IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1088 del
2003,  proposto  da Guardo Maurizio, rappresentato e difeso dall'avv.
Vincenzi  Federico,  con  domicilio  eletto in Brescia, corso Martiri
della Liberta' n. 54;
    Contro: Prefetto di Brescia, Ministero dell'interno, costituitosi
in  giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con
domicilio eletto in Brescia, via S. Caterina n. 6 presso la sua sede;
    Per  l'annullamento  previa  sospensiva del provvedimento in data
20 agosto  2003  cod.  num.  000002273437 di diniego regolarizzazione
rapporto di lavoro e degli atti connessi;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle amministrazioni
intimate;
    Esaminate  le  memorie  prodotte  dalle  parti  a  sostegno delle
proprie difese;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Designato  quale relatore alla camera di consiglio del 31 ottobre
2003, il dott. Stefano Tenca;
    Uditi i difensori delle parti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    In  data  20 settembre  2002, il ricorrente inoltrava al Prefetto
della  Provincia  di  Brescia  istanza  per  la  legalizzazione di un
rapporto  di  lavoro  irregolare  con  il  proprio  dipendente  -  il
cittadino  albanese  Pepaj Edmir - ai sensi del d.l. 9 settembre 2002
n. 195  conv. in legge 9 ottobre 2002, n. 222. Il Prefetto ha opposto
un diniego alla domanda, ravvisando la ricorrenza dei motivi ostativi
segnalati  dalla  questura e riferiti all'art. 1, comma 8, lettera c)
del  testo  normativo citato: la disposizione riguarda in particolare
la  denuncia  per  un  reato  per  il  quale  e'  previsto  l'arresto
obbligatorio  o  facoltativo in flagranza (articolo 380 e 381 c.p.p.)
salvo  che il procedimento penale si sia concluso in senso favorevole
all'imputato o sia stato archiviato. Nella fattispecie la questura ha
accertato che il signor Pepaj Edmir si trova attualmente agli arresti
domiciliari  in  seguito alla denuncia per diversi reati, tra i quali
la  riduzione  in schiavitu' ex art. 600 c.p. per la quale l'art. 380
c.p.p. prevede l'arresto obbligatorio in flagranza.
    Contro il citato provvedimento Guardo Maurizio proponeva ricorso,
avanti  questa Sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella
sostanza, a censurare la normativa posta a base del diniego sotto due
diversi profili di illegittimita' per violazione degli articoli 3, 24
e  27  comma  2  della  Costituzione,  chiedendo  a questo giudice di
sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale.

                            D i r i t t o

    Il  collegio  ritiene rilevante e non manifestamente infondata la
dedotta  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
8,  lettera  c),  del  d.l.  9 settembre 2002, n. 195, conv. in legge
9 ottobre  2002,  n. 222,  nella  parte  in  cui  ricollega alla mera
denuncia  per  uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 c.p.p.
la  reiezione  della domanda di regolarizzazione, senza esigere che a
detta denuncia faccia seguito condanna sia pur non definitiva.
    L'art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195,
conv.  in  legge  9 ottobre  2002,  n. 222,  dispone, infatti, che le
disposizioni  sulla  regolarizzazione non si applicano ai rapporti di
lavoro   riguardanti   lavoratori   extracomunitari   «che  risultino
denunciati  per  uno  dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del
codice  di  procedura  penale salvo che il procedimento penale si sia
concluso  con  un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non
sussiste  o  non  costituisce  reato  o  che  l'interessato non lo ha
commesso  ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'art. 411 del
codice di procedura penale, ...».
    La  norma  in  esame  considera,  quindi,  la  sola  denuncia per
determinati  reati  -  ossia quelli enumerati agli articoli 380 e 381
c.p.p.  - quale elemento ostativo alla legalizzazione del rapporto di
lavoro.  In  altri  termini  il  raggiungimento  di  un obiettivo che
attiene  alle aspettative essenziali di una persona viene subordinato
dal  legislatore  alla  semplice  ricorrenza  o  meno  di una notizia
criminis  da  chiunque  provenga,  senza  alcuna  preventiva verifica
ancorche' sommaria della sua fondatezza, quale potrebbe, se del caso,
essere effettuata quanto meno con il rinvio a giudizio dell'imputato.
L'enunciato   normativo   si  rivela  dunque  irragionevole,  facendo
dipendere  una  vicenda  fondamentale  per  la  vita  di  un soggetto
straniero,  come  la  legalizzazione  del  rapporto  di  lavoro  e la
possibilita'  di  ottenere il permesso di soggiorno nel nostro paese,
da un mero atto unilaterale da parte della sola autorita' di pubblica
sicutezza.  L'aspettativa  che  viene, quindi, incisa, ma che pare al
Collegio  meritevole  di tutela e salvaguardia, coincide direttamente
con  l'esercizio del diritto di liberta' dell'uomo e, in particolare,
con  la  possibilita' della permanenza dello straniero nel territorio
italiano e con le opportunita' che essa offre in termini di attivita'
lavorative  (art. 4  Cost.)  nonche'  di  esercizio di tutte le altre
garanzie  costituzionalmente protette quali espressioni di liberta' e
di  sviluppo della personalita' umana dell'individuo sia come singolo
sia nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (art. 2 Cost.).
    Sotto un ulteriore profilo, appare rilevante e non manifestamente
infondata  la  dedotta  questione di costituzionalita' della norma in
questione,   per   la   violazione   dell'art. 27,   comma  2,  della
Costituzione.  A  fronte di una disposizione della Carta fondamentale
che   riconnette   la   qualificazione  in  termini  di  colpevolezza
all'esistenza  di una sentenza definitiva di condanna, il legislatore
ritiene  all'opposto  sufficiente la semplice iscrizione nel registro
delle   notizie   di   reato   di   un   soggetto   per  precludergli
irrimediabilmente  -  fino  all'archiviazione  o all'assoluzione - la
possibilita' di ottenere la regolarizzazione di un rapporto di lavoro
dipendente.  Cio'  comporta  l'elusione  di  un  altro  generalissimo
principio  costituzionale,  ossia il principio del giusto processo ex
art. 111 Costituzione.