IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello presentato dalla difesa di De Lao Moran Gennaro, nato a Guayas (Ecuador) il 23 maggio 1970, avverso l'ordinanza del 30 aprile 2003 con cui la Corte d'appello di Torino ha respinto l'istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini previsti dagli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, c.p.p. Rilevata la ritualita' dell'impugnazione. O s s e r v a 1. - De Lao Moran Gennaro - in custodia cautelare in carcere dal 4 maggio 2001 per il reato di cui agli artt. 110 c.p., 73 comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 - con sentenza del g.u.p. del Tribunale di Torino del 2 maggio 2002 e' stato condannato alla pena di anni 6, mesi 8, giorni 20 di reclusione ed euro 40.000 di multa. Successivamente la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 27 novembre 2002, avendo dichiarato la nullita' del provvedimento che ha disposto il giudizio di primo grado, ha rinviato gli atti al giudice delle indagini preliminari. Avverso questa sentenza la difesa ha proposto ricorso, e la Corte di cassazione con sentenza del 15 maggio 2003 ha rimesso gli atti al p.m. Il 28 aprile 2003 la difesa - premesso: a) che si e' verificata la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari; b) che la Corte costituzionale con sentenza n. 292 del 1998 ed ordinanza n. 529 del 2000 ha ritenuto applicabile anche a questa ipotesi l'art. 304 comma 6, c.p.p.; c) che il 3 maggio 2003 sarebbe decorso il doppio del termine di fase previsto dall'art. 303, comma 1 lettera a) n. 3, c.p.p. - ha chiesto la scarcerazione del De Lao. La Corte d'appello di Torino con l'ordinanza impugnata ha respinto l'istanza, argomentando che «il richiamo della difesa a quanto previsto dall'art. 304 comma 6 deve ritenersi inconferente, trattandosi di fattispecie relativa al caso in cui sia stata disposta la sospensione dei termini della custodia cautelare». Nell'attuale appello la difesa definisce «raggelante» il fatto che la Corte d'appello abbia qualificato «inconferente» il richiamo all'art. 304 comma 6 c.p.p., in considerazione che la Corte costituzionale - piu' volte chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303 comma 4 c.p.p. - ha sempre statuito che la disciplina del comma 6 dell'art. 304 c.p.p. vale non solo nei casi di sospensione, ma anche in quelli di decorrenza ex novo dei termini nell'ipotesi di regressione del procedimento. 2. - Osserva il Tribunale che la decisione della Corte d'appello di Torino costituisce l'ennesima «prova» che la questione su come calcolare i termini della custodia cautelare nel caso di regressione del procedimento non sia ancora risolta, nonostante la cospicua, costante ed univoca giurisprudenza costituzionale formatasi su questo punto. Il problema e' noto e puo' essere brevemente sintetizzato. Con sentenza (n. 292 del 18 luglio 1998) «interpretativa di rigetto» la Corte costituzionale ha ritenuto che l'art. 304 comma 6 «deve essere interpretato nel senso che il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione determina la perdita di efficacia della custodia sia se quel termine e' stato sospeso o prorogato, sia se e' cominciato a decorrere nuovamente in seguito a regressione del processo». Dopo questa pronuncia presso la Corte di cassazione si e' determinato un contrasto sul metodo da seguire nel calcolo del termine finale in caso di regressione. Per dirimere questo contrasto sono intervenute le sezioni unite (Sez. un., 19 gennaio 2000, Musitano) le quali, pur dichiarando espressamente di aderire alla decisione della Corte costituzionale, muovendosi dal presupposto che quest'ultima non aveva indicato il sistema del computo dei termini, hanno affermato che nel caso di regressione i termini di durata della custodia cautelare decorrono dalla data della decisione che dispone il regresso e, ai fini del calcolo della durata massima di fase, vanno computati esclusivamente i periodi di custodia cautelare trascorsi nella stessa fase. Questa decisione delle sezioni unite e' stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 529 del 22 novembre 2000) che, premesso che la sentenza n. 92 del 1998 in maniera chiara aveva indicato il criterio del cumulo di tutto il periodo di detenzione, ha ribadito che l'interpretazione dell'art. 304 comma 6 (secondo cui la custodia cautelare perde efficacia allorquando la sua durata abbia superato un periodo pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, anche nel caso in cui quel termine sia cominciato nuovamente a decorrere a seguito della regressione del processo) «deve essere ritenuta costituzionalmente obbligata in forza del valore espresso dall'art. 13 della Costituzione». Ultimamente le sezioni unite (Sez. un., 10 luglio 2002, D'Agostino), rilevato che l'art. 303, comma 2, c.p.p. ªimpedisce di addizionare, nel calcolo del doppio del termine finale di fase, periodi di detenzione sofferti in fasi o gradi diversi da quelli in cui il procedimento e' regredito» e che non e' piu' possibile - alla luce di quanto precisato dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 529 del 2000 - affermare con certezza la legittimita' costituzionale del criterio di calcolo imposto da detta norma, hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale sull'art. 303 comma 2, c.p.p., chiedendo «alla Corte costituzionale, nel rispetto delle reciproche attribuzioni, di intervenire sulla disposizione indicata con una pronuncia caducatoria» (e, quindi, non con una semplice sentenza interpretativa di rigetto). A tutt'oggi non risulta che la Corte costituzionale abbia deciso la suindicata questione di legittimita' costituzionale. 3. - Come si nota facilmente l'ultima decisione delle sezioni unite fondata su due premesse: a) che l'interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 303 comma 2 c.p.p. non consente interpretazioni diverse da quella data dalle sezioni unite nella sentenza del 19 gennaio 2000; b) che detta interpretazione alla luce di quanto disposto dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 529 del 22 novembre 2000 e' di dubbia legittimita' costituzionale. Questo Tribunale condivide entrambe le premesse. Ne consegue che, essendo la questione rilevante e (certamente) non manifestamente infondata, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale. E' vero, infatti, che e' obbligo del magistrato ordinario scegliere tra piu' interpretazioni ugualmente possibili di una disposizione legislativa quella piu' conforme al dettato costituzionale, ma tale obbligo presuppone che anche l'interpretazione conforme ai principi costituzionali sia - sulla base di corretti canoni ermeneutici - possibile. Se cio' non fosse, il giudice ordinario e' tenuto a rimettere la questione al giudice delle leggi.