Ricorso  della  Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta  regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso,  giusta  mandato  a  margine ed in virtu' delle deliberazioni
della Giunta regionale n. 2828 del 30 settembre 2003 e n. 2852 del 16
ottobre  2003,  dal  prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo
Baroni  dell'Avvocatura  regionale,  insieme  con  i  quali elett. te
domiciliato in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29;

    Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore; per
la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 32, del
decreto-legge  30  settembre  2003, n. 269 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 229 del 2 ottobre 2003 - suppl. ordinario n. 157/L) che
prevede  il «condono edilizio», in particolare i commi nn. 1, 2, 3, 5
da 14 a 23 e da 25 a 50 (in parte qua).

                              F a t t o

    1.   -   Il  decreto-legge  30  settembre  2003,  n. 269  recante
«Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici»  e'  un  decreto-legge omnibus,
emanato  in  assenza  dei  presupposti costituzionali di necessita' e
urgenza  nonche'  privo  del  requisito di omogeneita', finalizzato a
porre  in  essere  misure di finanza pubblica per il riequilibrio dei
conti pubblici.
    In  tale  contesto  si  inseriscono le disposizioni impugnate, di
«sanatoria» edilizia, che sono contenute nell'art. 32 e che riaprono,
per   la  seconda  volta  in  pochi  anni,  i  termini  concessi  per
l'ottenimento  del  condono,  con  un espresso rinvio, per quanto non
previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985.
    L'art. 32   reca   «Misure  per  la  qualificazione  urbanistica,
ambientale  e  paesaggistica,  per l'incentivazione dell'attivita' di
repressione  dell'abusivismo  edilizio,  nonche'  per  la definizione
degli illeciti edilizi e delle occupazioni su aree demaniali».
    Si  tratta  di una disciplina con una pluralita' di contenuti che
presenta  un  singolare  e  contraddittorio  intarsio  di norme, dove
l'aspetto   assolutamente   caratterizzante   e'   costituito   dalla
introduzione  di un condono edilizio, che si vuole in qualche maniera
«giustificare»  con  regole tese a prefigurare, in assoluta antitesi,
interventi di riqualificazione.
    L'impugnativa   che   la   Regione   Campania  propone,  riferita
all'intero  art. 32 in quanto contraddittorio, invasivo ed incoerente
nelle  sue  estremamente ampie articolazioni normative, si appunta in
modo  specifico  nei  confronti  di  tutte  quelle  disposizioni  che
contribuiscono  nel  loro  collegamento  ad  introdurre «di nuovo» il
condono e a tracciarne le modalita' di svolgimento.
    Sono,   pertanto,   specificamente   indicati  quali  oggetto  di
impugnativa in quanto costituenti in maniera piu' immediata le regole
afferenti  all'intervento  di condono, i commi 1, 2, 3, e 5 che danno
conto  dell'impianto  generale;  i  commi  da 14 a 23 che contemplano
ipotesi  particolari;  i  commi  da  25  a  31  che  si  occupano  di
individuare i modi di operativita' della disposta sanatoria; e quelli
da   32   e   ss.   che  delineano  i  procedimenti  funzionali  alla
realizzazione e attuazione del condono medesimo.
    Si  deve precisare che, come dimostra anche lo schema riassuntivo
appena  proposto  che tiene conto dei contenuti essenziali funzionali
alla  configurazione  dell'intervento  di  sanatoria  che  la regione
contrasta,  l'impugnativa  e'  proposta  dalla  Regione  Campania per
contestare   l'ammissibilita'  di  una  regolamentazione  legislativa
statale  in  un  ambito  che  afferisce  ad  una  materia  di propria
competenza,  predeterminando  condizioni  per una vistosa alterazione
dei  margini  di  tutela  e una vanificazione del corretto esplicarsi
della competenza regionale della programmazione del territorio.
    In   particolare  si  segnalano,  perche'  significative,  alcune
previsioni  per  cogliere  in  maniera  immediata  l'invasione  della
competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
    L'art.   32   intende  disciplinare  la  «sanatoria  delle  opere
esistenti  non  conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler,
cosi',  pervenire  alla  regolarizzazione del settore (comma 1) e, in
particolare,  l'adeguamento  della  «disciplina regionale ai principi
contenuti   nel   testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia  edilizia,  approvato  con d.P.R. 6 giugno
2001,  n. 380»  (comma  2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal
tipo non e' per nulla ipotizzabile.
