LA CORTE D'ASSISE D'APPELLO Nel procedimento penale n. 15/1997 a carico di: 1. Nunziata Elia, nato a Piazzolla di Nola il 15 novembre 1959; 2. Malinconico Sergio, nato a Roccarainola il 31 ottobre 1964; ha pronunziato la seguente ordinanza. F a t t o Nella tarda serata del 21 ottobre 1991 l'autoarticolato Fiat-Iveco, tg. CO 932031, fu rinvenuto in agro d'Acerra, parzialmente fuori della sede stradale, con a bordo il corpo senza vita dell'autista, Daniele Lamperti. L'autopsia accerto' che due proiettili d'arma da fuoco a carica unica avevano attinto la vittima e che uno di essi, perforando il polmone sinistro e lacerando l'arco aortico, n'aveva cagionato la morte. Il veicolo trasportava quattrocento sacchi di nocciole sgusciate, del valore di lire sessantasette milioni, diretti ad un'industria dolciaria svizzera. Gli inquirenti ipotizzarono che si trattasse d'omicidio commesso nel corso di un tentativo di rapina e, pertanto, indirizzarono le indagini verso persone sospettate di esser dedite a rapine di camion trasportanti nocciole sgusciate, fra cui in particolare tali Clemente Vinciguerra, Lucio Addeo, Elia Nunziata, Sergio Malinconico e Salvatore Prisco. Nel corso delle indagini preliminari Vinciguerra, imputato in procedimento connesso per delitti di rapina, formulo' dichiarazioni accusatorie nei confronti di Nunziata, suo coimputato. Addeo, imputato quale mandante di concorso nel delitti in esame e successivamente prosciolto nell'udienza preliminare, accuso' Nunziata, Malinconico e Prisco di essere gli autori della tentata rapina e dell'omicidio: cio' egli aveva appreso dallo stesso Nunziata, il quale gli aveva manifestato l'intenzione di addossare la responsabilita' dei delitti a Malinconico, a Prisco e a tale Nicola Napolitano, defunto cognato di Malinconico. Nunziata, protestandosi estraneo ai fatti, accuso' Malinconico, Prisco e Napolitano, dichiarando di aver appreso i fatti dai primi due. Con decreto del 17 gennaio 1995, il g.u.p. presso il Tribunale di Nola dispose il rinvio a giudizio di Nunziata, Malinconico e Prisco per rispondere, in concorso tra loro e con un mandante non identificato, di tentata rapina aggravata, omicidio aggravato, detenzione e porto illegali di pistola. Nel corso del dibattimento di primo grado, celebrato avanti alla terza sezione della Corte d'assise di Napoli, Lucio Addeo, citato per essere esaminato ai sensi dell'art. 210 del codice di procedura penale, Si avvalse della facolta' di non rispondere; furono, pertanto, acquisiti al fascicolo per il dibattimento, ex art. 513 cod. proc. pen., i verbali degli interrogatori da lui in precedenza resi al p.m. ed al g.i.p. Anche l'imputato Elia Nunziata si avvalse, in sede d'esame, della facolta' di non rispondere; furono, quindi, acquisiti i verbali degli interrogatori da lui resi al p.m. ed al g.i.p., nonche' il verbale del confronto svoltosi, avanti al p.m., fra lui ed Addeo. Con sentenza emessa il 14 novembre 1996, la Corte d'assise dichiaro' i tre imputati colpevoli del reati loro ascritti e li condanno' all'ergastolo con isolamento diurno per mesi cinque, oltre alle pene accessorie, alle spese processuali ed al risarcimento del danni in favore delle costituite parti civili. L'affermazione di responsabilita' di ciascuno degli imputati si fondava, come si legge nella motivazione della sentenza, su «accuse provenienti da due fonti: il Vinciguerra e l'Addeo accusano Nunziata; gli stessi Addeo e Nunziata accusano il Prisco ed il Malinconico». La pluralita' delle fonti accusatorie consentiva, mediante il reciproco riscontro, la formazione di una prova sufficiente ai sensi dell'art. 192, terzo e quarto comma, del codice di procedura penale. Tutti gli imputati proponevano appello, deducendo una serie di motivi, fra i quali l'asserita mancanza di prove idonee a fondare l'affermazione di responsabilita'. La prima udienza del processo d'appello si celebrava davanti a questa Carte all'udienza del 2 febbraio 2000. Dopo la relazione, il procuratore generale chiedeva la rinnovazione del dibattimento, allo scopo di procedere a nuovo esame del coimputato prosciolto Lucio Addeo e dell'imputato Elia Nunziata. I difensori degli imputati si opponevano, sollevando questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513 codice procedura penate e dall'art. 1.1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione degli artt. 3, 77 e 138 della Costituzione. La Corte riteneva la questione sollevata manifestamente infondata in relazione all'art. 6.3 legge 7 agosto 1997, n. 267, da applicarsi al momento, ed irrilevante, allo stato, per le altre norme impugnate. Disponeva, pertanto, la rinnovazione del dibattimento ed il nuovo esame di Addeo e Nunziata. L'imputato Elia Nunziata, presente in aula, invitato a sottoporsi ad esame, dichiarava di volersi avvalere della facolta' di non rispondere. Il procuratore generale chiedeva, allora, di poter procedere alla contestazione, a norma degli artt. 500.2-bis e 4, delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, concernenti la responsabilita' dei coimputati. I difensori di tutti gli imputati si opponevano, reiterando la gia' proposta questione di legittimita' costituzionale. La Corte, con ordinanza in data sette febbraio duemila, dichiarava non manifestamente infondate le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: 1) art. 513.2 del codice di procedura penale, cosi' come integrato dalla sentenza 361/1998 della Corte costituzionale, per violazione del terzo e quarto comma dell'art. 111 della Costituzione, cosi' come introdotti dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; 2) art. 1.1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione degli artt. 3 al primo comma, 77 e 138, primo comma della Costituzione, nonche' dell'art. 111, terzo e quarto comma, della Costituzione e dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; 3) art. 1.2 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, per violazione dell'art. 111. al quarto comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 260 del cinque luglio duemilauno, depositata il diciannove luglio duemilauno, osservava che successivamente all'ordinanza di rimessione erano intervenute due importanti innovazioni legislative: 1. la legge 25 febbraio 2000, n. 35, con la quale e' stato convertito in legge il d.l. n. 2/2000, sostituendo integralmente l'articolo 1 dell'originario decreto. 