IL TRIBUNALE

    Ha  emesso la seguente ordinanza ex art. 23 legge n. 87/1953, nel
procedimento  a  carico  di Sotirov Ivan, nato a Sophia (Bulgaria) il
18 giugno  1978, in Italia domiciliato di fatto in Canelli (Asti) via
del  Castello,  difeso dall'avv. Maura Lanfranco del Foro di Asti, di
fiducia,  per  il  reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter, d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, perche', senza
giustificato  motivo,  si  tratteneva  nel  territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  del  questore  di  Asti  di allontanarsi dal
territorio  dello  Stato entro 5 gg. dalla notifica del provvedimento
(notifica  avvenuta  in  data  23 maggio  2003).  Fatto  accertato in
Canelli il 29 maggio 2003.
    Premesso:  in  data  29 maggio  2003  alle  ore 8,20 il prevenuto
veniva   tratto   in   arresto  nella  flagranza  del  reato  di  cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  legge  n. 286/1998  perche'  sorpreso in
territorio  nazionale  dopo la scadenza del termine di giorni cinque,
entro   cui  gli  era  stato  intimato  dal  questore  di  Asti,  con
provvedimento  del  23 maggio  2003,  notificato  in  pari  data,  di
allontanarsi   dall'Italia   attraverso   la  frontiera  aerea  della
Malpensa;  all'udienza  del  30  maggio  2003,  il  p.m.  chiedeva la
convalida  dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo e che
la difesa dichiarava di rimettersi al giudizio del giudice;
    Cio'  premesso,  posto  che  sussistono i presupposti formali per
l'applicazione  dell'art. 14.5-quinquies  d.lgs. n. 286/1998 - atteso
che  l'imputato  e'  stato arrestato perche' sorpreso nella flagranza
del reato contestatogli ed atteso il rispetto da parte della P.G. che
ha proceduto all'arresto degli obblighi previsti dall'art. 386 c.p.p.
-   a   questo   giudice  pare  lecito  dubitare  della  legittimita'
costituzionale della norma che vi e' contenuta per i seguenti motivi.
    A norma dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998, l'attuazione del decreto
prefettizio  di  espulsione  amministrativa dello straniero spetta al
questore   che,   a  norma  del  comma  4,  deve  eseguirla  mediante
accompagnamento   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica.
L'accompagnamento coattivo e' visto dalla legge come mezzo principale
e  generale per l'esecuzione delle espulsioni, (tranne che per alcuni
casi  espressamente  previsti  dall'art. 13, comma 5); trattandosi di
misura   che  incide  sulla  liberta'  personale,  e'  soggetto  alla
convalida dell'Autorita' giurisdizionale.
    Ove   non  sia  possibile  eseguire  immediatamente  l'espulsione
(perche'   occorre   procedere   al   soccorso  dello  straniero,  ad
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita' ovvero alla acquisizione di documenti di viaggio, ovvero
vi  sia  indisponibilita'  di  vettore  o di altro mezzo di trasporto
idoneo),  a  norma dell'art. 14, comma 1, lo straniero, su ordine del
questore,  viene  trattenuto  presso  un  c.p.t.  Il  questore  ha  a
disposizione trenta giorni di tempo (rinnovabili di altri trenta) per
eliminare  le  cause  che  avevano impedito l'espulsione immediata ed
eseguirla.
    Ove  poi  non  sia  possibile  trattenere  lo straniero presso un
centro  di  permanenza  temporanea,  ha luogo un sistema residuale di
esecuzione dell'espulsione, consistente nell'intimazione da parte del
questore allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato
entro cinque giorni.
    L'inottemperanza  all'ordine  del  questore,  senza  giustificato
motivo  e' sanzionata penalmente con l'arresto da sei mesi ad un anno
e  comporta,  per  l'autore  del  fatto,  l'arresto obbligatorio e il
giudizio per direttissima (art. 14, comma 5-quinquies).
    La  norma  incriminatrice appare di carattere speciale rispetto a
quella  contenuta  nell'art.  650 c.p. ed e' caratterizzata dal fatto
che  l'ordine  del  questore  e'  predeterminato  per  legge  sia nei
presupposti che nel contenuto.
    E'  chiaro  che  l'uso  del  potere  attribuito  al  questore  e'
legittimo  solo ove sussistano i presupposti per il suo esercizio; il
provvedimento  deve  pertanto  essere  motivato con espressa menzione
delle condizioni che ne hanno determinato l'emissione.
