ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 16, comma 1, e
8,  comma 4-bis, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia
di  cassa  integrazione,  mobilita',  trattamenti  di disoccupazione,
attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro
ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promossi con
due  ordinanze  del 27 luglio 2002 emesse dal Tribunale di Chieti sui
ricorsi  proposti  da Donatella Dell'Osa e da Umberto Parlione contro
l'Istituto  nazionale  per  la previdenza sociale (INPS), iscritte ai
numeri  582  e  583  del  registro  ordinanze 2002 e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 3,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  costituzione dell'INPS, nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 ottobre  2003  il  giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato  Giuseppe Fabiani per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto   che  con  Ordinanza  emessa  il  27 luglio  2002,  nel
procedimento  civile tra Donatella Dell'Osa e l'INPS, il Tribunale di
Chieti  ha  dichiarato  rilevanti  e  non manifestamente infondate le
questioni  di  legittimita' costituzionale degli artt. 16, comma 1, e
8,  comma 4-bis, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia
di  cassa  integrazione,  mobilita',  trattamenti  di disoccupazione,
attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro
ed  altre  disposizioni  in  materia  di  mercato  del  lavoro),  per
contrasto  con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, nella parte in
cui   non   prevedono  -  ai  fini  dell'integrazione  del  requisito
dell'anzianita'  aziendale  di  almeno  dodici mesi quale presupposto
perche'   i  dipendenti  che  perdono  il  posto  di  lavoro  possano
beneficiare  dell'indennita'  di mobilita' - il cumulo del periodo di
lavoro  prestato,  senza  soluzione  di  continuita',  con  passaggio
diretto  presso imprese dello stesso settore di attivita' che abbiano
il  medesimo  assetto  proprietario  di  quelle  presso  le  quali in
precedenza sia intercorso il rapporto lavorativo;
        che il giudice rimettente riferisce che il giudizio era stato
instaurato  da  una  lavoratrice che aveva prestato lavoro prima alle
dipendenze    della    societa'    Colagreco   Trasporti   S.r.l.   e
successivamente,  a  seguito  di  passaggio  diretto,  della societa'
Colagreco Trasporti Group S.p.A. e precisa ulteriormente che «tutti i
lavoratori  erano  passati senza soluzione di continuita' alcuna alle
dipendenze della Colagreco Group S.p.A., con le medesime mansioni, le
medesime  strutture  aziendali  per  lo  svolgimento  della  medesima
attivita'  d'impresa  dato  che  la Colagreco S.r.l. nel gennaio 1998
aveva  cessato  ogni  attivita'  di fatto ceduta alla Colagreco Group
S.p.A.»;
        che   il   giudice  rimettente  ipotizza  la  violazione  del
principio   di  eguaglianza  per  disparita'  di  trattamento  tra  i
lavoratori licenziati nel periodo 1° gennaio 1992 - 31 dicembre 1994,
che  (ai  sensi  dell'art. 4,  comma 11, del decreto-legge 1° ottobre
1996,  n. 510,  convertito  in  legge 28 novembre 1996, n. 608) hanno
beneficiato   dell'indennita'  di  mobilita'  cumulando  l'anzianita'
aziendale  in caso di passaggio diretto da un'azienda ad un'altra con
il  medesimo  assetto  proprietario, e quelli estromessi dal posto di
lavoro  successivamente, che non ne hanno fruito non potendo cumulare
analoghe anzianita' di lavoro;
        che  sussisterebbe  disparita'  di  trattamento  anche  tra i
dipendenti   trasferiti   con   passaggio   diretto,   a  seguito  di
determinazione  unilaterale  del  datore  di lavoro, da un'azienda ad
un'altra dello stesso settore avente il medesimo assetto proprietario
e  quelli  rimasti  invece nella stessa azienda, non essendo ai primi
consentito  di  cumulare  i periodi di lavoro prestato, al fine della
spettanza dell'indennita' di mobilita';
        che  il  giudice  rimettente  denuncia altresi' la violazione
degli  artt. 2  e  38  Cost.  sotto il profilo dell'inadeguata tutela
approntata  in  favore  dei  lavoratori  disoccupati,  trasferiti con
passaggio   diretto,   ai   quali   non  sarebbero  assicurati  mezzi
sufficienti  alle  loro  esigenze  di  vita,  con  compromissione del
principio di solidarieta' sociale;
        che  si  e' costituito l'INPS, concludendo per l'infondatezza
delle questioni di costituzionalita';
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha
concluso  in via principale per l'inammissibilita' delle questioni di
costituzionalita',  perche'  il giudice rimettente non ha esplorato a
fondo  la  nozione  di «anzianita' aziendale» a fronte di una vicenda
che  avrebbe  potuto  essere  inquadrata nella fattispecie della mera
trasformazione  societaria  ex artt. 2498 e 2500 del codice civile, e
in  via  subordinata per la sua infondatezza, perche' non sussiste la
denunciata  violazione  del  principio  di  eguaglianza  non  essendo
comparabili  le  fattispecie  raffrontate  e  comunque costituendo il
fluire del tempo un idoneo elemento di differenziazione;
        che  con  altra ordinanza in pari data lo stesso Tribunale di
Chieti    ha    sollevato   identiche   questioni   di   legittimita'
costituzionale  nel  giudizio  promosso  da  Umberto  Parlione contro
l'INPS svolgendo le medesime argomentazioni;
        che  sia  l'INPS, nell'atto di costituzione, che l'Avvocatura
generale  dello  Stato, nell'atto di intervento, hanno concluso negli
stessi termini di cui sopra.
