ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 7, comma 1, e 8, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 28 gennaio 2003, n. 1 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 settembre 1999, n. 25, recante «Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani»), che introducono, rispettivamente, gli articoli 8-ter e 8-sexies nella legge della Regione Emilia-Romagna 6 settembre 1999, n. 25, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 marzo 2003, depositato in cancelleria il 9 aprile 2003 ed iscritto al n. 38 del registro ricorsi 2003. Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna. Udito nella camera di consiglio del 17 dicembre 2003 il giudice relatore Valerio Onida. Ritenuto che con ricorso notificato il 28 marzo 2003 e depositato il 9 aprile 2003 (reg. ric. n. 38 del 2003), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, e dell'art. 8, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 28 gennaio 2003, n. 1 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 settembre 1999, n. 25, recante «Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli enti locali per l'organizzazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani»), nella parte in cui aggiungono, rispettivamente, l'art. 8-ter e l'art. 8-sexies alla legge della Regione Emilia-Romagna 6 settembre 1999, n. 25, per violazione dell'art. 117, primo comma, secondo comma, lettera s, e terzo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 86 del Trattato istitutivo della Comunita' europea, alle direttive n. 90/531/CEE del 17 settembre 1990, n. 92/50/CEE del 18 giugno 1992 e n. 93/38/CEE del 14 giugno 1993, all'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, all'art. 4 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, all'art. 88 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, e all'art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267; che l'art. 7, comma 1, della legge impugnata (Inserimento del Capo II-bis nella legge regionale n. 25 del 1999) aggiunge, tra l'altro, l'art. 8-ter (Affidamento del servizio) alla legge della Regione Emilia-Romagna n. 25 del 1999, e tale ultima disposizione, al comma 4, consente l'affidamento diretto dei servizi pubblici disciplinati dalla stessa legge n. 25 del 1999 «a societa' a prevalente capitale pubblico effettivamente controllate da comuni rientranti nell'ambito territoriale ottimale e che esercitano a favore dei medesimi la parte prevalente della propria attivita», restando «ferma per dette societa' l'esclusione dalle gare per l'affidamento del servizio»; che, ad avviso dell'Avvocatura, siffatta previsione legislativa, consentendo all'amministrazione locale di sottrarsi, senza obbligo di motivazione, alla procedura ad evidenza pubblica, ai fini di tale particolare affidamento dei servizi di carattere economico e imprenditoriale (tra cui il servizio idrico integrato e quello di gestione dei rifiuti), ricostituirebbe illegittimamente «il monopolio dell'ente locale, in proprio o associato ad altri enti locali, nei settori della prestazione dei servizi locali», e introdurrebbe «una deroga alla liberalizzazione del settore, mantenendo una riserva di fatto a favore di soggetti economici «a prevalente capitale pubblico»», in violazione dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario (articolo 86 del Trattato; direttive n. 90/531/CEE, n. 92/50/CEE e n. 93/38/CEE) e, percio', dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. Il diritto comunitario, sostiene il ricorrente, tollererebbe soltanto «poche e circoscritte deroghe» al principio di affidamento dei servizi pubblici mediante gara, ed imporrebbe, in ogni caso, che esse siano limitate e motivate; e la legislazione nazionale, seguendo tale linea, fin dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, in tema di servizio idrico, avrebbe inteso superare il sistema dell'affidamento diretto ancora accolto dall'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, giungendo a ripudiarlo definitivamente con l'art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni e con l'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. Tale ultima disposizione, in particolare, non consentirebbe in nessun caso, a partire dal giugno del 2003, di «rilasciare concessioni senza gara, a soggetti pubblici radicati sul territorio»; che l'art. 8, comma 1, della legge impugnata (Inserimento del Capo II-ter nella legge regionale n. 25 del 1999) aggiunge, a sua volta, l'art. 8-sexies (Funzioni regionali) alla legge della Regione Emilia-Romagna n. 25 del 1999, disposizione che attribuisce alla Regione la funzione di formulare indirizzi e linee guida per l'organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani, nonche' la funzione di definire criteri ed indirizzi per la ricognizione delle opere e delle dotazioni strumentali all'erogazione del servizio, e per la predisposizione del programma degli interventi e del relativo piano finanziario; che, secondo il ricorrente, si tratterebbe di compiti, riconducibili alle materie della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e del governo del territorio (art. 117, terzo comma, della Costituzione), riservati allo Stato in forza dell'art. 88 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in linea con la necessita' di «tracciare delle regole a livello nazionale» capaci di assicurare «una omogeneita' di condizioni di utilizzo compatibile della risorsa idrica»; che, ad avviso dell'Avvocatura, la norma impugnata si porrebbe in potenziale contrasto con una corretta gestione della risorsa, che, in quanto risorsa rara, necessita di una gestione a tutti i livelli omogenea e concordata: essa consentirebbe, inoltre, di attuare una politica lesiva dei principi generali della materia fissati a livello nazionale, in violazione del canone di leale collaborazione; che si e' costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile e infondata. Considerato che il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 marzo 2003, e' stato depositato il 9 aprile 2003, oltre il termine di dieci giorni dalla notifica, stabilito dall'art. 31, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (e, ora, dal comma 4 dello stesso art. 31, come sostituito dall'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131), termine che deve ritenersi, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, perentorio (sentenze n. 191 del 1980, n. 72 del 1981 e, da ultimo, n. 303 del 2003; ordinanze n. 126 del 1997 e n. 99 del 2000); che, conseguentemente, la questione sollevata e' manifestamente inammissibile per tardivita' del deposito del ricorso.