ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   per   conflitti   di  attribuzione  sorti  a  seguito
dell'art. 1,  comma 1,  lettere a, c, e, g, k, r, s, t e u del d.P.R.
7 dicembre   2000,   n. 440   (Regolamento   recante   modifiche   ed
integrazioni  al  decreto  del Presidente della Repubblica 20 ottobre
1998,  n. 447,  in  materia  di  sportelli  unici  per  gli  impianti
produttivi),  promossi  con  ricorsi  delle Regioni Veneto e Liguria,
notificati  il 10 e il 6 aprile 2001, depositati in cancelleria il 10
e  il  19 aprile ed iscritti ai numeri 13 e 14 del registro conflitti
2001.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30 settembre  2003 il giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Romano Morra per la Regione
Veneto   nonche'  l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Cosentino  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Con  ricorso  notificato  il  10 aprile  2001 e depositato
nella  cancelleria  della  Corte costituzionale nella stessa data, la
Regione  Veneto  ha sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti
del  Presidente del Consiglio dei ministri (r.confl. n. 13 del 2001),
chiedendo  la dichiarazione di non spettanza allo Stato del potere di
disciplinare  con regolamento i procedimenti amministrativi afferenti
alla   struttura   denominata   «sportello  unico  per  le  attivita'
produttive»,   e,   conseguentemente,   l'annullamento   del   d.P.R.
7 dicembre   2000,   n. 440   (Regolamento   recante   modifiche   ed
integrazioni  al  decreto  del Presidente della Repubblica 20 ottobre
1998,  n. 447,  in  materia  di  sportelli  unici  per  gli  impianti
produttivi), con particolare riferimento all'art. 1, comma 1, lettere
a,  c,  e, g, k, r, s, t, u, per violazione degli articoli 117, 118 e
119 della Costituzione.
    Le  disposizioni  ritenute  interferenti  con le competenze della
Regione sono le seguenti:
        -  la lettera a dell'art. 1, la quale ridefinisce il campo di
applicazione  del  regolamento  di  cui  al  d.P.R.  n. 447 del 1998,
affermando  che  gli  «impianti»  presi in considerazione sono quelli
«relativi  a  tutte le attivita' di produzione di beni e servizi, ivi
incluse  le attivita' agricole, commerciali e artigiane, le attivita'
turistiche  ed  alberghiere  ...».  Non  vi  sarebbe  dunque  materia
regionale,   «propria»   o  «delegata»,  che  rimanga  esclusa  dalla
disciplina governativa;
        -  la  lettera  c  dell'art. 1,  la dove si stabilisce che il
procedimento e' unico, nel senso che sono soppresse (e/o trasformate)
tutte  le funzioni amministrative in precedenza attribuite ai diversi
enti:  la  struttura  unica  adotta  «il provvedimento conclusivo del
procedimento»,  ed adotta anche direttamente «gli atti istruttori e i
pareri  tecnici, comunque denominati dalle normative vigenti», mentre
le  altre  amministrazioni  intervengono nel procedimento solo in via
eventuale  (se la struttura unica ritiene di avvalersene), e solo per
la adozione di atti, che sono «trasformati» in «atti istruttori» e in
«pareri  tecnici»  (come confermerebbero le innovazioni della lettera
e,  della  lettera  g,  che  parla  di  funzioni  di «amministrazione
consultiva»,  nonche' della lettera k, la quale, con riferimento alle
varianti  urbanistiche  eventualmente occorrenti per la realizzazione
degli   impianti,   esclude  la  necessita'  dell'approvazione  della
Regione);
        -  le lettere r e s dell'art. 1, le quali, con riferimento al
«procedimento  mediante autocertificazione», assegnano le funzioni di
«accertamento»  delle  autocertificazioni, e, piu' in generale, tutte
le  funzioni  di  «controllo»,  alla  «struttura» comunale: spetta ad
essa,  quindi,  la  verifica  della  conformita' di quanto dichiarato
dall'interessato   con  le  norme  relative  alla  prevenzione  degli
incendi,  alla sicurezza degli impianti, alle emissioni inquinanti in
atmosfera, alle emissioni nei corpi idrici, ecc. (sinteticamente: con
tutte  le norme considerate nel comma 2 dell'art. 7 del d.P.R. n. 447
del  1998). Ad avviso della ricorrente, solo se la struttura comunale
riterra'  di  avvalersene,  altre  amministrazioni pubbliche potranno
svolgere  queste  verifiche; tant'e' vero che il comma 3 dell'art. 7,
che  pure  continua a fare riferimento alla permanenza della funzione
di  controllo,  viene  modificato  nel senso che gli enti diversi dal
comune  non  sono  piu'  «competenti»,  ma  solo «interessati». Nella
stessa  direzione  si  muoverebbe  anche  la  lettera  t  del decreto
impugnato,  che  interviene  sulla «procedura di collaudo»: i tecnici
che  vi  prendono  parte  non  sono  piu'  quelli  dipendenti  «dalle
amministrazioni  competenti  ai  sensi  della  normativa vigente», ma
quelli  della struttura comunale, «la quale a tal fine puo' avvalersi
del personale dipendente da altre amministrazioni»;
        -  infine,  la  lettera u dell'art. 1. Tale norma sostituisce
l'art. 10  del  d.P.R.  n. 447  del  1998,  il  quale, nella versione
originaria,  faceva  salve  «le  disposizioni  che prevedono a carico
dell'interessato  il  pagamento  di  spese  o diritti in relazione ai
procedimenti   disciplinati   dal   presente   regolamento».  Ora  la
competenza a riscuotere tali importi viene attribuita alla «struttura
responsabile del procedimento»; la misura di essi viene dimezzata nel
caso  del «procedimento per autocertificazione»; la stessa percezione
delle  somme  - da parte della Regione e di enti diversi dal comune -
diventa meramente eventuale, essendo prevista solo per il caso in cui
la  amministrazione  abbia  svolto  attivita'  istruttoria  (cio' che
dipenderebbe    dalla   struttura   procedente):   si   introdurrebbe
surrettiziamente una «sanzione» a carico della Regione (e degli altri
enti),  in  quanto  si  prevede che, se non sono rispettati i termini
fissati  dallo  stesso  regolamento,  le  spese e i diritti (che pure
vengono  riscossi),  non  sono  riversati  ai  soggetti ai quali essi
spetterebbero secondo la normativa vigente.
