LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di appello
iscritto al n. 605 R.G. AA.CC. 2002, promosso da Albo Antonio, nato a
Genova  il  25 giugno 1953, residente in Genova e quivi elettivamente
domiciliato  in  via  Atto  Vennucci  n. 9/8  presso l'avv. Francesco
Selvaggi   che  lo  difende,  appellante;  avverso  la  sentenza  del
Tribunale di Genova 10/14 ottobre 2002 con la quale e' stata respinta
l'istanza  di  riabilitazione presentata dallo stesso Albo Antonio ai
sensi degli artt. 142 e seg. r.d. 16 marzo 1942, n. 267;
    Letti gli atti;
    Vista la documentazione prodotta;
    Udito il ricorrente in camera di consiglio;
    Viste  le  conclusioni  scritte  del  Procuratore  generale della
Repubblica;
    Udito il relatore;
    Sciogliendo la riserva assunta nell'udienza del 23 gennaio 2003.
    Considerato  che  Albo  Antonio  e'  stato dichiarato fallito con
sentenza del Tribunale di Genova 20 novembre 1989;
        che  il  fallimento  e' stato dichiarato chiuso con decreto 2
maggio 1996 per insufficienza di attivo;
        che  con ricorso depositato il 27 giugno 2002 Albo Antonio ha
chiesto al tribunale la concessione della riabilitazione;
        che   il  tribunale,  con  sentenza  10/14 ottobre  2002,  in
conformita'  al  parere  negativo espresso dal pubblico ministero, ha
respinto  l'istanza,  sul  duplice  rilievo che «il ricorrente non ha
tenuto  costante  buona  condotta  nel  quinquennio  successivo  alla
chiusura   del   proprio   fallimento  poiche',  come  risulta  dalla
informativa  6 settembre  2002  della Questura di Genova in atti, nel
1997  e'  stato  oggetto  di un avviso orale da parte del Questore di
Genova  e nel 1999 e' stato segnalato alla a.g. per i reati di truffa
e  falso»  e che «anche le risultanze della sentenza 3-8 gennaio 2002
della  Corte  di  appello di Genova con la quale e' stato definito il
procedimento  gia'  pendente  a  carico  dell'Albo  per il delitto di
usura,    contestatogli   come   accertato   nel   1996,   non   sono
sufficientemente  indicative  della mancanza in capo al ricorrente di
qualsivoglia risvolto penale per tale titolo di reato, posto che tale
pronuncia ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'Albo
per intervenuta prescrizione e non l'ha assolto nel merito, avendo al
contrario  ritenuto  attendibili  le  dichiarazioni  della parte lesa
riscontrate dalle ammissioni dello stesso imputato»;
        che  avverso  la  suddetta  sentenza Albo Antonio ha proposto
appello con ricorso depositato il 18 novembre 2002;
        che  e'  stato istituito il contraddittorio nei confronti del
pubblico   ministero   in  persona  del  Procuratore  generale  della
Repubblica  presso  questa  Corte  di  appello  il  quale ha concluso
chiedendo il rigetto dell'appello.

                           R i t e n u t o

    La  proposizione  del  ricorso  da  parte  dell'interessato senza
ministero   di   difensore   tecnico   deve   ritenersi  ammissibile,
rivolgendosi   nella   introduzione   di   un  procedimento  camerale
unilaterale e non contenzioso.
    La  sentenza  del  tribunale,  depositata  in  cancelleria  il 14
ottobre 2002, e' stata pubblica per affissione il 18 ottobre 2002; ma
non  e'  stata  mai  comunicata all'istante (risulta in atti solo una
relazione  di  omessa  notifica, nei confronti di Albo Antonio in via
Bracelli  n. 9/1,  in  data  4 novembre 2002, nella quale l'ufficiale
giudiziario  da'  atto che «in via Bracelli non esiste il civico 9»).
Il  ricorso  in  appello  e'  stato depositato il 18 novembre 2002, e
quindi  al  di  fuori  del  termine  di quindici giorni dalla data di
affissione della sentenza di cui all'art. 144 del r.d. 16 marzo 1942.
    L'appellante  invoca,  a  confronto  dell'invocato riconoscimento
della  tempestivita'  dell'impugnazione, la sentenza 27 novembre 1980
della  Corte  costituzionale  con  la  quale  e'  stata dichiarata la
illegittimita'   costituzionale   dell'art. 18   dello  stesso  testo
normativo  nella  parte  in  cui prevedeva che il termine di quindici
giorni  per  proporre  l'opposizione  alla  sentenza dichiarativa del
fallimento decorresse per il debitore dalla data dell'affissione.
    E'  noto che analogo principio, a tutela dell'effettivo esercizio
del  diritto di difesa, e' stato affermato dal giudice delle leggi in
altre   sentenze   che  sono  venute  ad  incidere  sulla  disciplina
originariamente  contenuta  nella  legge  fallimentare,  in  tema  di
opposizione  allo  stato  passivo,  in  tema  di  impugnazione  della
sentenza  di  omologazione o di reizione del concordato fallimentare,
in tema di impugnazione della sentenza di omologazione o di reiezione
del  concordato  preventivo,  in  tema di sentenza dichiarativa dello
stato  di  insolvenza  dell'impresa  soggetta  a  liquidazione coatta
amministrativa  in  tema  di  reclami  endofallimentari. Tra le norme
della  legge  fallimentare  che condizionavano l'ammissibilita' di un
gravame  a  un  termine  correlato  alla  formalita' dell'affissione,
risulta sopravvissuta quella di cui all'art. 144.
    La  differenziata  disciplina che, allo stato attuale del diritto
positivo,  si rende palese, in ordine alla determinazione dei termini
di   decadenza   a   cui   soggiace  l'esercizio  della  facolta'  di
impugnazione,  con  il  deteriore  trattamento  riservato a colui che
agisca  per  conseguire  la  riabilitazione,  non  pare razionalmente
giustificata  e  non pare compatibile con il principio di uguaglianza
sancito  nell'art. 3  Cost.  e  con  il  diritto alla difesa tutelato
dall'art. 24   Cost.   Va   riconosciuta   quindi  la  non  manifesta
infondatezza   della  questione  di  legittimita'  costituzionale  al
riguardo prospettabile.
    Poiche'   la   verifica  della  legittimita'  costituzionale,  in
relazione ai principi suindicati, della norma di cui all'art. 144 del
r.d.  16 marzo  1942,  n. 267, e' rilevante ai fini della valutazione
dell'ammissibilita'   del   presente   reclamo,   se  ne  rimette  la
valutazione alla Corte costituzionale.