ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 4, 5 e 6
della   legge   della   Regione   Piemonte   3   giugno 2002,   n. 14
(Regolamentazione        sull'applicazione        della       terapia
elettroconvulsivante,  la  lobotomia  prefrontale  e transorbitale ed
altri  simili interventi di psicochirurgia), promosso con ricorso del
Presidente  del Consiglio dei ministri, notificato il 29 luglio 2002,
depositato  in  cancelleria il 7 agosto 2002 ed iscritto al n. 47 del
registro  ricorsi 2002, e nel giudizio di legittimita' costituzionale
dell'art. 3,   commi 2,   3   e   4,   della   legge   della  Regione
Toscana 28 ottobre   2002,   n. 39   (Regole  del  sistema  sanitario
regionale   toscano   in   materia   di  applicazione  della  terapia
elettroconvulsivante,  la  lobotomia  prefrontale  e transorbitale ed
altri  simili interventi di psicochirurgia), promosso con ricorso del
Presidente  del Consiglio dei ministri, notificato il 2 gennaio 2003,
depositato  in  cancelleria  l'11  successivo ed iscritto al n. 3 del
registro ricorsi 2003.
    Visti  gli  atti  di  costituzione della Regione Piemonte e della
Regione  Toscana,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Comitato dei
cittadini per i diritti dell'uomo (C.C.D.U.);
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30 settembre  2003 il giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio  dei  ministri e gli avvocati Anita Ciavarra per la Regione
Piemonte e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  notificato  il  29 luglio 2002 e depositato il
7 agosto  2002 (reg. ric. n. 47 del 2002) il Presidente del Consiglio
dei ministri ha sollevato in via principale questione di legittimita'
costituzionale  della  legge  della  Regione  Piemonte 3 giugno 2002,
n. 14     (Regolamentazione     sull'applicazione    della    terapia
elettroconvulsivante,  la  lobotomia  prefrontale  e transorbitale ed
altri  simili  interventi  di  psicochirurgia),  in  riferimento agli
articoli 2,  32,  33,  primo  comma,  117,  terzo comma (tutela della
salute e professioni), della Costituzione.
    2. - Le   censure  del  ricorrente  cadono  «segnatamente»  sugli
articoli 4, 5 e 6 di tale legge.
    L'art. 4  (Limiti  di utilizzo) introduce il divieto di praticare
terapia   elettroconvulsivante   (TEC),   lobotomia   prefrontale   e
transorbitale e «altri simili interventi di psicochirurgia» «in tutte
le  strutture  regionali»  su  bambini,  anziani  e donne in stato di
gravidanza  (salvo,  per  queste  ultime, il ricorso alla sola TEC su
espressa  richiesta della paziente e autorizzazione del coniuge e dei
«familiari diretti»).
    L'art. 5  (Deontologia  medica)  dispone  che  «e' eliminato ogni
riferimento  che  possa contemplare una responsabilita' professionale
del  medico»  che  decida  di  non  praticare TEC, lobotomia e simili
interventi  di  psicochirurgia, «salvo rispondere dei propri atti nei
termini    previsti    dalla    normativa    sulla    responsabilita'
professionale».
    L'art. 6  (Monitoraggio, sorveglianza e valutazione) impone che i
pazienti   cui  e'  stata  praticata  la  TEC  siano  successivamente
sottoposti  a  verifiche  e  controlli  sanitari  generali periodici,
prevedendo  a  tale  scopo  che  l'assessorato  regionale  istituisca
procedure  di  valutazione e revisione dell'applicazione della TEC su
scala  regionale, tramite una commissione di professionisti esterni e
rappresentanti locali delle associazioni di settore.
    3. - Lo  Stato  premette  che  un  precedente  «in termini» sulla
illegittimita'  costituzionale di disposizioni normative regionali di
analogo  contenuto  sarebbe costituito dalla sentenza n. 282 del 2002
di  questa Corte, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la
legge   della   Regione   Marche  n. 26  del  2001,  recante  divieto
temporaneo, nell'ambito del territorio regionale, della pratica della
terapia  elettroconvulsivante,  della  lobotomia  e  di  altri simili
interventi di psicochirurgia.
    In  tale  occasione,  la  Corte  avrebbe  ricondotto l'intervento
legislativo regionale nella sfera della potesta' concorrente prevista
dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione (tutela della salute),
precisando  che,  dedotti i principi fondamentali della materia dalla
legislazione   statale   in  vigore,  confligge  con  gli  stessi  un
intervento  legislativo  regionale  fondato  su  «valutazioni di pura
discrezionalita'   politica»,  ed  avulso  da  conformi  acquisizioni
tecnico-scientifiche verificate dagli organismi competenti (di regola
nazionali o sovranazionali).
    Tale  rilievo,  a  parere  dello Stato, e' risolutivo nel caso di
specie    per   affermare   l'illegittimita'   costituzionale   degli
articoli 4, 5 e 6 della legge impugnata.