    Ad avviso della Regione, il d.P.R. n. 440 del 2000 interferirebbe
con   le   competenze  regionali,  tanto  di  normazione,  quanto  di
amministrazione.   Il   regolamento   si   sostituirebbe  alle  fonti
pregresse,  sia  statali  che  regionali,  ridisciplinando  compiti e
funzioni,  in  materie  proprie  della  Regione, o ad essa conferite.
Inoltre, nessuna disposizione del d.P.R. n. 440 del 2000 escluderebbe
che esso vincoli anche per il futuro la normazione regionale.
    La  Regione ricorrente lamenta la violazione degli artt. 117, 118
e 119 Cost. a causa dell'imposizione di limiti alla Regione con norme
di natura regolamentare.
    Un'altra ragione, subordinata, di violazione degli artt. 117, 118
e  119  Cost.  deriverebbe dal fatto che l'imposizione di limiti alla
Regione  sarebbe  avvenuta  con  norme  adottate  in violazione delle
prescritte  regole  procedimentali. Difatti l'art. 20, comma 8, della
legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla cui base deve ritenersi adottato il
regolamento impugnato (cosi' come il d.P.R. n. 447 del 1998, che esso
modifica),  stabilisce  -  attraverso  il  rinvio alle «modalita» del
comma 3  del  medesimo  articolo  -  che  nel  procedimento normativo
intervenga  il  parere delle competenti Commissioni parlamentari. Dal
preambolo  del  regolamento  n. 440 del 2000 non risulterebbe, pero',
che  il  Governo  abbia provveduto ad acquisire il necessario parere,
ne'  risulterebbe  l'inutile  decorso  del  termine di trenta giorni,
assegnato  alle  Commissioni  per  pronunciarsi (evenienza alla quale
l'ultimo  periodo  del  citato  comma 3  subordina la possibilita' di
emanare comunque il regolamento).
    Un  altro  motivo  di  doglianza  concerne  la  violazione  delle
funzioni  legislative ed amministrative attribuite alla Regione dagli
artt. 117  e  118 della Costituzione. All'interno di materie affidate
alla competenza legislativa concorrente della Regione, il regolamento
n. 440  del  2000 ritaglierebbe un settore «trasversale», individuato
dal  riferimento  agli  «impianti  produttivi»,  «relativi a tutte le
attivita'  di  produzione  di  beni  e  servizi», ed attribuirebbe al
comune  il  potere  unico  di  autorizzare l'«impianto», «degradando»
tutte le funzioni amministrative «interferenti» (salvo, forse, quelle
attinenti   alla   valutazione   d'impatto   ambientale)  a  funzioni
consultive  ed  istruttorie, le quali hanno una natura ben diversa da
quelle   di  amministrazione  «attiva».  In  tal  modo,  sostiene  la
ricorrente, verrebbero irrimediabilmente lese le funzioni legislative
ed amministrative costituzionalmente spettanti alla Regione.
    Il  regolamento  in  questione  -  in  particolare  la  lettera a
dell'art. 1  -  lederebbe le attribuzioni regionali anche perche', in
violazione  dell'art. 20,  comma 8,  della  legge  n. 59 del 1997, in
relazione  ai  numeri  26, 42, 43 e 50 dell'allegato l alla medesima,
estenderebbe lo sportello unico agli impianti relativi alle attivita'
agricole, artigiane, turistiche o alberghiere.
    Ad   avviso   della   ricorrente,   il  d.P.R.  n. 440  del  2000
sostanzialmente  delegificherebbe  l'autonomia  costituzionale  delle
Regioni.  In  particolare, mentre le disposizioni del d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato  alle  Regioni  ed  agli  enti locali, in attuazione del capo I
della  legge  15 marzo  1997,  n. 59), lette alla luce della legge di
delega  nel  suo  insieme,  sarebbero  da  intendere nel senso che il
conferimento  ai  comuni  si  deve  sostanziare  non  in un effettivo
spostamento della titolarita' delle funzioni quando esse attengono ad
impianti  produttivi, ma nella unitaria convergenza procedimentale (e
formalizzazione  provvedimentale  conclusiva)  nel comune di tutte le
funzioni  coinvolte,  ferma  restandone  la  titolarita'  in  capo ai
soggetti  cui  ordinariamente  e'  demandata  la  cura  dei  relativi
interessi,  il  decreto  impugnato,  invece,  sposterebbe  in capo ai
minori  enti  locali  competenze  «sostanziali»  di cura di interessi
afferenti alle materie regionali.
    Infine, la Regione denuncia la violazione dell'art. 119 Cost. con
riferimento alla lettera u dell'art. 1 del d.P.R. n. 440 del 2000. Le
leggi regionali che stabiliscono in materia di spese e diritti, e che
concorrono  a  dare  concretezza  alla  «autonomia finanziaria» della
Regione,    sarebbero    sostituite   dal   regolamento,   il   quale
modificherebbe   anche   i   presupposti  di  imposizione  di  quelle
prestazioni,  e  cio'  al  di  fuori  di una qualunque norma di rango
legislativo, necessaria ai sensi dell'art. 119 della Costituzione.
    1.2. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
concludendo  perche' il ricorso sia rigettato in quanto inammissibile
e comunque infondato nel merito.
    La  difesa  erariale  esclude che con il regolamento del 2000 sia
stata    mutata   la   natura   dell'esercizio   del   potere   delle
amministrazioni   diverse  che  intervengono  nell'ambito  dell'unico
procedimento,  tramutando  in  valore  istruttorio un concorso attivo
che,  in  precedenza,  sarebbe  stato invece a rilevanza esterna. Una
tale  scelta  sarebbe stata compiuta gia' con lo stesso d.lgs. n. 112
del   1998   (che  la  Regione  avrebbe  dovuto  quindi  direttamente
censurare),   rispetto  al  quale  il  regolamento  n. 440  del  2000
null'altro  farebbe che esprimere «una disciplina secondaria a tratto
maggiormente definito e non certamente innovativo».
