ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1,
lettera a),   della   legge   2 agosto   1990,  n. 233  (Riforma  dei
trattamenti  pensionistici  dei  lavoratori  autonomi)  promosso  con
ordinanza del 18 aprile 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento
civile  vertente tra Dagnino Paolo Mario e l'INPS, iscritta al n. 297
del  registro  ordinanze  2002  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti gli atti di costituzione di Dagnino Paolo Mario e dell'INPS
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 maggio 2003 il giudice
relatore Fernanda Contri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel  corso  di  un  giudizio promosso da Paolo Mario Dagnino
contro  l'INPS, il Tribunale di Genova, sezione lavoro, con ordinanza
emessa  il  18 aprile  2002,  ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 16,  comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1990, n. 233
(Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi).
    Il giudice a quo sostiene che la norma censurata, nel disporre il
cumulo dei contributi versati alle gestioni commercianti ed artigiani
ai  fini  della  liquidazione della pensione, determina una riduzione
del trattamento pensionistico rispetto a quello che sarebbe spettato,
ai  sensi  dell'art. 5  della  stessa  legge n. 233 del 1990, qualora
tutti  i  contributi  fossero  stati  versati  ad  un'unica  gestione
previdenziale.   La  suddetta  riduzione  non  sarebbe  giustificata,
secondo   il   giudice   a   quo,   dalla  misura  complessiva  della
contribuzione  versata che nel caso di specie sarebbe sostanzialmente
uguale  a  quella  che  sarebbe stata richiesta e versata in un'unica
gestione speciale.
    Assumendo  l'art. 5  della  legge  n. 233 del 1990 quale criterio
normativo  di  comparazione  rispetto  alla fattispecie sottoposta al
giudizio,  il  rimettente  rileva  che la parametrazione della misura
della  pensione  in  favore  dei  soggetti rimasti iscritti alla sola
gestione  artigiani  (o  commercianti)  al  reddito  d'impresa  quale
risulta  dalla  media  dei  redditi percepiti negli ultimi dieci anni
coperti  da  contribuzione,  ovvero  in  numero  inferiore  di  anni,
anteriori  alla  decorrenza  della  pensione,  produce  una rilevante
disomogeneita'  dei due trattamenti previdenziali in comparazione, la
quale  non  risulta  giustificata  in  presenza  di una contribuzione
sostanzialmente   uguale  in  entrambe  le  ipotesi  normative  e  di
un'attivita'  comunque di lavoro autonomo. Sul punto e' richiamata la
sentenza  n. 264  del  1994  di  questa Corte, nella quale si afferma
essere  contrario al principio di razionalita' che all'inserimento di
un  periodo  di  contribuzione  nella  base di calcolo della pensione
consegua,   in  un  sistema  che  prende  in  considerazione  per  la
determinazione  della retribuzione pensionabile solo l'ultimo periodo
lavorativo,  come  unico  effetto,  un depauperamento del trattamento
pensionistico  rispetto  a  quello gia' ottenibile ove in tal periodo
non vi fosse contribuzione alcuna.
    La  norma  di  cui  all'art. 16, comma 1, lettera a), della legge
n. 233  del  1990,  attraverso il richiamo alle contribuzioni versate
nei periodi di iscrizione alle rispettive gestioni senza alcun limite
temporale,  determinerebbe,  quale suo effetto, un inferiore e quindi
irragionevole  trattamento  pensionistico, a parita' di contribuzioni
versate  ed  in  presenza  di  attivita' entrambe di lavoro autonomo,
rispetto  a quello riconosciuto dalla normativa favorevole di settore
al  pensionato  rimasto  iscritto, ininterrottamente, nel corso della
vita lavorativa, ad un'unica gestione speciale.
    Aggiunge il rimettente che la norma di cui all'art. 5 della legge
n. 233  del  1990 trova generale applicazione, nel settore del lavoro
autonomo,   per   i   trattamenti   pensionistici  aventi  decorrenza
successiva  al  1° luglio 1990, indipendentemente dalla sussistenza o
meno di periodi di contribuzione versati in misura fissa, per cui, in
caso  di  accoglimento  della  questione,  anche  il  ricorrente  nel
giudizio  a  quo  rientrerebbe  nell'area  applicativa della suddetta
norma.
