ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 443,
comma 3, e 595 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
dell'11 dicembre   2002   dalla  Corte  di  appello  di  Venezia  nel
procedimento penale a carico di A.M.B.B. ed altri, iscritta al n. 231
del  registro  ordinanze  2003  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 18, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera di consiglio del 26 novembre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con l'ordinanza in epigrafe la Corte di appello di
Venezia  ha  sollevato,  in  riferimento all'art. 111, secondo comma,
della  Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale degli
artt. 443, comma 3, e 595 del codice di procedura penale, nella parte
in  cui escludono l'appello incidentale del pubblico ministero contro
le sentenze di condanna pronunciate a seguito di giudizio abbreviato;
        che  l'ordinanza premette, in punto di fatto, che il pubblico
ministero  aveva  proposto appello incidentale avverso la sentenza di
condanna  emessa a seguito di giudizio abbreviato nei confronti degli
imputati  nel  processo  a  quo - sentenza sottoposta al vaglio della
Corte  rimettente  per  effetto  degli appelli principali proposti da
tutti  gli  imputati  -  censurando l'avvenuta applicazione ad uno di
essi   delle   circostanze  attenuanti  generiche  e  la  conseguente
determinazione della pena da parte del primo giudice;
        che, secondo il giudice a quo, alla luce della giurisprudenza
della  Corte di cassazione - costante a partire dall'intervento delle
sezioni  unite  con  sentenza  18 giugno - 23 luglio 1993, n. 7247, e
rimasta  ferma  anche dopo le modifiche apportate alla disciplina del
giudizio  abbreviato  dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche
alle   disposizioni   sul   procedimento   davanti  al  tribunale  in
composizione  monocratica  e  altre  modifiche al codice di procedura
penale.  Modifiche  al  codice  penale e all'ordinamento giudiziario.
Disposizioni  in  tema  di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti  al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della professione
forense) - il predetto appello incidentale dovrebbe essere dichiarato
inammissibile  ai sensi dell'art. 443, comma 3, cod. proc. pen.; tale
disposizione,  infatti  -  escludendo  in modo radicale l'appello del
pubblico  ministero  contro  le  sentenze  di  condanna pronunciate a
seguito  di  giudizio  abbreviato  (fatta  eccezione  per  quelle che
modifichino  il  titolo  del  reato) -  non  consentirebbe di operare
alcuna distinzione tra l'appello principale e quello incidentale;
        che  ad  avviso del rimettente, peraltro, le norme impugnate,
nella  parte  in  cui  precludono al pubblico ministero anche il solo
appello  incidentale,  contrasterebbero  con  il principio di parita'
delle  parti  nel  processo  penale,  sancito  dall'art. 111, secondo
comma, Cost.;
        che,  al  riguardo,  il  rimettente osserva come questa Corte
abbia   gia'   avuto   modo   di   scrutinare   la  costituzionalita'
dell'art. 443,  comma 3,  cod.  proc. pen., nella cornice della nuova
disciplina  del  giudizio abbreviato, escludendo, in particolare, con
l'ordinanza  n. 421 del 2001, che la disposizione censurata contrasti
con l'art. 111 Cost., quanto al limite all'appello principale;
        che la decisione si fonda sul rilievo che - in un sistema nel
quale  il doppio grado di giurisdizione non forma oggetto di garanzia
costituzionale  -  la  preclusione  all'appello  della parte pubblica
continua  a  trovare  giustificazione «nell'obiettivo primario di una
rapida  e  completa  definizione dei processi svoltisi in primo grado
secondo  il  rito  alternativo di cui si tratta: rito che - sia pure,
oggi,  per  scelta  esclusiva  dell'imputato  - implica una decisione
fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte che
subisce   la   limitazione   censurata,   fuori  delle  garanzie  del
contraddittorio»;
        che  tale  motivazione,  tuttavia, in quanto riferita al solo
appello  principale,  non  soltanto lascerebbe aperta la questione in
rapporto all'appello incidentale, ma offrirebbe addirittura «decisivi
argomenti»  per  ritenere fondato il dubbio di costituzionalita' oggi
sollevato;
        che   l'esclusione   dell'appello  incidentale  del  pubblico
ministero    non    potrebbe    trovare    difatti    giustificazione
«nell'obiettivo   ...  di  una  rapida  e  completa  definizione  dei
processi»,  giacche' nel caso di impugnazione incidentale il giudizio
di   appello   deve   essere   comunque   celebrato   in  conseguenza
dell'impugnazione   principale   dell'imputato,   che   della   prima
costituisce    «necessario    presupposto    e    costante   limite»,
condizionandone  la  stessa  efficacia (art. 595, comma 4, cod. proc.
