Ricorso promosso dalla regione del Veneto, in persona dell'avv. Fabio Gava vice presidente pro tempore della giunta regionale (in assenza del presidente), autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa 30 dicembre 2003, n. 4309, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Romano Morra (coordinatore dell'Avvocatura regionale) del Foro di Venezia e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo dorniciliata in Roma, via F. Confalonieri n. 5. Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, via dei Portoghesi, 12 - Roma, per la dichiarazione che non spetta allo Stato stabilire con direttiva la promozione e il coordinamento dei progetti sperimentali aventi ad oggetto la realizzazione, il potenziamento e l'ampliamento di piani di azione a valenza socio-assistenziale, ed in particolare, strutture di accoglienza per persone in situazione di handicap grave, prive di adeguata assistenza familiare anche al fine di favorirne condizioni di maggiore autonomia e di vita indipendente, in quanto la Regione e' titolare, per Costituzione, di competenze ricadenti in un simile ambito materiale, e per il conseguente annullamento della direttiva 23 settembre 2003 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, recante «Disciplina dei criteri e delle modalita' di concessione di finanziamenti per la realizzazione di progetti sperimentali, di cui all'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, 12 novembre 2003, n. 263, per violazione degli artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. Fatto e diritto 1. - L'art. 41-ter della legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate del 5 febbraio 1992, n. 104, ebbe a disporre, a proposito dei «progetti sperimentali», che «il Ministro per la solidarieta' sociale promuove e coordina progetti sperimentali ...» (primo comma): inoltre, che, «con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza unificata ..., definisce i criteri e le modalita' per la presentazione e la valutazione dei progetti sperimentali di cui al comma 1 nonche' i criteri per la ripartizione dei fondi stanziati per il finanziamento dei progetti di cui al presente articolo» (secondo comma). Tale disposto e' stato concepito nella vigenza dell'originario art. 117 Cost., il quale assegnava la «beneficenza pubblica» alla potesta' legislativa di carattere concorrente; sicche', e' in tale prospettiva che e' stata adottata (oltre tutto, piuttosto che un decreto, ai sensi del citato art. 41-ter) la direttiva 23 settembre 2003 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, recante «Disciplina dei criteri e delle modalita' di concessione di finanziamenti per la realizzazione di progetti sperimentali, di cui all'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104» (in Gazzetta Ufficiale, serie generale, 12 novembre 2003, n. 263: atto impugnato) (all. 2). L'adozione di tale direttiva ha determinato una immediata presa di posizione ad opera del Coordinamento interregionale degli assessori alle politiche sociali, i quali, attraverso il loro presidente, hanno manifestato al presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e province autonome l'esigenza di discutere a tale livello della direttiva ministeriale, dal momento che essa appariva escludere «le Regioni dai processi decisionali sui temi delle politiche sociali», in contrasto con quanto «sancito, dalle recenti modifiche del titolo V della Costituzione» (all. 3). Sulla scorta di questo impulso, il presidente Ghigo ha sottoposto alla Conferenza dei presidenti del 4 dicembre 2003 la direttiva in questione, Conferenza la quale «ha deliberato all'unanimita' l'impugnativa del provvedimento innanzi alle competenti autorita' giurisdizionali da parte di tutte le regioni e delle province autonome» (ex all. 4). Di cio' il medesimo presidente informava il Ministro per gli affari regionali, rilevando il mancato «rispetto delle competenze istituzionali previste dal nuovo titolo V della Costituzione» (all. 5). 2. - Ove si considerino nel loro insieme le vicende suesposte e gli atti che le documentano, non si fatica a comprendere come la direttiva 23 settembre 2003 sia da considerare non conforme a sistema per una serie articolata di ragioni: ragioni che riguardano la legge n. 104/1992 e, soprattutto, il dettato costituzionale. E' vero, infatti, che: 1) non e' stato adottato un decreto, ma una direttiva, diversamente da quanto stabilito dall'art. 41-ter della legge quadro del 1992; 2) la direttiva, in quanto tale, e' sfuggita al controllo della Corte dei conti, che invece appone il visto sui decreti; 3) non si e' proceduto ad informare e, tanto meno, a coinvolgere, la Conferenza unificata: qui pure in violazione