    Il  giudice  a  quo  argomenta,  infine,  sulla  rilevanza  della
questione  sollevata,  specificando  che  una  eventuale pronuncia di
illegittimita'  costituzionale  della  norma  censurata darebbe luogo
alla   disapplicazione   del  provvedimento  dell'INPS  determinativo
dell'importo   mensile   lordo   della  pensione,  adottato  in  base
all'art. 16,  comma 1, della legge n. 233 del 1990, ed al conseguente
riconoscimento  del  diritto dell'assicurato a percepire una pensione
di anzianita' di ben maggiore importo.
    2. - Si  e'  costituita  in  giudizio  la  parte  ricorrente  del
giudizio   a   quo,  la  quale,  nel  chiedere  l'accoglimento  della
questione,  sottolinea  che  la  disparita' di trattamento realizzata
dalla  norma  censurata non sarebbe giustificata sotto alcun profilo,
in quanto: a) le attivita' considerate (commerciale e artigiana) sono
entrambe  di  lavoro  autonomo;  b) le contribuzioni richieste per le
rispettive   gestioni   sono,  a  parita'  di  reddito,  praticamente
coincidenti;  c) le prestazioni erogate a chi, rispettivamente, abbia
la  pensione liquidata nella gestione esercenti attivita' commerciali
o  nella  gestione artigiani (a parita' di contribuzioni e di periodi
contributivi) sono sostanzialmente equivalenti.
    3. - Si  e'  costituito  in  giudizio  l'INPS,  chiedendo  che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    A giudizio dell'INPS, l'inammissibilita' discenderebbe dal tenore
dell'ordinanza di rimessione, che farebbe riferimento alla lettera b)
del  comma 1 dell'art. 16 della legge n. 233 del 1990, che disciplina
l'ipotesi  di  periodi assicurativi versati nelle gestioni speciali e
nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', vecchiaia
e   superstiti   dei  lavoratori  dipendenti,  non  applicabile  alla
fattispecie esaminata dal giudice a quo.
    Nel  merito,  la  questione  sarebbe infondata. L'interpretazione
secondo   la   quale   l'art. 16   della   legge   n. 233   del  1990
disciplinerebbe  soltanto il cumulo tra i periodi assicurativi in una
sola gestione autonoma e in quella dei lavoratori dipendenti e non il
cumulo  dei  contributi  in  diverse gestioni autonome non troverebbe
fondamento      ne'      nell'interpretazione      letterale,     ne'
nell'interpretazione  sistematica  e porterebbe, come affermato nella
giurisprudenza  della Cassazione, ad una «irragionevole disparita' di
trattamento tra chi cumula periodi assicurativi in gestioni autonome,
che  godrebbe  del piu' favorevole sistema di conteggiare la pensione
sulla  media  dei  redditi  degli  ultimi  dieci  anni  con  un'unica
anzianita'   complessiva,   rispetto   a   chi,   cumulando   periodo
assicurativo  in  gestione  dei  lavoratori dipendenti con periodo in
gestione  autonoma,  sommerebbe solo due quote di pensione e potrebbe
godere  dell'altro  sistema solo versando il riscatto previsto per la
ricongiunzione dei periodi dall'art. 2 della legge n. 29 del 1979».
    Secondo  l'INPS,  una disparita' di trattamento si realizzerebbe,
quindi, ove fosse accolta la questione sottoposta all'esame di questa
Corte,  ponendosi le basi per applicare una differente disciplina per
i soggetti che possono cumulare periodi assicurativi in piu' gestioni
speciali.
    4. - Nel  giudizio  si  e' costituito il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    La  difesa  erariale  osserva  anzitutto  che attraverso la norma
dell'art. 16  della  legge  n. 233  del 1990 il legislatore ha voluto
introdurre   la  possibilita',  in  alternativa  alla  ricongiunzione
onerosa,  di  utilizzare  una  diversa  modalita' di calcolo, fondata
sulla   somma  delle  quote  di  pensione,  imputabili  alle  singole
gestioni,  ognuna  delle  quali  calcolata  secondo i criteri vigenti
presso  ciascuna  di  esse.  Resta  ferma,  dunque, la facolta' per i
lavoratori  autonomi  che  abbiano  contributi  in  piu'  gestioni di
valersi  delle  disposizioni  in  tema di ricongiunzione onerosa, che
permette  il  trasferimento dei contributi da una gestione all'altra,
accentrando   cosi'  presso  un'unica  gestione  i  vari  periodi  di
assicurazione  (art. 16,  comma 3,  della  legge n. 233 del 1990). Il
richiamo  esplicito  alla facolta' di ricongiunzione onerosa porta ad
escludere che chi si avvale di essa, sopportandone l'onere, abbia poi
un calcolo della prestazione con le stesse modalita' previste in base
al cumulo gratuito.