    Nel  consentire  la  sanatoria  di ampliamenti e realizzazioni di
nuove  costruzioni,  si  prevede un limite di volumetria «per singola
richiesta  di  titolo  abilitativo  in sanatoria» (comma 25) e per le
piu'  disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo
in  assenza  di  titolo  ma  anche  in violazione delle norme e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
    Inoltre,    e'    espressamente    prevista    una   ipotesi   di
silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma
37)
    Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul
territorio  di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva
politica programmatoria dell'ente locale.
    Notevole  e',  ancora, e piu' in generale, che nel decreto vi sia
una  disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure per, la
presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
    Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine
di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in
ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali
sul  governo  del  territorio, si configura come una mera clausola di
stile.
    Un   siffatto  intervento  del  Governo,  sia  per  lo  strumento
normativo   adottato,   sia  per  la  portata  e  i  contenuti  della
previsione,  e  quindi  le reali finalita' che persegue, lede in modo
grave  l'autonomia  regionale  concretando  una  serie  di servizi di
legittimita'   costituzionale  che  inducono  alla  proposizione  del
presente ricorso per i seguenti.

                             M o t i v i

    1. - Violazione degli art. 114 e 117 della costituzione.
    Lesione  della  sfera di competenza delle regioni. Violazione del
principio di leale cooperazione.
    In  via  preliminare  occorre  precisare  che  questa  difesa  e'
confortata,  nella  prospettazione dei vizi avverso l'atto impugnato,
dalle  sentenze  emesse  da  codesta  ecc.ma  Corte costituzionale in
relazione  alle  precedenti  esperienze normative di condono edilizio
(legge  n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/194). Difatti, sono proprio
le  argomentazioni  che  la  Corte  ha  posto  a  fondamento di dette
pronunce  a  fornire  il  piu'  valido dei supporti per sostenere che
l'intervento  statale  impugnato  e'  affetto  da  insanabili vizi di
costituzionalita'.
    Quell'impianto  argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo
conto  della  vigenza  di  un  diverso  quadro  costituzionale che ha
ridisegnato   i   rapporti  Stato-regione  rafforzando  il  ruolo  di
quest'ultima. In tal maniera risultano piu' chiari i vizi.
    Procedendo con ordine.
    Va  contestato,  in primo luogo, l'intervento del Governo perche'
si   realizza  in  un  settore  di  competenza  regionale  attraverso
disposizioni  di  rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente
esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
    1.a  - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente
previste   la   potesta'   esclusiva   dello   Stato   e  concorrente
Stato-regione.
    Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e
tenuto  conto  che il decreto impugnato e' volto a sanare le condotte
antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in assenza di
titoli  abilitativi,  occorre  considerare  quanto  si debba desumere
dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale «governo
del territorio».
    Delle due l'una.
    O   si   esaurisce   la  disciplina  del  condono  nella  materia
urbanistica,  sub specie edilizia - concernente, cioe', la disciplina
della  costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la
stessa  non  vada  ricompresa  in  quella  governo del territorio» ed
allora  lo  Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta'
legislativa residuale della regione con la conseguente, irrimediabile
illegittimita'    dell'intervento;    ovvero    l'urbanistica,   come
regolamentazione  incidente  sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio,  rimane  all'interno  di tale nuova materia del novellato
art. 117 Cost.
    Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
    Se,   infatti,   si   pone  l'accento  sulla  nuova  formulazione
costituzionale,   si   deduce   soprattutto   che   essa  involge  la
regolamentazione  incidente  sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio;  il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere
priva  di  significato  e, pertanto, il riferimento a una funzione di
«governo»   deve   comportare  di  porre  in  risalto  i  profili  di
programmazione e pianificazione.
    Da  tale  definizione  potrebbe,  pertanto, escludersi l'edilizia
vera  e  propria nell'indicato significato tradizionale di disciplina
della  costruzione  e manutenzione degli edifici, alla quale potrebbe
collegarsi il «condono».
    Questo  conduce  a  configurare una sfera di competenza residuale
delle  regioni,  attesa  l'assenza  della  stessa fra gli elenchi del
nuovo  art. 117  Cost.,  con  la conseguente illegittima invasione da
parte della disciplina statale.
