ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

    Nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 20  del
decreto   legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge  24 novembre  1999,  n. 468),  promossi, nell'ambito di diversi
procedimenti  penali,  dal  giudice di pace di Fano con ordinanze del
4 marzo  2003  e del 31 ottobre 2002, iscritte al n. 536, al n. 608 e
al  n. 667  del  registro  ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  nn. 33,  35  e  36,  1ª serie speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 dicembre 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con  tre  ordinanze  il giudice di pace di Fano ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24, secondo comma, e 97,
primo   comma,   della   Costituzione,   questioni   di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 20  del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274  (Disposizioni  sulla competenza penale del giudice di pace, a
norma  dell'articolo 14  della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella
parte  in  cui  non  prevede  che  nell'atto  di citazione a giudizio
davanti  al  giudice di pace siano indicate la facolta' dell'imputato
di  ricorrere  a  riti  alternativi  e le sanzioni conseguenti a tale
carenza;
        che il giudice a quo osserva che l'art. 52 del citato decreto
legislativo  ha mutato il quadro sanzionatorio per i reati attribuiti
alla  competenza  del giudice di pace, consentendo l'applicazione sia
dell'oblazione  «volontaria»  ex  art. 162  cod.  pen., sia di quella
«discrezionale»  prevista  dall'art. 162-bis del medesimo codice, con
particolare  riferimento  alle  contravvenzioni  gia' punite con pena
congiunta  dell'arresto  e  dell'ammenda  e  oggi  punite con la pena
alternativa  dell'ammenda,  della permanenza domiciliare o del lavoro
di pubblica utilita';
        che,  a  fronte  di tale situazione, la disciplina censurata,
nella  parte in cui non prevede che la citazione a giudizio contenga,
a  pena  di nullita', l'avviso che l'imputato puo' presentare domanda
di  oblazione,  appare in contrasto con: l'art. 3 Cost., perche' pone
in   essere   una   irragionevole   e  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  rispetto  a quanto disposto in relazione al procedimento
davanti  al  tribunale  in  composizione  monocratica  dall'art. 552,
comma 1,  lettera f), e comma 2, cod. proc. pen., ove e' previsto non
solo  l'avviso, ma anche la nullita' in caso di omissione, l'art. 24,
secondo  comma, Cost., perche' incide sulla facolta' dell'imputato di
chiedere  tempestivamente  di  essere  ammesso  all'oblazione, che e'
espressione  del  diritto  di  difesa, l'art. 97, primo comma, Cost.,
perche'  l'imputato,  stante  l'assenza dell'informazione, «non viene
incentivato ad accedere al rito alternativo»;
        che   il  rimettente  ricorda  infine  che  la  stessa  Corte
costituzionale    ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 555,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,  nel testo precedente la
legge  16 dicembre 1999, n. 479 (che ha sostanzialmente trasfuso tale
disposizione  nell'attuale art. 552, comma 2, cod. proc. pen.), nella
parte  in  cui  non  prevedeva la nullita' del decreto di citazione a
giudizio  in  caso di mancanza dell'avviso concernente la facolta' di
chiedere i riti alternativi;
        che  nel  giudizio  promosso con ordinanza iscritta al n. 667
del  registro  ordinanze  del  2003  e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
manifestamente infondata.
    Considerato  che le ordinanze di rimessione, aventi uguale tenore
testuale,  sollevano  la  medesima  questione  e  deve percio' essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che   analoghe   questioni   sono   gia'   state   dichiarate
manifestamente   infondate   con   ordinanza   n. 231   del   2003  e
successivamente con ordinanze n. 11 e n. 10 del 2004;
        che  in  particolare  nell'ordinanza  n. 231  del 2003 questa
Corte  ha  affermato  che  nell'udienza di comparizione l'imputato e'
obbligatoriamente   assistito,   a   norma   dell'art. 20,   comma 2,
lettera e),  del  decreto  legislativo 28 agosto 2000, n. 274, «da un
difensore,  di  fiducia  o  d'ufficio,  si'  che risultano pienamente
garantite  la difesa tecnica e l'informazione circa le varie forme di
definizione del procedimento, anche alternative al giudizio di merito
(conciliazione  tra  le  parti,  oblazione,  risarcimento  del danno,
condotte  riparatorie)» e che «l'udienza di comparizione, ove avviene
il  primo contatto tra le parti e il giudice, risulta sede idonea per
sollecitare  e  verificare  la  praticabilita' di possibili soluzioni
alternative,  tra  cui,  evidentemente,  l'estinzione  del  reato per
oblazione prevista dagli artt. 162 e 162-bis cod. pen.»;
        che nell'occasione e' stato ribadito che il principio di buon
andamento   dei   pubblici  uffici  non  si  riferisce  all'attivita'
giurisdizionale  in  senso  stretto,  bensi'  all'organizzazione e al
funzionamento   dell'amministrazione   della   giustizia   (cfr.,  ex
plurimis, sentenza n. 115 del 2001);
        che,  non  risultando  profili  diversi  o  aspetti ulteriori
rispetto  a  quelli  gia'  valutati  con  le  pronunce richiamate, le
questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.