della legge n. 104/1992. Ed e' vero, altresi', che, se si considerano gli enunciati costituzionali: 1) le procedure concretamente utilizzate vanificano ogni forma di «governance istituzionale», la quale impone il rispetto dei livelli di sussidiarieta' verticale, con la conseguenza che vanno rimesse alle regioni e alle autonomie locali le decisioni programmatorie sulla piu' idonea collocazione dei servizi e dei presidi anche di carattere sperimentale, e cio' in specie la' dove gli stessi richiedono il consolidamento delle risorse finanziarie e umane per la prosecuzione temporale delle attivita' poste in essere sul piano sperimentale; 2) alla regione spetta l'esercizio della potesta' legislativa residuale-esclusiva in materia di «beneficenza pubblica» (ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.). Lo Stato puo' soltanto provvedere alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (ai sensi dell'art. 117, secondo comma. lett. m, Cost.), determinazione finora non ottemperata con atti di normazione ad hoc che nello specifico non sono nemmeno surrogabili da un'attivita' ricognitivo-interpretativa incentrata sulla legislazione vigente. 3. - A scanso di equivoci vale la pena di rilevare, in primo luogo, che la direttiva indicata in epigrafe e' senz'altro un atto idoneo a radicare l'odierno conflitto di attribuzione, dal momento che esso si sostanzia, indipendentemente dalla qualificazione formale che se ne voglia dare e del rispetto o mancato rispetto dell'art. 41-ter della legge n. 104/1992, come atto comunque lesivo, che produce una «menomazione» delle attribuzioni regionali (v., per tutti. L. Paladin, Diritto costituzionale, 1998, Padova, spec. 799). 4. - Cio' posto, si deve sottolineare, nel merito, che una soluzione corretta della questione sottoposta all'ecc.ma Corte presuppone che non ci si soffermi soltanto e principalmente sull'ordine formale delle competenze delineato dalla legge quadro del 1992, ma che si consideri, piuttosto che il profilo formale appunto, la dinamica delle competenze che si sostanzia in relazioni fra ordinamenti: dello Stato, della regione e delle autonomie locali. In altre parole, in gioco non entra soltanto la determinazione dello Stato di impiegare una certa quantita' di risorse per favorire la realizzazione di progetti sperimentali, dal momento che cio' necessariamente determina una serie di ricadute su regioni e autonomie locali, le quali hanno gia' in atto un sistema di assistenza sociale, strutturato in rapporto alle caratteristiche della propria popolazione, alle relative esigenze, agli obiettivi politici di settore perseguiti, coerente con le risorse finanziarie e umane disponibili. Questo sistema viene, infatti, necessariamente ad essere modificato dagli interventi innovativi e sperimentali previsti dalla legge n. 104/1992 per le ricadute economiche, organizzative e di programmazione che questi determinano per loro natura. Per convincersi dell'assunto, e' sufficiente leggere l'art. 2, primo comma, della direttiva, il quale stabilisce che «i progetti ammessi al finanziamento secondo le modalita' previste dalla presente direttiva devono riguardare programmi innovativi e sperimentali concernenti la realizzazione, il potenziamento e l'ampliamento di piani di azione a valenza socio-assistenziale, ed, in particolare, strutture di accoglienza per persone in situazione di handicap grave, prive di adeguata assistenza familiare, anche al fine di favorirne condizioni di maggior autonomia e di vita indipendente». E' fuori discussione che la progettazione in discorso non puo' verosimilmente risolversi in una attivita' destinata a consumare risorse pubbliche (nel caso, dello Stato) prive di alcun seguito applicativo: se cosi' fosse si configurerebbe, oltretutto, il piu' classico dei danni erariali. Cio' puo' significare quantomeno che la citata attivita' e la realizzazione dei progetti sperimentali determinano, come conseguenza, la necessita' che regione ed autonomie locali consolidino risorse finanziarie e umane per la prosecuzione temporale delle attivita' poste in essere. L'insieme di queste considerazioni induce a ritenere che il potere esercitato dallo Stato in sede di adozione della direttiva impugnata sia in contrasto con gli artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. 