IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio ha pronunziato la seguente ordinanza sull'appello presentato il 24 luglio 2002 dal difensore di Lago Pietro avverso l'ordinanza emessa dal g.u.p. in sede in data 12 luglio 2002 con la quale si rigettava la richiesta di scarcerazione ex art. 297, comma 3, c.p.p.; Decidendo in sede di rinvio a seguito dell'annullamento da parte della Corte di cassazione - disposto con sentenza del 25 marzo 2003, depositata il 5 giugno 2003 - dell'ordinanza di questo Tribunale del 18 ottobre 2002 che aveva, in accoglimento del gravame prima indicato, dichiarato l'inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere ed imposto a Lago Pietro l'obbligo di dimora nel comune di Napoli e l'obbligo di presentazione alla PG; Letti gli atti depositati presso la cancelleria di questo Tribunale; O s s e r v a Occorre preliminarmente rilevare che: con l'impugnato provvedimento il g.u.p. ha rigettato l'istanza difensiva ritenendo che tra i fatti oggetto della prima ordinanza cautelare del 14 novembre 2000 (in cui e' contestato il reato di omicidio) e quelli ascritti al Lago con l'ordinanza del 19 luglio 2001 (relativi al reato di associazione a delinquere di stampo camorristico) non sussistesse connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettere b) e c), atteso che «il reato associativo contestato nell'attuale procedimento e' commesso in Napoli sino al luglio 2001 - sicche' risulterebbe commesso dopo (e non prima) l'emissione della prima ordinanza»; con i motivi di appello la difesa ha dedotto innanzitutto 1) l'erroneita' del rilievo del g.i.p. circa il tempo del commesso reato di cui all'art. 416-bis; 2) l'esistenza della connessione qualificata tra il delitto di omicidio di cui alla prima ordinanza, in cui risulta contestata anche l'aggravante dell'art. 7, legge n. 203/1991, ed il reato associativo di cui alla seconda ordinanza; 3) l'applicabilita' dell'art. 297, comma 3, c.p.p., anche relativamente a fatti non legati dal vincolo della connessione qualificata, poiche' gli elementi posti a fondamento della seconda ordinanza erano in possesso dell'A.G. allorche' era stata emessa la prima ordinanza; in accoglimento del gravame, questo Tribunale, costituito ex art. 310 c.p.p., richiamando il prevalente indirizzo giurisprudenziale sul punto, ha dichiarato cessata l'efficacia della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Lago Pietro ritenendo che, essendo l'ufficio di procura gia' all'epoca dell'emissione della prima ordinanza (14 novembre 2000), in possesso di tutti gli elementi poi posti a fondamento di quella del 19 luglio 2001, cio' fosse sufficiente a riconoscere l'applicabilita', nel caso di specie, della disciplina di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p., anche a prescindere dall'accertamento dell'esistenza di un rapporto di connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due distinte ordinanze; con la suindicata sentenza di annullamento, la suprema Corte ha censurato tale decisione per violazione di legge, affermando il principio secondo cui «il divieto della cosiddetta contestazione a catena di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p. trova applicazione in tutte le situazioni cautelari riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra cui sussista connessione ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. b) e c), stesso codice, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, a nulla rilevando che esse emergano nell'ambito di un unico procedimento o di piu' procedimenti, pendenti dinanzi allo stesso giudice, e quindi innanzi ad esso cumulabili, ovvero a diversi giudici, e quindi cumulabili nella sede giudiziaria da individuare a norma degli artt. 13, 15 e 16 c.p.p.». Tanto chiarito e' evidente che l'applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte vincola questo giudice di rinvio, obbligato a rispettarlo, ad un'interpretazione della norma ad esso conforme e, quindi, alla preliminare verifica circa la sussistenza delle condizioni richiamate dall'art. 297, comma 3, c.p.p. Nel merito si osserva che nel caso di specie, le imputazioni di cui alle distinte ordinanze, gia' ad una mera lettura, non consentono di desumere ne' la sicura unicita' del disegno criminoso ad esse