    1.b.   -   Comunque   il   risultato   in   ordine  alla  dedotta
illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
    Anche  in  questo  caso,  dovendosi  assegnare al mutamento della
formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente
Stato-regione  il  significato  che  ponga  in  risalto  i profili di
programmazione  e  pianificazione  regionale,  se ne devono trarre le
conseguenze.
    In  verita',  prima  della  riforma  costituzionale sul Titolo V,
proprio  codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in
materia   di   condono,  ha  adoperato  frequentemente  l'espressione
«governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una
disciplina  che  finisce  per  coinvolgere  in maniera ampia tutte le
funzioni  che  attengono  alla  gestione,  controllo, programmazione,
tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
    In  tale  materia,  in questa ottica, di potesta' concorrente, lo
Stato  deve  limitarsi  a  fissare i principi fondamentali e, come e'
assolutamente  agevole  verificare, le disposizioni del decreto-legge
non  possono in alcun modo proporsi come tali alla stregua di quanto,
invece, imposto dal comma dell'art. 117 Cost.
    Gli  elementi  che  inducono a una conclusione nel senso indicato
sono, invero, molteplici.
    1.b.1.  - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di
nuova  sanatoria  che  sorbita  dalla  nozione  di  principio inteso,
questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale»
(cfr. Corte cost. n. 482/1995).
    Vizio  confermato  dall'intera  disciplina  per  la quale neanche
soccorre  il  criterio  di  cedevolezza delle disposizioni statali. I
tempi  stabiliti,  le  caratteristiche  delle  previsioni introdotte,
l'aver  riguardo  a  condotte gia' realizzate, escludono del tutto la
possibilita' di un successivo intervento regionale, e l'intero quadro
giuridico dei rapporti risulta definito.
    D'altra  parte,  si  e'  di  fronte  ad una ipotesi di «contenuto
provvedimentale»,  che  regola  comportamenti  gia'  posti in essere,
quindi  non ipotetici e futuri, ma situazioni pregresse, storicamente
verificatesi,  determinate  e concrete che escludono ancor di piu' la
configurabilita' di un principio fondamentale.
    Come  l'ecc.ma  Corte  ha di recente evidenziato puo' atteggiarsi
come principio anche una disciplina piu' specifica purche' esprima un
obiettivo  quale,  ad  esempio,  quello  di una semplificazione delle
procedure affinche' queste «non risultino inutilmente gravose per gli
amministrati  e siano dirette a semplificare le procedure e a evitare
la  duplicazioni di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla
pubblica  amministrazione»  (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma
l'imposizione   di   una  «rinuncia»  alla  tutela  di  una  corretta
pianificazione,  come  nell'ipotesi  in  esame,  sfugge  a  qualunque
possibilita' di inquadramento come principio.
    1.b.2.  -  La  disciplina  dei  procedimenti nel decreto-legge e'
puntuale  ed  esaustiva, prevedendosi tutte le fasi: sono contemplati
espressamente  i  limiti  di  volumetria  (comma 25), le tipologie di
illecito  (comma  26),  le  ipotesi  di.  esclusione  (comma  27), la
disciplina  dei termini (comma 28), l'influenza di fattispecie penali
nella sanatoria (commi 29 e 30), i rapporti con i terzi (comma 31), i
termini   per   la   proposizione   dell'istanza   (comma   32),   la
documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del silenzio-assenso
(comma  37),  l'oblazione  da  corrispondere  (comma 38 e all. 1). E'
perfino  allegato  il modello di domanda da presentare alle autorita'
competenti.
    I  pochi  rinvii,  effettuati  dal  decreto, alla normativa della
regione  e  al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono
ad una vuota formula senza conseguenze.
    In  definitiva,  viene  attribuita  alla  Regione  unicamente  la
possibilita'  di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore
impatto»  (comma  26),  ovvero  di  «prevedere  un  incremento  della
oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
    1.b.3.  -  Ancora  non puo' non considerarsi che la fissazione di
principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e'
evidentemente   funzionale  alla  individuazione  di  orientamenti  e
direttive  per  una  coordinata programmazione degli interventi delle
regioni  e  perche'  si  consenta  all'ente territoriale un razionale
governo del territorio.
