ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7-bis della
legge  27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti
delle   persone  pericolose  per  la  sicurezza  e  per  la  pubblica
moralita),  introdotto  dall'art. 11  della  legge 13 settembre 1982,
n. 646,  promosso con ordinanza del 22 febbraio 2002 dal Tribunale di
Catanzaro  nel  procedimento  di  prevenzione relativo a Vito Tolone,
iscritta  al  n. 263  del  registro ordinanze 2002 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 22,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 aprile 2003 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con   ordinanza   del  22 febbraio  2002,  il  Tribunale  di
Catanzaro  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7-bis  della  legge  27 dicembre  1956,  n. 1423 (Misure di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per  la  pubblica  moralita),  introdotto  dall'art. 11  della  legge
13 settembre  1982,  n. 646  (Disposizioni  in  materia  di misure di
prevenzione  di  carattere  patrimoniale  ed  integrazioni alle leggi
27 dicembre  1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965,
n. 575.  Istituzione  di  una  commissione  parlamentare sul fenomeno
della mafia), in riferimento all'art. 19 della Costituzione.
    2. - In  fatto,  il  Tribunale  premette  che:  (a)  una  persona
sottoposta  alla  sorveglianza  speciale  di  pubblica  sicurezza con
obbligo  di soggiorno nel comune di residenza ha chiesto al Tribunale
l'autorizzazione ad allontanarsi «periodicamente e continuativamente»
dal  comune  di  soggiorno  obbligato, per recarsi in altro comune al
fine  di poter partecipare alla celebrazione delle funzioni religiose
della  Chiesa  Evangelica - Assemblee di Dio in Italia, corredando la
propria  istanza con documentazione proveniente da detta confessione;
(b)  raccolti  elementi informativi e pareri degli organi di pubblica
sicurezza,  il Tribunale ha accertato che nel comune di residenza del
sorvegliato  non  vi  sono  comunita'  di  fedeli ne' luoghi di culto
dell'anzidetta  confessione  religiosa,  ma  che ne esistono in altri
comuni   vicini   (diversi  da  quello  indicato  nell'istanza);  (c)
instaurato  il  contraddittorio  per la decisione sulla richiesta, la
parte  privata  ha  eccepito  l'incostituzionalita'  della disciplina
contenuta nella legge n. 1423 del 1956, in riferimento agli artt. 3 e
19  della Costituzione, in quanto tale normativa non consente di dare
positivo esito alla richiesta dell'interessato.
    3. - Cio'  premesso,  il Tribunale - pur dando atto sia della non
contestata   serieta'   della   professione  di  fede  religiosa  del
richiedente,  da  diversi  anni  aderente alla confessione, sia della
mancanza  di comunita' di fedeli e di luoghi di culto nell'ambito del
comune  di  soggiorno  obbligato  -  rileva  che,  alla stregua della
disciplina  legislativa,  l'autorizzazione ad allontanarsi dal comune
medesimo  per  svolgere  le  pratiche  di  culto  non potrebbe essere
accordata:  l'art. 7-bis  della  legge  n. 1423  del  1956,  infatti,
permette  l'autorizzazione all'allontanamento dal comune di residenza
esclusivamente  per  ragioni  di salute, e tale disposizione e' stata
inoltre  interpretata  in  senso  tassativo  dalla  giurisprudenza di
legittimita'.
    Ma   appunto   della   citata   impossibilita'   di   autorizzare
l'allontanamento   per   motivi   religiosi   -  alla  stregua  della
disposizione  indicata,  cosi'  restrittivamente  interpretata  -  il
Tribunale  di  Catanzaro  si  duole, in riferimento all'art. 19 della
Costituzione,  escludendo  invece  la  violazione  del  principio  di
uguaglianza  -  dedotta  dalla  parte -  perche'  la  disciplina  non
comporta  discriminazioni  tra  le  confessioni e perche' comunque la
determinazione  dei casi di autorizzazione all'allontanamento attiene
in  linea di principio all'ambito della discrezionalita' legislativa,
salvo   il   limite   della  salvaguardia  dei  diritti  fondamentali
dell'individuo.