    Neppure  sarebbe  condivisibile  la  pretesa  inadeguatezza della
fonte  regolamentare governativa ad incidere su materie affidate, per
riparto  costituzionale, alle cure proprie della potesta' legislativa
regionale.  La  fonte  secondaria  statale muove in ambiti di materia
differenti  da  quelli  che  possono essere occupati dalla disciplina
legislativa  di  produzione  regionale; in secondo luogo, ove pure si
individuassero  profili  della  disciplina  regolamentare invasivi di
spazi propri della fonte regionale, non vi sarebbe dubbio alcuno che,
al  subentrare  di  una disciplina di produzione regionale, quella di
fonte  secondaria  statale  risulterebbe  senz'altro recessiva quanto
alle  regole  poste nei riguardi delle amministrazioni subregionali e
dei privati, nei loro rapporti con queste amministrazioni.
    Per  quanto,  infine, attiene all'iter procedimentale seguito per
l'adozione  del  regolamento  impugnato,  l'Avvocatura osserva che lo
schema   di   provvedimento   e'  stato  sottoposto  all'esame  della
Conferenza  unificata  nella seduta del 1° luglio 1999; che lo schema
di  regolamento,  in  quanto incidente su materia gia' delegificata e
destinato esclusivamente ad apportare modifiche al regolamento n. 447
del  1998,  non  richiedeva  l'esame  delle Commissioni parlamentari,
tenuto  conto  di  quanto previsto dall'art. 17, comma 1, della legge
n. 400 del 1988 e di quanto deliberato dalla I Commissione del Senato
nella  seduta  del  19 giugno 1996, secondo cui un nuovo parere delle
Commissioni  parlamentari non sarebbe richiesto allorquando si tratti
di  ipotesi  di  modificazione  di regolamenti di semplificazione. In
ogni  caso,  la mancanza di parere delle Commissioni parlamentari non
potrebbe  costituire  motivo  di  censura, in quanto questo eventuale
adempimento  procedimentale  non  tutelerebbe prerogative regionali e
nessuna   tutela,  a  questo  riguardo,  sarebbe  azionabile  con  lo
strumento del ricorso per conflitto di attribuzioni.
    2.1. - Anche  la  Regione  Liguria,  con  ricorso  notificato  il
6 aprile  2001  e  depositato  nella  cancelleria  di questa Corte il
19 aprile  2001, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti
del  Presidente  del Consiglio dei ministri a seguito dell'emanazione
del  d.P.R.  n. 440  del  2000  (r.confl. n. 14 del 2001). La Regione
chiede  alla  Corte  di dichiarare che non spettava allo Stato, e per
esso,  al  Governo:  riconformare,  tramite  regolamento governativo,
procedure  e competenze afferenti lo «sportello unico per le imprese»
nelle   materie   assegnate   alla   sfera  di  competenze  regionali
costituzionalmente garantite; prevedere, all'art. 1, comma 1, lettere
c  e  g,  del  d.P.R.  n. 440  del 2000, che il comune possa adottare
direttamente,  nelle suddette materie, tutti gli atti occorrenti alla
procedura  di  sportello  unico per gli impianti produttivi, rendendo
meramente eventuale l'intervento delle altre amministrazioni, nonche'
degradare   ad   atti   endoprocedimentali   gli  atti  eventualmente
adottabili da tali amministrazioni; ancora, adottare il d.P.R. n. 440
del  2000  in  difformita' dall'accordo sancito in sede di Conferenza
unificata il 1° luglio 1999, nonche' in assenza del prescritto parere
delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato. La Regione,
chiede,  conseguentemente,  che  la  Corte annulli l'impugnato d.P.R.
n. 440 del 2000.
    La  Regione  denuncia  la  violazione  degli artt. 117, 118 e 119
Cost.  in relazione all'art. 1, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 440
del  2000  (nella  parte  in  cui  sostituisce l'art. 4, comma 1, del
d.P.R.  n. 447 del 1998), nonche' all'art. 1, comma 1, lettera g (che
modifica l'art. 4, comma 5, del medesimo d.P.R. n. 447).
    Secondo la ricorrente, mentre il testo previgente dell'art. 4 del
d.P.R.  n. 447  del  1998  - nel caso in cui il procedimento unico si
svolgesse mediante ricorso alla conferenza di servizi - disponeva che
il  comune,  una  volta ricevuta la domanda del soggetto interessato,
invitasse  ogni  amministrazione  competente a far pervenire gli atti
autorizzatori  o  di consenso comunque denominati entro il prescritto
termine,  il  nuovo  testo  prevede  che  il  comune  possa  adottare
direttamente  gli atti permissivi occorrenti. Solo nel caso in cui il
comune  non  decida  di  provvedere  direttamente, esso richiede alle
amministrazioni  di settore (o ad altre, di cui sceglie di avvalersi)
quelli   che  oggi  vengono  chiamati  «atti  istruttori»  o  «pareri
tecnici».   Ma   in   tal  modo  verrebbe  attribuita  ai  comuni  la
possibilita'  di  scegliere  se  provvedere autonomamente ad adottare
tutti  gli  atti  occorrenti al procedimento autorizzatorio, in luogo
delle  competenti  amministrazioni di settore, come individuate dalla
normativa  regionale,  anche attuativa del d.lgs. n. 112 del 1998. Ed
invero,  la  formulazione della norma impugnata sembrerebbe implicare
da  parte  della  struttura  competente in materia di sportello unico
l'esercizio  di  un  potere discrezionale suscettibile di alterare la
distribuzione  di  competenze  tra  enti locali gia' effettuata dalla
Regione  tanto  con  proprie  leggi attuative del decreto legislativo
n. 112  del  1998 (e - segnatamente - con la legge regionale 24 marzo
1999,  n. 9,  in  materia  di  sportello  unico),  quanto l'ulteriore
normativa  regionale  di  settore  nelle  materie di cui all'art. 117
Cost.
