Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, nella persona
del   legale   rappresentante  p.t.,  rappresentato  e  difeso  dalla
Avvocatura  generale  dello  Stato,  presso gli uffici della quale in
Roma,  via  dei  Portoghesi  n. 12 domicilia (delibera C.M. 3 ottobre
2003);

    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
della  Regione  Umbria  29  luglio 2003, n. 17, pubblicata nel B.U.R.
n. 33  del  13  agosto  2003,  in quanto in contrasto con l'art. 117,
comma 1 e comma 2, lett. s).
    1. - La  Regione  dell'Umbria  ha emanato una legge, la n. 17 del
2003  (pubblicata  nel B.U.R. n. 33 del 13 agosto 2003), con la quale
interviene  sulla  precedente  l.r. 17 maggio 1994, n. 14, contenente
norme  «per  la  protezione  della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio».
    La modifica delle precedenti disposizioni interviene nel senso di
ampliare   la   possibilita'   di   prelievo   faunistico  venatorio,
anticipando  la  possibilita'  di  cacciare  talune  specie  fino  al
1° settembre di ciascun anno.
    La norma regionale e' quindi derogatoria del disposto della legge
dello  Stato  n. 157/1992,  la  quale all'art. 18 prevede degli archi
temporali massimi per la cacciabilita' delle diverse specie.
    Orbene,   la   Regione   Umbria  ha  provveduto  ad  abrogare  il
riferimento   a   tali   archi  temporali  massimi  ed  invalicabili,
precedentemente   contenuto   nella   l.r.   14/1994,   semplicemente
specificando   che   «Il   calendario  venatorio,  ove  ricorrano  le
condizioni di cui all'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992,
n. 157,  puo'  consentire il prelievo venatorio di determinate specie
dal primo giorno utile di settembre, stabilendone le modalita».
    2. - L'art. 18,  comma  2,  della  legge  157/1992  autorizza  le
Regioni  ad  apportare  specifiche  modifiche  ai  termini iniziale e
finale ai fini della cacciabilita' delle specie, pero' con un duplice
limite:
        a)   motivazione  in  relazione  a  specifiche  situazioni  e
necessita'  locali,  delle  quali non e' fatta parola nella l.r., che
non da' qualificazione alle eventuali deroghe;
        b)  redazione  di  un  piano  faunistico  adeguato,  che deve
accompagnare   le   eventuali   deroghe   conferendovi  carattere  di
razionalita'  e  pianificazione. Nel nuovo testo della l.r. approvata
si disciplina solo la procedura di deroga, non anche la necessita' di
azione in forma pianificata;
        c)  il  rispetto  degli archi temporali massimi, previsti dal
comma  1  dell'art. 18  della  legge  157/92, differenziati per varie
tipologie faunistiche, e volto a preservare l'integrita' delle specie
e prevenire abusi nella caccia.
    3. - La  normativa  regionale,  sicuramente derogatoria di quella
nazionale  nel  senso di una minor tutela della fauna, si pone dunque
in  contrasto con la ripartizione delle competenze costituzionalmente
prevista.   Deve,   in  particolare,  registrarsi  il  contrasto  con
l'art. 117,  comma  2,  lett.  s),  Cost., il quale affida la materia
della  tutela dell'ambiente e dell'ecosistema alla potesta' esclusiva
dello Stato.
    Non   possono   sussistere  dubbi  sull'esistenza  di  un  nucleo
normativo  minimo  di  tutela  della  fauna  e  dell'ambiente su base
nazionale,   dal  momento  che  il  tema  e'  gia'  stato  ampiamente
affrontato  dalle recenti sentt. 536/02, 226/03 e 227/03 della Corte,
che  hanno  chiaramente  censurato  disposizioni  regionali  le quali
avevano  ampliato  a  dismisura  i  limiti  del  calendario venatorio
regionale.
    4 - La  violazione di competenza concretata dalla legge regionale
umbra  si  ripercuote  altresi'  su  di un altro rilevante profilo di
tutela  costituzionale.  Ci  si riferisce al rispetto della normativa
comunitaria,  che e' posto dall'art. 117, comma 1, Cost. quale limite
per entrambe le potesta' legislative (statale e regionale); esso deve
essere   difeso  dallo  Stato  in  sede  di  giudizio  su  interventi
legislativi  regionali  che  contrastino  con  la Costituzione e/o le
fonti  del diritto comunitario, al fine di evitare che l'Italia debba
rispondere  dei  danni  arrecati  da  dette  violazioni, violando gli
obblighi posti dall'art. 10 C.E.
    Nel  caso  di  specie  in  giurisprudenza  si  e'  avuto  modo di
osservare  come la normativa comunitaria, ancorche' evidentemente non
fissi date precise per i calendari venatori (come ovvio, applicandosi
dette  norme  in  Paesi  geograficamente  e  naturalisticamente assai
differenti  tra  loro), vuole garantire uno standard minimo di tutela
ai  fini  della  sopravvivenza  e  riproduzione  delle  specie  (dir.
79/409/CEE). Non si puo' non convenire che estensioni ad oltranza del
calendario  venatorio  vadano in senso peggiorativo di detto standard
cui  la comunita' vuole dare garanzia e che lo Stato italiano ha piu'
precisamente  definito,  con la legge 157/1992. Anche su questo punto
deve farsi riferimento alle sentt. 226 e 227 del 2003.