    Insomma,  la  norma  costituzionale,  nel fissare il rapporto fra
principi  fondamentali  e legislazione regionale, propone non solo un
limite  quantitativo  e  oggettivo  all'esercizio  della potesta', ma
anche  funzionale al rispetto di un obiettivo, e cioe', per l'ipotesi
in esame, la razionale pianificazione.
    Un  intervento  di  condono,  di  per  se',  si  pone in evidente
contrasto  con  un  tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione
dell'autonomia  regolativa  regionale  che  lo  Stato  deve,  invece,
rispettare,  potendo  soltanto  individuare  quanto e' necessario per
garantire l'unita' dell'intervento normativo.
    Siffatta  conclusione e', poi, avvalorata dai contenuti dell'atto
avente forza di legge impugnato.
    La  sanatoria  e'  ampia coinvolgendo una articolata tipologia di
abusi.  In  particolare,  si consente il rilascio del titolo non solo
per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma
anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle
prescrizioni  degli strumenti urbanistici (comma 1, 25, 26 e all. 1),
imponendo  alle  autonomie  locali di subire gli illeciti urbanistici
compiuti  in dispregio della programmazione territoriale gia' vigente
e   dei   piani  di  zona,  laddove  questi  impediscano  o  limitino
l'edificabilita'  ovvero  la  condizionino  a  determinate finalita'.
Coerenza  urbanistica  e  territoriale,  dunque, violata, e di cui si
impedisce  il recupero attraverso la vanificazione di ogni intervento
repressivo e, soprattutto, di ripristino.
    Quanto  sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il
limite  di  volumetria  viene riferito a «singola richiesta di titolo
abilitativo  edilizio  in sanatoria» (comma 25) e non vi e' relazione
con l'area.
    Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica)
da  presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea
a  certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003;
cio'  determinera',  come  d'altronde  hanno  insegnato  le pregresse
esperienze,  un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza
del termine di presentazione delle domande.
    A   cio'  si  aggiunga,  ancora,  la  previsione  di  ipotesi  di
silenzio-assenso  (comma  37),  che  permettera'  di  condonare anche
quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata. La
irragionevolezza   di   tale   ultima  disposizione  e',  d'altronde,
confortata  dallo stesso legislatore statale che, pur nel processo di
semplificazione delle procedure amministrative, ha escluso la ipotesi
di    un   silenzio-assenso   nella   regolamentazione   di   materia
urbastico-edilizia e, in generale, ambientale.
    1.b.4.  - Ancora, va dedotta l'illegittimita' di un decreto-legge
che  pretende  di  fissare  principi  fondamentali  (laddove una tale
lettura  del  contenuto  sia  possibile  il che si nega nei confronti
della legislazione regionale.
    Se e' vero, infatti, che nelle materie di competenza concorrente,
i  principi  assolvono  alla  funzione  di unificare il sistema delle
autonomie,   inidoneo   si   mostra,   sotto  l'aspetto  formale,  il
decreto-legge a contenere gli stessi, atteso che «l'esercizio di tali
competenze  postula  l'affidamento delle regioni nella effettivita' e
quindi stabilita' dei principi» (Corte cost. 22 luglio 1996, n. 271).
    D'altronde  se  il fine e' solo quello di individuare obiettivi e
criteri  direttivi  da attuare, incoerente si mostra il fine rispetto
all'utilizzazione  di  uno  strumento  normativo  che  presuppone  la
necessita' e urgenza di provvedere.
    1.b.5.  -  Ne'  un  tale  intervento  puo' essere giustificato da
esigenze di carattere unitario.
    Anche  laddove  queste ricorressero nel caso di specie (il che si
nega),  il Governo avrebbe comunque dovuto procedere secondo i canoni
costituzionali  di  lealta'  e  cooperazione che, nel caso di specie,
trattandosi di un intervento statale privo dei caratteri di normativa
di   principio   in  un  ambito  materiale  di  potesta'  legislativa
concorrente,  puo'  realizzarsi  solo  attraverso «una disciplina che
prefiguri  un  iter  in  cui  assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese che
devono  essere  condotte in base al principio di lealta» (Corte cost.
1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
    2.  - Violazione dell'art. 77 Cost. anche in relazione alla legge
23  agosto  1988, n. 400, art. 15 e al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281,
in  particolare  art.  2.  Ulteriore  violazione degli artt. 117, 127
della  costituzione.  violazione  del  principio  di  ragionevolezza.