    L'impugnato   d.P.R.  n. 440  del  2000  inciderebbe  in  materie
riservate  alla  competenza  regionale,  allorquando  muta  il valore
sostanziale    degli    atti   permissivi   imputabili   alle   varie
amministrazioni  che  intervengono  nel procedimento, degradandone la
natura,  che  non e' piu' provvedimentale («atti autorizzatori» o «di
consenso»),   ma  diventa  endoprocedimentale  («atti  istruttori»  o
«pareri tecnici»).
    Altro   profilo   di  censura  riguarda  la  fonte  adottata  per
l'emanazione    dell'atto    impugnato:    il   regolamento   sarebbe
intrinsecamente  inidoneo  ad  incidere  sulle materie riconosciute e
garantite  alla  Regione ex art. 117 Cost., come ribadito dalla legge
23 agosto 1988, n. 400 (art. 17, lettera b), che demanda a tale fonte
l'«attuazione  e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi
recanti  norme  di  principio,  esclusi  quelli  relativi  a  materie
riservate alla competenza regionale».
    La  Regione censura altresi' la violazione del principio di leale
collaborazione  tra  Stato  e  Regioni in relazione alle modalita' di
formazione   del  regolamento  impugnato,  sia  perche'  adottato  in
contrasto  con  le previsioni dell'accordo raggiunto nella seduta del
1° luglio  1999 della Conferenza unificata avente ad oggetto «Criteri
applicativi della normativa di cui al titolo II, capo IV, del decreto
legislativo  31 marzo  1998,  n. 112  e  del  d.P.R. 20 ottobre 1998,
n. 447»,  sia  perche'  adottato senza la preventiva acquisizione del
parere delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica,  al contrario di quanto era avvenuto per il d.P.R. n. 447
del 1998.
    2.2. - Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e'  costituito il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, il quale ha chiesto che il
ricorso  sia rigettato perche' inammissibile o comunque infondato nel
merito,  sulla  base  di  argomentazioni identiche a quelle contenute
nell'atto di costituzione relativo al giudizio per conflitto promosso
dalla Regione Veneto.
    3. - In data 23 aprile 2003 la Regione Liguria ha depositato atto
di   rinuncia   al  ricorso,  previamente  notificato  all'Avvocatura
generale  dello  Stato ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri,
dichiarando di non aver piu' interesse alla definizione del conflitto
di  attribuzione  da  essa promosso ed iscritto al registro conflitti
n. 14  del  2001.  Nella  deliberazione  della Giunta regionale della
Liguria  di  data  4 aprile  2003,  allegata all'atto di rinuncia, si
precisa  che  il  venir  meno  dell'interesse  e' da ricollegare alla
sentenza  di  questa  Corte  n. 376  del  2002,  che  avrebbe fornito
un'interpretazione  delle  norme  in  materia di «sportello unico» la
quale   riconoscerebbe   pienamente   la  salvezza  delle  competenze
regionali rivendicate in questa sede.
    La   rinuncia  della  Regione  Liguria  e'  stata  accettata  dal
Consiglio dei ministri nella seduta del 2 maggio 2003.
    4.1. - In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura ha depositato
una memoria illustrativa.
    Nel premettere che la Regione Veneto non ha censurato il contesto
normativo   di   fonte  primaria,  dal  quale  deriva  la  disciplina
regolamentare,  ne'  il  precedente  d.P.R.  n. 447  del 1998, che il
regolamento  impugnato  va a modificare, l'Avvocatura osserva che, ai
sensi  dell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, ogni comune
esercita,  singolarmente  o  in forma associata, anche con altri enti
locali,  le  funzioni  di  cui  all'art. 23, assicurando che un'unica
struttura  (quella  presso la quale deve essere attivato lo sportello
unico  per  le  attivita'  produttive, di cui tratta il comma 2 dello
stesso  art. 24) sia responsabile dell'intero procedimento. Ne emerge
la  doverosa unicita' non tanto e non solo del «luogo» amministrativo
cui  l'imprenditore  privato  puo' rivolgersi per le proprie esigenze
strumentali all'avvio dell'attivita' produttiva, quanto piuttosto del
procedimento  (cui  corrisponde un'unicita' provvedimentale) che deve
governare  la  cura dei differenti interessi pubblici che (per quanto
rimangano  in  titolarita' separate ed autonome, tuttavia) concorrono
nel  quadro valutativo pubblico cui si correla l'attivita' produttiva
di  volta  in  volta  in considerazione. Ne deriva che, in materia di
attivita'    produttive,    unico    deve    essere   l'interlocutore
amministrativo dell'imprenditore (lo sportello unico, appunto), quale
soluzione  del  problema,  altrimenti irresolubile, del coordinamento
dei   poteri   pubblici   cui   l'imprenditore  deve  necessariamente
rivolgersi  per  l'avvio  delle  sue  attivita',  e  del  conseguente
abbattimento dei tempi di esercizio di tali poteri.
    La conclusione che se ne trae e' che proprio nella fonte primaria
risiederebbe  la  soluzione  innovativa  tale  per  cui  i  diversi e
concorrenti   interessi   pubblici,   che   si  attivano  sulla  base
dell'istanza del privato imprenditore, si amalgamano nel quadro di un
unico  procedimento amministrativo, nel quale i diversi provvedimenti
amministrativi (che in passato esprimevano la cura di ciascun singolo
interesse  pubblico),  gia'  dotati  di  autonoma  rilevanza esterna,
diventano ora meri atti endoprocedimentali, a rilevanza eminentemente
istruttoria.
    Queste   considerazioni   troverebbero   conferma   nell'art. 25,
comma 1,  del  d.lgs.  n. 112  del  1998.  L'intento  del legislatore
delegato  -  si  sostiene - non e' stato quello di ledere prerogative
regionali,   quanto,  piuttosto,  quello  di  congegnare  un  «luogo»
amministrativo  unico,  in  cui  differenti  poteri  pubblici,  nella
titolarita'  di amministrazioni pubbliche diverse, sia statali (si fa
l'esempio delle competenze in materia di sicurezza) che regionali (si
citano  le  competenze  in  materia  di  sanita)  e comunali (come le
competenze  in materia di urbanistica), possano incontrarsi in chiave
procedimentale   ed   ivi   confluire   allo   scopo   di  esprimersi
unitariamente  al  fine  dell'adozione,  nei  riguardi  del  soggetto
privato interessato, di un provvedimento amministrativo unico.
