Ricorso  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta, in persona del
presidente   della  giunta  regionale  e  legale  rappresentante  pro
tempore,  sig.  Carlo Perrin, rappresentata e difesa, giusta delega a
margine  del  presente  atto  ed in virtu' di deliberazione di giunta
regionale  n. 3561 del 29 settembre 2003 (all. 1) di autorizzazione a
stare  in  giudizio,  dagli  avv.  proff.  Giuseppe  Franco Ferrari e
Massimo  Luciani,  e  con  questi elettivamente domiciliata presso lo
studio del secondo in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;

    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
1°  agosto 2003, n. 212, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, S.O. serie
generale  n. 185,  recante  «Conversione in legge, con modificazioni,
del  decreto-legge  24  giugno  2003,  n. 143,  recante  disposizioni
urgenti  in  tema  di versamento e riscossione tributi, di Fondazioni
bancarie  e  di gare indette dalla Consip S.p.a.», nella parte in cui
apporta  modificazioni  all'art.  24  della  legge  27 dicembre 2002,
n. 289 (legge finanziaria per ii 2003) (all. 2).

                              F a t t o

    Con  ricorso  n. 19/2003,  depositato  in  data  7 marzo 2003, la
Regione autonoma Valle d'Aosta, al pari di altre regioni italiane, ha
sollevato   in   via   principale   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  della  legge  finanziaria  per  il 2003, n. 289/2002,
ritenendo  alcune  disposizioni ivi contenute lesive sotto molteplici
profili dell'ordine costituzionale delle competenze legislative delle
Regioni, e segnatamente della Regione autonoma ricorrente.
    Nelle  more  della decisione del predetto ricorso, il legislatore
statale  e'  nuovamente  intervenuto  sui  medesimi temi gia' oggetto
della  contestata  legge  finanziaria, arrecando ancora una volta una
grave  lesione delle prerogative costituzionalmente riconosciute alle
Regioni,  ed  in  particolare alle Regioni a statuto speciale. Con la
legge  indicata  in  epigrafe,  infatti,  sono state apportate alcune
modificazioni   all'originario   testo   dell'art. 24   della   legge
n. 289/2002,  introducendo  una nuova disciplina di dettaglio in tema
di contratti di appalto pubblici.
    Le  nuove  disposizioni  continuano  ad  essere affette anche dai
medesimi  vizi  delle  precedenti, ma determinano altresi' un nuovo e
ulteriore  pregiudizio  per  le  competenze  regionali, aggravando la
lesivita'  del  contenuto  precettivo  e della portata di quelle gia'
impugnate.  Deve essere pertanto proposto il presente ricorso, per la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   della   legge
n. 212/2003,   nella   parte   in   cui   modifica  l'art. 24,  legge
n. 289/2002, e cio' alla luce dei seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    Violazione  degli  artt.  3,  5,  114,  117, 118, 118 e 119 della
Costituzione  e  dell'art.  10  legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3.  Violazione degli artt. 2 e 4, legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4.
    1. -    In  via  preliminare,  occorre  rilevare  che,  ai  sensi
dell'art. 2, comma 1, lett. a), dello statuto della Valle d'Aosta, la
regione   e'   titolare   di   competenza  esclusiva  in  materia  di
«ordinamento  degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione». In
tale  materia,  ai  sensi  dell'art. 4,  la regione esercita anche le
funzioni amministrative
    Ora,  e'  di piana evidenza che la legge impugnata, disciplinando
l'acquisto    di    beni    e   servizi   da   parte   degli   uffici
dell'amministrazione   regionale   per   il   loro  funzionamento  (e
regolando,   per   soprammercato,  la  responsabilita'  dei  pubblici
dipendenti  che  sottoscrivono  i  relativi contratti) incide appunto
nella  materia dell'«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti
dalla Regione». Essa, pertanto, si appalesa radicalmente illegittima,
per  violazione  dello  Statuto  di  autonomia,  per invasione di una
materia di competenza esclusiva della ricorrente.
    2. - Anche   a  voler  prescindere  dalla  decisiva  censura  che
precede,  l'illegittimita'  della  legge impugnata non verrebbe meno.
Occorre,   infatti,   sottolineare   l'atteggiamento   generale   del
legislatore  statale,  che emerge, cosi' come dalla legge finanziaria
2003,  anche  dalla  legge n. 212/2003 qui impugnata: la tendenza del
legislatore   statale   e'   evidentemente  quella  di  continuare  a
legiferare  come  se  la riforma costituzionale dell'ottobre 2001 non
avesse  lasciato tracce. Da un lato, si assiste a continue incursioni
della  legge  statale in materie di esclusiva competenza regionale e,
dall'altro,  si  incontrano  norme  di  analitico dettaglio anche nei
settori di legislazione concorrente.
