secondo  il  ricorrente  l'art. 5,  comma 1,  della  legge quadro
riserverebbe   allo   Stato   le  «misure  specifiche  relative  alle
caratteristiche  tecniche  degli  impianti  e alla localizzazione dei
tracciati  per  la  progettazione, la costruzione e la modifica degli
elettrodotti e di impianti per telefonia mobile e radiodiffusione», e
«le  particolari  misure atte ad evitare danni ai valori ambientali e
paesaggistici»:   onde   si  sarebbe  nel  campo  della  legislazione
esclusiva  dello Stato per la tutela dell'ambiente. Sempre secondo il
ricorrente,  anche  se  la  legge  regionale  si definisce volta alla
tutela   sanitaria,  non  sarebbe  ammissibile  che  la  legislazione
concorrente  regionale  prevalga  su quella esclusiva dello Stato. In
ogni caso, pur se si ritenesse ammissibile una legislazione regionale
concorrente,  nella  specie, fra i principi fondamentali da osservare
vi  sarebbero quelli che assicurano la realizzazione del principio di
uguaglianza,   che  sarebbe  violato  se  si  ammettesse  una  tutela
differenziata  per Regioni attraverso un livello di protezione contro
le radiazioni elettromagnetiche diverso (e sia pure maggiore) per una
Regione rispetto ad altre.
    La  questione  e'  infondata  con riguardo alla prima parte della
disposizione,  per le ragioni gia' esposte sopra, al n. 5. Del resto,
che  vi  possa  e  vi  debba  essere  una  disciplina regionale della
localizzazione,   della   costruzione,   della  modificazione  e  del
risanamento  degli  impianti risulta espressamente dalla stessa legge
quadro, che attribuisce alle Regioni competenza, fra l'altro, in tema
di localizzazione degli impianti (art. 8, comma 1, lettere a e b), di
rilascio  delle  autorizzazioni  alla  installazione  degli  impianti
(art. 8,  comma 1, lettera c), di adozione o approvazione di piani di
risanamento (art. 9).
    24. - La  questione  e'  invece fondata con riguardo alla seconda
parte  della  disposizione, che si riferisce alla individuazione (sia
pure  «in  coerenza»  con le previsioni della legge quadro: ma non e'
chiaro  come  si  misurerebbe  tale  coerenza) di «adeguati limiti di
esposizione».
    Non  puo'  condividersi  l'assunto del ricorrente, secondo cui di
per  se'  una  differenziazione  in  melius  dei  livelli  di  tutela
sanitaria  sarebbe  in  contrasto con il principio di eguaglianza: in
linea  di  principio  possono  infatti,  come si e' detto, ammettersi
interventi  regionali  di maggiore tutela. Ma, per le ragioni esposte
sopra,  al  n. 7,  i limiti di esposizione in materia di inquinamento
elettromagnetico, fissati dallo Stato, debbono ritenersi inderogabili
dalle  Regioni  anche  in  melius, esprimendo essi (ove se ne postuli
l'adeguatezza  in  assoluto  a  proteggere la salute, cio' che, nella
specie,  non  e' oggetto di contestazione) il punto di equilibrio fra
l'esigenza  di  tutela  della  salute  e  dell'ambiente  e  quella di
consentire la realizzazione di impianti di interesse nazionale.
    L'art. 1, comma 2, della legge umbra e' dunque costituzionalmente
illegittimo  limitatamente alla parte in cui prevede l'individuazione
da parte della Regione di limiti di esposizione.
    25. - E'  impugnato  l'art. 2  della legge, che, sotto la rubrica
«Principio  di  giustificazione», stabilisce che nella pianificazione
della  localizzazione  di  nuovi impianti e in sede di rilascio delle
autorizzazioni  i  gestori  e  i  concessionari  (salvo  che  per gli
«impianti  di competenza del Piano di assegnazione delle frequenze di
cui  alla legge 31 luglio 1997, n. 249») sono «tenuti a dimostrare le
ragioni  obiettive  della  indispensabilita' degli impianti stessi ai
fini dell'operativita' del servizio». Ad avviso del ricorrente non si
potrebbero  attribuire  alla  Regioni valutazioni - come quelle sulla
indispensabilita'    degli   impianti   -   che   atterrebbero   alla
responsabilita' dei gestori, senza alterare le condizioni del mercato
concorrenziale,  cosi' sconfinando anche nell'ambito della competenza
esclusiva   dello  Stato  in  materia  di  tutela  della  concorrenza
(art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione).