pen.);
        che  l'appello  incidentale non comporterebbe, dunque, alcuna
attivita'  processuale  ulteriore  rispetto  a  quella gia' richiesta
dall'appello  principale,  cui  esso  e' strettamente collegato: ne',
d'altra   parte,   sarebbe   possibile   attribuire   rilievo,  nella
prospettiva della «rapida e completa definizione dei processi», ad un
dato  «eventuale ... ed imponderabile», quale il maggior dispendio di
energie intellettuali da parte del giudice dell'impugnazione;
        che  l'assunto  troverebbe puntuale riprova nella fattispecie
oggetto del giudizio a quo, nella quale l'appello incidentale attiene
ad  un  aspetto  - la misura della pena - gia' investito dall'appello
principale:  onde  esso,  senza  alcun  pregiudizio per la speditezza
processuale,   si  limiterebbe  solo  a  rendere  «bidirezionale»  la
valutazione  di  congruita'  della  pena  gia'  demandata  al giudice
dell'impugnazione;
        che  il  giudice  a  quo si dichiara altresi' consapevole del
fatto  che  questa  Corte,  anteriormente all'entrata in vigore della
legge  n. 479  del  1999,  si  era  specificamente occupata anche del
limite  all'appello  incidentale, riconoscendo, con la sentenza n. 98
del  1994,  la  legittimita'  di  una disciplina che - a fronte della
previsione, in talune fasi processuali, di posizioni di vantaggio per
l'organo  dell'accusa  -  munisca  in altre fasi l'imputato di poteri
«cui  non debbano necessariamente corrispondere simmetrici poteri per
il pubblico ministero», onde «ristabilire la parita' processuale»;
        che  tale  affermazione,  tuttavia, risulterebbe strettamente
correlata al quadro normativo, anche costituzionale, dell'epoca;
        che  lo  scrutinio  di  costituzionalita'  era  stato infatti
compiuto,  dalla  sentenza  n. 98  citata,  con  riferimento  ai soli
artt. 24  e  112 Cost.: parametri in rapporto ai quali si era escluso
che   il  potere  di  impugnazione  del  pubblico  ministero  dovesse
configurarsi  in modo totalmente simmetrico al potere di impugnazione
riconosciuto all'imputato quale esplicazione del diritto di difesa; e
cio' per la considerazione che, mentre quest'ultimo non poteva essere
sacrificato   alle   finalita'   deflattive   proprie   del  giudizio
abbreviato,   il   primo  non  era  assistito  da  garanzie  di  pari
intensita',  essendo  la disciplina dei poteri del pubblico ministero
censurabile   per   irragionevolezza   solo   ove   i  poteri  stessi
risultassero   inidonei   all'assolvimento   dei   compiti   previsti
dall'art. 112 Cost.;
        che  attualmente,  per contro, la verifica della legittimita'
costituzionale  della  limitazione  censurata  andrebbe compiuta alla
luce  della  nuova formulazione dell'art. 111 Cost., la quale avrebbe
conferito  al  principio  di «reale» parita' delle parti nel processo
penale una pregnanza ed una «forza di resistenza» assai maggiori;
        che,   in  pari  tempo,  sarebbe  venuta  meno  anche  quella
situazione  di  «soverchiante  prevalenza»  del  rappresentante della
pubblica accusa nella fase delle indagini preliminari (e dunque nella
raccolta  delle  fonti  di prova) cui - secondo le affermazioni della
sentenza  n. 98  del 1994 - poteva ben corrispondere, in passato, per
ragioni   di   «riequilibrio»,   il   riconoscimento  in  altre  fasi
all'imputato di poteri non attribuiti al pubblico ministero;
        che  la nuova disciplina delle indagini difensive, introdotta
dalla  legge  7 dicembre  2000,  n. 397  (Disposizioni  in materia di
indagini  difensive)  -  molto  piu'  ampia  ed  articolata di quella
precedentemente  racchiusa  nell'art. 38 disp. att. cod. proc. pen. -
comporterebbe,  infatti,  che il materiale probatorio, sulla cui base
e'  accordato  al  solo  imputato  e  senza  il consenso del pubblico