    4.2. - Anche   la   Regione  Veneto  ha  depositato  una  memoria
illustrativa.
    In  primo  luogo,  la  Regione sottolinea il carattere fortemente
innovativo  del  d.P.R. n. 440 del 2000, tanto rispetto al precedente
regolamento  del  1998,  quanto  con  riferimento  alle  norme  sullo
«sportello unico» contenute nel decreto n. 112 del 1998.
    In   ordine   all'eccezione   dell'Avvocatura,   secondo  cui  la
denunciata  invasione  non  sarebbe  stata  operata  dal  regolamento
oggetto  di  conflitto, giacche' il d.P.R. del 2000 non farebbe altro
che  «specificare» una scelta legislativa riconducibile agli artt. 23
e  ss.  del  d.lgs.  n. 112 del 1998, non impugnati, sul punto, dalla
Regione  Veneto,  la  ricorrente  ritiene  l'obiezione  frutto  di un
equivoco, di una errata interpretazione del d.lgs. n. 112 del 1998, e
di una dimenticanza.
    Di un equivoco, giacche' la Regione non si duole del fatto che le
norme regolamentari abbiano tolto rilievo autonomo ai «provvedimenti»
nei  quali  si sostanzia (o si potrebbe sostanziare, sulla base della
legislazione) la cura degli interessi pubblici toccati dagli impianti
produttivi,  e  abbiano  invece  inserito  gli  atti  di  cura  degli
interessi  all'interno  di  un  unico  «procedimento»;  ma censura lo
spostamento della titolarita' delle funzioni amministrative coinvolte
in  capo ai comuni, con «scardinamento» dell'assetto delle competenze
risultanti  dalla  legge  n. 59  del  1997,  dai  conseguenti decreti
legislativi e dalla legislazione regionale di attuazione.
    Di  un'errata interpretazione del d.lgs. n. 112 del 1998, perche'
le  disposizioni  degli  artt. 23 e ss. andrebbero lette nel contesto
dell'intero   decreto   legislativo   e   della   legge   di  delega:
l'attribuzione ai comuni delle funzioni amministrative concernenti la
realizzazione   di   impianti   produttivi   andrebbe   riferita   al
procedimento  nel  quale confluiscono i diversi atti di esercizio dei
poteri  pubblici  preordinati alla cura degli interessi toccati dagli
impianti stessi.
    Di una dimenticanza, giacche' la Regione Veneto presento' ricorso
in via principale proprio contro quelle norme del decreto legislativo
in  materia  di sportello unico che direttamente andavano ad invadere
la  propria  sfera  di  attribuzione, ottenendo, su questo punto, una
decisione di accoglimento. Infatti, con riferimento alla disposizione
dell'art. 25,  comma 2,  del  decreto  n. 112  -  il  quale prevedeva
un'interferenza  con  i  poteri della Regione in materia urbanistica,
disponendo   che  ove  il  progetto  di  insediamento  dell'attivita'
produttiva   contrastasse   con   le   previsioni  di  uno  strumento
urbanistico, fosse possibile il ricorso ad una conferenza di servizi,
la  cui  determinazione  (se  vi  era  accordo sulla variazione dello
strumento)   costituiva   proposta   di   variante,  sulla  quale  si
pronunciava   definitivamente   il  consiglio  comunale  -  la  Corte
costituzionale,  con  sentenza  n. 206  del  2001,  ha  reputato  che
l'esclusione    della   necessita'   di   un'approvazione   regionale
concretasse  una  lesione  delle  attribuzioni  regionali  in materia
urbanistica.  La  ricorrente  ritiene significativo che, nella citata
sentenza  n. 206  del 2001, la Corte costituzionale non abbia mancato
di  rilevare  -  per  lo stesso motivo, consistente nella sottrazione
alla   Regione   del   potere  decisorio  in  ordine  allo  strumento
urbanistico - come «non appropriata» l'integrazione al regolamento in
materia di sportello unico per le imprese recata proprio dall'art. 1,
comma 1,  lett. k, del d.P.R. 440, oggetto del presente giudizio, la'
dove  dispone,  per  l'ipotesi  di pronuncia definitiva del consiglio
comunale  sulla proposta di variante dello strumento urbanistico, che
«non  e'  richiesta l'approvazione della Regione, le cui attribuzioni
sono  fatte  salve  dall'art. 14,  comma  3-bis, della legge 7 agosto
1990, n. 241».
    Premesso  che il regolamento impugnato si deve intendere adottato
sulla base dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, la Regione Veneto
esclude che la lesione delle competenze regionali sia da ricondurre a
quest'ultima  disposizione.  Infatti,  proprio in relazione al citato
art. 20,  la Corte costituzionale, nella sentenza n. 408 del 1998, ha
argomentato che esso non puo' assumere un significato «che riguardi o
comprenda  l'attitudine  di  future  norme  regolamentari  statali  a
disciplinare   materie   di   competenza   regionale».  Vero  e'  che
successivamente,   in   apparente   contrasto  con  questa  decisione
interpretativa  della  Corte,  il  Parlamento, con l'art. 1, comma 4,
lett.  a,  della  legge  24 novembre  2000,  n. 340,  ha novellato il
comma 2  dell'art. 20, il quale ora dispone che «nelle materie di cui
all'articolo 117,  primo  comma, della Costituzione, i regolamenti di
delegificazione  trovano  applicazione  solo fino a quando la Regione
non  provveda  a  disciplinare autonomamente la materia medesima»; ma
anche  tale  previsione  sarebbe  stata oggetto di un'interpretazione
«adeguatrice»  della  Corte  costituzionale,  che ha chiarito, con la
sentenza  n. 376  del  2002,  come  la  delegificazione  sia solo «lo
strumento adottato dal legislatore statale per realizzare l'obiettivo
della  semplificazione  dei  procedimenti nell'ambito di cio' che era
gia'  disciplinato  dalle  leggi  statali  precedentemente  in vigore
(...).  La  sostituzione,  in  parte  qua,  con  norme  regolamentari
riguarda esclusivamente le preesistenti disposizioni di leggi statali
(...):  e  dunque  (...)  le  disposizioni  di leggi statali che gia'
operavano  nelle  materie  di  competenza  regionale». Nella sentenza
n. 376 del 2002 - prosegue la ricorrente - la Corte ha quindi escluso
che  i  regolamenti  statali  di  delegificazione,  adottati ai sensi
dell'art. 20  della  legge  59  del  1997,  abbiano  l'attitudine  ad
abrogare   o  ad  invalidare  le  leggi  regionali  vigenti,  potendo
solamente  sostituirsi  a  preesistenti  norme  statali  di dettaglio
cedevoli;  e'  questa,  ad avviso della Corte, «l'unica lettura della
norma (...) che si rivela coerente con il sistema e con i presupposti
costituzionali».