    D'altra  parte, come sottolineato dalla Corte di cassazione nella
sentenza  n. 1891  del  2000,  il  meccanismo  introdotto dalla legge
n. 233  del  1990 e' determinato dall'esigenza di non far ricadere su
ogni  gestione un onere piu' gravoso rispetto a quello che si sarebbe
realizzato in assenza di cumulo.
    Secondo  la  difesa  erariale, la legge n. 233 del 1990 ha voluto
introdurre   un   meccanismo   che  preveda  il  cumulo  dei  periodi
assicurativi,  senza  pero'  introdurre alterazioni del meccanismo di
calcolo,  secondo  il sistema retributivo, della quota dovuta da ogni
singola  gestione,  proprio  al  fine  di  preservare  gli  equilibri
finanziari delle gestioni speciali.
    La  difesa  erariale  richiama,  infine,  alcuni  passaggi  della
sentenza  di  questa  Corte  n. 198  del  2002, con la quale e' stata
dichiarata  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 16  della  legge  n. 233  del  1990,  con  riferimento agli
artt. 2,  3,  35  e  38.  In  particolare,  ai  fini  della richiesta
dichiarazione di infondatezza della questione ora all'esame di questa
Corte   rileverebbero   le   seguenti  affermazioni  contenute  nella
richiamata  sentenza:  a)  la totalizzazione dei periodi contributivi
versati   in   diverse  gestioni  previdenziali  non  ha  nel  nostro
ordinamento un carattere generale; b) in contrario non puo' invocarsi
la  sentenza  n. 61  del 1999 di questa Corte che ha si' enucleato il
principio   della   totalizzazione,   ma   delimitandone  chiaramente
l'operativita'  al  caso  in  cui  l'assicurato non abbia maturato il
diritto  ad  un  trattamento  pensionistico  in alcuna delle gestioni
nelle  quali  e',  o e' stato, iscritto; c) in senso diverso non puo'
nemmeno  valere  il richiamo all'art. 42, lettera a, del Trattato CE,
alla  normativa  comunitaria  di  attuazione (regolamento n. 1408 del
1971 e successive modifiche) e alla giurisprudenza comunitaria (Corte
di giustizia, 24 settembre 1998, in causa 132/1996); d) rientra nella
discrezionalita'  del  legislatore  la  scelta circa l'estensione del
principio  della  totalizzazione  al  di la' dell'ipotesi contemplata
nella  sentenza  n. 61  del  1999;  e)  questa  Corte,  per il dovuto
rispetto  della discrezionalita' legislativa, non puo' introdurre una
nuova  ipotesi  di  totalizzazione,  ai  fini della misurazione della
pensione,   anche  in  considerazione  del  fatto  che  il  principio
costituzionale  della  adeguatezza della prestazione pensionistica e'
comunque  soddisfatto dalla presenza, nella normativa vigente (art. 5
della  legge  12 agosto  1962,  n. 1338), di uno strumento costituito
dalla  pensione  supplementare,  idoneo  ad assicurare - all'atto del
pensionamento  -  l'utilizzo di tutti i periodi, anche brevi, coperti
da contribuzione.
    5. - In prossimita' della camera di consiglio la parte ricorrente
nel  giudizio a quo ha presentato una memoria nella quale insiste per
l'accoglimento   della   questione   di  legittimita'  costituzionale
sollevata dal Tribunale di Genova.
    Nella  predetta  memoria  si  osserva,  anzitutto,  in  relazione
all'intervento   dell'Avvocatura   generale   dello   Stato,  che  la
ricongiunzione  onerosa  di periodi contributivi prevista dalla legge
n. 29  del  1979 non sarebbe contemplata per il soggetto «transitato»
soltanto  in  due  gestioni  INPS  del lavoro autonomo (come gestione
commercianti e gestione artigiani).