sotteso ne' un vincolo teleologico che le coinvolga. Ed invero, i fatti oggetto delle ordinanze emesse nei confronti di Lago Pietro (relativi all'omicidio di Maroder Antonio e di Vespe Antonio - ordinanza cautelare del 14 novembre 2000 - e al reato associativo - ordinanza del 19 luglio 2001), non appaiono configurare la sussistenza delle condizioni di natura sostanziale che l'art. 297, comma 3, c.p.p., richiamando parzialmente l'art. 12 c.p.p., pone alla base della cosiddetta contestazione a catena. Al riguardo, occorre rilevare che con l'ordinanza cautelare del 14 novembre 2000 al Lago viene contestato l'omicidio Maroder, commesso in Caserta in epoca prossima al 27 gennaio 1994, allo scopo di contrapporsi ad altro gruppo criminale della zona e l'omicidio di Vespe, commesso in Pianura il 28 febbraio 1992, per assicurare il predominio del gruppo criminale Lago nel quartiere di Pianura e per suggellare l'alleanza dello stesso con altro clan. In proposito, va evidenziato come la giurisprudenza sia orientata nel negare la possibilita' che tra reato associativo ed i singoli reati compiuti da appartenenti all'organizzazione criminosa, con particolare riferimento ai reati di omicidio, sia configurabile una correlazione di natura teleologica o giustificata dall'identita' del disegno criminoso rilevante ai sensi della disposizione di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p. A tale conclusione si perviene ritenendo il reato associativo, per la sua naturale struttura, preordinato alla realizzazione di un progetto generico ed indeterminato di attivita' criminosa. Pertanto, la giurisprudenza di legittimita' e' pressoche' concorde nel ritenere che in tema di associazione mafiosa, non puo' sostenersi che la commissione di omicidi rientri nel generico programma della societas sceleris, ne' che i diversi fatti di sangue siano consumati «per eseguire» il delitto di cui all'art. 416-bis c.p., dal momento che tale reato si commette con la semplice affiliazione al sodalizio, ed e' preesistente rispetto ai singoli reati di omicidio. Questi ultimi, infatti, pur essendo certamente episodi non inconsueti nel panorama di attivita' criminosa della struttura delinquenziale, non rappresentando la finalita' per la quale l'associazione e' stata costituita, vengono ideati ed attuati successivamente, senza il vincolo rigidamente previsto dall'art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. Ed invero, la natura permanente dell'associazione e la sua preesistenza rispetto ai singoli episodi criminali, impedisce di collegare fra di loro i reati in modo tale da poter sostenere che questi ultimi siano compiuti per eseguire il reato associativo. (Cass. pen., sez. V, 25 gennaio 2000, n. 495; Cass. pen., sez. V, 21 dicembre 1999, n. 6237). Esclusa dunque nel caso di specie la configurabilita' del vincolo della connessione qualificata o della continuazione tra i reati oggetto delle due ordinanze cautelari conseguirebbe - per quanto prima precisato dalla Corte - il rigetto dell'appello dell'imputato. Non puo' pero' non rilevarsi che l'ossequio al principio indicato dal giudice di legittimita' non preclude al Tribunale - che comunque ritenga di riferirsi ad una diversa ipotesi di applicabilita' della norma de qua quale gia' adottata in sede di prima decisione - di prospettare la questione di legittimita' costituzionale della norma stessa per la parte in cui tale possibilita' non prevede. Se invero jure condito una tale interpretazione della norma non e' stata ritenuta ammissibile, cio' non significa che la stessa non possa essere sottoposta al Giudice delle leggi, perche' lo stesso ne valuti la conformita' alla Costituzione, rilevando l'illegittimita' della disposizione nella parte in cui non la prevede insieme alle altre ipotesi di pacifica applicabilita' dell'istituto da essa regolato. Orbene, evidente risultando la rilevanza della questione nella procedura de qua, atteso che, per quanto detto, in assenza di una tale possibilita' la decisione da adottarsi e' quella del rigetto dell'istanza difensiva laddove ad opposta conclusione si perviene invece ove si ritenga che la norma di cui all'art. 297 comma 3, c.p.p. si applichi anche nell'ipotesi di mera pregressa conoscenza da parte dell'Autorita' procedente di tutti