Violazione del principio di leale cooperazione.
    L'intervento  attraverso la decretazione d'urgenza e' illegittimo
in  quanto  adottato  in  carenza  dei  presupposti costituzionali di
necessita'  e  urgenza,  ed in tale direzione vale anche il raffronto
fra  i  motivi individuati nell'epigrafe a fondamento dell'intervento
ex  art. 77  Cost.  («favorire  lo sviluppo economico e la correzione
dell'andamento  dei  conti  pubblici»)  e la indicata finalita' della
disciplina  di  condono  («consentire  l'adeguamento della disciplina
regionale ai principi contenuti nel t.u. in materia edilizia»).
    2.1  -  Si  deve  premettere che la regione puo' prospettare tale
vizio  anche  perche'  l'interesse a ricorrere regionale «qualificato
dalla   finalita'   di   ripristinare  l'integrita'  della  sfera  di
competenza violata» ha subito significative aperture.
    Difatti,  dalla  ammissibilita'  di  motivi  fondati  solo  sulla
violazione   diretta   delle   norme   costituzionali  relative  alla
delimitazione  delle  sfere  di  competenza  in  senso  stretto, alla
stregua di una applicazione rigorosa dell'art. 2 legge cost. n. 1/48,
si  e'  pervenuti  alla  successiva precisazione che anche le censure
«relative  a  differenti  parametri costituzionali, posti al di fuori
del  Titolo  V  della  Costituzione,  sono  ammissibili, se da quella
violazione  deriva,  comunque,  una lesione delle competenze suddette
(cfr.  sent.  nn. 303/2003;  9-10  marzo  1988, n. 302; 2 marzo 1987,
n. 64; 11 ottobre 1983, n. 307; 307/1993).
    Di  grande  interesse  ricordare  che con riferimento a parametri
ulteriori  «in astratto simili censure da parte della regione in sede
di  impugnazione  diretta  sono  ammissibili, sempre che si tratti di
principi  o  criteri  volti  a salvaguardare le competenze regionali»
(sent.  22  maggio  1987, n. 183), in quanto «in via di principio non
puo'  escludersi  che  una lesione delle attribuzioni regionali possa
conseguire  dalla  violazione di precetti costituzionali collocati al
di  fuori  del  titolo  quinto della Costituzione» (sent. n. 302/1988
cit.),  laddove tale censura sia comunque finalizzata alla «tutela di
una  propria  competenza  che  si  assume violata» (sent. n. 302/1988
cit.)   o  vanifichi  l'esercizio  di  competenze  costituzionalmente
garantite (sent. n. 302/1988 cit.).
    Questa    linea    interpretativa    comporta    la   sussistenza
dell'interesse  a  ricorrere quando vi siano lesioni alle funzioni di
competenza  regionale  connesse  alle  modalita'  di  esercizio della
potesta'  legislativa  statale  (a  prescindere  dalla qualificazione
della materia su cui lo Stato interviene).
    In   sostanza   si   segnala  un  percorso  nella  giurisprudenza
costituzionale  che,  gia'  nel  vigore  del precedente regime, aveva
ampliato  la  possibilita'  dell'impugnativa  regionale  sia pure nei
limiti  di  un  contesto  costituzionale  strutturato  nel  controllo
preventivo della legge regionale da parte del Governo.
    Tale  impostazione  deve  ritenersi  rafforzata dal nuovo assetto
delineato  dalla  legge di revisione del Titolo V Cost., e la regione
deve  poter  prospettare tutti quei vizi della legge statale che, pur
non  configurando  una  invasione  diretta della competenza regionale
(che,  nel  caso  di specie, e' palese), si risolvano tuttavia in una
menomazione  delle  competenze  stesse  per  illegittimita' dell'atto
statale.
    Alla  luce  di  un  tale quadro ricostruttivo dei rapporti fra la
legge  statale  e  la  legge regionale e delle possibilita' di tutela
offerte,  vi e', ancor di piu', lo spazio per la proposizione di vizi
ulteriori.