    Entrambi  questi  atteggiamenti appaiono in netto contrasto con i
principi   enunciati  dalla  Carta  costituzionale  e,  pertanto,  le
disposizioni  normative  in  cui  essi trovano espressione sono senza
dubbio   gravemente  illegittime.  Se,  infatti,  fino  alla  riforma
costituzionale  del  2001  la  legge  statale  era fonte a competenza
generale  -  sia  pure subordinata alla Costituzione -, ora essa deve
fondare  la  propria  competenza  non  su una presunzione generale in
proprio  favore,  bensi'  su uno dei «titoli» costituiti, da un lato,
dall'art. 117,  comma 2 (materie di esclusiva competenza dello Stato)
e  comma  3  (materie  di  competenza  legislativa  concorrente),  e,
dall'altro,  dalle  altre disposizioni costituzionali dalle quali sia
desumibile una riserva o una preferenza a favore della legge statale.
    Spetta  invece alle regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 4, «la
potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata  legislazione dello Stato», fermo restando quanto stabilito
per  le  regioni  ad  autonomia  speciale dai rispettivi statuti, che
riconoscono  al legislatore regionale la potesta' esclusiva in alcuni
specifici settori (cfr. art. 2, legge costituzionale n. 4/1948).
    Peraltro,   anche  nei  settori  di  competenza  concorrente,  il
legislatore   statale   deve  comunque  limitarsi  a  fissare  larghe
direttive  di principio e non puo', viceversa, spingersi a legiferare
in  maniera  completa  e  dettagliata, dovendo lasciando alle Regioni
ambiti  di  manovra  compatibili  con  la  natura  regolativa - e non
meramente attuativa - della loro competenza.
    Cio'  vale  anche per le regioni a statuto speciale, per le quali
l'art. 10,   legge   costituzionale   n. 3/2001,  precisa  che  «sino
all'adeguamento   dei   rispettivi  statuti,  le  disposizioni  della
presente  legge  costituzionale  si  applicano  anche  alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano per le
parti  in  cui  prevedono  forme  di  autonomia piu' ampie rispetto a
quelle gia' attribuite».
    Alla  luce  di  quanto sin qui rilevato, non puo' che concludersi
per  l'inammissibilita'  di  un  intervento  legislativo  statale che
consista  nell'enunciazione  di  norme  di  dettaglio  -  per  quanto
cedevoli possano essere - nelle materie elencate nell'art. 117, comma
3  della Costituzione, a maggior ragione, un siffatto intervento deve
ritenersi   inammissibile  in  tutte  le  materie  non  espressamente
indicate  nel  testo  costituzionale,  per le quali vale il principio
della  esclusivita'  delle prerogative regionali, cosi' come in tutte
le  materie  indicate dallo statuto speciale come ambiti di opotesta'
legislativa esclusiva della Regione.
    Cio' premesso, anche ove si ritenesse che la materia incisa dalla
legge  impugnata sia quella dei contratti d'appalto pubblici, e anche
prescindendo  dalla  qualificazione  di  tale materia come settore di
esclusiva  competenza  regionale  ovvero  come ambito di legislazione
concorrente,  non  puo' che ravvisarsi un grave quanto evidente vizio
di  incostituzionalita' nelle disposizioni censurate, dal momento che
esse si configurano quali norme di analitico dettaglio.
    3. - Venendo  ad  un esame puntuale delle disposizioni introdotte
con  la legge censurata nell'originario testo della finanziaria 2003,
si  segnalano  in  particolare  due  rilevanti  novita', direttamente
incidenti sull'autonomia regionale.
    In  primo  luogo,  la  legge n. 212/2003 circoscrive l'obbligo di
ricorrere  alle  convenzioni quadro definite dalla CONSIP da parte di
alcune  pubbliche  amministrazioni,  limitandolo alle sole ipotesi in
cui  si  debbano  acquistare beni o servizi caratterizzati «dall'alta
qualita'  dei  servizi  stessi e dalla bassa intensita' di lavoro», e
demandando  poi al Ministero dell'economia e delle finanze il compito
di indicare con decreto quali servizi possano considerarsi rientranti
nella  predetta  nozione  (nuovi  commi  3 e 3-bis dell'art. 24). Nel
testo originario dell'art. 24, legge n. 289/2002, invece, invece, non
si poneva alcun limite.
    In  secondo  luogo,  viene  contestualmente  introdotta una nuova
disposizione  (comma 4-bis dell'art. 24) che consente la stipulazione
di  ogni  tipo  di  contratto  senza utilizzare le convenzioni quadro
definite  dalla  CONSIP  solo  quando  il  valore  dei  costi e delle
prestazioni  dedotte  in  contratto  sia  uguale o inferiore a quello
previsto dalle stesse convenzioni CONSIP.
    Resta  invariato,  invece, ii comma 9 dell'art. 24, che qualifica
le  disposizioni  di cui ai commi 1, 2 e 5 come «norme di principio e
coordinamento» per le Regioni, lasciando cosi' intendere che le altre
statuizioni  contenute nell'art. 24 debbano viceversa ritenersi norme
di dettaglio vincolanti per le amministrazioni regionali.