5. - Per quanto sia forse ancora prematuro pretendere una limpida lettura delle piu' recenti innovazioni costituzionali, e' tuttavia certo che esse hanno aperto nuove prospettive nella direzione del potenziamento della tutela delle situazioni giuridiche soggettive previste dalla parte prima della legge fondamentale: tant'e' che qualcuno ha assegnato alla Corte il compito di «pervenire alla formazione di una concordanza pratica che renda accettabile il riparto delle competenze e assicuri un alto standard di costituzionalita' all'ordinamento» (cosi', S. Mangiameli, Sull'arte di definire le materie dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Le Regioni, n. 1/2003, 345). Piu' precisamente, quando in gioco e' la tutela di diritti costituzionali di prestazione - com'e' nel caso concreto -, e' indispensabile che, se esiste un concorso di enti nella sopportazione delle spese, cio' comporti l'insorgere di rapporti tra i relativi ordinamenti, a prescindere di per se' dalla circostanza che si tratti, sul piano funzionale, di competenze ripartite. E se questo ordine di considerazioni poteva valere nella vigenza dell'originario art. 117 Cost., il quale - lo si e' accennato - attribuiva la «beneficenza pubblica» alla legislazione regionale di tipo concorrente, esso vale ben piu' oggi, dal momento che il novellato art. 117 prevede, da un lato, che la «beneficenza pubblica» (non nominata) appartenga alla potesta' legislativa regionale di carattere residuale-esclusivo (ex quarto comma) e, d'altro lato, che spetti comunque alla legge dello Stato provvedere in via esclusiva alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (ex secondo comma, lett. m). Certo - e la dottrina non ha mancato di evidenziarlo -, la Costituzione non ha previsto meccanismi di coordinamento tra ordinamento statale e ordinamento regionale in funzione di una corretta attuazione dell'art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.: con cio' contraddicendo elementari esigenze di razionalita' concreta. Ancora, si puo' anche convenire sul fatto che i livelli essenziali possano essere ricavati dalla legislazione vigente, anche se cio' pare davvero problematico ove si abbia un senso minimamente adeguato della realta'. Tuttavia, ammesso e non concesso che tutto questo abbia un suo autonomo e generalissimo rilievo, si deve convenire che, nel caso di specie, non vi e' alcuna «determinazione» con cui operare un utile raffronto: sia perche' predeterminazione non vi e' stata sia perche' non e' ricavabile, per quanto e' dato sapere, aliunde. Non di meno, e' indispensabile stabilire una relazione tra prestazioni da erogare e bisogni da soddisfare e definire, ex ante e non ex post, la sostenibilita' economico-finanziaria delle decisioni assunte (anche in ossequio agli artt. 81, quarto comma, e 97 Cost.), che, essendo interordinamentali, debbono discendere da un coordinato, e non gia' unilaterale, esercizio delle competenze statali e regionali individuate - come si e' accennato - dagli artt. 117, secondo comma, lett. m), e 117, quarto comma, Cost. Sotto questo profilo, non v'e' dubbio che la direttiva 23 settenibre 2003 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali collide direttamente con le citate disposizioni costituzionali. Inutile dire che la censura poc'anzi delineata apre la strada ad una censura ulteriore, consistente nel fatto che lo Stato non ha operato, in sede di adozione dell'atto qui impugnato, del rispetto del principio costituzionale di leale collaborazione ne' di sussidiarieta' verticale: in violazione, dunque, degli artt. 5, 114, 117, 118, primo e quarto comma, 119 e 120, secondo comma (ancorche' quest ultimo riguardi di per se' i poteri sostitutivi). 6. - L'adozione della direttiva che disciplina i criteri e le modalita' di concessione di finanziamenti per la realizzazione di progetti sperimentali viola, infatti, il principio di leale collaborazione, derivante dall'art. 5 Cost. e richiamato ora espressamente dall'art. 120 Cost. e, quindi, l'autonomia regionale. La ripartizione delle funzioni tra Stato, regioni e autonomie locali puo' ricostruirsi, alla luce della Costituzione, delle norme costituzionali e di rilievo costituzionale, non solo facendo riferimento al principio di competenza, come enucleato e investigato dalla dottrina che si e' dedicata a ricondurre a sistema l'ordinamento regionale, soprattutto dopo la concreta attuazione del titolo V, ma anche a quello di sussidiarieta'. L'assetto dei rapporti tra gli enti costitutivi della Repubblica, ai sensi dell'art. 5 Cost., che aveva dimostrato la tendenza ad accrescere la sua gia' notevole complessita' prima delle piu' recenti riforme costituzionali, sembra oggi ingovernabile senza un'attivita' di coordinamento e partecipazione dei diversi soggetti istituzionali, stante l'impossibilita' di individuare ambiti di materie prive di una qualche interferenza reciproca o necessario collegamento. Si puo' dire anzi, che lo stesso ambito di autonomia regionale perderebbe di senso nell'attuale quadro dell'assetto delle competenze legislative, amministrative