IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1611/1992 R.G. proposto dai sig. ri Arena Mario Antonio, Cucinotta Orazio, Pantanetti Angelo, Rotondo Adolfo Giuseppe, Geraci Orazio, Pagano Salvatore, Forte Ernesto, Matronardo Antonino, Pellegrino Giuseppe, De Luca Vincenzo, Picciani Samuele, Morganti Giovanni Giuseppe, Capillo Antonio, Caruso Antonio, Cardile Giovanni, Buda Domenico, Nastasi Arturo, Panarello Giovanni, Nucita Gaetano, rappresentati e difesi dall'avv. Nicola Merlo, elettivamente domiciliari in Catania, via Musmeci n. 139, presso lo studio dell'avv. Egidio Incorpora; Contro il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro-tempore, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata ex lege; per l'annullamento della nota prot. 1287 del 19 febbraio 1992 - Divisione personale I, sez. 1ª, con la quale, in riscontro all'atto stragiudiziale notificato il 9 luglio 1991, e' stato comunicato che la disparita' di trattamento, soprattutto economica, venutasi a creare a seguito dell'applicazione della normativa introdotta con l'art. 4, comma 14-bis, della legge n. 87/1995 tra il personale in possesso dei requisiti richiesti dalla suddetta legge, inquadrato all'VIII qualifica funzionale e coloro che sono stati esclusi, deve essere di esclusiva pertinenza del legislatore, sicche' non e' possibile alcun comportamento discrezionale dell'amministrazione; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Finanze; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la pubblica udienza del 9 aprile 2003 il Consigliere dott. Biagio Campanella; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Le persone indicate in epigrafe sono attualmente in servizio presso 1'U.T.E. di Messina ed inquadrati nella VII qualifica funzionale, con il profilo professionale di «capi tecnici». Con domanda diretta al Ministero delle finanze i predetti, in data 7 marzo 1991, chiedevano l'attribuzione, anche ai soli fini stipendiali, del trattamento economico corrispondente all'VIlI livello funzionale-retributivo, con i benefici dello sviluppo di carriera. Con tale richiesta si sottolineava: che l'art. 4, comma 14-bis del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, venivano estesi i benefici normativi ed economici previsti dal d.P.R. 1° giugno 1972, n. 319, al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative), che abbia sostenuto concorsi di accesso alle carriere con almeno tre prove scritte sulle materie professionali e di istituto ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle carriere speciali; che successivamente, la legge 24 maggio 1989, n. 193, contenente l'interpretazione autentica dell'art. 4, comma 14-bis, del citato d.l. n. 853/1984, nel determinare la decorrenza dei benefici giuridici ed economici al personale suddetto, ha, tra l'altro, al sesto comma dell'art. 1, disposto che «gli impiegati delle ex carriere di concetto tecniche destinatari di tale legge continuano a prestare la loro opera, per almeno dieci anni, presso gli uffici dell'amministrazione di appartenenza con le funzioni tecniche del ruolo di provenienza; che, in conseguenza della citata normativa, i dipendenti dell'U.T.E. aventi, all'atto dell'applicazione della legge, la qualifica di «capi tecnici», hanno optato per il passaggio alla carriera amministrativa conseguendo l'VIII livello funzionale ed hanno continuato a prestare la loro attivita' a termini della legge n. 193/1989, presso gli uffici delle amministrazioni di appartenenza, mantenendo le funzioni che esercitavano nel ruolo di provenienza (capi tecnici o geometri); che una siffatta determinazione ha determinato un notevole squilibrio stipendiale tra le categorie che hanno goduto dei sunnominati benefici e le altre che, mancando di alcuno dei requisiti previsti dalle leggi speciali, non soltanto non hanno potuto usufruire delle prefate agevolazioni (ed in particolare del diritto di opzione a transitare nella carriera amministrativa pur continuando ad esercitare le mansioni proprie del ruolo di provenienza), ma non hanno neppure avuto la possibilita' di usufruire del beneficio dell'inquadramento automatico nell'VIII livello funzionale e di godere successivamente degli ulteriori sviluppi propri della nuova carriera; che si e' per cio' venuta a determinare una situazione palese di disparita' di trattamento, che determina la violazione di norme costituzionali ed, in particolare, dell'art. 3 che sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini (inteso in senso formale e sostanziale) dell'art. 36, che impegna il legislatore a riconoscere al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa ed, infine, dell'art. 51 che sancisce, tra l'altro, una condizione sostanziale di eguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici e, quindi, anche nello sviluppo di carriera; che gli istanti medesimi hanno titolo ad aver riconosciuta la stessa retribuzione corrisposta a coloro che, pur essendo transitati con leggi speciali nella carriera amministrativa, sono stati inquadrati nell'VIII livello retributivo-funzionale, pur mantenendo le stesse funzioni originarie di capi tecnici e gli stessi posti di lavoro; che talche' si e' determinato che nello stesso ufficio operano, con identiche mansioni e, quindi, con identico rapporto di qualita-quantita' di lavoro prestato, sia il personale rimasto