    La  questione  e'  fondata,  non  perche'  possa  ritenersi  tale
disciplina  attinente  alla  «tutela della concorrenza» di competenza
statale  (trattandosi qui solo del rapporto pubblicistico fra gestore
ed   ente   pubblico   cui   spettano  i  poteri  di  pianificazione,
autorizzazione  e  vigilanza),  ma  perche' richiedere una condizione
ulteriore   di   tenore   generico,   come   la  dimostrazione  della
«indispensabilita»  dell'impianto  ai  fini  della  operativita'  del
servizio,  significa  attribuire  all'amministrazione autorizzante un
largo  e  indeterminato  potere  discrezionale  che  puo'  finire per
configurarsi  come  arbitrio. Il che non toglie, naturalmente, che il
rilascio  delle  autorizzazioni  debba  rispondere anche a criteri di
funzionalita'  delle  reti  e  dei  servizi,  trattandosi comunque di
impianti che gravano con un impatto negativo sull'ambiente in termini
di  emissioni  oltre  che  in  termini  di «consumo» o alterazione di
risorse territoriali e ambientali.
    26. - L'art. 4,  comma 1,  lettera  b,  della  legge  dell'Umbria
prevede che in determinate aree definite «sensibili», individuate dai
comuni  d'intesa  con  le  Province  in  riferimento  a  zone ad alta
densita'  abitativa  o  caratterizzate dalla presenza di strutture di
tipo   assistenziale,   sanitario  o  educativo,  le  amministrazioni
comunali   «possono   prescrivere   modifiche,   adeguamenti   o   la
delocalizzazione  di  elettrodotti  con tensione nominale superiore a
venti  kV  e  di  impianti  radioelettrici»,  esistenti  o  di  nuova
realizzazione,  «al  fine  di  garantire la massima tutela ambientale
dell'area stessa».
    Il  ricorrente  censura  la  disposizione in quanto in materia di
risanamento  una  differenza  di discipline fra diversi territori non
sarebbe  ammissibile,  perche'  non  assicurerebbe  il  rispetto  del
principio di eguaglianza.
    La questione e' infondata.
    Mentre  e'  improprio,  per  le  ragioni  gia' viste, invocare il
principio di eguaglianza, l'attribuzione ai comuni di poteri limitati
in  ordine  alla localizzazione e alle caratteristiche degli impianti
nelle  aree «sensibili» non eccede i poteri del legislatore regionale
in  relazione  agli  «obiettivi  di  qualita»  che  la  Regione  puo'
legittimamente  indicare  ai  sensi  dell'art. 3, comma 1, lettera d,
n. 1,  e  all'art. 8,  comma 1,  lettera  e,  della  legge quadro. In
particolare,   l'ultima   delle   disposizioni   citate   attribuisce
espressamente  alla competenza delle Regioni la «individuazione degli
strumenti  e  delle  azioni  per il raggiungimento degli obiettivi di
qualita» consistenti, ai sensi della prima delle citate disposizioni,
in   criteri  localizzativi,  standard  urbanistici,  prescrizioni  e
incentivazioni per l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili.
    27. - L'art. 5,  comma 1,  lettera  c, della legge prevede che la
Giunta  regionale  con  proprio  regolamento  «fissa  i  criteri  per
l'elaborazione e l'attuazione dei piani di risanamento degli impianti
radioelettrici, di telefonia mobile e di radiodiffusione».
    Il    ricorrente    censura   la   disposizione   affermando   la
inammissibilita' di una differenziazione per Regioni della disciplina
in materia di risanamento.
    Anche   questa  questione  e'  infondata.  Premesso  che  non  e'
contestata  -  ne'  in  questo caso ne' a proposito di altre analoghe
disposizioni  pure  impugnate  nei presenti giudizi - la legittimita'
del  ricorso  allo  strumento  regolamentare  ne' la competenza della
Giunta ad adottarlo, basta qui osservare che l'art. 9, comma 1, della
legge  quadro  espressamente  attribuisce  alla Regione il compito di
adottare  i  piani  di  risanamento  per gli impianti radioelettrici,
senza  nemmeno  prevedere  in proposito - come invece prevede per gli
elettrodotti  l'art. 4,  comma 1,  lettera d, e comma 4, della stessa
legge - criteri statali di elaborazione dei piani.
    28. - Il  comma 2  dello  stesso  art. 5  prevede  che  la Giunta
regionale,  sentite  le Province, proponga al Ministero dell'ambiente
il  piano  di risanamento degli elettrodotti con tensione superiore a
150 kv «in caso di inerzia o inadempienza dei gestori».
