LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione promosso da Olivotto Ennio. 1. - L'Olivotto veniva arrestato in esecuzione di mandato provvisorio di arresto del pretore di Sarzana in data 6 maggio 1986, per avere adulterato le acque dei pozzi che alimentano l'acquedotto del comune di Bolano; posto agli arresti domiciliari l'8 giugno 1986, veniva liberato il 22 giugno 1986. All'esito della disposta istruttoria formale, nella quale si era proceduto a diversi incombenti istruttori fra i quali alcune perizie chimiche, il p.m. chiedeva il proscioglimento del richiedente e di altri imputati per non avere commesso il fatto, ed il giudice istruttore, con sentenza del 22 giugno 1990, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'Olivotto e degli altri imputati con la formula richiesta dall'Accusa. 2. - Con richiesta depositata in cancelleria il 29 ottobre 2001 chiede quindi di essere equamente indennizzato per la detenzione ingiustamente subita. Fa presente di non avere mai avuto notizia, e quindi di non essere venuto a conoscenza, se non di recente, del fatto che il giudizio e' stato definito dal g.i. con sentenza di non luogo a procedere per non avere commesso il fatto. Osserva che la riparazione per ingiusta detenzione e' vigente dal 24 ottobre 1989 e che in quella data il procedimento non era ancora stato definito, onde la riparazione gli compete, dovendo, per constante giurisprudenza della Corte di cassazione, essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che il procedimento nell'ambito del quale e' stata sofferta la detenzione sia definito in data successiva al 24 ottobre 1989, a nulla rilevando l'epoca nella quale abbia avuto luogo la privazione della liberta'. Sostiene che sarebbe palesemente ingiusto ed aberrante che si verificasse la decadenza di cui all'art. 315 c.p.p., per non essere stata proposta la domanda di riparazione entro i due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento e' divenuta irrevocabile, quando l'avente diritto non abbia avuto conoscenza del provvedimento giurisdizionale che tale diritto fa sorgere, e osserva che, in analoga situazione la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 315, primo comma c.p.p., nella parte in cui prevede che il termine per proporre la domanda di riparazione decorra dalla pronuncia del decreto di archiviazione anziche' dal giorno in cui la notificazione del provvedimento e' stata effettuata nei confronti dell'interessato. Nel caso in cui la richiesta non dovesse ritenersi proposta nei termini, chiede che venga promosso giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 315, comma primo c.p.p., nella parte in cui prevede che il termine per proporre la richiesta decorre da quando la sentenza di non luogo a procedere e' divenuta inoppugnabile, anziche' dal giorno in cui ne e' stata effettuata la notifica direttamente alla persona sottoposta alle indagini. 3. - La Corte ritiene che la questione di costituzionalita' proposta dal richiedente sia rilevante, e non manifestamente infondata. La questione appare rilevante, in quanto - escluso che si siano verificate ragioni impeditive all'indennizzo, per avere il richiedente dato causa alla detenzione con dolo o colpa grave - se il termine di due anni deve decorrere, come dalla testuale formulazione dell'art. 315 c.p.p., da quando la sentenza di non luogo a procedere (o di non doversi procedere, ex art. 378 c.p.p. 1930) e' diventata inoppugnabile, tale inoppugnabilita' si e' verificata parecchi anni prima della proposizione della domanda di riparazione formulata dall'Olivotto, che quindi sarebbe inammissibile, perche' proposta oltre il termine. Laddove, se il termine dovesse decorrere dalla data della notifica della sentenza istruttoria, o comunque dalla piena ed effettiva conoscenza della sentenza (che in difetto di prova contraria non potrebbe intendersi antecedente di oltre due anni la proposizione della richiesta, il cui deposito segna l'unica prova inoppugnabile di conoscenza) la domanda del richiedente potrebbe ritenersi ammissibile. La questione non appare poi manifestamente infondata, perche' la vigente normativa, nel caso in cui l'imputato sia stato assolto con sentenza istruttoria emessa sotto la vigenza del codice processuale abrogato, non pone l'interessato in grado di conoscere il momento di decorrenza del termine. Il sistema processuale vigente sembra inoltre regolare situazioni analoghe in maniera diversa. La differenza trae ragione dalla disciplina prevista dal codice processuale abrogato, che differisce da quella del vigente codice di rito in ordine alle modalita' con le quali le sentenze o comunque i provvedimenti che pongono termine al giudizio vengono resi noti agli interessati. Per il diritto processuale vigente, invero, a seguito della modifica apportata all'art. 548 c.p.p. dalla Corte costituzionale con sentenza 30 luglio 1993, n. 364, le sentenze depositate oltre il quindicesimo giorno devono essere comunque