    La  Regione,  difatti, non potrebbe, senza «l'apporto di adeguate
istituzioni  tecnico-specialistiche»,  dare indicazioni su specifiche
terapie mediche, venendo ad incidere sui «diritti di personalita' dei
cittadini,  persino  costituzionalmente  garantiti», poiche' entra in
gioco  «un  momento  logicamente  preliminare  persino  rispetto alla
determinazione»  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  di cui
all'art. 117,   secondo   comma,   lettera m),   della  Costituzione,
necessariamente riservato allo Stato.
    Allo  stesso  modo, secondo il ricorrente, spetterebbe allo Stato
«sia  configurare sia disciplinare» il campo dei diritti fondamentali
del    paziente    (artt. 2   e   32   della   Costituzione),   della
responsabilita',  anche civile, del medico, e delle «linee di ricerca
degli  studiosi  dediti  alla  scienza medica» (art. 33, primo comma,
della Costituzione), che verrebbe viceversa invaso dalle disposizioni
censurate.
    Cio'  viene  affermato  «in  particolare» in relazione all'art. 5
della legge impugnata.
    Le norme censurate, in ogni caso, contrasterebbero con i predetti
articoli 2, 32 e 33, primo comma, della Costituzione e con i principi
recati  da norme statali interposte (articoli 1, 2, 3 e 5 della legge
13 maggio  1978, n. 180; articoli 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre
1978,  n. 833;  articoli 1  e 14 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502;
art. 114  (recte:  115), comma 1, lett. b) e d) d del d.lgs. 31 marzo
1998,  n. 112; art. 47-ter, lett. a) e b), del d.lgs. 30 luglio 1999,
n. 300).
    4. - Si  e' costituita in giudizio la Regione Piemonte, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata.
    Secondo la Regione, il ricorso dello Stato si fonda su un'erronea
interpretazione della normativa oggetto di censura.
    Essa,  infatti,  non  interferirebbe con la ricerca scientifica e
l'attivita'  medica,  ma  si  limiterebbe  a  prevedere  «particolari
cautele»  nei  riguardi  di  «soggetti  particolarmente vulnerabili»,
«assicurando  la riduzione dei fattori di maggiore rischio», anche al
fine di prevenire azioni risarcitorie nei riguardi dell'ente pubblico
erogatore della prestazione.
    Sussisterebbero,  peraltro,  idonee  terapie  alternative a TEC e
interventi   di  lobotomia,  suggerite  da  istituzioni  pubbliche  e
sovranazionali:    la    Regione   richiama,   in   particolare,   la
raccomandazione UE n. 1235 del 1994.
    L'intervento  legislativo regionale sarebbe in definitiva fondato
sulla  competenza  concernente  la  tutela  della salute e, in quanto
conforme  ai  principi  individuabili  in  materia, si sottrarrebbe a
censura di illegittimita'.
    5. - Con  ricorso  notificato  il  2 gennaio  2003  e  depositato
l'11 gennaio  2003  (reg.  ric.  n. 3  del  2003)  il  Presidente del
Consiglio  dei  ministri  ha sollevato in via principale questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 3, commi 2, 3 e 4, della legge
della  Regione  Toscana 28 ottobre  2002,  n. 39  (Regole del sistema
sanitario  regionale toscano in materia di applicazione della terapia
elettroconvulsivante,  la  lobotomia  prefrontale  e transorbitale ed
altri  simili  interventi  di  psicochirurgia),  in  riferimento agli
articoli 2,  32,  33,  primo  comma,  117,  terzo comma (tutela della
salute e professioni), della Costituzione.
    La norma impugnata introduce il divieto, «di norma», di praticare
la  TEC  «nel  sistema  regionale della Toscana» su minori, anziani e
donne  in  stato  di  gravidanza,  se  non  in  caso di eccezionale e
comprovata  necessita' medica, su espressa richiesta e autorizzazione
dei  familiari  diretti  del  paziente nel caso di minori, ovvero del
paziente  stesso  negli  altri  casi,  ferma restando la tutela della
vita,  della  salute  e  della  dignita' del paziente (comma 2). Essa
vieta poi in termini assoluti gli interventi di lobotomia prefrontale
e  transorbitale e «altri simili interventi di psicochirurgia» (comma
3),  e demanda alla Giunta regionale il compito di predisporre, entro
sei mesi dall'entrata in vigore della legge, linee guida sull'impiego
della  TEC  e  sulle  procedure  relative  al consenso del paziente e
all'autorizzazione  all'intervento,  «su  conforme  indicazione della
comunita' scientifica toscana e acquisito il parere della Commissione
regionale di bioetica» (comma 4).
    6. - Il ricorrente riproduce le medesime censure mosse avverso la
legge  della  Regione  Piemonte  n. 14 del 2002, soffermandosi poi in
particolare sul comma 4 dell'art. 3 della legge toscana.
    Al  ricorrente appare incostituzionale l'attribuzione alla Giunta
del   potere   di  adottare,  mediante  atto  amministrativo  neppure
regolamentare, linee guida sull'impiego della TEC.