    2.2.  -  La  doglianza qui avanzata sulla assenza dei presupposti
costituzionali  per  l'emanazione del decreto-legge, oltre a proporre
di  per  se'  una  illegittimita', esprime un vizio per una ulteriore
compressione delle prerogative delle regioni, laddove, in una materia
comunque  di competenza regionale (sia essa esclusiva o concorrente),
il   legislatore  nazionale  interviene  in  modo  da  impedire  ogni
partecipazione  degli  enti  territoriali sia nella fase decisionale,
che  in  quella  attuativa.  Questi  ultimi devono, cosi', subire gli
effetti immediati di un provvedimento legislativo adottato in assenza
di tutte le garanzie, volte a individuare con maggior ponderazione il
necessario  contemperamento degli opposti interessi in gioco, che non
puo'   essere  recuperato  nel  tempo  strettamente  necessario  alla
conversione.
    Si ricorda che il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, comma 3,
ha   disposto   che,  nelle  materie  di  competenza  regionale,  sia
«obbligatoriamente»  sentita  la  Conferenza Stato-regioni e che tale
obbligo  possa  essere  derogato  solo  in caso di urgenza (comma 4),
rinviando   la   consultazione  in  sede  di  esame  delle  leggi  di
conversione dei decreti-legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento
in  cui  il  Governo  ha  ritenuto  di  agire attraverso lo strumento
normativo  di  cui  all'art. 77  Cost.  in  assenza  dei  presupposti
costituzionali,  ha  illegittimamente  leso  la  sfera  di competenza
garantita alle regioni.
    In   tal   senso   anche   l'eccepita  violazione  del  principio
costituzionale di leale cooperazione.
    Il  decreto,  inoltre,  e'  privo  dei  requisiti di omogeneita',
essendo  la  previsione  inserita in un intervento molto ampio volto,
non  a  riordinare  la  normativa  di  settore,  ma  a sanare i conti
pubblici  attraverso  anche la compressione di prerogative regionali.
Ed  anche  questo  elemento e' in insanabile antitesi con il ruolo da
assegnare ai principi.
    3.  -  Violazione  degli articoli 3, 9, 119, 117, 118 e 127 della
Costituzione.  Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione
del   principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  del  giudicato
costituzionale  in  pari  sentenze  nn. 416/1995, 427/1995, 369/1988,
302/1988 e 231/1993.
    La  normativa  e',  inoltre,  viziata  per irragionevolezza sotto
molteplici aspetti.
    Aiuta   a   dimostrarlo   la  giurisprudenza  costituzionale  cui
all'inizio si e' fatto riferimento.
    3.a  -  Il  comma  2, dell'art. 32, come detto, reca una sorta di
motivazione  a  sostegno  dell'intervento  giacche'  prevede  che «la
normativa  e'  disposta  nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale  ai  principi  contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative  e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 ...».
    In  realta',  pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa
nel  settore  (il  testo  unico  n. 380/2001,  tra  l'altro,  non  ha
modificato  l'impianto  normativo  complessivo in materia) e, in ogni
caso,  pur  laddove  vi  fosse  stata, si' applicherebbero comunque i
nuovi  principi  in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non
si'  riesce  in  alcun  modo  a  comprendere in qual maniera si possa
collegare  questa  terza  sanatoria  edilizia con una eventuale, gia'
intervenuta, modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto
fra questa disciplina e la successiva di livello regionale.
    Sotto   questo   punto   di   vista   si   evidenzia  una  palese
irragionevolezza della normativa che e' del tutto incoerente rispetto
alle finalita' dichiarate.
    In  verita',  come  dimostrato  anche  dai contenuti e dal titolo
dell'intero  decreto  in cui la disposizione e' inserita, il previsto
condono  ha  lo  scopo,  esclusivo  di recuperare gettito all'erario.
Persegue,  cioe', una reale finalita' diversa da quella dichiarata. E
per  ottenere  tale  risultato  invade  gli  ambiti  dello competenza
regionale.
      Sotto tale profilo, il decreto e', pero', ulteriormente viziato
perche'   irragionevole   anche  rispetto  agli  scopi  di  carattere
economico  (che  comunque non possono giustificare ne' l'invasione di
competenza,  ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene
conto   degli  effetti  ulteriori  e  deleteri  che  tali  previsioni
comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali.
