IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta  del  p.m.  di  convalida dell'arresto di Kasser
Jamel,  nato  in  Iraq  il 15 gennaio 1984, arrestato a Bologna il 21
ottobre   2003  ai  sensi  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  d.lgs.
286/1998   -  come  modificato  dalla  legge  n. 189/2002  -  per  la
contravvenzione  prevista  e punita dall'art. 14, comma 5-ter, stessa
legge,  premesso  che  l'arrestato e' stato espulso con provvedimento
del  prefetto  di Bologna in data 25 settembre 2003 e in pari data il
questore  di  Bologna  gli ha ordinato di allontanarsi dal territorio
dello  Stato  entro cinque giorni ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis,
d.lgs. n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002;
    Dato   atto   che   l'arrestato   e'   privo   di   documenti  di
identificazione   validi   ed   e'   stato   sottoposto   a   rilievi
dattiloscopici  per  la  sua  identificazione, in base ai quali si e'
accertato  che  lo  stesso  e' stato identificato altre tre volte con
diversi nominativi ma mai denunciato per reati;
    Osservato che:
        il   decreto   legislativo   n. 286/1998   come  recentemente
modificato   dalla   legge  n. 189/2002  prevede  l'espulsione  dello
straniero  che sia entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai
controlli  di  frontiera  o  vi  si  sia trattenuto senza permesso di
soggiorno valido (art. 13, comma 2, lett. A-B);
        l'espulsione  e'  disposta dal Prefetto ed e' sempre eseguita
dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica  (art. 13, comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione  a lasciare il territorio dello stato entro quindici
giorni (art. 13, comma 5);
        la  regola  fissata  dal  comma  4  dell'art. 13  puo' essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. 14, comma 1);
        in  tal  caso  il  questore  dispone  che  lo  straniero  sia
trattenuto  per  il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza piu' vicino;
        come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora non sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30-30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  Stato  entro cinque giorni (art. 14,
comma 5-bis);
        orbene,  implicitamente  confermando che la clandestinita' in
se'  non  e' reato ma solo l'inottemperanza al relativo provvedimento
di   espulsione,   il  legislatore  ha  contemplato  diverse  ipotesi
sanzionatorie per l'inosservanza dei diversi tipi di espulsione;
        la  disobbedienza  che  si  realizzi  per  la prima volta, di
regola,  e'  un illecito contravvenzionale (l'eccezione e' costituita
dalla  trasgressione  all'espulsione disposta dal giudice a titolo di
sanzione  sostitutiva o alternativa alla detenzione; art. 16, commi 1
e  5);  le  condotte  sanzionate sono il rientro nel territorio dello
stato   senza  speciale  autorizzazione  del  ministero  dell'interno
(art. 13,  comma 13) e il trattenimento ingiustificato nel territorio
dello stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
dell'art. 14,  comma  5-bis;  per entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13, comma 13, in fine e art. 14, comma 5-ter in fine);
        la  reiterazione  della  condotta disobbediente (ovverosia il
rientro   dello   straniero  gia  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13  comma  13  o  il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, comma
13-bis, in fine e art. 14, comma 5-quater);
        quanto  agli  aspetti processuali, gli art. 13 e 14 prevedono
per i reati in ciascuno di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13  comma 13-ter; per le violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio  (art. 14 comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo;
    Ritenuto che:
        la  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14,
comma  5-quinquies,  nella  parte  in  cui  prevede come obbligatorio
l'arresto   per   il   reato   di  cui  al  comma  5-ter  appare  non
manifestamente  infondata e rilevante e va sollevata d'ufficio per le
ragioni  che  seguono, con riferimento ai parametri costituzionali di
cui all'art. 3 Cost.;
        i  reati  contravvenzionali  previsti  dagli articoli 13 e 14
rivestono  quanto  meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con la
medesima  pena  edittale,  prevedono  identiche conseguenze sul piano
amministrativo  (nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera)
e  penale  (lo  straniero  che,  dopo  essere stato denunciato per la
contravvenzione,  viene  nuovamente  colto nel territorio dello Stato
commette  un  delitto punito con la reclusione da 1 a 4 anni) in caso
di reiterazione della condotta;
        in  realta', a ben vedere, la condotta descritta all'art. 14,
comma  5-ter,  appare  meno grave di quella di cui all'art. 13, comma
13;  in  quest'ultimo  caso  lo  straniero  che,  dopo  essere  stato
accompagnato   coattivamente  alla  frontiera  a  mezzo  della  forza
pubblica  e  fisicamente  espulso  dal  territorio  dello  Stato,  vi
rientra, pone in essere una condotta attiva di trasgressione non solo
ad  un  ordine  legalmente  dato  ma  anche  ad  attivita'  che hanno
impegnato  lo  Stato  con  risorse  umane  e  materiali,  e ha quindi
mostrato un atteggiamento volitivo particolarmente forte; la condotta
di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, e' invece meramente omissiva, nel
senso  che lo straniero «intimato» si limita a non adempiere l'ordine
e   a   non   presentarsi   alla   frontiera  nel  termine  indicato,
atteggiamento che e' compatibile anche con la semplice colpa;
        se  e' dunque corretto ritenere che la contravvenzione di cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  e' di gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  di  cui  all'art. 13, comma 13, non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo caso e facoltativo nel secondo;
        ma  v'e'  di  piu';  l'art. 13,  comma  13-ter  prevede  come
facoltativo l'arresto anche in caso di commissione di uno dei delitti