ministero il potere di scelta del rito alternativo, possa formarsi in
modo  ben diverso che per il passato: onde la palese disparita' delle
parti,  con  riferimento non soltanto all'iniziativa per l'accesso al
giudizio abbreviato, ma anche ai poteri di impugnazione, non verrebbe
piu'   a   «bilanciare»  -  nei  termini  «totalizzanti»  in  cui  e'
configurata  -  una  situazione analoga, ma di segno opposto (quella,
cioe',  della  predisposizione  da  parte  del pubblico ministero del
materiale probatorio);
        che, in simile situazione, un diverso trattamento della parte
pubblica e dell'imputato, quanto al diritto di impugnazione, potrebbe
trovare una giustificazione costituzionalmente accettabile solo nella
accennata  finalita'  di  rapida  definizione dei processi: finalita'
peraltro  non ravvisabile, per le considerazioni dianzi ricordate, in
rapporto   alla   preclusione   dell'appello   incidentale,   che  si
risolverebbe,  cosi',  in  un  sacrificio  affatto  irragionevole del
principio di parita' fra accusa e difesa.
    Considerato  che  la  Corte  di  appello  rimettente dubita della
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art. 111, secondo
comma, della Costituzione, degli artt. 443, comma 3, e 595 del codice
di   procedura   penale,  nella  parte  in  cui  escludono  l'appello
incidentale  del  pubblico  ministero  contro le sentenze di condanna
pronunciate a seguito di giudizio abbreviato;
        che - come lo stesso giudice a quo rammenta - questa Corte ha
gia'  ripetutamente escluso, in termini generali, che la disposizione
di  cui  all'art. 443,  comma 3,  cod.  proc.  pen., contrasti con il
parametro costituzionale evocato: infatti, per un verso, il principio
di  parita' delle parti «non comporta necessariamente l'identita' tra
i  poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato»,
potendo  una  disparita'  di trattamento risultare giustificata, «nei
limiti   della   ragionevolezza,   sia   dalla   peculiare  posizione
istituzionale  del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso
affidata,  sia  da  esigenze  connesse  alla corretta amministrazione
della  giustizia»;  e, perun altro verso, il limite all'appello della
parte   pubblica,   oggetto   di   censura,   «continua   a   trovare
giustificazione,  come  per il passato, nell'obiettivo primario della
rapida  e  completa  definizione dei processi svoltisi in primo grado
con  il  rito  abbreviato:  rito  che  -  sia  pure, oggi, per scelta
esclusiva  dell'imputato  - implica una decisione fondata, in primis,
sul   materiale  probatorio  raccolto  dalla  parte  che  subisce  la
limitazione  denunciata,  fuori  delle  garanzie del contraddittorio»
(cfr. ordinanze n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001);
        che  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  tale  giustificazione
potrebbe  peraltro valere solo in rapporto all'appello principale, ma
non anche con riguardo all'appello incidentale, dato che quest'ultimo
non  comporterebbe  alcuna attivita' processuale ulteriore rispetto a
quella gia' richiesta dall'impugnazione principale dell'imputato, che
ne costituisce «necessario presupposto e costante limite»;
        che, in senso contrario, va tuttavia rilevato come le sezioni
unite  della  Corte  di cassazione - nel dirimere, con la sentenza 18
giugno - 23 luglio 1993, n. 7247 (citata dallo stesso rimettente), il
contrasto  di  giurisprudenza  insorto,  dopo l'entrata in vigore del
nuovo  codice  di  rito,  circa  l'estensione della preclusione posta
dalla   norma  in  esame  anche  all'appello  incidentale  -  abbiano
specificamente    rimarcato    che   l'esclusione   dell'impugnazione
incidentale della parte pubblica non puo' considerarsi «inutile», sul
