IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza (ex art. 23 legge n. 87/1953) nel procedimento a carico di Davidova Larisa, nata a Varascova (Cecenia) il 19 gennaio 1976, difesa di fiducia dall'avv. Pavarini Paolo del Foro di Torino, per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, decreto legislativo n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002. Premesso che in data 19 marzo 2003 alle ore 23,20 la prevenuta veniva tratta in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, legge n. 286/1998 (perche' sorpresa in territorio nazionale dopo la scadenza del termine di giorni cinque, entro cui le era stato intimato dal questore di Asti, con provvedimento del 10 marzo 2003, notificato in pari data, di allontanarsi dall'Italia; che all'udienza del 20 marzo 2003, l'arresto veniva convalidato attesa la regolarita' formale del provvedimento di intimazione e la sussistenza degli altri presupposti previsti dalla legge; che la difesa chiedeva procedersi nelle forme del rito abbreviato; che nel corso dell'interrogatorio precedente la convalida la Davidova dichiarava di non aver potuto lasciare il territorio italiano in quanto sprovvista di soldi e di documenti, precisando che in Cecenia, suo Paese di origine, e' in corso una guerra civile. Ritiene questo giudice, chiamato a giudicare nel merito sulla sussistenza e configurabilita' della fattispecie per cui e' stato operato l'arresto, (aldila' della valutazione necessariamente sommaria effettuata in sede di convalida dell'operato delle forze dell'ordine), che l'art. 14, comma 5-bis e ter, legge n. 286/1998 sia costituzionalmente illegittimo perche' contrastante con gli artt. 2, 3, 13, 25, comma secondo, e 27, comma terzo, della Costituzione per i motivi che verranno detti. La fattispecie penale di cui si dubita della legittimita' costituzionale e' inserita nell'ambito del sistema relativo alla esecuzione del decreto di espulsione prefettizio di cui all'art. 13, comma 2, legge n. 286/1998, sistema dalla cui ricostruzione non si puo' prescindere al fine di una migliore comprensione della questione. Una volta decretata da parte del prefetto l'espulsione amministrativa dello straniero, l'esecuzione della stessa spetta al questore che a norma dell'art. 13, comma 4, deve eseguirla mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L'accompagnamento coattivo viene previsto dalla legge come il mezzo principale e generale per l'esecuzione delle espulsioni, (tranne che per alcuni casi espressamente previsti dall'art. 13, comma 5), e trattandosi di misura che incide sulla liberta' personale, e' soggetto a convalida da parte della autorita' giurisdizionale. Ove tuttavia non sia possibile eseguire immediatamente l'espulsione (perche' occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita' ovvero alla acquisizione di documenti di viaggio, ovvero vi sia indisponibilita' di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo), a norma dell'art. 14 comma 1, lo straniero, su ordine del questore, viene trattenuto presso un c. p. t. con una procedura che attesa la sua giurisdizionalizzazione non consente abusi. Il questore ha a disposizione trenta giorni di tempo (rinnovabili di altri trenta) per eliminare le cause che avevano impedito l'espulsione immediata ed eseguirla. Se poi, «non e' stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea ...» il legislatore prevede un sistema residuale di esecuzione dell'espulsione consistente nell'intimazione da parte del questore allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni. Il legislatore delega, in definitiva, allo stesso soggetto onerato, l'esecuzione del provvedimento di espulsione, rendendola coattiva attraverso la previsione di una sanzione penale. L'inottemperanza all'ordine del questore, senza addurre giustificato motivo e', infatti, sanzionata penalmente con l'applicazione della pena dell'arresto da sei mesi ad un anno e comporta, da parte delle forze dell'ordine, l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto e il giudizio per direttissima (art. 14, comma 5-quinquies). La norma incriminatrice appare essere legata da un rapporto di species ad genum rispetto alla fattispecie di cui all'art. 650 c.p., in cui la specialita' consiste nel fatto che l'ordine questorile e' gia' normativamente predeterminato nei presupposti e nel contenuto. I presupposti dell'intimazione entrano a far parte del contenuto della stessa, rendendo legittimo l'uso del potere solo se vengono rispettati. L'ordine questorile deve pertanto, contenere, nella parte motiva, l'espresso riferimento alle condizioni che ne hanno determinato l'emissione. Dal profilo strutturale, il reato in esame presuppone, pertanto, non solo un preesistente valido decreto di espulsione amministrativa, ma anche una complessa situazione di fatto, basata a sua volta su due presupposti: 1) impossibilita' di esecuzione immediata dell'espulsione a causa della sussistenza di una delle condizioni ostative di cui all'art. 14, comma 1; 2) impossibilita' di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo. Delimitato in questo modo l'ambito di operativita' della fattispecie penale e la sua connotazione