    L'art. 1  della  legge  n. 29  del  1979, come riconosciuto nella
circolare  del  Ministero  del  lavoro  del  20 ottobre  1979, n. 77,
riguarderebbe,  infatti,  la  diversa  ipotesi  di  ricongiunzione di
periodi  di lavoro autonomo nel fondo pensioni lavoratori dipendenti,
mentre  l'art. 2 della medesima legge riguarderebbe la ricongiunzione
di  periodi di lavoro autonomo in gestioni diverse dal fondo pensioni
lavoratori   dipendenti.   Essa   sarebbe   tuttavia   possibile  non
nell'ambito  delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi curate
dall'INPS   ma   solo   riguardo  a  gestioni  di  lavoro  dipendente
alternative rispetto al fondo pensioni lavoratori dipendenti.
    La  difesa  del  ricorrente nel giudizio a quo sottolinea inoltre
che  la  sentenza  n. 198  del 2002 di questa Corte, richiamata dalla
Avvocatura    generale   dello   Stato,   riguarderebbe   fattispecie
completamente diversa da quella oggetto del presente esame, avendo ad
oggetto   l'istanza   di   «totalizzazione»  dei  contributi  versati
all'ENPALS  con  quelli  versati  alla gestione speciale commercianti
dell'INPS.  Nel  caso  ora  all'esame di questa Corte, riguardante le
gestioni   commercianti   e   artigiani,   vi  sarebbe,  diversamente
dall'ipotesi considerata nella sentenza n. 198 del 2002, identita' di
settore  (autonomo),  contribuzioni  sostanzialmente identiche per le
due  gestioni,  prestazioni  pensionistiche anch'esse sostanzialmente
identiche  a  parita'  di  contribuzioni per artigiani e commercianti
salvo  nel  solo  caso  di  iscrizione  in  tempi successivi alle due
gestioni.
    Nel caso de quo si avrebbe una decurtazione di pensione superiore
al  100%,  conseguente  all'applicazione  della  norma censurata, che
appare   irrazionale   e   ingiustificata   in  quanto  creatrice  di
macroscopica  sperequazione nel trattamento pensionistico rispetto ai
soggetti sempre iscritti alla medesima gestione.
    Con   riferimento   alla  memoria  di  costituzione  in  giudizio
dell'INPS,  la  difesa  del  ricorrente  nel  giudizio  a quo osserva
anzitutto  che  l'eccezione  di  inammissibilita'  sarebbe  del tutto
pretestuosa,   in   quanto   il   riferimento   contenuto  nel  testo
dell'ordinanza  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale alla lettera b)
dell'art. 16,  comma 1, della legge n. 233 del 1990 sarebbe frutto di
un mero errore materiale, che non osta all'individuazione della norma
viziata.  Nel  merito,  non  sarebbe  conferente  il riferimento alla
sentenza  della Cassazione, sezione lavoro, 18 febbraio 2000, n. 1891
e ad altre due decisioni conformi del Supremo Collegio che forniscono
una  interpretazione  della  disposizione censurata pacifica in causa
secondo    le    parti   e   il   giudice   rimettente   ma   viziata
d'incostituzionalita' in rapporto all'art. 3 della Costituzione.
    6. - In  prossimita'  della camera di consiglio ha depositato una
memoria  anche  l'INPS,  nella  quale si sottolinea anzitutto che non
sarebbe  conferente  il richiamo operato dal rimettente alla sentenza
di  questa  Corte n. 264 del 1994. La predetta sentenza (che conferma
principi  gia'  fissati  nelle precedenti decisioni n. 307 del 1989 e
n. 428  del  1992) si riferisce a soggetti che avevano gia' acquisito
il  diritto  alla  pensione  di  vecchiaia,  mentre nella fattispecie
portata  dinanzi  al  Tribunale  di  Genova  l'interessato  e'  stato
collocato in pensione di anzianita' contributiva con il calcolo della
pensione  a  «quote»  per  la  presenza  di  contribuzione versata in
gestioni     speciali    diverse    (artigiani    e    commercianti),
indipendentemente   dal   versamento  dei  contributi  volontari  non
determinanti per il diritto a pensione.