    Ne' si potrebbe ritenere invocabile in senso opposto l'intervento
preventivo  della  «comunita'  scientifica  toscana»,  poiche' a tale
espressione  linguistica  non  corrisponde  «un'entita' istituzionale
organizzata»;   in   ogni   caso,  non  sarebbe  razionale  ricorrere
all'opinione   dei   soli   esperti  toscani,  a  fronte  di  profili
scientifici  di  «dimensione  internazionale», specie se si valuta il
rischio  di  divergenze  rispetto  alle  indicazioni promananti dagli
organismi tecnici nazionali.
    7. - Si  e'  costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata.
    8. - In  prossimita' dell'udienza pubblica la Regione Piemonte ha
depositato  memoria  illustrativa,  insistendo perche' il ricorso sia
dichiarato inammissibile e infondato.
    Viene  eccepita anzitutto l'inammissibilita' del ricorso, a causa
della  dedotta «mancata specificazione dell'oggetto della questione»,
dovuta al fatto che il Governo avrebbe impugnato l'intero testo della
legge  regionale,  pur  enunciando  profili di incostituzionalita' in
ordine ai soli articoli 4, 5 e 6.
    Nel  merito,  la  resistente  contesta  che  le  norme denunciate
confliggano   con  gli  articoli 2,  32  e  33,  primo  comma,  della
Costituzione,   essendo   esse   tese   a   preservare   la  dignita'
dell'individuo, nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente
attinente  alla  «tutela  della  salute»,  di cui all'art. 117, terzo
comma, della Costituzione.
    In  particolare,  la  legge  non  interferirebbe  con le funzioni
mediche  diagnostiche  e  curative,  ma  si  limiterebbe  a stabilire
«particolari    cautele»,   specie   nei   confronti   di   «soggetti
particolarmente vulnerabili». Ne' vi sarebbe incisione sulla sfera di
liberta' della ricerca scientifica.
    Parimenti,   ritiene  la  Regione  che  la  legge  impugnata  non
contrasti con i principi desumibili dalle norme interposte richiamate
nel ricorso dello Stato.
    Quanto  alla legge n. 180 del 1978, in particolare, si sottolinea
che   le  norme  censurate  sarebbero  rispettose  del  principio  di
volontarieta'   dell'intervento   terapeutico,   ne'  ostacolerebbero
l'esecuzione  di trattamenti sanitari obbligatori, nel rispetto della
dignita' della persona.
    Quanto  alla legge n. 833 del 1978, poi, vi sarebbe piena armonia
tra  le  disposizioni  regionali  e  gli  articoli 33,  34 e 35 della
normativa  statale,  tesi  a  garantire l'acquisizione del consenso e
della  partecipazione del soggetto sottoposto a trattamento sanitario
obbligatorio.
    Peraltro,  continua la Regione resistente, ulteriori disposizioni
della  legge  n. 833 del 1978 troverebbero corrispondenza nella legge
impugnata:  vengono  a  tale  proposito ricordati l'art. 1, in quanto
inteso  a  preservare  la  tutela  della  salute  nel  rispetto della
dignita'  e  liberta'  del  paziente,  e l'art. 2, volto a promuovere
particolari  precauzioni  a  favore  di donne in stato di gravidanza,
minori,  anziani, e a favorire il recupero e il reinserimento sociale
dei malati di mente.
    Infine,  la  legge  regionale  sarebbe  in armonia con i principi
desumibili dagli articoli 1 e 2 del d.lgs. n. 502 del 1992.
    In  particolare,  gli  articoli 1  e  2  della  legge oggetto del
ricorso dettano, secondo la ricostruzione della difesa regionale, «le
premesse   generali   giustificative»   dell'intervento  legislativo;
l'art. 3,  esigendo  il consenso informato del paziente, preceduto da
adeguata   informazione,   concretizzerebbe   «principi  generali  di
corretta  condotta sanitaria e deontologica del personale medico», in
armonia  con  quanto  previsto  dalla  circolare 15 febbraio 1999 del
Ministro della sanita'.
    L'art. 4,   prescrivendo  divieti  nel  ricorso  alla  TEC,  alla
lobotomia prefrontale e transorbitale e ad altri simili interventi di
psicochirurgia,   troverebbe   a   proprio   fondamento   «risultanze
scientifiche accreditate» da cui si desumerebbe l'inefficacia di tali
interventi,  la dannosita' degli stessi per la salute dei pazienti, e
soprattutto  delle  donne  in stato di gravidanza, dei bambini, degli
anziani, ed infine la sussistenza di adeguate terapie alternative.
    Ne'  sarebbe  invocabile la liberta' del medico di determinare la
cura  ritenuta  idonea,  poiche'  «il  legislatore non e' subordinato
all'assioma del sovrano discernimento scientifico del medico».
    Non   si   tratterebbe,  percio',  di  compromettere  il  diritto
dell'individuo alla cura, ma di «rafforzarlo», garantendo l'idoneita'
della stessa nella struttura sanitaria regionale.
    L'art. 5  avrebbe  lo  scopo  di  «salvaguardare  il medico», che
voglia optare per terapie alternative.
    L'art. 6,  infine,  istituisce  un  «controllo  scientifico della
terapia elettroconvulsivante».