e finanziarie senza la concreta applicazione del principio di leale collaborazione, che appunto presuppone una sovrapposizione di ambiti di intervento nelle medesimo materie. La necessaria effettiva partecipazione delle regioni e delle autonomie locali alle scelte operate a livello nazionale destinate ad incidere sull'esercizio delle loro competenze, sia che si traducano in atti normativi sia che si concretizzino in atti amministrativi, viene per lo piu' prevista nel nostro ordinamento all'interno della Conferenza Stato-regioni, della Conferenza Stato-citta' e autonomie locali e della Conferenza unificata. Com'e' noto, le prime due sono state istitituite da d.P.C.m. (rispettivamente dai d.P.C.m. 12 ottobre 1983 e 2 luglio 1996) e poi disciplinate dal d.lgs. n. 281/1997, mentre la Conferenza e' stata introdotta da quest'ultimo atto normativo. Si deve precisare, pero', che il coinvolgimento nella procedura di adozione di atti normativi, amministrativi o, in senso piu' ampio, di decisioni politiche, pur disciplinato e contemplato dalle medesime disposizioni assume un senso profondamente diverso a seconda dell'esercizio della specifica funzione e dell'ambito di materia in cui si versa nel caso concreto, alla luce del piu' complessivo quadro delle competenze statali, regionali e locali. In altre parole, ove alla regione in una determinata materia, o ambito di materia, venga riconosciuta una sfera di autonomia piu' ampia, con la titolarita' di funzioni legislative e amministrative e la relativa responsabilita' finanziaria, il coinvolgimento nell'adozione delle decisioni assunte dallo Stato centrale perde ogni minimo tratto di opportunita' politica per assumere quello della olibligatorieta' istituzionale poiche' trova fondamento, oltre che nell'art. 5 Cost., anche nelle disposizioni che prevedono la competenza legislativa, amministrativa e finanziaria della regione, e, quindi negli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost. Nel caso di specie, per quanto si e' detto supra e non si intende qui inutilmente ripetere, l'atto adottato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e' atto che certamente viene ad incidere e a condizionare sotto molteplici aspetti il sistema dell'assistenza tracciato, per volere del costituente, da scelte di carattere locale e regionale nell'esercizio delle ampie funzioni normative e amministrative loro riconosciute. Ora, il tenore della direttiva e la sua procedura di adozione escludono le regioni e gli enti locali dalle decisioni connesse alle concessioni di finanziamento per progetti sperimentali in materia di assistenza. In particolare, il mancato coinvolgimento della Conferenza unificata, pure stabilito dall'art. 41-ter della legge n. 104/1992, evidenzia la violazione del principio di leale collaborazione e, dunque, per quanto si e' detto, l'autonomia regionale costituzionalmente riconosciuta. 7. - Il dato fattuale e ordinamentale incontestabile, cui ha dato origine la direttiva ministeriale in questione, costituito dall'aver lo Stato disposto senza minimamente considerare la «realta' regionale», implica la violazione, sotto ulteriore e autonomo profilo, delle seguenti disposizioni della legge fondamentale: a) dell'art. 118 Cost., in quanto risulta coartata la decisione amministrativa della regione; b) dell'art. 119 Cost., dal momento che la medesima non e' stata posta in condizione di esercitare in modo consapevole e libero la propria funzione di reperimento delle risorse e di determinazione delle spese; c) dell'art. 97 Cost., poiche' risulta pregiudicato il buon andamento dell'attivita' amministrativa regionale. 8. - Nel configurare le proprie argomentazioni a sostegno dell'odierno conflitto la difesa della regione ha cercato di dimostrare come la direttiva impugnata non abbia basi costituzionali, e cio' in particolare sulla scorta di una incontestabile premessa: che l'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e' stato posto in essere sulla base dell'originario art. 117 Cost., il quale dava una differente qualificazione, in termini di riparto della potesta' legislativa tra Stato e regione della materia «beneficenza pubblica». Il corollario e' il seguente: il citato art. 41-ter e' da considerarsi o abrogato o affetto da illegittimita' costituzionale sopravvenuta. Nel caso in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse tutt'ora vigente la previsione de qua, la Regione chiede che la medesima sollevi davanti a se', come giudice a quo, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104, tra l'altro perche' in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. 171, lett. m), letto in combinato disposto con l'art. 117, quarto comma, Cost.