    Il  legislatore  avrebbe  inteso garantire con la norma censurata
l'equilibrio finanziario delle singole gestioni, consentendo soltanto
che  la  liquidazione  della pensione avvenisse con imputazione delle
rispettive   quote   alle  singole  gestioni  assicurative,  con  una
soluzione  in seguito adottata anche con la disciplina introdotta con
l'art. 71 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
    Secondo  l'INPS  la  norma  censurata  si  inserisce  nel sistema
previdenziale  rispettando i principi costituzionali che garantiscono
un  minimo  di  tutela dei lavoratori oltre il quale e' consentito al
legislatore     di    esercitare    la    propria    discrezionalita'
nell'individuare    la   disciplina   applicabile   alle   molteplici
fattispecie presenti nell'ordinamento.

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Tribunale  di  Genova,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questione   di   legittimita'  costituzionale  relativa  all'art. 16,
comma 1,  lettera a),  della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei
trattamenti  pensionistici  dei lavoratori autonomi), «nella parte in
cui prevede che l'importo della pensione, per i lavoratori che vedono
liquidata  la medesima attraverso il cumulo dei contributi versati in
due   diverse   gestioni  speciali,  entrambe  relative  a  pregressa
attivita'  di  lavoro autonomo, e' costituito dalla somma delle quote
di  pensione  calcolate  sulla  base  dei  periodi di iscrizione alle
rispettive  gestioni».  Si  lamenta  la  violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto  la  disciplina censurata determinerebbe un
inferiore e quindi irragionevole trattamento pensionistico, a parita'
di  contribuzioni  versate  ed  in  presenza di attivita' entrambe di
lavoro  autonomo  (artigianale  e  commerciale),  rispetto  a  quello
riconosciuto   dalla  normativa  di  settore  al  pensionato  rimasto
iscritto,  ininterrottamente,  nel  corso  della  vita lavorativa, ad
un'unica gestione speciale.
    In  particolare,  assumendo  l'art. 5 della legge n. 233 del 1990
quale  termine  di  raffronto rispetto alla fattispecie sottoposta al
giudizio,  il  rimettente  rileva  che la parametrazione della misura
della  pensione  in  favore  dei  soggetti rimasti iscritti alla sola
gestione  artigiani  (o  commercianti)  al  reddito  d'impresa  quale
risulta  dalla  media  dei  redditi percepiti negli ultimi dieci anni
coperti  da  contribuzione,  ovvero  in  numero  inferiore  di  anni,
anteriori  alla  decorrenza  della  pensione,  produce  una rilevante
disomogeneita'  dei due trattamenti previdenziali in comparazione, la
quale  non  risulta  giustificata  in  presenza  di una contribuzione
sostanzialmente   uguale  in  entrambe  le  ipotesi  normative  e  di
un'attivita' comunque di lavoro autonomo.
    2. - Va   anzitutto   respinta  l'eccezione  di  inammissibilita'
avanzata  dall'INPS,  relativa al fatto che l'ordinanza di rimessione
farebbe  riferimento  alla  lettera b) del comma 1 dell'art. 16 della
legge   n. 233   del   1990,  che  disciplina  l'ipotesi  di  periodi
assicurativi  versati  nelle  gestioni  speciali e nell'assicurazione
generale  obbligatoria  per l'invalidita', vecchiaia e superstiti dei
lavoratori dipendenti, non applicabile alla fattispecie esaminata dal
giudice a quo. Il riferimento alla suddetta disposizione e' contenuto
solo nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed e' frutto di un
mero  errore  materiale  che  non osta all'individuazione della norma
censurata.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    L'art. 16,  comma 1,  lettera a),  della  legge  n. 233  del 1990
prevede  che  per i lavoratori che liquidano la pensione in una delle
gestioni   speciali   dei  lavoratori  autonomi  con  il  cumulo  dei
contributi  versati nelle medesime gestioni, l'importo della pensione
e'  determinato  dalla  somma  «della quota di pensione calcolata, ai
sensi degli articoli 5 e 8, sulla base dei periodi di iscrizione alle
rispettive  gestioni».  Il  successivo comma 2 prevede che «gli oneri
relativi alle quote di pensione di cui al comma 1 sono a carico delle
rispettive gestioni assicurative».
