ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 3,
della   legge   18 aprile   1975,  n. 110  (Norme  integrative  della
disciplina  vigente  per  il  controllo delle armi, delle munizioni e
degli   esplosivi),  come  modificato  dall'articolo 11  della  legge
21 dicembre  1999, n. 526 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle comunita' europee. Legge
comunitaria  1999)  promosso  con  ordinanza  del 29 ottobre 2002 dal
Tribunale  di  Vercelli  nel  procedimento  penale  a carico di R.G.,
iscritta  al  n. 16  del  registro  ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 5,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 1° ottobre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Vercelli
ha  sollevato,  in  riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e
27,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975,
n. 110  (Norme  integrative della disciplina vigente per il controllo
delle  armi,  delle  munizioni  e  degli  esplosivi), come modificato
dall'art. 11  della  legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle  Comunita'  europee. Legge comunitaria 1999), nella parte in cui
definisce  come  armi comuni da sparo le armi ad aria compressa i cui
proiettili  erogano  un'energia  cinetica superiore a 7,5 joule senza
indicare  i parametri di umidita', temperatura e massa dei proiettili
cui riferire il predetto valore di energia cinetica;
        che  il  giudice  a  quo  riferisce  di  essere investito del
processo  penale nei confronti di persona imputata del delitto di cui
agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per
il  controllo  delle  armi),  per  aver  illegalmente  detenuto nella
propria  abitazione  una  carabina  ad  aria  compressa: processo che
l'imputato  aveva  chiesto  di  definire  nelle  forme  del  giudizio
abbreviato,   subordinando  la  richiesta  all'effettuazione  di  una
perizia  sull'arma,  intesa  a  stabilire  l'energia cinetica da essa
erogata;
        che  dalla  perizia e dal successivo confronto in aula tra il
perito  ed il consulente tecnico della difesa era peraltro emerso che
condizioni  variabili  di  temperatura,  umidita' e massa dei pallini
determinavano  una  differente  energia cinetica alla bocca di volata
dell'arma;
        che, cio' premesso, il rimettente lamenta che l'art. 2, terzo
comma,  della  legge  n. 110  del  1975, come modificato dall'art. 11
della  legge  n. 526  del  1999,  nel qualificare come armi comuni da
sparo  le  armi ad aria compressa i cui proiettili erogano un'energia
cinetica  superiore  a  7,5  joule,  non  specifichi  i  parametri di
temperatura,  umidita'  e  massa  dei  proiettili  da  adottare nella
relativa verifica;
        che  l'omissione  denunciata comporterebbe che la sussistenza
del  reato  contestato  nel giudizio a quo «venga accertata o meno» a
seconda  di  elementi - quali appunto la temperatura, l'umidita' e la
massa  dei pallini - casualmente incidenti sulle prove di rilevazione
della potenza dell'arma;
        che  la  norma impugnata violerebbe, quindi, gli artt. 3, 24,
secondo  comma,  e 27, primo comma, Cost., in quanto, da un lato, non
garantirebbe  la  parita'  di trattamento degli imputati del medesimo
reato,   e,   dall'altro   lato,   lederebbe  il  diritto  di  difesa
dell'imputato per l'indeterminatezza della fattispecie;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Considerato  che  l'art. 2,  terzo  comma,  della legge 18 aprile
1975,  n. 110,  nella sua originaria formulazione, qualificava in via
generale  le  armi ad aria compressa, sia lunghe che corte, come armi
comuni da sparo, fatta eccezione (oltre che per quelle destinate alla
pesca) per quelle per le quali la commissione consultiva centrale per
il  controllo  delle  armi,  di  cui all'art. 6 della medesima legge,
escluda, in relazione alle caratteristiche loro proprie, l'attitudine
a recare offesa alla persona;
        che  la  disposizione  e' stata modificata dall'art. 11 della
legge   21 dicembre   1999,   n. 526,   nel   senso  di  limitare  la
qualificazione  come  armi  comuni  da  sparo  alle sole armi ad aria
compressa   (nonche'  a  gas  compressi)  i  cui  proiettili  erogano
un'energia   cinetica  superiore  a  7,5  joule,  con  la  perdurante
esclusione,  peraltro,  delle  armi  che  la  commissione  consultiva
ritenga comunque non idonee all'offesa, per le loro caratteristiche;
        che il limite introdotto dal legislatore del 1999 - sancendo,
in  sostanza,  per  le  armi  ad  aria compressa a bassa potenza, una
presunzione  assoluta  di  inidoneita' all'offesa - mira, in effetti,
precipuamente   a   circoscrivere   il   potere  discrezionale  della