    Considerato che i due giudizi possono essere riuniti, concernendo
le   medesime   disposizioni   e   ponendo  le  stesse  questioni  di
costituzionalita';
        che  la prima disposizione censurata (art. 16, comma 1, della
legge  n. 223  del  1991)  prevede  che,  nel  caso di disoccupazione
derivante  da  licenziamento per riduzione di personale, ai sensi del
successivo  art. 24,  da  parte  di  imprese diverse da quelle edili,
rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento
straordinario  di  integrazione  salariale, l'indennita' di mobilita'
spetti al lavoratore, operaio, impiegato o quadro, «qualora possa far
valere una anzianita' aziendale di almeno dodici mesi», di cui almeno
sei  di  lavoro  effettivamente  prestato,  ivi compresi i periodi di
sospensione  del  lavoro  derivanti da ferie, festivita' e infortuni,
con  un  rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a
termine;
        che  siffatta  norma  e'  ritenuta  dal giudice rimettente in
contrasto  con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, nella parte in
cui   non   prevede   -   ai  fini  dell'integrazione  del  requisito
dell'anzianita'  aziendale  di  almeno  dodici  mesi  - il cumulo del
periodo  di  lavoro  prestato,  senza  soluzione  di continuita', con
passaggio  diretto  presso imprese dello stesso settore di attivita',
con  il  medesimo  assetto  proprietario di quelle presso le quali il
rapporto lavorativo sia in precedenza intercorso;
        che  lo stesso giudice rimettente ricorda come la fattispecie
concreta   concerna   lavoratori   dipendenti   da   una  societa'  a
responsabilita' limitata, passati senza soluzione di continuita' alle
dipendenze  di una societa' per azioni, con le medesime mansioni e le
medesime  strutture  aziendali,  per  lo  svolgimento  della medesima
attivita'  d'impresa,  dato  che la prima societa' aveva cessato ogni
attivita' di fatto ceduta alla seconda;
        che   la   questione   cosi'   proposta   e'   manifestamente
inammissibile  per  insufficiente motivazione sulla rilevanza, avendo
il  giudice  rimettente  omesso  di verificare se la concreta vicenda
societaria dedotta in giudizio non fosse piuttosto inquadrabile nella
fattispecie  della mera trasformazione della societa' o in quella del
trasferimento  d'azienda,  nessuna  delle quali comporta soluzione di
continuita' nell'anzianita' aziendale dei lavoratori dipendenti;
        che  il  giudice  rimettente  neppure  ha  tenuto conto che -
secondo  l'art. 2112  del codice civile, anche nel testo recentemente
novellato  dall'art. 32  del  decreto  legislativo 10 settembre 2003,
n. 276  - per trasferimento d'azienda si intende qualsiasi operazione
che comporti il mutamento nella titolarita' di un'attivita' economica
organizzata,  con  o senza scopo di lucro, al fine della produzione o
dello  scambio  di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e
che  conserva  nel  trasferimento la propria identita', a prescindere
dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il
trasferimento  e' attuato (anche in seguito a cessione contrattuale o
fusione, secondo l'art. 32 cit.);
        che  comunque  - seppur l'art. 4, comma 11, del decreto-legge
1° ottobre  1996,  n. 510,  convertito  in  legge  28 novembre  1996,
n. 608,  invocato  dal giudice rimettente come tertium comparationis,
ammetta  il  cumulo  di  distinti  periodi  di  attivita' lavorativa,
stabilendo   che  i  requisiti  per  l'indennita'  di  mobilita'  «si
considerano  acquisiti  dai  lavoratori  con  riferimento  al  lavoro
prestato con passaggio diretto presso le imprese dello stesso settore
di  attivita'  che  presentino  assetti  proprietari  sostanzialmente
coincidenti,  ovvero  risultino  in  rapporto  di  collegamento  o di
controllo  anche  consortili»  -  tale  disposizione  riguarda,  come
eccezionale e transitoria previsione a carattere derogatorio rispetto
alla regola posta dall'art. 16, comma 1, della legge n. 223 del 1991,
soltanto  i  lavoratori licenziati nel periodo dal 1° gennaio 1992 al
31 dicembre  1994  sicche'  e'  in  ogni  caso inidonea a valere come
termine di comparazione della normativa impugnata;
        che,   quanto   all'altra   disposizione  censurata  (art. 8,
comma 4-bis,  della  medesima legge n. 223 del 1991), la questione e'
manifestamente   inammissibile  perche'  tale  disposizione  riguarda
l'inapplicabilita'  dei  benefici di cui ai precedenti quattro commi,
relativi al collocamento dei lavoratori in mobilita', e non gia' alle
condizioni per la fruizione dell'indennita' di mobilita', oggetto del
giudizio  a  quo,  onde  essa  non  deve essere affatto applicata dal
giudice rimettente;
        che  pertanto entrambe le questioni di costituzionalita' sono
manifestamente inammissibili.