ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 52, comma 62,
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2002),  promosso  con  ricorso  della Regione Campania, notificato il
27 febbraio  2002,  depositato  in  cancelleria  il  7 marzo  2002 ed
iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2002.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  17  giugno 2003  il  giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi  l'avvocato  Vincenzo  Cocozza  per  la  Regione Campania e
l'Avvocato   dello  Stato  Paolo  Cosentino  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La Regione Campania, con ricorso notificato il 27 febbraio
2002,  depositato  il 7 marzo 2002, ha impugnato numerose norme della
legge  28 dicembre  2001,  n. 448 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002)
e,  per  quanto  qui interessa, ha denunciato l'art. 52, comma 62, in
riferimento agli artt. 3, 117, 118 della Costituzione.
    2.  -  La  norma censurata ha abrogato il comma 82 dell'art. 145,
della  legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2001), il quale stabiliva che «la carica di sindaco, presidente della
provincia,  consigliere  comunale, provinciale o circoscrizionale non
e' incompatibile con lo svolgimento di funzioni di amministrazione di
societa'   di   capitale   a  partecipazione  mista,  costituite,  in
conformita'  alla deliberazione CIPE del 21 marzo 1997, come soggetti
responsabili  dell'attuazione degli interventi previsti dal comma 203
dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662».
    Nel   ricorso   e   nella   memoria   depositata  in  prossimita'
dell'udienza pubblica, la ricorrente Regione Campania sostiene che la
succitata  norma  violerebbe la competenza legislativa regionale, «in
quanto  incide  nelle  materie  relative  allo sviluppo economico del
territorio»,  ad  essa attribuite, dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione.  Il  comma 203 dell'art. 2 della legge n. 662 del 1996,
disciplina  gli  interventi  che  coinvolgono  una  molteplicita'  di
soggetti  pubblici  e  privati ed implicano decisioni istituzionali e
risorse  finanziarie  a carico anche delle amministrazioni regionali,
delle  province autonome nonche' degli enti locali, svolti attraverso
una  serie  di  strumenti  negoziali,  con i quali le amministrazioni
interessate  organizzano  nella  maniera  piu'  idonea  le attivita',
essendo  altresi'  prevista  la  nomina  di  un responsabile che cura
l'attuazione  dei  programmi  di intervento. La delibera del CIPE del
21 marzo  1997  prevede che il responsabile di detti programmi svolge
funzioni  molteplici  e  rilevanti,  che  incidono direttamente sulle
modalita' di attuazione del programma di sviluppo economico approvato
dalle   parti.  Egli,  infatti,  rappresenta  in  modo  unitario  gli
interessi  dei  soggetti sottoscrittori; provvede ad attivare risorse
finanziarie,  tecniche e organizzative; assicura il monitoraggio e la
verifica  dei  risultati;  verifica il rispetto degli impegni e degli
obblighi   dei   soggetti   sottoscrittori  assumendo  le  iniziative
necessarie,  in  caso  di inadempimenti, a riscontrare e garantire la
coerenza di nuove iniziative con l'obiettivo di sviluppo locale e, in
genere,  ad  assumere  ogni  iniziativa  utile alla realizzazione del
patto.
    In  considerazione  di  dette  competenze,  la  delibera del CIPE
prevede  che  le funzioni di «responsabile» devono essere attribuite,
tra  i  sottoscrittori del patto, esclusivamente ai soggetti pubblici
ovvero  alle societa' miste di cui all'art. 22 della legge n. 142 del
1990,  trattandosi di funzioni prettamente pubbliche di coordinamento
e  di indirizzo. Pertanto, il legislatore aveva espressamente escluso
che   la   direzione   delle  societa'  miste  sopra  indicate  fosse
incompatibile con le cariche pure sopra precisate, in quanto in detta
ipotesi  non  sussisteva  quel  potenziale conflitto di interessi che
aveva  ispirato  la previsione del divieto in relazione alle societa'
che  svolgono  attivita' di gestione di servizi locali in concorrenza
con imprese del medesimo settore.
    Secondo  la  ricorrente,  il  ripristino  della incompatibilita',
sotto  un  primo  profilo, «comporta una ricaduta di estrema gravita'
sul  ruolo  della Regione e degli enti locali», determinando «effetti
immediati  nella gestione del patto territoriale e cio' altera scelte
gia'  compiute  (e  naturalmente  pregiudica  quelle  da compiere) in
ambiti che sono di competenza normativa (legislativa e regolamentare)
delle  regioni  e  attengono  a  funzioni amministrative dei comuni».
Inoltre,  la  norma  impugnata violerebbe «l'autonomia regionale: sia
direttamente perche' la disciplina statale incide sui settori che non
sono   attribuiti   allo   Stato,   sia   indirettamente  perche'  la
compressione  del  ruolo  degli  enti  locali,  ora  con autonomia di
livello  costituzionale, si riflette sulle scelte organizzative della
Regione».
    Sotto  un  diverso  profilo, ad avviso della Regione Campania, la
norma  sarebbe  irragionevole, in quanto, in virtu' dell'abrogazione,
sono  state  equiparate  situazioni  non omologhe, senza tenere conto
della  specialita'  delle societa' di capitale a partecipazione mista
in esame, con conseguente lesione della autonomia regionale.
    3.  -  Nel  giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.