commissione consultiva in tema di sottrazione delle armi in questione
al  regime  delle armi comuni da sparo: potere che questa Corte aveva
peraltro  ritenuto,  gia'  nell'originaria  configurazione  (priva di
puntuali  delimitazioni  normative), non incompatibile con i principi
di  uguaglianza,  inviolabilita'  del  diritto di difesa e riserva di
legge  in  materia  penale, di cui agli artt. 3, 24, secondo comma, e
25,  secondo comma, Cost., rimarcando come, fin quando la commissione
non  si  fosse  pronunciata, spettasse al giudice accertare, caso per
caso  ed  autonomamente,  la  concreta attitudine offensiva dell'arma
(cfr. sentenze n. 132 del 1986 e n. 108 del 1982);
        che,  cio'  posto,  appare  privo di fondamento l'assunto del
rimettente,  secondo  cui,  nell'introdurre  il  limite in parola, il
legislatore  avrebbe  dovuto specificare - onde evitare la violazione
degli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, primo comma, Cost. - anche le
modalita' di rilevazione della potenza dell'arma, con riguardo ad una
serie  di  parametri suscettivi in assunto di influenzarla (quali, in
specie, la temperatura, l'umidita' e la massa dei proiettili);
        che,  infatti,  il  principio di determinatezza dell'illecito
penale  -  che il giudice a quo, pur senza evocare l'art. 25, secondo
comma, Cost., pone sostanzialmente a fondamento delle proprie censure
-  non puo' essere spinto fino al punto di imporre al legislatore una
analitica  definizione,  in  termini numerici, di tutte le componenti
astrattamente  suscettive  di  incidere  sulla  valutazione del fatto
(definizione che rischierebbe di risultare comunque non esaustiva): e
cio'  tanto  piu'  quando si discuta, come nella specie, di un limite
normativo  oltre  il  quale  resta  comunque  salva la valutazione di
concreta   idoneita'   dello   strumento,   oggetto   della  condotta
incriminata, all'offesa;
        che,   al   di   la'   di   cio',  il  giudice  rimettente  -
nell'affermare   che,   in  difetto  delle  specificazioni  normative
richieste,   la  responsabilita'  dell'imputato  per  il  delitto  di
illegale  detenzione  di arma comune da sparo finirebbe per dipendere
dalle  condizioni casuali di svolgimento della verifica della potenza
dell'arma  -  mostra  di  confondere i due piani dell'interpretazione
della norma e dell'accertamento in concreto della sua violazione;
        che,  infatti,  stando  alla  ricostruzione  operata in fatto
dall'ordinanza  di  rimessione,  il problema che si pone al giudice a
quo  e'  di  stabilire  se un'arma ad aria compressa i cui proiettili
erogano  un'energia  cinetica  inferiore  o  superiore a 7,5 joule, a
seconda   delle  condizioni  ambientali  e  del  tipo  di  proiettili
utilizzati,  rientri  o  meno  fra quelle «considerate» (salvo che la
commissione  consultiva  ne  escluda  l'attitudine  all'offesa)  armi
comuni da sparo in base alla norma impugnata;
        che   si   tratta,   peraltro,   di   un   profilo  attinente
all'ordinaria  verifica  circa  la  rispondenza  del fatto al modello
legale  tipico,  che  spetta  al  giudice risolvere con gli strumenti
ermeneutici  a sua disposizione: tenendo conto segnatamente del fatto
che,  da  un  lato, i reati in materia di armi si caratterizzano come
reati di pericolo, in rapporto alla funzione preventiva delle lesioni
alla  vita  ed  all'integrita'  fisica delle persone, suscettibili di
derivare  dal  loro  utilizzo;  e  che, dall'altro lato, il valore di
energia  cinetica  legalmente  tipizzato  esprime  una caratteristica
dell'arma  in  se',  e non gia' della sua detenzione, posto che nella
detenzione   e'  insita  la  possibilita'  di  utilizzare  l'arma  in
differenti condizioni ambientali (potendo l'arma essere impiegata sia
in   ambienti   esterni,  sia  in  ambienti  interni  artificialmente
riscaldati,  raffreddati  o  deumidificati)  e  con i diversi tipi di
proiettili che ad essa si adattano;
        che,   una  volta  risolto  il  problema  interpretativo  ora
indicato,   le   condizioni  di  espletamento  della  verifica  delle
potenzialita'  dell'arma  vengono  in  rilevo  solo sul diverso piano
dell'accertamento    in   concreto   della   fattispecie   criminosa:
accertamento  che  dovra' ovviamente rispecchiare - ed in modo uguale
per tutti gli imputati - la soluzione data al predetto problema;
        che  le  considerazioni che precedono rendono quindi evidente
l'insussistenza  della denunciata lesione degli artt. 3 e 24, secondo
comma, Cost.;
        che la violazione dell'art. 27, primo comma, Cost. e' dedotta
altresi' dal rimettente senza alcuna motivazione;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.