piano   dell'economia   processuale:   giacche',  anche  in  presenza
dell'appello principale dell'imputato, «essa serve comunque a ridurre
le questioni di merito deducibili nei confronti della sentenza emessa
nel  giudizio  abbreviato  e di riflesso a ridurre anche le occasioni
del ricorso per cassazione»;
        che tale asserto appare tanto piu' valido ove, da un lato, si
ritenga  -  in conformita' ad un diffuso (anche se non incontrastato)
orientamento  interpretativo  -  che  i limiti oggettivi dell'appello
incidentale  sono  segnati non dai punti, ma dai capi della decisione
investiti  dall'appello  principale  (onde,  nell'ambito del medesimo
capo,  l'impugnazione  incidentale  potrebbe  avere  ad oggetto anche
punti  diversi  da quelli su cui verte l'impugnazione avversaria); ed
ove,  da  un  altro lato, si consideri che, specie in tale ottica, la
proposizione   dell'appello   incidentale   puo'   fornire  ulteriori
occasioni  per  l'esercizio  del  potere  officioso  di  rinnovazione
dell'istruzione  dibattimentale,  da  parte  del  giudice di appello:
potere  che  la  giurisprudenza di legittimita' ritiene configurabile
anche  nel  caso di processo celebrato in primo grado nelle forme del
rito abbreviato;
        che,  peraltro,  anche a voler prescindere da quanto precede,
resta   comunque  dirimente  il  rilievo  che  -  dopo  il  ricordato
intervento della Corte di cassazione a sezioni unite, alla stregua di
un  indirizzo  giurisprudenziale  costante, sostanzialmente condiviso
dallo  stesso  giudice  a  quo  - il principio generale, a livello di
sistema  delle impugnazioni, e' quello della non spettanza del potere
di appello incidentale alla parte che e' priva del potere di proporre
l'appello  principale:  e  cio' in quanto l'appello incidentale - per
denominazione,  collocazione e disciplina specifica - non puo' essere
considerato  come  un  mezzo  di  impugnazione  distinto  ed autonomo
rispetto   all'appello,   ma  costituisce,  al  contrario,  solo  una
particolare «espressione» di tale mezzo;
        che, in tale prospettiva, l'intervento invocato dal giudice a
quo  -  lungi  dal  rappresentare  una  soluzione  costituzionalmente
obbligata,  in un'ottica di «riequilibrio» della denunciata posizione
di  «minorita»  del  pubblico  ministero  nel  giudizio  abbreviato -
implicherebbe   la   creazione   di   una  disciplina  manifestamente
eccentrica  rispetto alle linee-guida del sistema; si chiede infatti,
in  sostanza,  a  questa  Corte  di  «costruire» un potere di appello
incidentale svincolato, una tantum, dal potere di appello principale:
un  potere  a fronte del cui riconoscimento il pubblico ministero che
ritenesse  «ingiusta»,  per  ragioni  non  deducibili con ricorso per
cassazione,  la  sentenza  di  condanna  emessa a seguito di giudizio
abbreviato, sarebbe abilitato a dolersene - conseguendo eventualmente
una  reformatio  in  peius  -  unicamente  nel caso in cui essa venga
appellata  dalla  controparte e, al piu', nei limiti del capo attinto
dal gravame di quest'ultima;
        che  un  simile potere di impugnazione della pubblica accusa,
quindi,  piu'  che  realizzare  un  sia  pur  limitato recupero della
parita'  tra  i  poteri processuali delle parti, si esaurirebbe in un
mero  meccanismo  di  «dissuasione»  dell'imputato dall'esercizio del
contrapposto  potere di appello principale, segnatamente in un'ottica
di prevenzione di utilizzazioni strumentali e dilatorie dello stesso:
funzione  che, peraltro, questa Corte ha gia' affermato concretare un
semplice   «effetto   collaterale   e  non  necessario  dell'istituto
dell'appello  incidentale  del pubblico ministero», e non gia' la sua
ratio essendi (cfr. sentenza n. 280 del 1995);
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.