    Il  Presidente  del  Consiglio  sostiene,  da  un  lato,  che  si
tratterebbe  di  materia  di esclusiva competenza statale, dall'altro
che,  attribuendosi  un  potere  di  proposta  dei  piani, la Regione
porrebbe dei limiti ai poteri deliberativi dello Stato, «salvo che la
norma  non vada interpretata nel senso che la proposta in questo caso
costituisce  solo  una  sollecitazione  per  il  Ministero che potra'
deliberare un piano del tutto diverso da quello proposto».
    La questione e' infondata.
    L'art. 9,  comma 3, primo periodo, della legge quadro prevede che
per gli elettrodotti in questione la proposta di piano sia presentata
dai  gestori  al  Ministero  dell'ambiente, nulla disponendosi per il
caso di mancata presentazione (salve le sanzioni previste dal comma 6
per l'ipotesi di mancato risanamento dovuto a inerzia o inadempimento
di   coloro   che  hanno  la  disponibilita'  dell'elettrodotto).  La
disposizione regionale contestata non avoca alla Regione il potere di
approvare i piani, espressamente riservato al Ministero, ma si limita
a  prevedere  che  la  Regione  possa proporre al Ministero stesso il
piano  se  il  gestore  omette di farlo. Resta evidentemente salvo il
potere del Ministero di approvare il piano, o di non approvarlo (e di
procedere  alla  elaborazione  in  proprio  di un piano alternativo),
ovvero  di  introdurvi  «modifiche,  integrazioni e prescrizioni», ai
sensi  del  citato  art. 9,  comma 3,  primo  periodo,  senza  che la
proposta   regionale  risulti  dunque  vincolante  per  il  Ministero
medesimo.
    Onde  la  previsione  regionale si riduce alla introduzione di un
rimedio  all'inerzia dei gestori, attraverso una facolta' di proposta
rispetto  alla  quale  l'organo  centrale  conserva  tutta la propria
liberta' di determinazione.
    29. - E'  impugnato  altresi'  l'art. 12,  comma 1,  della  legge
umbra,  che  dispone  la  sottoposizione  degli impianti di telefonia
mobile  alla  procedura  di verifica prevista dall'art. 4 della legge
regionale   9 aprile   1998,  n. 11  (Norme  in  materia  di  impatto
ambientale)   -  attraverso  cui  la  Giunta  regionale  dichiara  la
necessita' di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di
impatto   ambientale  ovvero  la  esclusione  dello  stesso  da  tale
procedura dettando eventuali prescrizioni -, ovvero alla procedura di
valutazione  di  impatto  ambientale  disciplinata  dall'art. 5 della
stessa  legge  regionale  n. 11  del  1998,  nei  casi  previsti  dal
regolamento regionale.
    Secondo  il  ricorrente  sarebbe  violata  la normativa statale e
comunitaria   in  materia  di  valutazione  d'impatto  ambientale,  e
andrebbe  assicurata  la parita' di trattamento che inciderebbe anche
sotto il profilo della concorrenza.
    La questione e' fondata.
    La  disposizione impugnata rimette alla Giunta, senza indicazione
alcuna  di  criteri  (cfr.  art. 5, comma 1, lettera f, cui fa rinvio
l'art. 12,  comma 1,  della  legge  impugnata), la determinazione dei
casi  in cui e' imposta la valutazione di impatto ambientale; e anche
fuori  di  tali  casi  prevede  che  sia la Giunta, nell'ambito della
procedura  cosiddetta di «verifica», a stabilire se il progetto debba
essere sottoposto alla procedura di valutazione.
    L'art. 4,  comma 2,  della legge regionale n. 11 del 1998, cui fa
rinvio  la disposizione denunciata, coordinato con l'art. 3, comma 3,
della  stessa  legge,  demanda  alla  Giunta  la  dichiarazione della
necessita'  di sottoporre a valutazione d'impatto progetti rientranti
in  categorie  contemplate  dalla  normativa statale di cui al d.P.R.
12 aprile  1996  (Atto  di indirizzo e coordinamento per l'attuazione
dell'art. 40,   comma 1,   della   legge  22 febbraio  1994,  n. 146,
concernente   disposizioni  in  materia  di  valutazione  di  impatto
ambientale), che prevede appunto, all'art. 1, comma 6, e all'art. 10,
una  procedura  di  verifica ad opera dell'autorita' competente per i
progetti  elencati  nell'allegato B non ricadenti nell'ambito di aree
naturali  protette,  sulla  base di elementi indicati nell'allegato D
dello stesso decreto. Ma, nel caso degli impianti qui in discussione,
che  non  sono  contemplati  dalla  normativa  statale citata, nessun
criterio  e'  dato ricavare, dalla legislazione regionale richiamata,
in  ordine  al  contenuto  della  verifica  prevista  e  alla  scelta
demandata alla Giunta.