    Con   tali   disposizioni,   conclude   la  resistente,  adottate
nell'esercizio  di  una  potesta'  affidata  costituzionalmente  alla
Regione,  non  si comprime la liberta' di esercizio dell'arte medica,
ma  si  responsabilizzano  invece  gli operatori sanitari, in fase di
scelta  del  trattamento  terapeutico  «di  minore pericolosita' e di
esito scientificamente accertato».
    9. - A   propria   volta   la  Regione  Toscana,  in  prossimita'
dell'udienza pubblica, ha depositato memoria illustrativa.
    La  resistente  premette di aver inteso uniformarsi, con la legge
impugnata, alle indicazioni tracciate da questa Corte con la sentenza
n. 282  del  2002:  quest'ultima,  in particolare, non avrebbe voluto
precludere al potere legislativo (sia statale che regionale) spazi di
disciplina,  ed  eventualmente  di  divieto,  di  pratiche mediche, a
condizione,  tuttavia, che l'inefficacia o la dannosita' delle stesse
fosse acclarata a livello scientifico.
    Nel  caso di specie, prosegue la difesa regionale, il legislatore
toscano   non   ha  mancato  di  fondare  il  proprio  intervento  su
un'accurata  fase  istruttoria  di  carattere tecnico-scientifico, al
termine   della   quale  sarebbero  state  puntualmente  recepite  le
direttive   impartite   dal   Consiglio   superiore   della  sanita',
dall'Osservatorio  per  la  tutela della salute mentale, dal Comitato
nazionale  di  bioetica,  come trascritte nella circolare 15 febbraio
1999 del Ministro della sanita'.
    Preme  alla  Regione  sottolineare  che,  in quest'ottica, non si
sarebbe  inteso  vietare  in  termini  assoluti  la TEC, ma piuttosto
affidarsi  alla  prudente  valutazione del caso concreto da parte del
sanitario  responsabile,  secondo  le  linee  tracciate  dalla  legge
impugnata (che, rammenta la Regione, esprime un divieto operante solo
«di norma» e solo a favore di «soggetti deboli»).
    Cosi'  legiferando,  si  sarebbe  preservata  la stessa autonomia
professionale  del  medico,  in  accordo  con l'art. 29 del codice di
deontologia,  quanto  alla necessita' che quest'ultimo garantisca «da
ogni sopruso» minori, anziani e disabili.
    Quanto  al  divieto  concernente  la  lobotomia, esso, secondo la
Regione  Toscana,  sarebbe  fondato su un pacifico orientamento della
scienza  medica, e risulterebbe meramente riproduttivo di un precetto
gia'   desumibile  direttamente  dall'art. 32  della  Costituzione  e
dall'art. 5 del codice civile.
    Ne' sarebbe pertinente il richiamo operato dal ricorso alle norme
interposte  di cui alla legge n. 180 del 1978 e n. 833 del 1978, e di
cui  agli  articoli 1  e  14  del d.lgs. n. 502 del 1992: da esse non
sarebbe  dato  desumere principi applicabili alla fattispecie (quanto
ai   primi   due  testi  normativi  appena  richiamati),  o  comunque
confliggenti  con  le disposizioni censurate (quanto al d.lgs. n. 502
del 1992).
    Ne  segue,  secondo  la  Regione,  l'infondatezza  del motivo del
ricorso  relativo alla pretesa violazione dell'art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
    Parimenti, sulla scorta di quanto stabilito da questa Corte nella
sentenza  n. 282  del  2002,  dovrebbe escludersi la violazione degli
articoli 2, 32 e 33, primo comma, della Costituzione.
    In  ordine agli articoli 2 e 32 della Costituzione, cio' dovrebbe
affermarsi  poiche'  la  Corte  «ha  negato che il limite dei livelli
essenziali  possa  estendere  la  riserva di legislazione dello Stato
sino  a  ricomprendervi  anche  la disciplina in ordine alle pratiche
terapeutiche»;  in  ordine  all'art. 33  della Costituzione, la Corte
avrebbe gia' escluso l'invasione dell'area dell'ordinamento civile da
parte del legislatore regionale, quando questi ponga «regole concrete
di condotta» cui i soggetti dell'ordinamento sono tenuti ad attenersi
nell'esercizio della propria attivita' professionale.
    10. - Con  atto  depositato  fuori termine ha spiegato intervento
nel  giudizio  promosso avverso la legge regionale del Piemonte (reg.
ric.  n. 47  del  2002)  il  Comitato  dei  cittadini  per  i diritti
dell'uomo  (C.C.D.U.),  definendosi  «associazione  non  riconosciuta
senza  scopo  di  lucro»,  interessata  ad  aderire alla difesa della
Regione Piemonte e chiedendo il rigetto del ricorso.
    11. - All'udienza  pubblica  del  30 settembre  2003,  in sede di
discussione,  le  difese dello Stato e delle Regioni hanno illustrato
le  rispettive  ragioni  e ribadito le conclusioni gia' rassegnate in
atti.