previsti  dal  precedente  comma  13-bis;  e fra essi, oltre a quello
dello straniero che, gia' denunciato per la contravvenzione di cui al
comma   13  e  nuovamente  espulso  con  nuovo  accompagnamento  alla
frontiera,  sia  rientrato  nei  territorio  dello Stato, vi e' anche
quello  di  violazione  dell'espulsione disposta dal giudice; orbene,
tale  espulsione  ai  sensi  dell'art. 16  del  decreto  puo'  essere
disposta  con  la sentenza, come sanzione sostitutiva di condanna per
reato  non colposo ad una pena detentiva entro il limite di due anni,
e  quindi anche in relazione a soggetti che hanno dimostrato gia', in
concreto,  di  essere  pericolosi,  tenuto  conto  dell'entita' della
condanna  loro  inflitta;  non  vi  e' alcun dubbio che tali soggetti
debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi  e il loro reingresso nel
territorio  dello Stato piu' allarmante del semplice permanere di uno
straniero  la  cui  unica «colpa» e quella di avere trasgredito ad un
ordine  del  questore  che  gli  intimava di uscire dallo Stato entro
cinque giorni;
        sembra  pertanto indiscutibile che nel sistema degli articoli
13  e 14 il legislatore abbia trattato in maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione  di  cui all'art. 14 comma 5-ter e quello facoltativo
per  la  contravvenzione di cui all'art. 13, comma 13) e maniera piu'
grave   reati   di   minore   gravita'  (la  contravvenzione  di  cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  rispetto  ai  delitti di cui all'art. 13
comma 13-bis);
        peraltro   l'arresto   obbligatorio  e'  istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art. 380   c.p.p.;  nessuna
contravvenzione  prevede  l'arresto  obbligatorio e solo una (art. 6,
decreto-legge   n. 122/1993   convertito  in  legge  n. 205/1993)  lo
consente  come  facolta';  anche  in tale ultima ipotesi, inoltre, la
condotta  che viene sanzionata in via preprocessuale con l'arresto in
flagranza  appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto nelle
pubbliche  riunioni  di armi o strumenti atti ad offendere e porto di
armi  o  strumenti  atti  ad offendere per ragioni di' odio razziale,
etnico   ecc.)   in  confronto  alla  condotta  di  chi  contravviene
all'obbligo  del questore di lasciare il territorio dello Stato entro
cinque giorni, ne' la disparita' di trattamento sembra trovare alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
        infatti  da  un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
decreto   legislativo   n. 286/1998   prevede  il  rito  direttissimo
obbligatorio  per  i reati di cui all'art. 13, commi 13-bis e 13-ter,
per  i  quali  -  come  detto - l'arresto e' facoltativo, in tal modo
introducendo  una deroga al generale principio secondo cui l'adozione
del rito direttissimo e' generalmente collegata all'arresto (peraltro
gia'  il  comma  5 dell'art. 449 c.p.p prevede una ipotesi diversa di
rito  direttissimo,  collegato  alla  confessione dell'imputato e non
all'avvenuto  arresto;  analogamente  l'art. 12-bis,  decreto-legge 8
giugno 1992, n. 302, stabilisce che per i reati concernenti le armi e
gli  esplosivi il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo
anche fuori dei casi previsti dagli artt. 449 e 558 c.p.p.);
        d'altro   lato,  va  rammentato  che  la  ratio  della  norma
incriminatrice  e'  quella  di  sanzionare  un  soggetto  che  si  e'
sottratto  all'esecuzione  volontaria  di  un  ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
stato)  ma in se' non illecita, non integrando acuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie  analoghe; v. art. 650 c.p. e art. 2, legge n. 1423/1956)
lo stesso legislatore ha qualificato la condotta in termini di minore
gravita',  rendendo  anche impossibile l'adozione di qualunque misura
cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera  della  discrezionalita'
legislativa  rientrano  le  scelte  sulla  qualita' e quantita' delle
sanzioni  e sui presupposti di applicabiita' delle misure cautelari e
precautelari, ma e' altrettanto vero che l'uso della discrezionalita'
legislativa puo' essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale  nei  casi  in  cui non sia stato rispettato il limite
della   ragionevolezza   (crf.  sentenze  Corte  cost.  nn.  26/1979,
103/1982,  409/1989, 341/1994; secondo Corte cost. n. 53/1958 «non si
compiono  valutazioni di natura politica e nemmeno si controlla l'uso
del  potere  discrezionale  del  legislatore  se  si  dichiara che il
principio   dell'uguaglianza   e'   violato   quando  il  legislatore
assoggetta  ad  una  indiscriminata  disciplina  situazioni  che esso
stesso considera e dichiara diverse»);
        ne'   puo'   dubitarsi   che  il  principio  di  uguaglianza,
nonostante il riferimento letterale dell'art. 3 cost. ai «cittadini»,
debba  ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri, allorche' si tratti
della   tutela   dei   diritti   inviolabii  dell'uomo  (Corte  cost.
n. 104/1969);
        nella  fattispecie  concreta la questione e' anche rilevante;
infatti  Kasser  Jamel  e'  stato  privato della liberta' personale e
obbligatoriamente    arrestato,    senza    alcuna   valutazione   di
pericolosita',  per la violazione dell'art. 14 comma 5-ter e condotto
avanti  al  giudice  per  la  convalida  dell'arresto  e  il giudizio
direttissimo ai sensi dell'art. 558 c.p.p.;
        la  circostanza  che  la  mancata  convalida dell'arresto del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli  art. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato  dalla  Corte  cost. con sentenza n. 54/1993 nella quale si
legge  «il  provvedimento  di  liberazione dell'arrestato era imposto
dalla  disposizione  dell'art. 391  settimo  comma  ultima  parte del
codice  di rito .., poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di  convalida,  che  ...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti».
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  come  obbligatorio  l'arresto per il reato previsto dal
comma  5-ter,  in  relazione all'art. 3 della Costituzione appare non
manifestamente infondata e rilevante.