    La  Corte  di  cassazione  ha  avuto  modo  di  precisare  che il
riferimento  alla  «quota»  di  pensione  contenuto  nella lettera a)
dell'articolo 16  vada  letto  nel contesto dell'articolo e collegato
all'altra  espressione  «rispettive gestioni», per cui ciascuna parte
del complessivo trattamento va determinata in relazione ai periodi di
iscrizione  alle  singole  gestioni (Corte di cassazione, n. 1891 del
18 febbraio 2000).
    Gli  accrediti  contributivi  riferiti alle diverse gestioni sono
percio' considerati unitariamente non ai fini della misurazione della
pensione   ma   per   verificare   il  raggiungimento  del  requisito
contributivo   per   il   diritto  a  pensione  e  per  ottenere,  di
conseguenza,  la  liquidazione  di  una  pensione  unica.  Lo  stesso
meccanismo vale, sempre in base al predetto art. 16, per il cumulo di
periodo  assicurativo  in  gestione  dei  lavoratori  dipendenti  con
periodo di gestione autonoma.
    Questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato che il meccanismo della
totalizzazione  dei  periodi contributivi versati in diverse gestioni
previdenziali  debba  operare  nel caso in cui l'assicurato non abbia
maturato  il  diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle
gestioni  alle quali e', o e' stato iscritto (in particolare sentenze
n. 198   del   2002   e   n. 61   del  1999).  Rientra  invece  nella
discrezionalita'  del  legislatore  la  scelta circa l'estensione del
principio  ai  fini della misurazione della pensione (sentenza n. 198
del 2002).
    Anche   la  questione  ora  all'esame  della  Corte  puo'  essere
inquadrata nei predetti termini.
    4. - Le  censure  del  rimettente  si  appuntano  sul sistema del
pro-rata  non  in  quanto  tale  ma in quanto applicato alle gestioni
commercianti  e  artigiani che riguardano settori omogenei (attivita'
di  lavoro autonomo), richiedono contribuzioni, a parita' di reddito,
praticamente  coincidenti,  ed  erogano  prestazioni  sostanzialmente
equivalenti  a  parita'  di  contribuzioni e periodi contributivi. Il
suddetto  sistema  determina  un  trattamento pensionistico deteriore
rispetto   a   quello  del  lavoratore  che  versi  ininterrottamente
contributi  in  un'unica  gestione,  in  quanto, ai sensi dell'art. 5
della  legge n. 233 del 1990, la misura dei trattamenti pensionistici
da  liquidare  con  effetto  1° luglio 1990 e' parametrata al reddito
d'impresa  quale  risulta  dalla  media  dei  redditi percepiti negli
ultimi dieci anni coperti da contribuzione o al minor numero di essi,
anteriori alla decorrenza della pensione.
    In sostanza, il rimettente pretenderebbe che i contributi versati
nelle   diverse  gestioni  fossero  considerati  come  riferibili  ad
un'unica gestione ai fini della misurazione della pensione. Ma questa
soluzione  non  puo'  ritenersi costituzionalmente obbligata a fronte
della scelta legislativa, non contestata dal rimettente, di prevedere
diverse gestioni previdenziali per i settori di lavoro autonomo presi
in  considerazione  e  della garanzia costituita dalla considerazione
unitaria dei periodi contributivi per il raggiungimento del diritto a
pensione.
    La  diversita'  del  trattamento conseguente all'applicazione del
sistema  del pro-rata rispetto a quello previsto per i lavoratori che
versino   ininterrottamente   contributi   in  un'unica  gestione  si
giustifica pertanto in ragione dell'esistenza di due diverse gestioni
previdenziali  per  gli  artigiani  e  per  gli  esercenti  attivita'
commerciali,  rispondendo  all'esigenza  di preservarne gli equilibri
finanziari,  senza  far  ricadere su di esse un onere piu' gravoso di
quello  che  si  sarebbe  realizzato  in  assenza di cumulo (Corte di
cassazione,   sentenze   n. 3533   del  10 marzo  2001;  n. 1891  del
18 febbraio 2000).
    La  disciplina  censurata  non  puo', per le considerazioni sopra
esposte,   considerarsi   irragionevole,  rientrando  comunque  nella
discrezionalita' del legislatore la eventuale scelta di introdurre un
diverso   criterio  per  il  cumulo  dei  contributi  ai  fini  della
misurazione della pensione.