    La  palese illegittimita' della legge n. 212/2003 in parte qua e'
rilevabile  ove  solo  si  consideri  che  la  materia  degli appalti
pubblici   di  servizi  e  forniture,  su  cui  essa  interviene  con
disposizioni di dettaglio, a ben vedere, non e contemplata fra quelle
di   competenza   esclusiva  statale  elencate  dall'art. 117,  comma
secondo, della Costituzione, ne' tra quelle in cui vi e' una potesta'
concorrente  Stato-Regioni  ai sensi dell'art. 117, comma terzo della
Costituzione.
    Ne  deriva  che  la  disciplina  delle  acquisizioni di servizi e
forniture,  per  la  parte  che non concerne le acquisizioni da parte
delle  amministrazioni statali, e' da ascriversi (sempre ove si neghi
l'evidenza,   e   cioe'   che   la   materia  d'interesse  e'  quella
dell'organizzazione  degli  uffici regionali) alla potesta' normativa
generale,   residuale   ed   esclusiva   delle   Regioni,   ai  sensi
dell'art. 117, comma quarto della Costituzione.
    Con  specifico  riferimento  alla Regione autonoma Valle d'Aosta,
peraltro, ogni considerazione rimane assorbita dall'esame dell'art. 2
dello  statuto  speciale, che attribuisce al legislatore regionale la
potesta'  primaria  in  una  serie  di  settori nell'ambito dei quali
l'acquisizione  di  beni,  servizi e forniture non puo' che sottrarsi
all'applicazione  della  disciplina  statale,  fatta eccezione per le
sole norme fondamentali di riforma economico-sociale.
    Non  basta  il  richiamo, contenuto nel primo comma dell'art. 24,
legge  n. 289/2002,  a  presunte  ragioni di «trasparenza e di tutela
della  concorrenza»  per consentire di ravvisare la sussistenza nella
fattispecie  dei  presupposti legittimanti l'esercizio della potesta'
legislativa  esclusiva da parte dello Stato: al di la' della generale
irrilevanza  della  autoqualificazione  di  una  norma,  le  invocate
esigenze  di  tutela  della  concorrenza,  nella  accezione comune di
correzione   degli   effetti  distorsivi  e  di  abuso  di  posizione
dominante,  infatti,  non  paiono  seriamente  perseguite nel caso di
specie,  in  cui  al contrario il sistema dell'acquisizione di beni e
servizi  attraverso  le  convenzioni  CONSIP  o alle condizioni ed ai
prezzi  ivi stabiliti non facilita la concorrenza nel mercato, bensi'
produce semmai un consistente orientamento del medesimo.
    Quand'anche  si  aderisse ad un'interpretazione piu' restrittiva,
che riconosca alle regioni una competenza meramente concorrente nella
materia  de  qua  (sebbene  essa non paia riconducibile ad alcuno dei
settori enumerati nell'art. 117, comma terzo, della Costituzione), le
disposizioni  censurate  risulterebbero comunque illegittime: la loro
analiticita', infatti, che trova persino una implicita conferma nella
circostanza  che  solo  le  disposizioni  di  cui  ai  commi 1, 2 e 5
dell'art. 24,  legge n. 289/2002, siano state qualificate come «norme
di principio e di coordinamenti», e' clamorosamente evidente.
    Il   legislatore   statale   ha   inteso   vincolare  le  Regioni
all'applicazione  di  disposizioni  articolate e di dettaglio, in tal
modo scavalcando completamente la legge regionale; cio' in un settore
in  cui  deve essere riconosciuta alle Regioni una potesta' normativa
residuale  ed  esclusiva,  ovvero  -  in  subordine  -  in  cui  deve
riconoscersi  quanto  meno una ripartizione di competenze tra stato e
regioni,  in  forza  della  quale  la  legge regionale resta comunque
l'unica   fonte   competente  all'adozione  di  previsioni  normative
analitiche e puntuali.
    In  conclusione,  sia  che  si  versi  in  materia  di competenza
esclusiva  regionale,  sia  che  si  versi  in  materia di competenza
concorrente,  si  riscontra nella fattispecie una palese invasione da
parte  del  legislatore  statale delle prerogative riconosciute dalla
Costituzione  e  dallo  statuto  speciale alla Regione autonoma Valle
d'Aosta, invasione perpetrata tramite l'adozione di una disciplina di
dettaglio, peraltro nient'affatto cedevole, parzialmente modificativa
della  normativa  precedente  (gia'  impugnata)  in  tema  di appalti
pubblici.
    Accanto  ad una grave violazione dell'art. 117 della Costituzione
e dell'art. 2, legge cost. n. 4/1948, e' altresi' riscontrabile nella
fattispecie  una  altrettanto  grave  violazione  deIl'art. 118 della
Costituzione e dell'art. 4, legge cost. n. 4/1948, nella parte in cui
riconoscono  alla  regione  Valle  d'Aosta la titolarita' di funzioni
amministrative  proprie.  E'  evidente,  del  resto,  che,  oltre  ad
invadere  un  ambito  di  normazione  regionale,  la  legge impugnata
finisce   per  incidere  anche  sull'autonomia  amministrativa  della
regione,  che  si  trova  fortemente  limitata  nelle  proprie scelte
discrezionali  in  tema di acquisizione di beni e servizi dai vincoli
imposti dal legislatore statale.