    Secondo  la difesa erariale, le censure sono infondate, in quanto
la  norma  mira  a tutelare l'interesse nazionale, che costituisce un
limite  intrinseco ad ogni attivita' che riguarda gli enti locali, al
fine  di  «eliminare in radice ogni, sia pur potenziale, conflitto di
interessi»,  esigenza  «che se viene particolarmente in rilievo per i
massimi  organi  dello  Stato  non  puo'  che essere sentita con pari
intensita'  in  relazione all'attivita' dei rappresentanti degli enti
territoriali».
    4.   -   All'udienza   pubblica  le  parti  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Regione  Campania nell'impugnare numerose disposizioni
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2002),  denuncia,  tra gli altri, l'art. 52, comma 62, di tale legge.
Per  ragioni di omogeneita' di materia, la trattazione della predetta
questione  di costituzionalita' viene separata da quella delle altre,
sollevate  con  lo  stesso ricorso, le quali sono oggetto di distinte
decisioni.
    La  norma  censurata  ha abrogato il comma 82 dell'art. 145 della
legge  23 dicembre 2000, n. 388, il quale stabiliva che «la carica di
sindaco,    presidente   della   provincia,   consigliere   comunale,
provinciale   o   circoscrizionale   non   e'  incompatibile  con  lo
svolgimento  di funzioni di amministrazione di societa' di capitale a
partecipazione  mista,  costituite, in conformita' alla deliberazione
CIPE  del  21 marzo  1997, come soggetti responsabili dell'attuazione
degli  interventi  previsti dal comma 203 dell'articolo 2 della legge
23 dicembre 1996, n. 662» .
    Secondo  la  ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe gli
artt. 3,  117 e 118 della Costituzione, poiche' «incide nelle materie
relative  allo  sviluppo  economico  del  territorio»,  che sarebbero
riservate   alla  propria  competenza,  dal  momento  che  realizzano
«effetti immediati nella gestione del patto territoriale». Inoltre la
norma  in  questione  determinerebbe un'alterazione delle scelte gia'
compiute  in  ambiti  di competenza legislativa e regolamentare delle
regioni  e  che  attengono  a  funzioni  amministrative  dei  comuni,
determinando  cosi'  una compressione del ruolo degli enti locali, la
quale  si  rifletterebbe  sulle  scelte  organizzative  della Regione
stessa.
    Infine,  ad  avviso  della  Regione  Campania,  la norma predetta
equiparerebbe  situazioni  non  omologhe,  senza  tenere  conto della
specialita'  delle  societa' di capitale a partecipazione mista, come
quelle in esame.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  questione  di legittimita' costituzionale in oggetto riguarda
una  disposizione  che, pur avendo contenuto abrogativo, si inserisce
certamente nel quadro della disciplina delle cause di ineleggibilita'
e  di  incompatibilita' degli amministratori locali, poiche' comporta
il  ripristino  di  una  causa  di  incompatibilita',  relativa  alle
elezioni  degli  enti  locali. La predetta disposizione, infatti, non
viene  ad incidere, come erroneamente sostiene la Regione ricorrente,
«nelle  materie  relative allo sviluppo economico del territorio», ma
piuttosto   sul   regime   dell'elettorato   passivo  nelle  elezioni
amministrative,   rientrando  cosi'  nell'ambito  della  legislazione
elettorale   di   Comuni,   Province   e  Citta'  metropolitane,  che
l'art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione attribuisce
alla competenza statale esclusiva.
    A  questo proposito, la Corte ha gia' rilevato che il nuovo testo
dell'art. 117  della  Costituzione ha sostanzialmente confermato, sul
punto,  il  previgente  sistema,  nel  quale  le regioni ordinarie, a
differenza   di   quelle  a  statuto  speciale,  non  avevano  alcuna
competenza  in  materia di ordinamento degli enti locali appartenenti
al rispettivo territorio. Ne' si puo' dire che nella predetta materia
non  sia compresa anche la relativa legislazione elettorale, giacche'
- secondo la Corte - «la configurazione degli organi di governo degli
enti  locali,  i  rapporti fra gli stessi, le modalita' di formazione
degli  organi  e quindi anche le modalita' di formazione degli organi
rappresentativi  ...  sono aspetti di questa materia» (sentenza n. 48
del  2003). Del resto, ad ulteriore conferma, si puo' rilevare che il
capo II  del  titolo  III  del  testo unico sugli enti locali (d.lgs.
18 agosto  2000,  n. 267) e' appunto dedicato - confermando cosi' una
tradizione  legislativa  -  alle diverse ipotesi di incandidabilita',
ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  dei componenti degli organi di
governo degli enti locali.
    Non  puo'  dunque  essere  accolta  la  doglianza  regionale, per
l'assorbente    considerazione   della   esclusiva   spettanza   alla
legislazione   statale   della   disciplina   relativa   ai  casi  di
incompatibilita'  nelle  elezioni  degli  organi  degli  enti locali.
D'altra  parte,  la  disposizione  impugnata  appare, di per se', non
irragionevole, poiche', abrogando il citato art. 145, comma 82, della
legge  n. 388 del 2000, che stabiliva un regime di compatibilita' tra
cariche   istituzionali  locali  e  funzioni  di  amministrazione  in
societa'   di   capitale   a  partecipazione  mista,  costituite  per
interventi  di  «programmazione  negoziata»,  viene  ad escludere una
deroga   alle   corrispondenti  disposizioni  di  carattere  generale
contenute nel menzionato t.u. n. 267 del 2000.