Questi   ultimi,   infatti,   dovranno   far   fronte   a  spese  per
l'urbanizzazione   e   il   recupero  ambientale  che  gli  oneri  di
urbanizzazione,  a  carico  di  coloro  che  si avvantaggeranno della
sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
    Insomma,  pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta
difformita'  tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare
la  valutazione  al  solo  aspetto  economico, la normativa si mostra
comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
    Anzi,  proprio  sul  piano  finanziario,  si rinvengono ulteriori
elementi  di  vizio  per  l'illegittima  compressione  dell'autonomia
finanziaria   regionale  garantita  dal  novellato  art.  119  Cost.:
attraverso  il  meccanismo  contemplato  dalla normativa impugnata si
toglie   in  termini  economici  alle  autonomie  locali  (attesa  la
necessita'  da  parte  delle  stesse  di  sopportare  i  costi  prima
indicati)  piu'  di  quanto  non  intenda recuperare l'erario. In tal
modo,  si  impone,  fra  l'altro, agli enti territoriali l'impegno di
somme  per  determinate  finalita'  piuttosto che per altre ovvero la
necessita'  di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove
spese.
    3.b  -  Ancora,  va  eccepita,  in uno con il costo in termini di
legalita',   l'ulteriore   illegittimita'  perche'  si  determina  la
vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
    Il  condono  edilizio,  infatti,  si caratterizza in quanto, come
osservato  da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie
comporta  «effetti  permanenti,  di modo che il semplice pagamento di
oblazione   non  restaura  mai  l'ordine  giuridico  violato»  (Corte
costituzionale  21-28  luglio  1995,  n. 416). incidendo su beni - il
territorio   e  l'ambiente  -  che  costituiscono  risorse  limitate,
rendendo  irreversibili  le conseguenze del danno e compromettendo la
corretta  gestione  e  programmazione  del  territorio  affidate alla
regione.
    In  tal  senso,  come  e  noto,  il  giudice costituzionale aveva
giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei
rapporti  Stato-regione,  meccanismi di sanatoria, solo se ancorati a
rigorosi presupposti. Questi ultimi sono assenti nel caso in esame.
    Come  la  Corte  costituzionale  ha  chiarito,  si  e'  trattato,
infatti,   di  «norme  del  tutto  eccezionali»  connesse  a  ragioni
«contingenti  e  straordinarie»  (sent.  28 luglio 1995, n. 416), che
hanno  attribuito  al  regime  di  sanatoria il carattere episodico e
delimitato temporaneamente.
    Con   la  sentenza  del  28  luglio  1995,  n. 416  la  Corte  ha
chiaramente  affermato  che,  laddove  vi fosse stato un «ulteriore e
persistente  spostamento  dei  termini  temporali  di riferimento del
commesso  abusivismo  edilizio....,  differenti sarebbero i risultati
della  valutazione  sul  piano della ragione volezza, venendo meno il
carattere  contingente  e  del tutto eccezionale della norma ("con le
peculiari    caratteristiche    della   singolarita'   ed   ulteriore
irripetibilita)  in  relazione  ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo  delle  esigenze  di  repressione  dei  comportamenti  che il
legislatore  considera  illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela  del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e
ha  rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria  programmazione  sarebbe  certamente compromessa sul piano
della  ragionevolezza  da  una  ciclica  o ricorrente possibilita' di
condono  sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr
anche sentenze nn. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993);
    La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche
determina   (come   gia'   in  passato)  l'aspettativa  di  ulteriori
provvedimenti premiali.
    Sotto  tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono
elementi   di   giudizio   anche  sul  piano  degli  effetti  pratici
dell'intervento.
    La  Corte  costituzionale ha affermato in passato, per consentire
sulla  non  illegittimita' della «eccezionale» sanatoria statale, che
la  diffusione  del  fenomeno  dell'abusivismo edilizio va addebitata
almeno  in  parte alla scarsa incisivita' e tempestivita' dell'azione
di  controllo  e  repressione da parte delle amministrazioni locali e
regionali  preposte  (Corte  cost., 23 luglio 1996, n. 302; 18 luglio
1996,  n. 256).  Di  qui  una  sorta di «azzeramento» delle posizioni
sulla base del condono.
    Ebbene,   proprio   sul  punto,  sulla  scorta  delle  precedenti
esperienze,  si  puo'  rilevare  che  i passati interventi di condono
hanno  inciso  sulla  relazione  centro-periferia,  delegittimando il
ruolo delle autorita' locali che, con sempre maggiore determinazione,
hanno  dovuto  impegnarsi  per  arginare  il fenomeno e recuperare il
rapporto   corretto  con  i  cittadini,  rafforzando  i  controlli  e
programmando la gestione del territorio.