                       Considerato in diritto

    1. - Con  due  distinti  ricorsi di analogo tenore, il Presidente
del  Consiglio  ha  impugnato  (reg.  ric.  n. 47  del 2002) la legge
regionale   del   Piemonte  3  giugno 2002,  n. 14  (Regolamentazione
sull'applicazione  della  terapia  elettroconvulsivante, la lobotomia
prefrontale   e   transorbitale   ed   altri   simili  interventi  di
psicochirurgia),  e  (reg. ric. n. 3 del 2003) l'art. 3, commi 2, 3 e
4, della legge regionale della Toscana 28 ottobre 2002, n. 39 (Regole
del  sistema  sanitario  regionale toscano in materia di applicazione
della   terapia  elettroconvulsivante,  la  lobotomia  prefrontale  e
transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia).
    Le  due  leggi  regionali  hanno  lo  stesso oggetto, anche se la
disciplina in esse contenuta e' parzialmente diversa. In particolare,
entrambe   le   leggi  esordiscono  con  disposizioni  che  enunciano
genericamente  finalita'  di  sviluppo  sociale  «verso  obiettivi di
progresso  democratico»  e  di  «intervento a tutela della salute dei
cittadini» (art. 1 della legge del Piemonte; art. 1 della legge della
Toscana),  e  proclamano  l'adesione delle due Regioni «ai deliberati
delle  Nazioni  Unite,  del  Consiglio  d'Europa» e alle disposizioni
nazionali  «in  materia  di  diritti  umani»  (art. 2 della legge del
Piemonte;  art. 2  della  legge della Toscana, che prosegue elencando
taluni  documenti  internazionali  in  tema  di psichiatria e diritti
umani).
    La  legge piemontese contiene poi un articolo 3 che disciplina il
«consenso   informato»   in  relazione  alla  pratica  della  terapia
elettroconvulsivante  (TEC).  L'articolo 4  stabilisce  che «e' fatto
divieto  di  utilizzare  in  tutte  le strutture regionali la TEC sui
bambini  e  gli  anziani.  Per  le donne in gravidanza viene posto il
medesimo   divieto   a   meno  che  l'applicazione  della  TEC  venga
espressamente  richiesta  dalla  paziente  e  autorizzata  anche  dal
coniuge  e dai familiari diretti della paziente, secondo le modalita'
espresse  dall'articolo 3»;  e che «viene fatto divieto di utilizzare
in   tutte   le   strutture  regionali  la  lobotomia  prefrontale  e
transorbitale,  ad  altri  simili  interventi  di psicochirurgia». Ai
sensi  dell'articolo 5  «e'  eliminato  ogni  riferimento  che  possa
contemplare  una  responsabilita' professionale del medico che decida
di non ricorrere alla TEC, alla lobotomia prefrontale e transorbitale
e  ad altri simili interventi di psicochirurgia, salvo rispondere dei
propri    atti   nei   termini   previsti   dalla   normativa   sulla
responsabilita' professionale». Infine l'articolo 6, sotto la rubrica
«Monitoraggio, sorveglianza e valutazione», prevede che «tutte le TEC
sono  corredate  da dati analitici che permettano di avviare rigorosi
studi  clinici. I pazienti vengono sottoposti a verifiche e controlli
sanitari  generali periodici per un lungo periodo di tempo successivo
allo  shock. A tal fine l'Assessorato regionale alla sanita' mettera'
in   atto  procedure  di  valutazione  e  revisione  periodica  delle
applicazioni  della TEC su scala regionale attraverso una Commissione
composta   da   professionisti   esterni   e  rappresentanti  locali,
professionalmente qualificati, delle associazioni di settore».
    A sua volta l'art. 3 della legge toscana, al comma 1, detta norme
sul  consenso  informato  in  relazione  alla  pratica  della TEC; al
comma 2  stabilisce  che  «di  norma, nel sistema sanitario regionale
della Toscana non si ricorre all'utilizzo della TEC sui minori, sugli
anziani  oltre  il  sessantacinquesimo  anno di eta' e sulle donne in
stato  di  gravidanza,  se  non  in  caso di eccezionale e comprovata
necessita'   medica,  su  espressa  richiesta  e  autorizzazione  dei
familiari  diretti  del  paziente  nel  caso  dei  minori, ovvero dal
(recte:  del) paziente stesso negli altri casi e secondo le modalita'
indicate al comma 1, sempre e comunque salvaguardando la tutela della
vita,   della  salute  e  della  piena  dignita'  del  paziente».  Il
successivo  comma 3 recita che «nel sistema sanitario regionale della
Toscana non si utilizzano la lobotomia prefrontale e transorbitale ed
altri  simili  interventi  di psicochirurgia». Il comma 4 prevede che
«apposite  linee  guida  sull'utilizzo  della  TEC  e sulle procedure
relative  al consenso e all'autorizzazione sono adottate dalla Giunta
regionale,   su  conforme  indicazione  della  comunita'  scientifica
toscana   e  acquisito  il  parere  della  Commissione  regionale  di
bioetica,  entro  sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della  legge».