    E   tale   e'  il  diritto,  sancito  dall'invocato  art. 19,  di
professione  della  fede  religiosa, non solo in forma individuale ma
anche in forma associata, e non solo in privato ma anche in pubblico,
secondo  il  testo  della  disposizione  costituzionale, che comporta
pertanto  il  pieno diritto del credente a professare la propria fede
in  seno alla propria comunita' religiosa, con la partecipazione alle
assemblee,  alle  liturgie,  alle celebrazioni e ai riti propri della
confessione e con l'accesso ai luoghi di culto.
    Non  ammettendo  la  possibilita' di autorizzare l'allontanamento
dal   comune  di  soggiorno  obbligatorio  per  esercitare  in  forma
associata  questo  diritto  (quando  nel  comune  stesso cio' non sia
materialmente  possibile),  l'art. 7-bis della legge n. 1423 del 1956
si   porrebbe   percio'   in   contraddizione   con  l'art. 19  della
Costituzione.
    4. - E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato.
    L'Avvocatura  rileva  che la confessione alla quale l'interessato
appartiene  ha  stipulato  una  intesa con lo Stato italiano, a norma
dell'art. 8  della Costituzione, e tale intesa e' stata approvata con
la  legge  22 novembre 1988, n. 517: in essa e' oggetto di disciplina
l'assistenza  spirituale  ai  fedeli  che  siano detenuti in istituti
penitenziari,  ricoverati  in  ospedali, case di cura e pensionati, o
che  appartengano  a  forze armate o di polizia, con la previsione in
particolare per questi ultimi della possibilita' di ottenere permessi
per frequentare le chiese piu' vicine in ambito provinciale se non ne
esistano  nella  sede  di  servizio;  e cio' - osserva l'Avvocatura -
esaurisce  l'ambito  delle  richieste  avanzate  dalla confessione in
questione,  in  sede  di  trattative  per la conclusione dell'intesa,
sotto  il  profilo  della  tutela del diritto di svolgere pratiche di
culto per determinati soggetti.
    D'altra  parte,  piu'  in  generale,  anche la liberta' religiosa
garantita  dall'art. 19 invocato incontra dei limiti, stabiliti dalla
legislazione  in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle
della  pacifica  convivenza  e  della  sicurezza,  compendiate  nella
formula  dell'«ordine  pubblico»; e la stessa Corte costituzionale ha
affermato  la necessita' di contemperare i diritti di liberta' con le
citate esigenze.
    A  questi criteri, conclude l'Avvocatura, si ispira il denunciato
art. 7-bis   della  legge  n. 1423  del  1956,  che  pertanto  e'  da
considerare immune dalle censure di incostituzionalita'.

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Tribunale   di   Catanzaro  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 7-bis della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(Misure  di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza  e per la pubblica moralita), introdotto dall'art. 11 della
legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di
prevenzione  di  carattere  patrimoniale  ed  integrazioni alle leggi
27 dicembre  1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965,
n. 575.  Istituzione  di  una  commissione  parlamentare sul fenomeno
della   mafia),  in  relazione  all'art. 19  della  Costituzione  che
garantisce  a  tutti  il diritto di professare liberamente la propria
fede  religiosa  in  qualsiasi  forma,  individuale o associata, e di
esercitarne  il  culto,  in privato e in pubblico. Ritiene il giudice
rimettente   che   tra  le  due  citate  disposizioni  possa  esservi
contrasto.  La  norma di legge prevede che la persona sottoposta alla
misura   di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di  pubblica
sicurezza,  con  obbligo  di  soggiorno  in  un determinato comune di
residenza  o dimora abituale, possa essere autorizzata dal giudice ad
allontanarsi dal comune medesimo esclusivamente per ragioni di salute
e non anche per la professione in forma associata della propria fede.
Quando  nel comune di residenza obbligata non esista una comunita' di
fedeli  del medesimo credo religioso, il singolo - questa la tesi del
rimettente  -  dovrebbe  potersi  recare  nel  luogo  dove  una  tale
comunita' esiste. Poiche' cio' non e' consentito in conseguenza degli
obblighi  che  derivano dall'applicazione della misura di prevenzione
in  questione,  la  norma di legge che non prevede la possibilita' di
allontanamento  dal  comune di soggiorno obbligato contrasterebbe con
l'art. 19 della Costituzione.
    2. - La questione non e' fondata.
    2.1. - Il    giudice    rimettente,   sollevando   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 7-bis della legge n. 1423 del
1956,  non  pone  propriamente  una  questione  di irrazionalita' per
omissione;  non fa valere, in altri termini, una presunta omogeneita'
delle  ragioni  di  salute  e  di  quelle  di  culto,  per  inferirne
l'arbitrarieta'  della  disposizione  che  solo  alle prime riconosce
forza  derogatrice nei confronti dell'obbligo di non allontanarsi dal
comune   di   soggiorno   obbligato.  Riconosce  anzi  esplicitamente
rientrare  nella  discrezionalita'  del legislatore la previsione dei
casi  eccezionali,  in  cui  la  persona  sottoposta  alla  misura di
prevenzione  possa  essere  autorizzata ad allontanarsi dal comune di
residenza   o   dimora   obbligatoria.   Ritiene   peraltro   che  la
discrezionalita'  legislativa  nel  non prevedere tale autorizzazione
debba  fermarsi  di  fronte  al  diritto  di libera professione della
propria   fede   religiosa,   quale   previsto   dall'art. 19   della
Costituzione.   Cosi',  secondo  la  prospettazione  del  rimettente,
l'art. 7-bis   della   legge   n. 1423   del  1956  -  prevedendo  la
possibilita' per il giudice di autorizzare solo per ragioni di salute
la  persona sottoposta alla misura di prevenzione ad allontanarsi dal
comune   nel   quale   e'   obbligato   a   soggiornare   -   sarebbe
incostituzionale non per irragionevole diversita' di disciplina dello
status  del sorvegliato speciale rispetto al diritto alla salute e al
diritto  di  professione  della  propria  religione,  ma  per diretta
violazione di quest'ultimo diritto.
    2.2. - Innanzitutto,  si deve tenere presente che la misura della
sorveglianza  speciale  con  obbligo di soggiorno e' finalizzata alla
prevenzione  dell'attivita'  criminosa, prevenzione la quale, insieme
con  la  repressione dei reati, costituisce indubbiamente, secondo la
Costituzione,  un  compito  primario  della  pubblica autorita', come
riconosciuto  da questa Corte gia' con la sentenza n. 27 del 1959. Le
misure  che  la  legge, nel rispetto dell'art. 13 della Costituzione,
autorizza  a  prendere  per lo svolgimento di questo compito, possono
comportare  limitazioni direttamente sulla liberta' personale e, come
nel  caso  in esame, anche sulla liberta' di circolazione e soggiorno
del  soggetto  considerato  socialmente  pericoloso,  ripercuotendosi
inevitabilmente su altri diritti del cui esercizio esse costituiscono
il presupposto.
    Sotto   altro  aspetto,  si  deve  osservare  che  la  misura  di
prevenzione in questione non incide di per se', direttamente, ma solo
indirettamente   ed  eventualmente,  sull'esercizio  del  diritto  di
professare  la  propria  religione,  quando, per ragioni indipendenti
dalla  legge  e derivanti soltanto dalla diffusione sul territorio di
una  determinata  confessione  religiosa,  nel  comune  del soggiorno
obbligato  non  esista  una comunita' organizzata di fedeli, alle cui
attivita'  il  prevenuto  possa  partecipare.  Per questo profilo, la
possibile limitazione all'esercizio della liberta' religiosa in forma
organizzata   non   si   differenzia   da  tutte  le  altre  «normali
conseguenze»   (sentenza  n. 75  del  1966)  che  possono  discendere
dall'imposizione di limiti alla liberta' personale e alla liberta' di
circolazione e soggiorno e che possono riguardare non solo il diritto
previsto  dall'art. 19  della  Costituzione,  ma  anche,  ad esempio,
quelli   previsti  nell'art. 4,  nell'art. 32  e  nell'art. 33  della
Costituzione.