    In  tale  direzione  si  segnala,  soprattutto alla stregua della
riforma   costituzionale   introdotta   dalla   legge  costituzionale
n. 3/2001,  un  notevole  impegno  normativo  e  amministrativo delle
autonomie  locali;  in  particolare,  per  quanto  qui  da  vicino ci
riguarda,   della   Regione   Campania  che  si  sta  adoperando  per
un'efficace  politica  territoriale che sarebbe del tutto compromessa
dalla normativa impugnata.
    Questa  sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in
quanto  tali,  sono  sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo
sforzo  delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo,
i comportamenti legali dei soggetti privati.
    In  definitiva, la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi
promossi  avverso  il  condono  edilizio del 1994, ha prospettato una
linea  interpretativa attraverso sentenze «monito», che ha creato uno
sbarramento  insuperabile  perche'  il legislatore e' stato avvertito
che  proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale strada non
sarebbe  stata  piu'  percorribile  e,  conseguentemente, considerata
legittima  dalla  Consulta,  atteso  anche  il  costo  che ne sarebbe
derivato  sul  piano  della  legalita'  e dell'efficace controllo del
territorio.
    3c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore censura
di  illegittimita'  costituzionale.  E'  evidente  il contrasto di un
condono  generale  con  l'art.  9  della  Costituzione che pone quale
compito  della  Repubblica,  quello  di  tutela  del  paesaggio e del
patrimonio  artistico  della  Nazione  e  ancora dell'art. 117, terzo
comma che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa
alla valorizzazione dei beni ambientali.
    Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9
(Repubblica)  costituisce  riprova  di  un  impegno,  nella direzione
indicata    dalla    norma    costituzionale,    imposto   all'intera
organizzazione  quale  oggi  risulta  dall'art.  114 Cost. novellato,
ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
    Proprio   questa   notazione  si  mostra  idonea  ad  evidenziare
ulteriormente  la  ricaduta  del  vizio di legittimita' dedotto sulle
competenze  regionali,  in  quanto  tale  violazione si connette, fra
l'altro,    a   precise   lesioni   «dell'ordine   delle   competenze
costituzionalmente  stabilito in vista dell'attuazione della predetta
tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
    Tale  «illegittimo  uso»  del  potere  legislativo da parte dello
Stato,  comunque  si  voglia  qualificare  la  materia  oggetto della
disciplina  censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio
in  quanto  certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di
uso del territorio medesimo.
    Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese,
comprime  la  competenza della regione nella «valorizzazione dei beni
ambientali»,   impedendo  strategie  complessive  tese  a  scelte  di
recupero  ambientale  e vanificando la regolazione regionale: risulta
violato   cosi'   «il   principio  costituzionale  di  concorrenza  e
cooperazione  delle  competenze  statali  e di quelle regionali nella
tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
    Istanza ai sensi degli articoli 35 e 40 della legge n. 87/1953;
    Si  produce  istanza  a  codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il
ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla
luce  delle  recenti  modifiche  apportate dalla legge 5 giugno 2003,
n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
    L'esperienza   di   passati   condoni  ha  insegnato  che  simili
provvedimenti  legislativi,  producendo  nella  societa' una notevole
aspettativa  di  sanatoria,  inevitabilmente  determinano  un aumento
vertiginoso, nel periodo successivo alla previsione e fino al termine
per  la  proposizione  della  domanda  di  condono,  dei  fenomeni di
abusivismo.  In  tal  senso  vi e', dunque, quel rischio di ulteriore
irreparabile   pregiudizio   all'interesse   pubblico  connesso  alla
salvaguardia   dell'ambiente   e   alla   ordinata  programmazione  e
pianificazione urbanistica affidata alla regione.
    L'eventuale  sospensione  degli  effetti  del  decreto-legge, nel
mentre  non  si  comporterebbe alcuna conseguenza di danno, anche per
l'assenza  dei presupposti di necessita' ed urgenza, costituirebbe un
efficace   baluardo   per   impedire   ulteriori  compromissioni  del
territorio fino alla decisione nel merito dell'ecc.ma Corte.