gli elementi posti a base della «seconda» ordinanza, per le motivazioni che di seguito verranno esposte, la suddetta questione si rivela anche, ad avviso del collegio, non manifestamente infondata. E' opportuno allora riepilogare innanzitutto in punto di fatto, quanto al ricorrere degli estremi di una tale ipotesi che, nel caso di specie, come gia' ricordato dal Tribunale, il p.m. era in possesso di tutti gli elementi necessari e sufficienti per la contestazione del reato associativo gia' al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare del 14 novembre 2000 relativa all'omicidio di Maroder Antonio e di Vespe Antonio. Infatti, oltre ad essere tali delitti contestati con l'aggravante di cui all'art. 7, legge n. 203/1991, per essere stati in essere avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis e per assicurare il predominio del gruppo criminale Lago nel quartiere di Pianura, va sottolineato che, da un'attenta disamina degli atti del procedimento, ed in particolare della stessa ordinanza applicativa della custodia cautelare per il reato associativo, emerge che gli elementi indiziari relativi a tale reato fossero desumibili dalle emergenze processuali gia' a disposizione dell'autorita' inquirente all'epoca della formulazione della precedente richiesta di applicazione della misura della custodia in carcere. Ed invero, sia le dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia che le risultanze delle intercettazioni telefoniche, poste a fondamento dell'ordinanza del 19 luglio 2001 risultano acquisite dagli investigatori nel periodo antecedente l'emissione della prima ordinanza cautelare. Ne' lo stesso p.m. ricorrente, del resto, ha contestato un tale rilievo, limitandosi a denunciare la violazione di legge ravvisata nella decisione impugnata senza mai stigmatizzarne altresi' la non rispondenza alle risultanze in atti. A nulla rileva inoltre il dato, esaminato dal g.u.p. nell'ordinanza impugnata, che il reato associativo, oggetto della seconda ordinanza, sia stato contestato a Lago Pietro con condotta perdurante fino al luglio 2001, quindi con riferimento ad una data successiva rispetto all'emissione dell'ordinanza cautelare per gli omicidi in danno di Maroder e Vespe. Infatti, come osservava sul punto questo Tribunale del riesame, nell'ordinanza del 18 ottobre 2002, il delitto di cui all'art. 416-bis, data la sua natura permanente, si commette all'atto dell'affiliazione e la sua permanenza cessa con la privazione della liberta' personale dell'agente (Cass. n. 3040/1999; Cass. 2136/1999; Cass. 600/1991). L'aver accertato la sussistenza del presupposto di fatto (conoscenza degli elementi fondanti la seconda ordinanza in momento anteriore all'emissione della prima) induce, come si anticipava, ad evidenziare come l'impossibilita' di porlo a fondamento dell'applicabilita' della norma di cui all'art. 297 c.p.p. rende indispensabile sollevare la relativa questione di costituzionalita' della norma stessa, che appare preliminare ad ogni esame del merito. Ristretto invero l'ambito di operativita' di tale disposizione ai soli casi ricordati dalla Cassazione, consegue, ad avviso del Tribunale, un'interpretazione della norma in contrasto con il dettato costituzionale (art. 13, comma 5, della Costituzione) che riserva solo alla legge la previsione della durata dei termini di custodia, atteso che, in tal caso, sarebbe di fatto rimesso all'arbitrio del p.m., gia' in possesso degli elementi sufficienti alla contestazione di reati non legati da connessione qualificata con quello oggetto della prima ordinanza, il procrastinare di fatto la contestazione di addebiti sui quali fondare un'ordinanza cautelare, cosi' venendosi a prolungare, a discrezione del requirente, il termine di custodia, invece certo ed invalicabile, stabilito dalla legge (nel caso in esame, nonostante si sia accertato che il p.m. fosse gia' in possesso, al momento dell'emissione della prima ordinanza, degli elementi necessari per l'emissione dell'ordinanza per il reato associativo, quest'ultima e' stata emessa a distanza di ben otto mesi dalla prima). Va, infine, evidenziato che analoga questione - sollecitata anche dalla difesa all'odierna udienza - e' stata sollevata da altro collegio di questa sezione ed e' tuttora pendente.