strutturale, l'art. 14 comma 5-bis e ter appare confliggere con gli artt. 2, 13, 25, comma secondo, e 27, comma terzo, della Costituzione in quanto in contrasto con il principio di offensivita' dagli stessi enucleato. Il principio nullum crimen sine iniuria trova, infatti, fondamento nella Costituzione che all'art. 25, comma 2, ha costruito una nozione di reato come illecito tipico, comprensivo anche della offesa al bene tutelato. Ogni qual volta i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui rientra quello della liberta' personale, subiscono limiti in relazione alla sussistenza e alla necessita' di tutelare altri diritti con cui i primi devono armonizzarsi, il loro sacrificio e' legittimo solo se i secondi abbiano pari dignita' costituzionale. Il principio di offensivita' opera, pertanto, su due differenti livelli: 1) l'interesse tutelato dalla norma penale deve avere «significativita' costituzionale»; 2) il reato deve estrinsecarsi in un fatto necessariamente lesivo, o quantomeno pericoloso, di tale interesse. Il principio in esame pone, pertanto, un limite alla discrezionalita' del legislatore impedendo che vengano perseguite condotte prive di un reale disvalore e che il reato possa essere strutturato a priori ed in astratto in modo tale da non essere lesivo dell'interesse, oggetto giuridico della norma incriminatrice. Nel caso di specie, la norma denunciata e' volta a tutelare ed ha ad oggetto quegli stessi interessi, ordine pubblico e sicurezza pubblica, di sicuro rilievo costituzionale, a protezione dei quali e' emanato il provvedimento di espulsione e rispetto al quale la intimazione costituisce il mezzo di esecuzione. La fattispecie penale e' strutturata, tuttavia, fin dalla sua previsione astratta, in modo tale da escludere anche in via meramente ipotetica, la lesione del bene protetto. Il reato in questione, infatti, ha come presupposto un decreto di espulsione che il legislatore stesso all'art. 14, comma 1, definisce «non immediatamente eseguibile» a causa della sussistenza di una delle condizioni ostative ivi espressamente previste. L'inottemperanza all'ordine questorile appare, pertanto, fin dalla sua previsione astratta non idonea a ledere il bene protetto dalla norma, atteso che e' il legislatore stesso che definisce ineseguibile il provvedimento di cui l'intimazione rappresenta il mezzo di attuazione. La norma penale, pertanto, cosi' strutturata, appare configurare un illecito di mera disubbidienza, disancorato dalla lesione di un qualsiasi bene giuridico; lo straniero espulso, viene infatti, punito con l'arresto per il solo fatto di aver disubbidito all'intimazione del questore, a prescindere dal fatto che gia' a priori manca la possibilita' concreta di eseguire l'ordine e quindi di ledere il bene a protezione del quale la norma e' preposta. Occorre a tale proposito sottolineare che in base ai principi che regolano il diritto amministrativo, perche' un ordine impartito dalla pubblica amministrazione sia vincolante per il destinatario, lo stesso deve essere eseguibile e cioe' non devono sussistere cause ostative alla sua diretta ed immediata attuazione. Fra i presupposti dell'esecutivita', rientra la cosiddetta «possibilita' materiale» e cioe' la possibilita' che l'atto mandato ad esecuzione possa effettivamente realizzare il suo scopo. L'ordinamento entra in contraddizione con se stesso quando ordina di dare esecuzione ad un provvedimento che per sua stessa ammissione non e' eseguibile. A maggior ragione la contraddizione sussiste, diventando irragionevolezza, quando all'ordine di attuazione del provvedimento non eseguibile viene fatta conseguire, in caso di inottemperanza, una sanzione penale. Il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter contrasta pertanto, sotto questo profilo, anche con gli artt. 13 e 27 comma terzo, della Costituzione. La compressione della liberta' personale che consegue alla inottemperanza, diventa infatti, ingiustificata atteso che non e' bilanciata da alcun interesse che ne giustifichi la limitazione. Nessuna finalita' di rieducazione della pena puo' essere, poi, ravvisata in una sanzione volta a rendere coercibile un comportamento che lo stesso legislatore definisce non eseguibile e che a cui la stessa pubblica amministrazione non e' in grado di far fronte. Sulla rilevanza della questione si sottolinea che la prevenuta ha addotto quale causa giustificativa all'inottemperanza dell'ordine questorile, proprio una di quelle situazioni in presenza delle quali il legislatore definisce non immediatamente eseguibile la espulsione e cioe' la mancanza di documenti di identificazione, precisando di esserne stata sprovvista fin dal suo ingresso in Italia. L'intimazione del questore del resto motiva la necessita' del provvedimento facendo riferimento: all'«impossibilita' di procedere all'accompagnamento immediato alla frontiera perche' occorre effettuare accertamenti supplementari in ordine alla identita' e nazionalita', in quanto trattasi di soggetto sprovvisto di documenti di riconoscimento e quindi di viaggio», e all'impossibilita' «di trattenere la straniera presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza».