IL GIUDICE DI PACE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Nella  causa  civile iscritta in data 13 settembre 2003 al n. 469
del  ruolo  generale  per  gli  affari  contenziosi  dell'anno 2003 e
vertente tra Barbato Antonino e De Chiaro Rita, entrambi residenti in
Venafro   alla   via   Maria  Pia  n. 13,  ed  ambedue  elettivamente
domiciliati  in  Venafro  al  corso  Campano  n. 168 presso lo studio
dell'avv.  Antonio Caranci che li rappresenta e difende per delega in
atti, opponenti, e prefettura di Isernia, in persona del Prefetto pro
tempore, opposto.

                              F a t t o

    In seguito a sinistro stradale verificatosi in Venafro (IS) il 21
giugno  2003 alle ore 19:30 circa - tra la Fiat Panda targata AJ121WV
di  proprieta' di Di Chiaro Rita e condotta da Barbato Antonino, e la
moto  Honda  900  targata AS22556 di proprieta' di Cerrone Anna lda e
condotta  da  Cambio Emilio -, il Nucleo Radio Mobile dei Carabinieri
di  Venafro  in data 16 luglio 2003 notificava agli opponenti Barbato
Antonino  e  De  Chiaro  Rita,  in  quanto  solidalmente obbligati al
pagamento,  il verbale n. 1016886611 datato 21 giugno 2003 contenente
la   sanzione   amministrativa  di  Euro  78,94,  per  la  violazione
dell'art. 145  commi  1  e  10  del  decreto  legislativo  n. 285 del
30 aprile 1992.
    In  data  13  settembre  2003  Di  Chiaro Rita e Barbato Antonino
proponevano  opposizione  avverso il verbale n. 1016886611 sostenendo
l'insussistenza  dei  presupposti  per  l'irrogazione  della sanzione
amministrativa nei loro confronti.
    Concludeva,  pertanto,  la  difesa  delle  parti  ricorrenti  per
l'accoglimento  del  ricorso  con vittoria delle spese di giudizio da
liquidarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

                            D i r i t t o

      Esaminati  gli  atti,  questo giudice rileva come il ricorso in
opposizione   a  sanzione  amministrativa  sia  stato  depositato  in
cancelleria  in  data 13 settembre 2003 senza il versamento presso la
cancelleria  del  giudice  di  pace di Venafro di una somma pari alla
meta'  del  massimo  edittale  della  sanzione  inflitta  dall'organo
accertatore.
    Tale  obbligo,  previsto  a pena di inammissibilita' del ricorso,
scaturisce  dall'art. 204-bis  del decreto legislativo 30 aprile 1992
n. 285,   introdotto  dalla  legge  1°  agosto  2003  n. 214  che  ha
convertito  in  legge,  con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno
2003 n. 151.
    Detta  legge,  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12
agosto  2003  -  Supplemento ordinario n. 133 e' entrata in vigore il
giorno  successivo  a  quello  della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale  e,  pertanto,  nel  caso  che  ci  occupa,  doveva  essere
osservata  sebbene  contrastante  con  l'art. 4  del regio decreto 10
marzo  1910 n. 149, tutt'ora in vigore, che espressamente prevede che
le  cancellerie  non  possono  in  alcun  modo ricevere versamenti in
denaro.
    Questo giudice ritiene che l'art. 204-bis del decreto legislativo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27
giugno  2003  n. 151  non  sia  conforme  a  Costituzione  ed intende
pertanto   sollevare,   come   in   effetti   solleva,  incidente  di
costituzionalita' nei termini che seguono:

                   Sulla rilevanza della questione

    Nel  caso  che ci occupa il collegamento giuridico, e non gia' di
mero   fatto,   tra   la   res   giudicanda   e   la  norma  ritenuta
incostituzionale,   appare   del  tutto  evidente.  Infatti,  ove  si
ritenesse  l'art. 204-bis  del  decreto  legislativo  30  aprile 1992
n. 285,   introdotto  dalla  legge  1°  agosto  2003  n. 214  che  ha
convertito  in  legge,  con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno
2003  n. 151  conforme a Costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato
inammissibile  mentre  ove,  per  contro,  si  ritenesse  il predetto
disposto  in  contrasto  con  la Costituzione la suddetta opposizione
dovra' essere esaminata nel merito.
                  Sulla non manifesta infondatezza
    Violazione degli artt. 2 e 3 Cost.
    Per  ritenere  l'art. 204-bis  del  decreto legislativo 30 aprile
1992  n. 285,  introdotto  dalla  legge  1° agosto 2003 n. 214 che ha
convertito  in  legge,  con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno
2003  n. 151  conforme  a  Costituzione occorrerebbe affermare che la
diversa  posizione  che  il  legislatore  ha  riservato a cittadino e
pubblica  Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino
non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale.
    Tale  assunto, tuttavia, non viene condiviso da questo giudice in
quanto   la   normativa   in  parola  lede  il  diritto  fondamentale
dell'individuo  espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione
della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti
su  un piano di disuguaglianza fra loro permettendo esclusivamente al
soggetto  che  sia  in  possesso  di  una somma di denaro addirittura
doppia  rispetto  a  quella  che  gli  consentirebbe  di  definire la
pendenza  mediante  pagamento  in misura ridotta, di poter tutelare i
propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace.
    Ne'  e'  sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe
comunque  possibile  presentare  ricorso  al  prefetto in quanto tale
procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione, sia in quanto
a  maggior  ragione cio' evidenzierebbe come il ricorso al giudice di
pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente
a soggetti facoltosi, sia in quanto la scelta della sede ove tutelare
i  propri diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini
sul  piano  economico  e  sociale  limitando  di  fatto la liberta' e
l'uguaglianza degli stessi.
    Del  tutto  evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto
che  questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura
in  quanto  l'art. 3  della  Costituzione  della  Repubblica italiana
prevede  che  compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare,
ostacoli  di  ordine  economico  e sociale che, limitando di fatto la
liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo
della persona umana.
    Peraltro il disposto, della cui costituzionalita' si dubita, lede
altresi' l'art. 2 Cost. che sancisce il valore assoluto della persona
umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo.
    Violazione dell'art. 24 Cost.
    L'ingiustificato  ostacolo  imposto per la tutela dei diritti del
cittadino  nella  sola  sede  giurisdizionale contrasta con l'art. 24
della  Carta costituzionale, il quale espressamente prevede che tutti
possono  agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri diritti ed
interessi   legittimi  ed  aggiunge  che  la  difesa  e'  un  diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
    La  sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il
netto  contrasto  di  quest'ultima  con  l'art. 204-bis  del  decreto
legislativo  30  aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto
2003  n. 214  che  ha  convertito  in  legge,  con  modificazioni, il
decreto-legge 27 giugno 2003 n. 151.
    Infatti, l'imposizione del versamento della cauzione previsto per
la  tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale
oltre  a  rappresentare  un ingiustificato, quanto ingiusto vantaggio
per  l'autorita' opposta che, a differenza dell'opponente, in caso di
vittoria    ha   immediatamente   a   propria   disposizione   quanto
eventualmente  dovuto,  non  assicura  la  possibilita'  di  agire in
giudizio  per  la  tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a
coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica,
in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa.
    Peraltro,  e' indubbio che l'art. 204-bis del decreto legislativo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27
giugno 2003, n. 151 nell'indurre il ricorrente, di fatto, a desistere
dal  tutelare  i  propri  diritti  in sede giurisdizionale, scoraggia
l'unico  mezzo  di  tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione
soggetto  al  principio  della  soccombenza,  costringendo o comunque
inducendo  i  meno  facoltosi a presentare ricorso al Prefetto per la
tutela  dei  propri  diritti,  sede  in  cui  in caso di accoglimento
dell'opposizione  il  ricorrente  non  viene  affatto rifuso non solo
delle    eventuali   spese   sostenute   per   l'assistenza   di   un
professionista, ma neppure delle spese vive sostenute.