    Cosi'  interpretato, allora, l'art. 20 della legge n. 59 del 1997
non  si  presterebbe,  secondo la Regione, ad offrire copertura ad un
regolamento  che  interferirebbe con procedimenti amministrativi gia'
disciplinati da leggi regionali.
    Ne',   contrariamente   a  quanto  eccepito  dall'Avvocatura,  si
potrebbe far dipendere l'inammissibilita' del conflitto dalla mancata
impugnazione,  da  parte della Regione, del regolamento del 1998, ora
modificato  dal  d.P.R.  n. 440  del 2000; e cio' sia perche' nessuna
preclusione   relativa  all'impugnabilita'  di  un  regolamento  puo'
sorgere,   secondo   la  giurisprudenza  della  Corte,  dalla  omessa
proposizione  del  ricorso  per  conflitto  di attribuzione contro un
precedente  regolamento,  del  quale il secondo confermi il contenuto
normativo,   sia   perche',   comunque,  il  d.P.R.  n. 440  modifica
sostanzialmente  il  d.P.R. n. 447, come del resto ammette il Governo
nella relazione che accompagna il provvedimento.
    La  Regione non condivide neppure l'osservazione dell'Avvocatura,
secondo  cui  il  regolamento  impugnato  si  muoverebbe in ambiti di
materia  differenti  rispetto  a  quelli  che possono essere occupati
dalla  disciplina legislativa regionale, perche' regolerebbe funzioni
e    procedimenti   amministrativi   disciplinati   (ed   in   quanto
disciplinati)  da leggi statali. In realta' - si sostiene - il d.P.R.
n. 440   del   2000   non   conoscerebbe   una  tale  limitazione,  e
pretenderebbe  invece di assorbire nel procedimento unificato anche i
procedimenti amministrativi disciplinati da leggi regionali.
    In  ordine  al  motivo  di illegittimita' derivante dalla mancata
acquisizione  dei  pareri  delle Commissioni parlamentari, la Regione
esclude   l'ipotesi  che  detti  pareri  non  fossero  giuridicamente
necessari,  in  quanto  il regolamento sarebbe intervenuto in materia
gia' delegificata dal precedente d.P.R. n. 447 del 1998.
    La  prassi  parlamentare  non  solo non deporrebbe a favore della
tesi  dell'Avvocatura,  ma  darebbe sostegno alla contraria opinione,
sostenuta dalla Regione. A prescindere dalla prassi, e da un punto di
vista  generale, la ricorrente osserva che la Costituzione non affida
al  Governo un potere regolamentare proprio, e che esiste soltanto un
potere  che  all'Esecutivo  e'  affidato  dalla legge in relazione ad
oggetti   determinati.   In   una   forma   di  governo  parlamentare
tendenzialmente   monistica  il  potere  normativo  e'  riservato  al
Parlamento,  ed il Governo ne dispone soltanto ove gli sia conferito;
ma   l'enucleazione   di   una   indistinta   materia  di  competenza
regolamentare,  coincidente  con  lo  «spazio» gia' regolato da norme
secondarie, contrasterebbe con l'idea dell'attribuzione determinata.
    Da  un  punto  di  vista  sostanziale, poi, non vi sarebbe alcuna
ragione  per  limitare  la  previsione  del  parere delle Commissioni
parlamentari al primo atto di esercizio della potesta' regolamentare,
ed  e' invece da presumere che l'attivita' consultiva vada esercitata
in  relazione ad ogni successiva attivazione della medesima potesta',
in  quanto al controllo delle Camere su atti del Governo non dovrebbe
mai,  in  un  sistema  parlamentare,  essere  riconosciuto  carattere
eccezionale.
    Secondo  la Regione, il vizio procedimentale puo' essere rilevato
anche  con  lo  strumento  del conflitto di attribuzione, giacche' la
previsione   del  parere  parlamentare  rappresenterebbe  una  almeno
parziale  compensazione  dell'incidenza dei regolamenti statali nelle
materie   regionali   e,   pertanto,  l'omessa  adozione  del  parere
configurerebbe una violazione delle attribuzioni della Regione.
    5. - Ricevuta  comunicazione  di  pendenza  del  procedimento, la
Regione  Veneto  ha depositato istanza di trattazione del ricorso (ai
sensi   e  per  gli  effetti  dell'art. 9,  comma 6,  della  legge  5
giugno 2003,   n. 131),  ritualmente  notificata  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e all'Avvocatura generale dello Stato.

                       Considerato in diritto

    1. - La  Regione  Veneto  (r. confl. n. 13 del 2001) e la Regione
Liguria  (r.  confl.  n. 14  del  2001)  hanno sollevato conflitto di
attribuzioni   in   relazione   al  d.P.R.  7 dicembre  2000,  n. 440
(Regolamento   recante  modifiche  ed  integrazioni  al  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  20 ottobre 1998, n. 447, in materia di
sportelli unici per gli impianti produttivi).