nella carriera di provenienza, sia il personale transitato all'VIII livello che appare, solo per un riconoscimento formale, non giustificato dalla concreta utilizzazione, collocato in posizione preminente rispetto ai primi, pur avendo, questi ultimi, minore anzianita' di servizio e minore esperienza nel settore tecnico perche' provenienti da Amministrazioni diverse da quella di attuale appartenenza. Per le ragioni su esposte, gli interessati chiedevano, come gia' accennato, l'attribuzione, anche ai soli fini stipendiali, del trattamento economico corrispondente all'VIII livello funzionale-retributivo, con i benefici dello sviluppo di carriera. Non avendo l'amministrazione dato riscontro a tali istanze, gli interessati diffidavano l'amministrazione, seguendo la procedura di cui all'art. 25 del t.u. n. 3/1957, con atto stragiudiziale notificato il 4 luglio 1991, a dare riscontro a tali domande nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'atto. Avverso il silenzio-rifiuto nel frattempo formatosi, e' stato proposto il ricorso n. 1611/1992. In data 19 febbraio 1992, il Ministero delle finanze inviava al dirigente dell'U.T.E. di Messina la nota meglio specificata in epigrafe, con la quale si dichiara che «la precisata disparita' di trattamento, soprattutto economica, venutasi a creare a seguito dell'applicazione della normativa introdotta con l'art. 4, comma 14-bis, della legge n. 17/1985, tra il personale in possesso dei requisiti chiesti dalla suddetta legge, inquadrato all'VIII q.f. e coloro che non possedendo tali requisiti ne sono stati esclusi, e' di esclusiva pertinenza del legislatore; riguardo a cio' non e' possibile alcun comportamento discrezionale dell'amministrazione». Avverso tale provvedimento, e per il suo annullamento, viene proposto il ricorso in epigrafe, notificato il 3 aprile 1992 e depositato il 14 aprile successivo. Si deduce: Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 14-bis del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito con modificazioni nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, in connessione con l'art. 1, sesto comma, della legge 24 maggio 1989, n. 193, nella parte in cui, nell'estendere i benefici giuridici ed economici previsti dal d.P.R. n. 319/1972 al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie (tecniche ed amministrative), in presenza di determinate condizioni di accesso, non ha incluso tra le categorie legittimate anche il restante personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri), ancorche' assunto per concorso, con un numero di prove concorsuali inferiori a quello dei primi, per violazione degli artt. 3, 36, 51 e 97 della Costituzione. Il Ministero intimato si e' costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. D i r i t t o 1. - Ricorda, preliminarmente, il Collegio che, per costante giurisprudenza, la dedotta incostituzionalita' di una norma di legge puo' costituire l'unico motivo su cui puo' validamente fondarsi la proposizione di un ricorso giurisdizionale (cfr., Corte costituzionale, nn. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990, e 367 dell'11-20 luglio 1991). Nel caso di specie, il ricorso si incentra interamente sulla dedotta incostituzionalita', per violazione degli artt. 3, 36, 51 e 91 della Costituzione, dell'art. 4, comma 14-bis, del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853 convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, nella parte in cui, nell'estendere i benefici giuridici ed economici previsti dal d.P.R. n. 319/1972 al personale di concetto delle soppresse carriere ordinarie, ha escluso il restante personale della carriera di concetto (capi tecnici e geometri). 2. - Tale questione di incostituzionalita' appare, pertanto, rilevante per la definizione del ricorso in oggetto, atteso che soltanto attraverso un'eventuale pronuncia di incostituzionalita' della citata normativa i ricorrenti potrebbero ottenere il beneficio dello status giuridico-economico invocato. 3. - Il Collegio dovra' ora darsi carico di verificare se la questione di incostituzionalita' in esame si appalesa anche non manifestamente infondata. 3.1. - I ricorrenti deducono, in primo luogo, un contrasto della normativa in questione con l'art. 3 della Costituzione il quale, al primo comma, cosi' recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Orbene, i ricorrenti sono stati assunti con la qualifica di geometri (ex carriera di concetto) superando concorsi per i quali erano previste meno di tre prove scritte su materie professionali. La legge, della cui costituzionalita' si dubita, si limita ad estendere determinati benefici, quale quello di opzione per il passaggio alla carriera amministrativa, che consente il conseguimento dell'VIII livello retributivo (inesistente nella carriera tecnica) soltanto al personale che, in sede concorsuale, abbia superato almeno tre prove scritte ed abbia svolto mansioni analoghe a quelle degli impiegati delle ex carriere speciali. Una tale discriminazione appare inginstificata, atteso che le prove concorsuali sono fissate in modo diverso, a seconda dei vari periodi storici in cui si svolgono, mentre l'idoneita' conseguita (con un numero maggiore o minore di prove) tende sempre a valutare una professionalita' che presenta analoga valenza. Talche' irrazionale appare tale differenziazione