L'art. 4,  infine, prevede «una attenta sorveglianza per monitorare e
valutare   indicazioni,   frequenza,   procedure   ed   esiti   delle
applicazioni»,  e  dispone che gli interventi di TEC siano «corredati
da  dati analitici che permettano di avviare rigorosi studi clinici»,
assicurando   che  i  pazienti  siano  successivamente  sottoposti  a
verifiche e controlli sanitari.
    I  ricorsi fanno riferimento alla sentenza di questa Corte n. 282
del  2002,  che  ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una
legge  della  Regione  Marche  relativa  alla  stessa  materia,  e in
particolare  alle  affermazioni  in  tale  decisione  contenute circa
l'autonomia  del  medico, che opera le scelte professionali basandosi
sullo  stato  delle  conoscenze,  e circa il contrasto con i principi
fondamentali  della legislazione statale di un intervento legislativo
regionale non fondato su acquisizioni tecnico-scientifiche verificate
dagli organismi competenti, di norma nazionali o sovranazionali.
    Questo  precedente  confermerebbe,  secondo il ricorrente, che le
disposizioni  impugnate  -  la  legge piemontese e «segnatamente» gli
articoli 4,  5  e 6 di essa, da una parte, l'articolo 3, commi 2, 3 e
4,  della  legge  toscana,  dall'altra  - eccederebbero la competenza
regionale e contrasterebbero con gli articoli 2, 32, 33, primo comma,
e  117,  terzo  comma  (professioni  e  tutela  della  salute), della
Costituzione, nonche' con i principi recati da diverse leggi statali,
e precisamente l'art. 114 (recte: 115), comma 1, lettere b) e d), del
d.lgs.  n. 112 del 1998, e l'art. 47-ter, lettere a) e b), del d.lgs.
n. 300   del  1999  (in  tema  di  riserva  allo  Stato  di  funzioni
concernenti l'adozione di norme, linee guida e prescrizioni tecniche,
di   manuali   e   istruzioni   tecniche,  di  indirizzi  generali  e
coordinamento  in  materia  sanitaria);  gli  artt. 1, 2, 3 e 5 della
legge  n. 180 del 1978 e gli artt. 33, 34 e 35 della legge n. 833 del
1978  (in tema di accertamenti e di trattamenti sanitari volontari ed
obbligatori,  in  particolare per malattia mentale); gli artt. 1 e 14
del  d.lgs.  n. 502  del  1992 e successive modificazioni (in tema di
livelli  essenziali  di  assistenza medica e di diritti dei cittadini
nell'ambito del servizio sanitario nazionale).
    Ad avviso del ricorrente, i legislatori regionali non potrebbero,
senza  l'apporto di adeguate istituzioni tecnico-specialistiche, dare
indicazioni   su   singole   terapie,   cosi'  incidendo  su  diritti
fondamentali    dei   cittadini;   le   decisioni   in   materia   si
collocherebbero   in   un  momento  logicamente  preliminare  persino
rispetto  alla  determinazione  dei  livelli essenziali e uniformi di
assistenza sanitaria.
    Le   disposizioni   impugnate   invaderebbero   altresi'  l'«area
concettuale» dei diritti fondamentali del paziente e la contigua area
delle  responsabilita'  degli  esercenti  le  professioni  sanitarie,
nonche',  in parte, della ricerca in campo medico, violando cosi' gli
artt. 2, 32 e 33, primo comma, della Costituzione.
    A  proposito  dell'art. 3,  comma 4,  della  legge  toscana,  che
prevede    «linee    guida»    emanate    dalla    Giunta   regionale
sull'applicazione della TEC, su conforme indicazione della «comunita'
scientifica toscana», il ricorrente aggiunge che a siffatta comunita'
scientifica  non  corrisponde un'«entita' istituzionale organizzata e
dotata  di legittimi esponenti», e comunque che non sarebbe razionale
riservare   alla   dimensione   regionale   l'espressione   di   tali
indicazioni,  che  potrebbero  anche  contrastare con quelle espresse
dalle istituzioni tecnico-specialistiche nazionali.
    2. - E'  opportuno  che  i  due  giudizi, aventi ad oggetto leggi
regionali sullo stesso tema e parzialmente coincidenti nel contenuto,
siano riuniti per essere decisi con unica pronunzia.
    3. - Deve   preliminarmente   essere   dichiarato   inammissibile
l'intervento  spiegato,  peraltro tardivamente, nel giudizio relativo
alla  legge  piemontese,  dal  Comitato  dei  cittadini per i diritti
dell'uomo (C.C.D.U.) di Milano. Secondo la costante giurisprudenza di
questa  Corte, nei giudizi di legittimita' costituzionale promossi in
via  principale  sono  legittimati  ad  essere  parti solo i soggetti
titolari  delle  attribuzioni  legislative in contestazione (cfr., da
ultimo,  sentenze  n. 49 del 2003, n. 303 del 2003, n. 307 del 2003 e
n. 315 del 2003).