    Il   reato   in  questione  presuppone,  pertanto,  non  solo  un
preesistente valido decreto di espulsione amministrativa, ma anche la
sussistenza  di  due  presupposti:  1)  impossibilita'  di esecuzione
immediata  dell'espulsione  a  causa  della  sussistenza di una delle
condizioni ostative di cui all'art. 14, comma 1; 2) impossibilita' di
trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo.
    Cosi' delimitato nell'ambito di operativita' e nella connotazione
strutturale,  l'art. 14  comma  5-bis e ter e - conseguentemente - la
norma  che  deve trovare applicazione dell'art. 14 comma 5-quinquies,
appaiono contrastare con gli artt. 2, 13, 25, comma 2, e 27, comma 3,
Cost.  e,  in  particolare,  con  il  principio di offensivita' dagli
stessi enucleato.
    Posto  che  il  sacrificio dei diritti inviolabili dell'uomo, fra
cui  rientra  quello  della  liberta' personale, e' legittimo solo se
necessario  a tutelare altri diritti di pari dignita' costituzionale,
il  principio  di offensivita' di cui sopra si puo' dire che operi su
due  differenti  livelli:  1) l'interesse tutelato dalla norma penale
deve  rivestire  «significativita'  costituzionale»; 2) il reato deve
estrinsecarsi  in  un  fatto  necessariamente  lesivo,  o  quantomeno
pericoloso,  di  tale  interesse.  Il principio rappresenta quindi un
limite alla discrezionalita' del legislatore.
    La  norma  denunciata  e'  senz'altro  volta  a tutelare l'ordine
pubblico  e  sicurezza  pubblica,  gli  stessi  interessi - di sicuro
rilievo  costituzionale  -  a  protezione  dei  quali  e'  emanato il
provvedimento  di  espulsione,  di  cui  l'intimazione costituisce il
mezzo  di esecuzione. La fattispecie penale e' pero' strutturata, fin
dalla  sua  previsione  astratta, in modo tale da escludere, anche in
via meramente ipotetica, la lesione del bene protetto.
    ll reato in questione, infatti, ha come presupposto un decreto di
espulsione che il legislatore stesso, all'art. 14, comma 1, definisce
«non  immediatamente  eseguibile»  a  causa  di  una delle condizioni
ostative ivi espressamente previste.
    L'inottemperanza  all'ordine  del  questore appare, pertanto, fin
dalla  sua  previsione  astratta,  inidonea a ledere il bene protetto
dalla  norma,  atteso  che  e'  il legislatore stesso che definisce -
ineseguibile  il  provvedimento  di  cui l'intimazione rappresenta il
mezzo di attuazione.
    La  norma  penale appare pertanto configurare un illecito di mera
disobbedienza,   disancorato  dalla  lesione  di  un  qualsiasi  bene
giuridico;   lo   straniero   espulso,   infatti,   viene  sottoposto
all'arresto  obbligatorio e viene punito con la pena dell'arresto per
il  solo  fatto  di  aver disubbidito all'intimazione del questore, a
prescindere  dal  fatto che gia' a priori sia mancata la possibilita'
concreta  di  eseguire  l'ordine  e  quindi  di  offendere  il bene a
protezione del quale la norma e preposta.
    Vi e' inoltre da osservare che un ordine impartito dalla pubblica
amministrazione,  in  base  ai principi di diritto amministrativo, e'
vincolante  solo  se  eseguibile,  ove  cioe'  non  sussistano  cause
ostative  alla  sua  diretta  ed  immediata  attuazione.  Presupposto
dell'esecutivita' e' anche la c.d. «possibilita' materiale», cioe' la
possibilita' che l'atto possa effettivamente realizzare il suo scopo.
    L'ordinamento   contraddice  se  stesso  quando  ordina  di  dare
esecuzione  ad  un  procedimento che per sua stessa ammissione non e'
eseguibile.  E la contraddizione sussiste, maggior ragione, sfociando
nell'irragionevolezza,    quando   l'inottemperanza   all'ordine   di
attuazione  -  di un provvedimento ineseguibile consegue una sanzione
penale.
    Il  reato p. e p.. dall'art. 14, comma 5-ter, contrasta pertanto,
sotto questo profilo, anche con gli artt. 13 e 27, comma 3, Cost.
    La  norma  da  applicare  appare  poi in contrasto con i principi
stabiliti  dagli  artt. 3 e 13 della Carta costituzionale anche sotto
altri profili.
    L'istituto dell'arresto, quale strumento di temporanea privazione
della  liberta'  personale,  soggiace  al rispetto dei principi posti
dall'art. 13  Cost.  che  consente  la  compressione  della  liberta'
personale solo in forza di atti motivati dell'Autorita' giudiziaria e
limita  l'adozione  di  provvedimenti  provvisori da parte della P.G.
soltanto  ai casi eccezionali di necessita' ed urgenza. Corollario di
cio'  e'  la  tassativita'  delle  ipotesi  di arresto previste dagli
artt. 380 e 381 C.p.p., non suscettibili di applicazione analogica.