    La  Regione  Veneto sostiene, in sintesi, che le disposizioni del
regolamento   impugnato  -  con  l'estendere  l'applicabilita'  della
disciplina  in  questione  agli  impianti  produttivi in senso ampio,
comprensivi di quelli agricoli, commerciali, turistici e alberghieri;
con  la  trasformazione  da necessario e deliberativo ad eventuale ed
istruttorio  del  ruolo delle amministrazioni diverse dal comune; con
l'assegnazione  alla  struttura  comunale  di  tutte  le  funzioni di
controllo;   con   la  previsione  che  al  collaudo  degli  impianti
provvedano  i  tecnici  della  struttura  unica  comunale, e che tale
struttura  sia competente a riscuotere il pagamento delle spese e dei
diritti  in  relazione  al  procedimento,  nonche'  a  distribuire le
relative  somme  fra  le  altre  amministrazioni  che  abbiano svolto
attivita'  istruttorie  -  violino, in primo luogo, gli articoli 117,
118 e 119 della Costituzione (nel testo anteriore alla riforma di cui
alla  legge  costituzionale  n. 3 del 2001), in quanto un regolamento
governativo,  come  e' l'atto impugnato, non potrebbe contenere norme
miranti  a  limitare  o  vincolare  la competenza delle Regioni nelle
materie  ad  esse  attribuite; violino, in secondo luogo, le medesime
norme  costituzionali  sotto il profilo della mancata acquisizione da
parte   del   Governo   del   parere   delle  competenti  Commissioni
parlamentari,  prescritto dall'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo
1997,  n. 59,  sulla  cui  base  sarebbe stato emanato il regolamento
impugnato;  ledano,  in  terzo  luogo, le competenze regionali di cui
agli  artt. 117  e 118 della Costituzione, in quanto si riferiscono a
tutti gli impianti produttivi, anche relativi a materie di competenza
regionale,  e in quanto degraderebbero le funzioni degli enti diversi
dal  comune a compiti meramente consultivi e istruttori; contrastino,
in  quarto  luogo,  con  le stesse norme legislative disciplinanti la
materia, e precisamente con l'art. 20, comma 8, della legge n. 59 del
1997,  che  avrebbe legittimato i regolamenti di delegificazione solo
in  materia di impianti e attivita' industriali, e non autorizzerebbe
il  trasferimento,  con  regolamenti, di nuove funzioni dalle Regioni
agli  enti locali in materie di competenza regionale; nonche' con gli
articoli da 23 a 27 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, da
intendersi  nel  senso  che  il  conferimento  di  funzioni ai comuni
dovrebbe  limitarsi alla «unitaria convergenza procedimentale», ferma
restando  la  titolarita' delle rispettive funzioni in capo agli enti
cui  esse sono ordinariamente demandate. Infine, sarebbero violate le
competenze  legislative  e  amministrative attribuite alle Regioni ai
sensi   degli   articoli 117,  secondo  comma  (potesta'  legislativa
delegata),  e  118,  secondo comma (funzioni amministrative delegate)
della   Costituzione,   per  quanto  riguarda  impianti  e  attivita'
incidenti  su  materie  diverse  da  quelle  proprie delle Regioni; e
sarebbe  altresi' violato l'art. 119 della Costituzione, in quanto il
regolamento pretenderebbe di sostituire le leggi regionali in materia
di  spese  e  di  prestazioni  imposte,  che  concorrono a concretare
l'autonomia  finanziaria delle Regioni, e cio' senza base in norme di
rango legislativo.
    A sua volta la Regione Liguria (r. confl. n. 14 del 2001) lamenta
che  il  regolamento impugnato, la' dove modifica l'art. 4, commi 1 e
5, del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, conferendo al comune il potere
discrezionale  di  provvedere  direttamente  ovvero  di chiedere alle
amministrazioni   di   settore  quelli  che  vengono  chiamati  «atti
istruttori»  o «pareri tecnici», invada le competenze regionali, vuoi
ponendo  nel  nulla  la  distribuzione  di  competenze  operata dalla
Regione  con  proprie leggi in attuazione del d.lgs. n. 112 del 1998,
vuoi  mutando  il  valore  sostanziale  degli  atti  del procedimento
intervenienti  in materie regionali, degradandoli da provvedimenti ad
atti  istruttori o pareri tecnici, dunque ad atti endoprocedimentali.
In  ogni  caso  il  regolamento  non  potrebbe incidere sulle materie
regionali.   Inoltre,  secondo  la  ricorrente,  sarebbe  violato  il
principio  di  leale  collaborazione  in  quanto  non  sarebbe  stato
rispettato  l'accordo  sancito nella Conferenza unificata sui criteri
applicativi della normativa in materia, e non sarebbe stato acquisito
il   parere   delle  competenti  Commissioni  parlamentari,  previsto
dall'art. 20 della legge n. 59 del 1997.
    2. - I  due  giudizi,  aventi  lo  stesso  oggetto, devono essere
riuniti  per  essere  decisi  con  unica pronunzia; e, trattandosi di
ricorsi  proposti  prima  dell'entrata  in  vigore  della riforma del
titolo  V  della seconda parte della Costituzione, recata dalla legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  in  riferimento quindi ai parametri
all'epoca   vigenti,   nella   decisione   si   deve  avere  riguardo
esclusivamente  a  questi  ultimi  (cfr.  sentenze  n. 13 e n. 39 del
2003).
    3. - La Regione Liguria ha successivamente rinunciato al ricorso,
con  atto  notificato  al  resistente  Presidente  del  Consiglio dei
ministri  e  depositato  il  23 aprile  2003:  la deliberazione della
Giunta  regionale,  allegata  all'atto  di  rinuncia,  da'  atto  che
l'interesse  della  Regione al ricorso e' venuto meno a seguito della
sentenza di questa Corte n. 376 del 2002, la quale, nell'interpretare
le  norme  legislative  in  materia  di  «sportello  unico»,  avrebbe
riconosciuto  le  competenze regionali rivendicate con il ricorso per
conflitto.
    La  rinuncia  e'  stata  accettata con delibera del Consiglio dei
ministri in data 2 maggio 2003.
    Pertanto,  per  quanto riguarda il ricorso della Regione Liguria,
il relativo giudizio deve essere dichiarato estinto per rinunzia.
    4. - Il ricorso della Regione Veneto e' inammissibile.