notificate alle parti private, anche se non spetta loro il diritto di impugnazione; mentre il termine per proporre domanda di riparazione, di cui all'art. 315 c.p.p., in esito alla sentenza 30 dicembre 1997, n. 446 della stessa Corte costituzionale, non decorre piu' dalla pronuncia del decreto di archiviazione, ma dal giorno in cui, ricorrendo le condizioni di cui all'art. 314, comma 3 c.p.p., e' stata effettuata la notificazione del provvedimento. Dunque, la disciplina e' diversa, perche' il codice attuale istituisce una minuziosa disciplina per la pubblicazione, il deposito, le notificazioni dei provvedimenti, dai quali trae origine il diritto alla riparazione. Sicche' all'interessato e' sempre garantita la conoscenza dell'atto (sentenza o decreto di archiviazione) dal quale egli puo' rendersi conto dell'insorgenza del proprio diritto al ristoro per l'ingiusta privazione della liberta'. Non cosi' per la situazione in esame, in cui la disciplina delle notifiche dell'atto e' regolata dal codice abrogato. Esiste, e' vero, in quel codice un sistema di termini processuali, che teoricamente dovrebbe porre l'imputato a conoscenza della sentenza istruttoria, con la quale si chiude il procedimento: l'art. 372 prevede il deposito degli atti in cancelleria, con avviso ai difensori, i quali entro cinque giorni possono prendere visione degli atti e presentare memorie e istanze; il termine puo' essere prorogato dal g.i. per una sola volta e per il tempo strettamente necessario; scaduto il termine, il g.i. deve provvedere entro 15 giorni «secondo gli articoli seguenti» fra i quali l'art. 378 contempla la sentenza di proscioglimento. Ma quel termine di 15 giorni, ordinatorio, poteva tuttavia non essere rispettato - come e' accaduto nella fattispecie - ed il codice del 1930, all'art. 151, prevede che il provvedimento sia comunicato al p.m. e notificato alle parti private «a cui spetta il diritto di impugnazione». Diritto che, dunque, non spetta nel caso di proscioglimento perche' il fatto non sussiste o per non avere commesso il fatto, formula, quest'ultima, adottata nella sentenza istruttoria che ha concluso il giudizio nei confronti del richiedente. Chi ha subito ingiusta detenzione, il tal caso, non e' posto in grado di sapere quando la sentenza di non luogo a procedere e' stata depositata, perche' il codice del 1930 non prevede alcun mezzo per favorire la conoscenza del provvedimento da parte dell'imputato assolto, per cui il termine per la proposizione della domanda di riparazione inizia a decorrere all'insaputa del titolare; onde pare verificarsi una situazione analoga a quella rilevata, per l'omessa notifica del decreto di archiviazione, dalla Corte costituzionale nella succitata sentenza n. 446/1997. Nella fattispecie che si esamina, il p.m. aveva chiesto l'assoluzione dell'Olivotto e di altri imputati, con requisitoria del 10 marzo 1990; il 14 marzo 1990 e' stato notificato ai difensori dell'attuale richiedente l'avviso del deposito degli atti per cinque giorni, ex art. 372 c.p.p. 1930; il g.i. avrebbe dovuto provvedere entro quindici giorni dalla scadenza di quel termine, ma cio' non e' accaduto; la sentenza istruttoria reca infatti la data del 22 giugno 1990 ed e' stata depositata in cancelleria il 24 luglio 1990; la sentenza non risulta notificata - ne' doveva esserlo - all'imputato prosciolto, ne' ai suoi difensori. La situazione che si delinea nella fattispecie, e in particolare l'omessa previsione da parte dell'art. 151 c.p.p. del 1930 della necessita' di notifica alle parti private della sentenza di non luogo a procedere, qual che sia la formula terminativa, da' luogo alla decorrenza del termine per la domanda di cui all'art. 314 c.p.p. all'insaputa dell'interessato (che nella specie ha affermato di avere cercato di venire a conoscenza dell'esito del procedimento, ma con scarso successo a causa del disordine dell'ufficio giudiziario che aveva proceduto, circostanza piu' che verisimile, attese le difficolta' incontrate da questa stessa Corte ottenere in visione gli atti processuali) e pare in contrasto con gli artt. 24, comma 1, e 4 della Costituzione, perche' lede la stessa possibilita' di far valere in giudizio il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, rimettendosi tale possibilita' ad un onere di diligenza che appare eccessivo (si consideri che l'avviso di deposito atti di cui all'art. 372, comma 2 c.p.p. 1930 non e' neppur notificato alla parte, ma ai suoi difensori, per cui, personalmente, l'imputato nulla sa dell'imminente decisione); e con l'art. 3, perche' crea ingiustificata disparita' di trattamento per chi, prosciolto in esito a procedimento governato dalle norme del codice abrogato, non viene informato mediante notifica dell'atto che da' vita (o puo' dar vita) al diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione subita, come invece accade ex art. 548 c.p.p vigente modificato dalla sentenza n. 364/1993 della Corte costituzionale.