    4. - Il  giudizio  relativo alla legge regionale della Toscana ha
ad  oggetto, come si e' detto, i soli commi 2, 3 e 4 dell'articolo 3,
relativi  rispettivamente ai limiti di utilizzo della TEC, al divieto
di  utilizzo  della  lobotomia  e  di  altri interventi cosiddetti di
psicochirurgia,  e alle linee guida regionali sull'utilizzo della TEC
e sulle relative procedure.
    Il  ricorso  avverso  la  legge  regionale  del Piemonte, invece,
impugna  l'intera  legge,  anche  se  poi  le  censure  sono riferite
«segnatamente»  agli  articoli 4,  5 e 6, relativi rispettivamente ai
limiti di utilizzo della TEC e al divieto di utilizzo della lobotomia
e   di   simili   interventi   di   psicochirurgia   (art. 4),   alla
responsabilita'  professionale  del medico (art. 5), al monitoraggio,
sorveglianza e valutazione della pratica della TEC (art. 6).
    Tuttavia   la  delibera  del  Consiglio  dei  ministri,  relativa
all'impugnazione  della  legge piemontese, e' esplicita nel senso che
il  Governo  ha determinato di impugnare il solo articolo 4, al quale
soltanto   sono  riferite  anche  le  valutazioni  di  illegittimita'
formulate  nella  relazione  del  Ministro  per  gli affari regionali
allegata al verbale del Consiglio dei ministri medesimo.
    Poiche'  l'oggetto  dell'impugnazione  e' definito dal ricorso in
conformita'  alla  decisione  governativa  (cfr.  sentenza n. 315 del
2003), sono dunque inammissibili le questioni sollevate nei confronti
degli  articoli 5  e 6 della legge piemontese (e piu' in generale nei
confronti dell'intera legge), ferma restando la valutazione di questa
Corte  in  ordine  all'eventuale  nesso  di  inscindibilita'  fra  la
disposizione  validamente  impugnata  e  le  altre disposizioni della
legge, non investite da autonome censure ritualmente proposte.
    In definitiva, pertanto, l'oggetto dei due giudizi viene in larga
parte  ad essere il medesimo: esso riguarda le disposizioni delle due
leggi  che  pongono  limiti  o  divieti all'utilizzo della TEC, della
lobotomia  e  di  altri  simili  interventi di psicochirurgia, cui si
aggiunge,  nel caso della legge toscana, la previsione di linee guida
regionali per l'utilizzo della TEC e le relative procedure.
    5. - Le questioni sono fondate.
    5.1. - Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  stabilire, nella
sentenza  n. 282  del  2002,  relativa  ad  una legge regionale delle
Marche  (che  sospendeva,  nel  territorio  regionale, l'applicazione
della   TEC,   della  lobotomia  e  di  altri  simili  interventi  di
psicochirurgia),  che scelte legislative dirette a limitare o vietare
il ricorso a determinate terapie - la cui adozione ricade in linea di
principio  nell'ambito  dell'autonomia  e  della  responsabilita' dei
medici,  tenuti  ad  operare  col  consenso  informato del paziente e
basandosi   sullo   stato  delle  conoscenze  tecnico-scientifiche  a
disposizione  -  non sono ammissibili ove nascano da pure valutazioni
di  discrezionalita'  politica,  e  non  prevedano «l'elaborazione di
indirizzi   fondati  sulla  verifica  dello  stato  delle  conoscenze
scientifiche   e   delle  evidenze  sperimentali  acquisite,  tramite
istituzioni  e  organismi  -  di norma nazionali o sovranazionali - a
cio'  deputati»,  ne'  costituiscano  «il  risultato  di una siffatta
verifica».
    Si  puo'  ora  aggiungere  che  stabilire  il confine fra terapie
ammesse   e  terapie  non  ammesse,  sulla  base  delle  acquisizioni
scientifiche   e   sperimentali,   e'   determinazione   che  investe
direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia,
collocandosi «all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona
malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della
scienza  e  dell'arte  medica;  e  quello  ad  essere rispettato come
persona, e in particolare nella propria integrita' fisica e psichica»
(sentenza  n. 282 del 2002), diritti la cui tutela non puo' non darsi
in  condizioni  di  fondamentale  eguaglianza  su tutto il territorio
nazionale.
    Da  cio'  discende che interventi legislativi regionali, posti in
essere nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente, come
quella  di  cui  le  Regioni godono in materia di tutela della salute
(art. 117,  terzo  comma, Cost.), sono costituzionalmente illegittimi
ove  pretendano  di  incidere  direttamente  sul  merito delle scelte
terapeutiche  in  assenza  di  - o in difformita' da - determinazioni
assunte  a  livello  nazionale,  e quindi introducendo una disciplina
differenziata, su questo punto, per una singola Regione.
