IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    In  data  17  giugno  2003  e'  stato arrestato in Prato Montasir
Hassan  perche'  inottemperante  al  decreto di espulsione emesso, in
data  4  dicembre  2001  dal  Prefetto  di  Prato  nei  confronti del
predetto,  sedicente, in Italia senza fissa dimora, privo di regolare
permesso di soggiorno.
    Dagli atti risulta che in ottemperanza a tale decreto il nominato
in  oggetto  era stato temporaneamente trattenuto presso il centro di
permanenza di Pian Del Lago nella provincia di Caltanisetta su ordine
del  Questore  di  Caltasinetta,  quindi  alla  scadenza  dei termini
massimi  di  permanenza,  in  data  3  giugno  2003  il  Questore  di
Caltanisetta,  richiamato  il  decreto  prefettizio  innanzi  citato,
ordinava  al  predetto  cittadino straniero di lasciare il territorio
dello  Stato  entro  il  termini  di  5  giorni  dalla  notifica  del
provvedimento  stesso,  notifica  che veniva eseguita, in pari data a
mani proprie dell'interessato.
    All'udienza   di  convalida,  in  seguito  alla  relazione  orale
dell'U.P.G.  che  aveva  operato  l'arresto  e  all'interrogatorio di
garanzia  dell'imputato,  che  si  e'  avvalso  della facolta' di non
rispondere,   il   p.m.   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  della  norma 14, comma 5-ter e 5-quinquies, del testo
unico   d.lgs.  286/1998  come  novellato  dall'art. 13  della  legge
n. 189/2002,  per  contrasto  con  gli  articoli  3, 24, 27, 104, 111
Cost.,  assumendo  la  non  manifesta infondatezza e la rilevanza nel
procedimento in esame.
    La  questione  e',  in  primo  luogo,  rilevante, incidendo sulla
stessa  legittimita' e sulla conseguente esperibilita' della presente
procedura  di  convalida,  la  quale  ancora  il  proprio presupposto
normativo  su una misura precautelare (appunto l'arresto in flagranza
di  reato  ad  iniziativa  della  stessa  polizia giudiziaria) la cui
conformita'  al dettato costituzionale si intende rimettere al vaglio
dei  giudici  della  Consulta.  Va  da  se' che il vaglio del giudice
costituzionale   influisce   anche  sulla  possibilita'  di  esperire
correttamente  la successiva fase del giudizio con rito direttissimo,
posto  che lo stesso, cosi' come disciplinato nella normativa oggetto
di  gravame,  presuppone  l'arresto dell'imputato e la sua successiva
convalida.
    La  questione  non  e'  manifestamente  infondata, quanto meno in
relazione agli artt. 13 e 3 della Costituzione.
    Ed  invero,  sotto il primo profilo, la scrivente osserva come la
privazione  della  liberta' personale dell'odierna imputata, ad opera
di  un  organo  di  polizia  giudiziaria, sebbene non sia destinata a
protrarsi  oltre  le quarantotto ore, non appaia tuttavia determinata
da  esigenze  e ragioni di eccezionalita' ed urgenza, dal momento che
tali  esigenze,  nel  caso  di  specie,  non  possono essere poste in
correlazione  ne'  con  la  particolare  gravita'  del  reato, ne' (e
conseguentemente)  con  la  successiva  applicazione  di  una  misura
cautelare,   assolutamente  inapplicabile  in  ragione  della  minima
entita'  pena  prevista.  Non  puo'  neppure  ritenersi che la misura
precautelare  sia  resa assolutamente necessaria, nel caso di specie,
dall'esigenza   di  instaurare  il  giudizio  nelle  forme  del  rito
direttissimo (posto che il nostro ordinamento prevede gia' altri casi
di  rito  direttissimo  instaurato  nei confronti di imputato a piede
libero,  ovvero  nei  confronti  di  imputato  reo  confesso,  e  nei
procedimenti per reati in materia di armi) ed infine non puo' neppure
ritenersi  che  il  giudizio  da  celebrarsi  nelle forme di cui agli
art. 448   c.p.p.   sia   funzionale  al  conseguimento  dello  scopo
amministrativo, cui in definitiva tutta la normativa tende, ovvero la
rapida  espulsione  dello  straniero clandestino dal territorio dello
stato   con   accompagnamento  immediato  alla  frontiera,  giacche',
considerato  che  la privazione della liberta' personale non potrebbe
comunque  essere  protratta  oltre la fase della convalida (posto che
non   sono   applicabili  misure  cautelari),  il  giudizio  dovrebbe
necessariamente   proseguire,  sebbene  nelle  forme  indicate  dagli
articoli citati, nei confronti dell'imputato a piede libero, il quale
(indipendentemente  dalla  sua  facolta'  di  chiedere  un  termine a
difesa)  potrebbe  decidere di non piu' partecipare all'udienza nella
fase  successiva  alla convalida, in tal modo sottraendosi, del tutto
legittimamente,  alla sfera di controllo sia degli organi giudiziari,
sia  degli  organi  di  polizia,  conseguentemente  vanificando sia i
risultati   dell'attivita'   gia'   svolta   al  fine  di  assicurare
l'osservanza  dei  provvedimenti amministrativi di espulsione, sia la
stessa  possibilita'  di  dar corso all'accompagnamento coattivo alle
frontiere  al  termine  del  processo penale instauratosi per effetto
dell'arresto del clandestino.
    In  ragione  di  cio',  la  privazione sebbene temporanea e molto
limitata  nel  tempo  della liberta' personale dello straniero che si
venga a trovare nelle condizioni in cui versa l'odierno imputato, per
un  verso sembra rispondere a finalita' estranee alle esigenze e alle
ragioni di necessita' e urgenza, individuate dal terzo comma dell'art
13  della  Costituzione,  per  altro  verso,  in  ragione  della  sua
inadeguatezza,  per  i  motivi gia' indicati, rispetto allo scopo che
intenderebbe perseguire (ovvero il rapido ed effettivo allontanamento
dello straniero clandestino dal territorio dello Stato) appare essere
irragionevole   e   come   tale   lesiva   anche   dell'art. 3  della
Costituzione.