    Nella disciplina codicistica la misura dell'arresto e' in stretto
legame e finalizzata all'applicazione di misure cautelari coercitive.
    Sintomatica   di   tale   collegamento   e'  la  norma  contenuta
nell'art. 121,  primo  comma disp. att. c.p.p., ove si prevede che il
pubblico  ministero  disponga la liberazione immediata dell'arrestato
se   non   ritiene  di  dover  richiedere  l'applicazione  di  misure
coercitive.
    Appare  evidente  che  per  il reato in esame non consentira' mai
l'emissione  di  misure coercitive, sia per i limiti edittali di pena
(essendo  punito  con  l'arresto  da  sei mesi ad un anno) sia per la
tipologia  stessa  del reato (trattandosi di contravvenzione e non di
delitto).
    Se   cosi'  e',  si  deve  concludere  che  per  questo  tipo  di
contravvenzione   e'   previsto  un  arresto  obbligatorio  destinato
necessariamente a portare alla liberazione dell'arrestato ancor prima
dell'udienza  di  convalida  e  che  comporta quindi una compressione
della  liberta'  del  tutto  inutile  ed  ingiustificata,  quindi non
conforme  al  criterio  di  cui  al  comma secondo dell'art. 13 della
Costituzione.
    La norma in questione appare contrastare anche con l'art. 3 della
Costituzione, in quanto lesiva del principio di uguaglianza.
    In  particolare,  non pare conforme al criterio di ragionevolezza
(nell'accezione  ormai consolidatasi nella giurisprudenza della Corte
costituzionale)  il  diverso  trattamento dal legislatore riservato a
due situazioni diverse; la disciplina prevista per la condotta di cui
all'art. 14  comma  5-ter  legge  cit.  risulta infatti piu' rigorosa
rispetto  a  quella prevista per la condotta di cui all'art. 13 commi
13  e 13-bis stessa legge, atteso che per il reato di cui all'art. 14
comma  5 e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza mentre per i
reati di cui all'art. 13 commi 13 e 13-bis e' previsto l'arresto come
facoltativo.
    E'   previsto   infatti   l'arresto  obbligatorio  del  cittadino
extracomunitario  che dopo essere stato raggiunto da un provvedimento
di  espulsione  del  questore venga sorpreso nel territorio nazionale
(art. 14 comma 5-ter legge cit.).
    E'   invece   meramente   facoltativo   l'arresto  del  cittadino
extracomunitario  che dopo essere stato raggiunto da un provvedimento
di espulsione del giudice ed essere stato concretamente espulso abbia
fatto  ritorno  sul territorio nazionale (art. 13, commi 13-bis e ter
legge cit).
    Il  maggior  rigore  riservato  alla  prima  situazione  non pare
giustificato  da  alcun  plausibile  motivo,  atteso  - anzi - che la
condotta  sanzionata dall'art. 13 cit. e' piu' grave di quella punita
dall'art. 14  essa  infatti  integra gli estremi di un delitto punito
con  la reclusione fino a quattro anni, mentre il reato che occupa e'
una contravvenzione punita con l'arresto fino ad un anno.
    A  fondare  tale  diversita'  di  trattamento non appare emergere
neppure una valida ragione di ordine pratico.
    Anche  nel  caso del cittadino espulso che rientri nel territorio
dello  Stato, infatti, sussistono ragioni di urgenza quanto meno pari
a  quelle  che  sussistono  per  il  cittadino  al  quale  sia  stato
notificato un provvedimento di espulsione del questore.
    Appare  quindi evidente che la disciplina difforme riservata alle
due  fattispecie  non  e'  ragionevole  e  che  la  norma  in  esame,
prevedendo  il  trattamento piu' rigoroso per la condotta meno grave,
appare  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ove tale norma
raffronti con quella dell'art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
    Sotto  il  profilo  della  rilevanza  della  questione,  vi e' da
rilevare  che  se  la  previsione  dell'arresto  fosse  in termini di
facoltativita'  non vi sarebbero, nel caso di specie, gli estremi per
poterlo  ritenere  giustificato  e quindi per convalidarlo, attese le
particolarita'  del  caso  (cittadino  privo  di documenti di viaggio
idonei,  per il quale anche le autorita' di polizia hanno difficolta'
ad  eseguire  l'accompagnamento  immediato,  stante  la necessita' di
procedere  ad  ulteriori  accertamenti in ordine alla sua identita' e
nazionalita'.