    I  compiti  che  allo Stato spetta svolgere nella prevenzione dei
reati,  anche attraverso misure limitative della liberta' personale e
della  liberta'  di  circolazione  e  soggiorno,  da  una  parte;  la
connessione,   sotto  l'aspetto  dell'esercizio,  con  diversi  altri
diritti   costituzionalmente   protetti,  dall'altra  parte,  rendono
evidente   la   necessita'   che   il  legislatore  eserciti  la  sua
discrezionalita'  in  modo  equilibrato,  per  «minimizzare»  i costi
dell'attivita'  di  prevenzione,  cioe'  per  rendere  le  misure  in
questione,   ferma   la  loro  efficacia  allo  scopo  per  cui  sono
legittimamente  previste,  le  meno  incidenti  possibili sugli altri
diritti costituzionali coinvolti.
    Infatti, nella configurazione di tutte le misure limitative della
liberta'  della  persona, e dunque anche delle misure di prevenzione,
l'esercizio  dei  diritti  costituzionali non puo' essere sacrificato
oltre  la  soglia minima resa necessaria dalle misure medesime, cioe'
dalle  esigenze in vista delle quali essa sia legittimamente prevista
e disposta (sentenza n. 193 del 1997, in materia di diritto al lavoro
del  soggetto sottoposto alla misura di prevenzione in questione). E,
in  effetti,  il  legislatore,  approvando  l'art. 7-bis  della legge
n. 1423  del  1956, ha operato in questa logica, prevedendo, in vista
della  tutela  della salute del prevenuto, una deroga all'originario,
rigido  regime di esecuzione della misura della sorveglianza speciale
con obbligo di soggiorno. Quando sussistano gravi e comprovati motivi
che  la  giustifichino,  il  Tribunale (e, in caso di urgenza, il suo
Presidente),   tramite   una   specifica  procedura,  puo'  concedere
l'autorizzazione  all'allontanamento  dal comune, caso per caso e per
periodi  di  tempo limitati e accompagnata da adempimenti speciali di
pubblica   sicurezza,  adeguati  alle  particolarita'  delle  singole
situazioni.
    Ma questo sistema di contemperamento, previsto specificamente per
permettere   di   usufruire   di  cure  mediche  necessarie  in  casi
eccezionali,  non  potrebbe  essere  esteso,  al  contrario di quanto
ritiene  il  giudice  rimettente,  al caso del diritto di liberta' di
culto  in forma associata. Indipendentemente dalla questione relativa
all'identita'  o  alla  diversita'  delle  due  situazioni,  sotto il
profilo della ratio legislativa - cio' che qui, come si e' detto, non
e'  in  discussione -, decisivo e' osservare che la sospensione degli
obblighi  del  sorvegliato  speciale  con  obbligo  di  soggiorno per
consentire  la  partecipazione  periodica  e continuativa a cerimonie
religiose  sarebbe  in insuperabile contraddizione con le esigenze in
vista  delle quali la misura di prevenzione e' adottata, come risulta
evidente  sia  dalla circostanza che l'autorizzazione dovrebbe valere
in  generale  per  tutta  la  durata  della  misura,  sia  dall'ovvia
impossibilita'  di assicurare idonee misure di pubblica sicurezza nei
luoghi di culto e durante la celebrazione di cerimonie religiose.
    Da cio' risulta che l'ipotizzata estensione dell'art. 7-bis della
legge n. 1423 del 1956 dal campo del diritto alla salute a quello del
diritto di culto non rappresenterebbe un contemperamento tra esigenze
costituzionali  da  armonizzare  ma semplicemente la vanificazione di
una a favore dell'altra.
    D'altro canto, una volta considerato che la lamentata restrizione
all'esercizio   della   propria  professione  di  fede  religiosa  e'
condizionata  da una situazione di fatto - la limitata diffusione sul
territorio  dell'organizzazione ecclesiastica - non si puo' escludere
che,  compatibilmente  con  le  esigenze  di  sicurezza, l'obbligo di
soggiorno    sia   fissato,   in   conformita'   con   la   richiesta
dell'interessato,  in un comune dove tale organizzazione esista e nel
quale la persona sottoposta alla misura di prevenzione vada a fissare
la propria residenza.