2. la legge 1° marzo 2001 n. 63, la quale, in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione, ha apportato sensibili modifiche alla disposizione dell'art. 513 del codice di procedura penale, oggetto dell'impugnativa. Ordinava, pertanto, restituirsi gli atti a questa Corte per verificare se le questioni proposte siano tuttora rilevanti nel giudizio di merito. All'udienza del sedici novembre duemilauno veniva disposta la separazione del procedimento a carico dell'imputato Francesco Salvatore Prisco, che non risultava regolarmente citato. All'udienza odierna i difensori chiedevano trasmettersi nuovamente gli atti alla Corte costituzionale per l'esame delle gia' proposte questioni di legittimita' costituzionale, sollevando altresi' questione di legittimita' costituzionale delle norme sopravvenute. Il procuratore generale aderiva alle richieste della difesa. D i r i t t o Il decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 e' stato convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35. L'art. 1.2 del testo approvato dal Parlamento recita: «Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore, sono valutate, se gia' acquisite al fascicolo per il dibattimento, solo se la loro attendibilita' e' confermata da altri elementi di prova, assunti a formati con diverse modalita'.» La legge 1° marzo 2001, n. 63, intitolata «Modifiche al codice penate ed al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione», ha modificato, con gli artt. 16, 17, 18 e 19, la precedente normativa regolante l'acquisizione e l'utilizzazione delle dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminare, adeguando il sistema al nuovo testo costituzionale. L'art. 26 della legge regola il regime transitorio stabilendo, nel primo comma che «Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a 5». In particolare l'art. 26.4 stabilisce che «Quando le dichiarazioni di cui al comma 3 sono state rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, si applica la disposizione del comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000 n. 35, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000. Se sono state acquisite successivamente, si applica il comma 1-bis dell'art. 526 del codice di procedura penale, come introdotto dall'art. 19 della presente legge». Allo stato della legislazione, quindi, il dettato dell'art. 111 della Costituzione trova piena applicazione, nei processi in corso, soltanto se le dichiarazioni accusatorie rese prima del dibattimento da imputati che si siano poi sottratti all'esame dibattimentale non siano state ancora acquisite al fascicolo per il dibattimento ovvero siano state acquisite in data posteriore al 25 febbraio 2000. Se, invece, le dette dichiarazioni siano state acquisite in data anteriore al 25 febbraio 2000, esse possono essere valutate, se la loro attendibilita' e' confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalita'. Nel caso di specie le dichiarazioni accusatorie sono state acquisite in data anteriore al 25 febbraio 2000 e, quindi, dovrebbero trovare applicazioni le norme transitorie di cui agli artt. 1.2 della legge n. 35/2000 e 26.4 della legge n. 63/2001. Gli altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalita', che, confermando l'attendibilita' delle chiamate in reita' ed in correita', ne consentono la valutazione, possono essere, secondo la consolidata giurisprudenza della Carte di cassazione, di qualsiasi natura e non debbono essere tali da provare, da soli, la reita' dell'accusato, altrimenti il problema della valutazione della chiamata non si porrebbe. Tale situazione si verifica nel caso di specie, nel quale gli altri elementi sono costituiti dalla accertata partecipazione degli imputati a rapine di camion trasportanti nocciole sgusciate, come quella nel corso della quale venne ucciso l'autista Daniele Lamperti. Consegue da cio' la perdurante rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, proposta da questa Corte con ordinanza del 7 febbraio 2000, dell'art. 513 del codice di procedura penale, nel testo anteriore alle modifiche apportate con la legge 63 del corrente anno. Tale norma e', infatti, tuttora applicabile per le disposizioni contenute nel comma 2 dell'art. 1 d.l. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000 n. 35, e 26.4 legge 1°marzo 2001, n. 63. Anche queste norme sono in conflitto con gli artt. 3, primo comma e 111, terzo e quarto comma, della Costituzione. Esse determinano, infatti, un'ingiustificata disparita' di trattamento fra imputati in processi diversi, a seconda che le dichiarazioni accusatorie non confermate siano state o meno acquisite al fascicolo per il dibattimento e che l'acquisizione sia avvenuta prima o dopo il 25 febbraio 2000. Esse consentono inoltre, allorche' l'acquisizione sia avvenuta, come nel caso di specie, in epoca anteriore al 25 febbraio 2000, che la colpevolezza dell'imputato sia provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore. Cio' contrasta, con ogni evidenza, con l'attuale formulazione dell'art. 111 della carta costituzionale, che preclude non l'acquisizione, ma appunto la valutazione di quelle dichiarazioni a carico dell'imputato. La questione di legittimita' costituzionale delle citate norme e', quindi, rilevante e non manifestamente infondata. Gli atti vanno nuovamente trasmessi alla Corte costituzionale, con gli ulteriori adempimenti di legge.