    4.1. - Il  cosiddetto sportello unico per gli impianti produttivi
e'  stato introdotto e disciplinato per la prima volta dagli articoli
da  23  a  27  del  d.lgs.  n. 112 del 1998, attribuendo ai comuni le
funzioni amministrative concernenti la realizzazione, l'ampliamento e
la  localizzazione  di  impianti  produttivi  (art. 23,  comma 1).  I
comuni, singoli o associati, esercitano tali funzioni assicurando che
un'unica   struttura   sia   responsabile   dell'intero  procedimento
(art. 24,  comma 1).  Unico  e'  il  procedimento  di  autorizzazione
dell'insediamento  produttivo,  previa istruttoria che ha ad oggetto,
in   particolare,  i  profili  urbanistici,  sanitari,  della  tutela
ambientale e della sicurezza (art. 25, comma 1). Lo «sportello unico»
e' istituito presso la struttura unica per garantire agli interessati
l'accesso  all'archivio  informatico  dei  dati  e delle informazioni
(art. 24, comma 2). E' demandata a regolamenti «di delegificazione» e
di  semplificazione dei procedimenti amministrativi, emanati ai sensi
dell'art. 20,  comma 8, della legge n. 59 del 1997, la disciplina del
procedimento (art. 25, comma 2).
    Successivamente  la  legge 24 novembre 2000, n. 340 ha introdotto
nel d.lgs. n. 112 del 1998 un articolo 27-bis, che prevede l'adozione
delle  misure  organizzative  necessarie  per  lo  snellimento  delle
attivita'  istruttorie  destinate a confluire nel procedimento unico,
al  fine  di  assicurare il coordinamento dei termini di queste con i
termini di cui al regolamento.
    Su  tale  art. 27-bis  (dopo  che  la sentenza n. 206 del 2001 ha
dichiarato parzialmente illegittimo l'art. 25 del decreto legislativo
n. 112   del  1998,  nella  parte  in  cui  prevedeva  una  pronuncia
definitiva  del  consiglio  comunale sulle proposte di variante dello
strumento  urbanistico  anche  quando  vi  fosse  il  dissenso  della
Regione)  e' intervenuta la sentenza di questa Corte n. 376 del 2002,
dichiarando  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
sollevata dalla Regione Liguria, che lamentava, con censure non molto
diverse  da  quelle  mosse  nel  presente  giudizio,  una surrettizia
«degradazione»  delle  funzioni  degli  enti  diversi  dal  comune da
deliberanti e necessarie a istruttorie ed eventuali.
    La  Corte ha osservato in quell'occasione (par. 8 del Considerato
in  diritto)  che  le  competenze  in  materia sono configurate negli
articoli  da  23 a 27 del d.lgs. n. 112 del 1998, prevedendo «un iter
procedimentale  unico  in cui confluiscono e si coordinano gli atti e
gli  adempimenti,  facenti capo a diverse competenze, richiesti dalle
norme    in    vigore   perche'   l'insediamento   produttivo   possa
legittimamente  essere  realizzato», in tal senso trasformando quelli
che erano in precedenza «autonomi provvedimenti» in «atti istruttori»
al  fine  «dell'adozione  dell'unico provvedimento conclusivo, titolo
per  la  realizzazione  dell'intervento  richiesto»,  senza  che cio'
significhi   il  venir  meno  delle  «distinte  competenze»  e  delle
«distinte  responsabilita'  delle  amministrazioni deputate alla cura
degli interessi pubblici coinvolti».
    4.2. - In  questo quadro legislativo nazionale, tuttora immutato,
e' intervenuto il regolamento impugnato, che apporta alcune modifiche
ed integrazioni al regolamento emanato con il d.P.R. n. 447 del 1998.
Quest'ultimo,    come   si   e'   detto,   e'   un   regolamento   di
«delegificazione»,  destinato a disciplinare il procedimento previsto
dagli articoli da 23 a 27-bis del d.lgs. n. 112 del 1998.
    Sulla  natura  e sui caratteri di tali regolamenti si e' espressa
in  generale questa Corte nella gia' citata sentenza n. 376 del 2002,
chiarendone,  alla  luce  del  testo  costituzionale antecedente alla
novella  di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, la portata e
i  limiti nelle ipotesi in cui essi vengano ad interferire in materie
di  competenza regionale. In particolare, si e' affermato (par. 6 del
Considerato in diritto) che la delegificazione «riguarda (...) e puo'
riguardare  - oltre a disposizioni di leggi statali regolanti oggetti
a  qualsiasi  titolo  attribuiti  alla  competenza dello Stato - solo
disposizioni  di  leggi  statali  che,  nelle materie regionali, gia'
avessero carattere di norme di dettaglio cedevoli la cui efficacia si
esplicava    nell'assenza   di   legislazione   regionale»;   e   che
«l'emanazione dei regolamenti statali di delegificazione, riguardanti
eventualmente  ambiti materiali di competenza regionale, non ha alcun
effetto  abrogativo  ne'  invalidante sulle leggi regionali in vigore
(...), ne' produce effetti di vincolo per i legislatori regionali».
    4.3. - Alla   luce  di  tali  considerazioni,  e'  palese  che  i
regolamenti  di delegificazione emanati prima della entrata in vigore
del  nuovo  titolo  V  della  parte  II  della  Costituzione  non  si
presentano,  in  linea  di  principio, come idonei a produrre lesioni
delle  competenze  regionali.  Ma  se  e' cosi', anche ai regolamenti
emanati,   sempre   prima   dell'entrata   in  vigore  della  riforma
costituzionale,  per modificare norme dei preesistenti regolamenti di
delegificazione  -  come il regolamento qui impugnato -, non puo' che
riconoscersi  la  stessa  limitata  portata  e  lo  stesso carattere.
Anch'essi   dunque,   in  linea  di  principio,  non  incidono  sulla
legislazione  regionale tuttora applicabile, in quanto rispettosa dei
principi  fondamentali  recati  dalla  legislazione  statale,  e  non
vincolano i legislatori regionali.
    L'atto  impugnato  si  rivela  pertanto,  a  prescindere  dal suo
contenuto,  inidoneo  a  ledere  le  competenze delle Regioni: a tale
carenza di lesivita' consegue la inammissibilita' del conflitto.