tra i menzionati dipendenti, nella misura in cui si privilegia non lo stato giuridico e la funzione (analoghi per tutti), bensi' il momento di accesso ai posti occupati. Appare violato, pertanto, il trascritto art. 3 della Carta costituzionale, il quale enuncia il c.d. principio di uguaglianza formale e soggettiva, valevole per tutti i soggetti dell'ordinamento, persone fisiche e giuridiche (cfr., Corte costituzionale, nn. 25/1996 e 2/1969), che costituisce «un principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura» (Corte costituzionale, n. 25/1996), ed e' espressione di «un generale canone di coerenza dell'ordinamento» (Corte costituzionale, n. 204/1982), il quale si estrinseca, in ultima analisi, in un generale principio di «ragionevolezza», per cui la legge deve trattare in maniera eguale situazioni eguali, ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse (cfr., fra le tante, Corte costituzionale, nn. 53/1958, 15/1960, 4/1964, 1/1966, 5/1980, 15/1982). Al principio di uguaglianza cosi' inteso, cioe' come canone di coerenza e ragionevolezza, soggiace indubbiamente anche la legge, e cio' non solo sotto il profilo formale - per cui il principio di uguaglianza regolerebbe soltanto la forza e l'efficacia della legge - ma anche sotto il profilo materiale, per cui tale principio e' rivolto a regolare anche il contenuto della legge, implicando un limite o vincolo alla funzione normativa primaria nel senso sopra indicato. In particolare, nella fattispecie oggetto del presente giudizio viene in rilievo un aspetto di tale principio, secondo il quale, nell'incisiva espressione usata da autorevole dottrina, il legislatore e' tenuto a dare alla norma di legge il carattere di universalita' fino al massimo del possibile. Che proprio questo difetti nella normativa in questione, di cui si chiede la declaratoria di incostituzionalita', emerge indubbiamente, ad avviso del Collegio, da tutto quello che si e' osservato sinora. E' altresi' il caso di ricordare, costituendo jus receptum in materia, che il giudizio costituzionale di eguaglianza non si svolge raffrontando direttamente la norma censurata al parametro costituzionale, occorrendo anche che, nelle ordinanze di rimessione alla Corte, vengano indicate una o piu' norme ed uno o piu' principi dell'ordinamento rispetto al quale la norma impugnata, diversificando o assimilando arbitrariamente situazioni, rispettivamente, simili o diverse, viola il principio di uguaglianza: norme o principi ciascuno dei quali, isolatamente considerato ed utilizzato dal giudice a quo, costituisce il c.d. tertium comparationis, e che, nel caso in cui ne vangano individuati e proposti congiuntamente ed in correlazione piu' di uno, costituiscono i tertia comparationis (cfr., fra le tante, Corte costituzionale, nn. 10/1983, 79/1984 e 618/1997). Il tertium comparationis, nel caso di specie, e' costituito, come esposto, dalla posizione giuridico-economica deteriore di «capi tecnici» e geometri rispetto a quella di altri colleghi che occupano lo stesso posto di organico ed esercitano, le medesime funzioni. 3.2. - La normativa della cui costituzionalita' si dubita, appare in contrasto altresi' con gli artt. 36 e 51 della Costituzione. Il primo sancisce che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del sua lavoro»; il secondo fissa il fondamentale principio secondo il quale «tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza...». Per quanto concerne, in particolare, il primo dettato costituzionale, il Collegio osserva che, nel caso di specie, a qualifiche e mansioni identiche viene riservato un trattamento economico e giuridico differente. Questa Sezione non ignora di certo che gli orientamenti consolidati della Corte costituzionale, che rimettono alla «discrezionalita» del legislatore il concreto esercizio del potere organizzatorio della p.a., anche se cio' comporta un trattamento economico e giuridico differenziato per taluni pubblici dipendenti. La fattispecie in questione, tuttavia, si discosta nettamente da quelle rientranti nell'orientamento suesposto poiche', in questo caso, non sono in questione differenze di funzioni nell'ambito della stessa Organizzazione burocratico-funzionale, o nell'ambito dello stesso potere, cui corrispondono differenze giuridico-retributive, ma identita' di funzioni nello stesso ambito di pubblica funzione finalizzata al perseguimento del medesimo pubblico interesse. 3.3. - La normativa in questione appare, altresi', difforme rispetto ai fondamentali principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, in particolare di quelli che impongono i criteri di logica e di coerenza nell'Organizzazione amministrativa (cfr., Corte costituzionale, n. 376 del 25 luglio 1995). Deve ritenersi, al riguardo, che i presupposti del buon andamento della p.a. si identifichino non soltanto con l'emanazione di adeguati strumenti legislativi e regolamentari, e con la scrupolosa osservanza degli stessi, ma anche con l'attribuzione al personale della legittima posizione giuridico-retributiva, atteso che, come e' naturale, la violazione, al riguardo, dei necessari canoni di giustizia distributiva si traduce, in capo ai dipendenti interessati, in uno stato di insufficiente serenita', che non puo' non ripercuotersi sul lavoro dei relativi uffici, creando un clima di tensione e di incertezza.