IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta in data 17 settembre 2003 al n. 969 del R.G.A.C. dell'anno 2003, tra Santoro Angelo, elettivamente domiciliato in Brindisi c/o lo studio dell'avv. Maurizio Salerno, dal quale e' rappresentato e difeso unitamente alla dott.ssa Michela Cassiano, giusta procura a margine del ricorso, opponente. Contro: sindaco di Brindisi, domiciliato per la carica in Brindisi, piazza Matteotti, Palazzo Citta', opposto. F a t t o In data 28 agosto 2003 alle ore 12 in Brindisi alla via Farinata degli Uberti intersezione con via Bafile, agenti della polizia Municipale di Brindisi accertavano con verbale n. 033703/G/03 la violazione dell'art. 171 del codice della strada, nei confronti di Santoro Angelo, conducente del ciclomotore Yamaha targato 6YKRY, in quanto «durante la marcia non teneva regolarmente allacciato il caso protettivo». Infrazione notificata il 5 settembre 2003. In data 17 settembre 2003 Santoro Angelo, anche proprietario del mezzo, proponeva opposizione avverso il verbale n. 033703/G/03 chiedendone l'annullamento, negando l'addebito. D i r i t t o Esaminati gli atti, questo giudice rileva come il ricorso in opposizione a sanzione amministrativa sia stato depositato nella cancelleria del giudice di pace di Brindisi in data 17 settembre 2003 senza il versamento presso la detta cancelleria di una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accer-tatore. Tale obbligo e' previsto, a pena di inammissibilita' del ricorso, dall'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 (che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151). Detta legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 agosto 2003, supplemento ordinario n. 133, e' entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione e, pertanto, deve essere osservata, sebbene contrastante con l'art. 4 del r.d. 10 marzo 1910, n. 149, tutt'ora in vigore, che vieta alle cancellerie di ricevere versamenti in denaro. Ne' appare possibile, cosi' come vorrebbe la circolare del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia, far prevalere una fonte secondaria (art. 4 r.d. n. 149/1910) su una disposizione non solo successiva, ma introdotta da fonte primaria. Questo giudice ritiene che l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 (che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151), sia costituzionalmente illegittimo, e solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale nei termini che seguono: R i l e v a n z a Il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, in quanto, se questo giudice applicasse la detta norma, dovrebbe dichiarare inammissibile il ricorso; mentre, ove si ritenesse la stessa in contrasto con la Costituzione, il ricorso potra' essere esaminato nel merito. Non manifesta infondatezza Violazione degli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione. La norma in questione: 1)- riserva una diversa e vessata posizione al cittadino che ricorre al giudice, rispetto alla P.A. convenuta, che ha ora il vantaggio del versamento della cauzione (iniquo perche' a tutela di un interesse di una parte in causa), e che, a differenza dell'opponente, in caso di vittoria, ha immediatamente a propria disposizione; 2) discrimina e penalizza il ricorso ad un soggetto «terzo», l'autorita' giudiziaria, per favorire il ricorso al prefetto, soggetto «parte», e quindi «parziale» per antonomasia; 3) riduce il ricorso al giudice di Pace ad un mezzo di tutela legato alla disponibilita' economica del soggetto leso dal provvedimento autoritativo, rendendo schiavo il cittadino meno abbiente, e limitandolo nella scelta della sede ove tutelare i propri diritti; consentendo il ricorso alla imparziale autorita' giudiziaria solo a coloro in possesso di una somma di denaro addirittura doppia rispetto a quella che consentirebbe di conciliare mediante pagamento in misura ridotta, e relegando i meno abbienti al negletto ricorso al prefetto; 4) rappresenta un ingiustificabile ostacolo e la piu' grave compressione della piena ed incondizionata tutela dei diritti, ancor piu' perche' si impone nella sola sede giurisdizionale; calpesta i primi tre commi dell'art. 24 Cost., reintroducendo l'istituto del solve et repete (gia' dichiarato incostituzionale con sent. 31 marzo 1961, n. 24); 5) inducendo di fatto i meno abbienti a desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale, e costringendoli a presentare ricorso al prefetto, preclude loro l'unico mezzo di tutela ove vige il principio della soccombenza, con la conseguenza che, in caso di accoglimento dell'opposizione, il prefetto non liquidera' loro le eventuali competenze legali sostenute e neppure le spese vive; 6) la norma incriminata e' ancor piu' censurabile alla luce del comma 2 dell'art. 3 della Costituzione, laddove e' sancito che il compito della Repubblica e' proprio quello di rimuovere, non gia' di creare, gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.