    Nei  limiti  dei principi fondamentali, nulla vieta invece che le
Regioni, responsabili per il proprio territorio dei servizi sanitari,
dettino  norme  di organizzazione e di procedura, o norme concernenti
l'uso  delle  risorse  pubbliche  in  questo  campo: anche al fine di
meglio   garantire   l'appropriatezza  delle  scelte  terapeutiche  e
l'osservanza   delle  cautele  necessarie  per  l'utilizzo  di  mezzi
terapeutici  rischiosi  o  destinati  ad  impieghi  eccezionali e ben
mirati,  come  e' riconosciuto essere la terapia elettroconvulsivante
(in   questo   ambito  possono  collocarsi  discipline  sul  consenso
informato   o   sulle   procedure  di  monitoraggio,  sorveglianza  e
valutazione, quali quelle contenute anche in disposizioni delle leggi
di   cui   e'   giudizio,  estranee  all'oggetto  delle  impugnazioni
ritualmente  proposte:  artt. 3 e 6 della legge del Piemonte; art. 3,
comma 1, e art. 4 della legge della Toscana).
    Per  altro  verso, va da se' che la valutazione di illegittimita'
di  norme  regionali  tendenti a vincolare le scelte terapeutiche non
equivale  in  alcun modo al riconoscimento della liceita' di pratiche
(quali,  in  ipotesi, gli interventi di c.d. psicochirurgia di cui e'
parola  nelle  leggi  impugnate)  delle  quali  possa essere messa in
discussione  la  natura stessa di terapie piuttosto che di interventi
soltanto  lesivi  dell'integrita'  dei  pazienti,  e  che,  in questa
seconda ipotesi, rientrerebbero nell'ambito di previsione di generali
divieti.
    5.2. - L'articolo 4  della legge regionale del Piemonte contrasta
palesemente  con  i  principi  ora indicati, la' dove pone divieti di
utilizzo delle pratiche e degli interventi in questione (sia pure con
esclusione  di  determinate  ipotesi nel caso di impiego della TEC su
donne   in  gravidanza,  condizionato  peraltro,  impropriamente,  ad
autorizzazioni  del coniuge e dei «familiari diretti» della paziente,
non  coerenti  con  i  principi  fondamentali  in  tema  di  consenso
informato).
    Lo  stesso  deve  dirsi  per  il  comma 3 dell'art. 3 della legge
toscana, che a sua volta dispone un semplice divieto degli interventi
di psicochirurgia.
    Ma a non diversa conclusione deve giungersi anche a proposito del
comma 2  dello stesso art. 3 della legge toscana, che pone «di norma»
un  divieto  di  utilizzo  della  TEC  su  determinate  categorie  di
pazienti,  eccettuando  talune  ipotesi  di «eccezionale e comprovata
necessita'  medica».  Nella  misura  in  cui  a  tale disposizione si
voglia,  come e' doveroso, attribuire un significato normativo, e non
solo di generico e inutile riconoscimento delle autonome responsabili
determinazioni   dei   medici,   anche   questa   norma  finisce  per
rappresentare  un  intervento  di  merito  nella scelta delle terapie
praticabili,   precluso,  per  le  ragioni  esposte,  al  legislatore
regionale.
    5.3. - Anche l'art. 3, comma 4, della legge toscana, che rinvia a
«linee   guida»   non   solo   sulle   procedure  di  consenso  e  di
«autorizzazione»  ma  anche  «sull'utilizzo  della TEC», da adottarsi
dalla  Giunta  regionale  «su  conforme  indicazione  della comunita'
scientifica toscana», e' in contrasto con i principi esposti.
    Infatti  il  riferimento  limitativo  ad una non meglio precisata
«comunita'  scientifica toscana» come base tecnica per l'elaborazione
delle  linee  guida  si  pone  in contraddizione con il carattere, di
norma   nazionale   o  sovranazionale,  delle  acquisizioni  e  delle
valutazioni  tecnico-scientifiche  sul cui fondamento i sanitari sono
chiamati  ad  operare,  non  potendosi certo ammettere, per la stessa
ragione  per  cui e' precluso un intervento legislativo regionale sul
merito  delle scelte terapeutiche, un vincolo, in una sola Regione, a
rispettare    indicazioni    provenienti    da   un   solo   settore,
territorialmente circoscritto, della comunita' scientifica.
    6. - Pur  restando  escluse  dall'oggetto  del  giudizio le altre
norme  della  legge  del  Piemonte, non validamente impugnate, questa
Corte  non puo' omettere di rilevare che l'art. 5 della stessa legge,
che   dispone  la  «eliminazione»  di  ogni  «riferimento  che  possa
contemplare  una  responsabilita' professionale del medico che decida
di  non  ricorrere»  alla  TEC  e agli interventi vietati dall'art. 4
(salvo  poi,  contraddittoriamente,  richiamarsi alla normativa sulla
responsabilita'  professionale),  si  pone  in inscindibile nesso con
l'articolo 4,   oggetto   delle   censure   del  ricorrente  e  della
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale.  L'esenzione  da
responsabilita'   di  cui  ivi  si  discorre  non  puo'  infatti  che
collegarsi  alle  norme  sostanziali  sui  divieti  di utilizzo delle
pratiche in questione, disposti dall'art. 4.
    Pertanto, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
anche  l'art. 5 deve essere dichiarato illegittimo per illegittimita'
consequenziale.
    7. - Restano     assorbiti     gli     ulteriori    profili    di
incostituzionalita' dedotti dal ricorrente.