    Onde,   in  definitiva,  la  legge  attribuisce  alla  Giunta  la
possibilita'  di  imporre  discrezionalmente,  senza  base in criteri
legislativi  ragionevolmente  delimitati  e  dunque in violazione del
principio  di  legalita'  sostanziale, una procedura - come quella di
valutazione  di impatto ambientale - che puo' tradursi in un ostacolo
effettivo   alla  realizzazione  di  reti  e  impianti  di  interesse
nazionale.   Per   questa   ragione   la  disposizione  impugnata  e'
costituzionalmente illegittima.
    30. - L'art. 13   della  legge  dell'Umbria  stabilisce  che  «le
modalita',  i  criteri  ed  i procedimenti amministrativi preordinati
alla  localizzazione, al risanamento ed al rilascio di autorizzazione
per la realizzazione e la modifica degli impianti sono definiti dalla
Giunta regionale, nel rispetto delle norme in materia di procedimento
amministrativo  e  del  d.P.R.  20 ottobre  1998, n. 447 e successive
modificazioni ed integrazioni».
    Il  ricorrente  ritiene  che  la illegittimita' costituzionale di
tale  disposizione  consegua  a quella delle altre norme impugnate in
quanto  «una  volta  esclusa  la  competenza regionale, cade anche la
disciplina   del   procedimento,   che  da'  per  presupposta  quella
competenza».  Lamenta  inoltre  che  la  legge regionale rimetta alla
Giunta  regionale  la  disciplina,  oltre  che  dei procedimenti, dei
criteri  per la localizzazione e il risanamento degli impianti, senza
la  fissazione  di  «limiti o orientamenti legislativi». Circa poi il
procedimento, sarebbe violato l'art. 9 della legge quadro.
    La questione e' fondata.
    Non  puo'  condividersi,  per  le  ragioni  gia' viste, l'assunto
secondo  cui  la  materia  esulerebbe  dalla  competenza regionale; e
nessuno  specifico  contrasto  e' dato di rilevare con l'art. 9 della
legge  quadro  in  tema di piani di risanamento. Resta pero' il fatto
che  la  disposizione impugnata configura una totale discrezionalita'
della  Giunta,  non  delimitata da alcuna determinazione legislativa,
non  solo  per la definizione dei procedimenti (in relazione ai quali
soltanto   vale,  peraltro,  il  richiamo  alle  norme  generali  sul
procedimento  amministrativo  e  alle  norme  statali in materia, fra
l'altro,  di  procedimenti  di autorizzazione per la realizzazione di
impianti  produttivi,  contenute nel d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447),
ma   anche   per   la  definizione  dei  «criteri»  preordinati  alla
localizzazione,  al  risanamento e all'autorizzazione degli impianti.
Tale  discrezionalita',  nella sua assolutezza, viola il principio di
legalita'  sostanziale  e  non  e'  compatibile con l'esigenza di non
ostacolare ingiustificatamente la realizzazione degli impianti.
    31. - Infine  il Presidente del Consiglio impugna l'art. 16 della
legge  dell'Umbria,  ai  cui  sensi  «la  Giunta  regionale con norme
regolamentari  definisce»,  «in via transitoria fino all'approvazione
dei   decreti  di  cui  all'articolo 4  della  legge  n. 36/2001,  le
disposizioni  di  prima  applicazione  della presente legge, idonee a
conseguire le finalita' di cui all'articolo 1».
    Il ricorrente osserva che la disposizione contrasta con l'art. 16
della legge quadro, che ha posto la disciplina transitoria.
    La questione e' fondata.
    Ancorche'  la  norma  regionale impugnata non precisi in che cosa
possano  consistere  le  «disposizioni  di prima applicazione» cui si
riferisce,  essa  oggettivamente  assume la portata di consentire una
disciplina,  sia  pure  transitoria,  anche  e  specificamente  della
materia  dei  valori--soglia, spettante alla competenza statale: come
emerge  dal  richiamo all'attesa dell'emanazione dei decreti previsti
dall'art. 4  della  legge  quadro,  diretti, fra l'altro, a stabilire
(comma  2)  i  limiti  di  esposizione,  i valori di attenzione e gli
obiettivi  di  qualita'  di  competenza statale, nonche' dal generico
richiamo  alla  idoneita'  a «conseguire le finalita» della legge. Il
regime   transitorio   e'   invece   definito   dalla  legge  quadro,
all'art. 16,  con  il  richiamo  dei  preesistenti  atti  statali che
fissano  i  valori--soglia  in  tema  di esposizione all'inquinamento
elettromagnetico;   e   la  Regione  non  puo',  nemmeno  nella  fase
transitoria, sostituire proprie determinazioni a quelle dettate dallo
Stato.