Ricorso  della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta, in persona del
presidente  della  Regione  e legale rappresentante pro tempore, sig.
Carlo  Perrin,  rappresentata  e  difesa, giusta delega a margine del
presente  atto  ed  in  virtu'  di  deliberazione di giunta regionale
n. 4988  del  22  dicembre 2003 (all. 1) di autorizzazione a stare in
giudizio,  dagli  avv.  proff.  Giuseppe  Franco  Ferrari  e  Massimo
Luciani,  e con questi elettivamente domiciliata presso lo studio del
secondo in Roma, via Bocca di Leone n. 78.

    Contro  il  Presidente  del Consiglio dei ministri pro tempore, a
seguito  e  per  l'effetto  della direttiva del Ministro del lavoro e
delle  politiche  sociali  23 settembre 2003, recante «Disciplina dei
criteri  e  delle  modalita'  di  concessione di finanziamenti per la
realizzazione  di progetti sperimentali, di cui all'art. 41-ter della
legge  5  febbraio 1992, n. 104», in Gazzetta Ufficiale n. 263 del 12
novembre 2003 (all. 2).
    Con  legge  5  febbraio  1992,  n. 104,  pubblicata  in  Gazzetta
Ufficiale,  S.O.  n. 39  del  17  febbraio  1992,  «Legge-quadro  per
l'assistenza,  l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone
handicappate»,  sono  stati  demandati  al  Ministero  per gli affari
sociali,  oggi  Ministero  del  lavoro e delle politiche sociali, una
serie  di  compiti,  tra  cui,  ai  sensi  dell'art. 41-ter (articolo
aggiunto  dall'art. 1,  legge  21  maggio  1998,  n. 162),  quello di
promuovere e coordinare «progetti sperimentali aventi per oggetto gli
interventi  previsti  dagli  articoli  10,  23, 25 e 26» della stessa
legge  n. 104/1992,  e di definire a tale scopo «con proprio decreto,
d'intesa  con  la  Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto
legislativo  28 agosto 1997, n. 281, ... i criteri e le modalita' per
la  presentazione  e  la  valutazione» di tali progetti sperimentali,
«nonche'  i  criteri  per  la ripartizione dei fondi stanziati per il
finanziamento dei progetti» in questione.
    Trattasi,   come   specificato  nelle  premesse  della  direttiva
contestata,  di  «progetti  innovativi  nel  campo della disabilita»,
quali,  ad  esempio,  la  realizzazione o l'ampliamento - da parte di
comuni,  anche  consorziati  tra loro o con le Province, di Unioni di
comuni,   di  Comunita'  montane  e  di  ASL,  eventualmente  con  il
coinvolgimento  di  enti,  associazioni,  fondazioni,  IPAB,  enti di
patronato, societa' cooperative e organizzazioni di volontariato - di
comunita-alloggio  e  di  centri  socioriabilitativi  per persone con
handicap in situazione di gravita' (cfr. art. 10, legge n. 104/1992).
    L'art. 41-ter,  legge  n. 104/1992, e' chiaro nel precisare che i
criteri  di  presentazione  e  valutazione  di  tali  progetti  e  di
ripartizione  dei relativi finanziamenti debbano essere stabiliti dal
Ministro  competente  con  apposito  decreto adottato d'intesa con la
Conferenza   unificata   Stato-Regioni-Citta'  ed  autonomie  locali,
istituita  ai sensi dell'art. 8, d.lgs. n. 281/1997, per svolgere una
serie  di  funzioni  in  relazione a materie e i compiti di interesse
comune  delle  Regioni,  delle Province, dei comuni e delle comunita'
montane.
    La  direttiva  ministeriale  23  settembre  2003  si  richiama in
premessa  praticamente  a tutte le disposizioni di cui alla normativa
citata,  per  tentare  di  fondarvi un improbabile quadro normativo a
supporto  delle  proprie  prescrizioni. In realta' essa, operando una
illegittima  invasione  delle  competenze  regionali  in  materia  di
«assistenza  e  beneficenza  pubblica»,  risulta gravemente violativa
delle  prerogative  costituzionali  della ricorrente Regione Autonoma
Valle  d'Aosta,  e  si  configura  conseguentemente illegittima per i
seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1.  - Quanto alla direttiva nella sua interezza: violazione degli
artt. 5,  97,  117  e  118  Cost.,  e  degli artt. 3 e 4, legge cost.
n. 4/1948,  in  relazione  all'art. 41-ter,  legge  5  febbraio 1992,
n. 104,  all'art. 17,  legge  23 agosto 1988, n. 400, ed al d.lgs. 28
agosto   1997,  n. 281.  Difetto  di  consultazione;  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione.  La  lesione  delle prerogative
costituzionali  che  le  regioni  vantano nella materia oggetto della
direttiva  ministeriale 23 settembre 2003 si e' concretata anzi tutto
nella fase di elaborazione della direttiva stessa.
    Ammesso  e  non  concesso,  infatti,  che  la  determinazione dei
criteri   di   ripartizione   delle   risorse   disponibili   per  la
realizzazione  dei  progetti  ex  legge n. 104/1992 appartenga ancora
allo Stato, e per esso al Ministro per le politiche sociali, pur dopo
la  riforma  costituzionale del 2001, in ogni caso, in considerazione
del fatto che ne e' inevitabilmente coinvolta anche la programmazione
regionale,  tali  criteri  avrebbero dovuto essere stabiliti soltanto
dopo  avere  formalmente seguito il procedimento collaborativo di cui
alla  legge n. 104/1992 (cfr., in tal senso, Corte cost., 10 dicembre
1998,  n. 398;  cfr.  anche  Corte 28 dicembre 1995, n. 520, in Giur.
cost., 1995, 4361).
    Appare  con  tutta  evidenza  come  il  provvedimento  che qui si
contesta  sia  stato  emanato  in  totale  spregio  delle chiarissime
indicazioni provenienti dal legislatore.
    In   primo   luogo,  esso  ha  assunto  il  nomen  di  «direttiva
ministeriale»,  mentre  l'art.  41-ter,  legge n. 104/1992, stabiliva
espressamente  che  dovesse  trattarsi  di  un decreto. Si tratta, in
realta',  di  un  atto  sostanzialmente regolamentare, adottato senza
garantire  la partecipazione delle regioni e province autonome, cosi'
come   previsto  dall'art. 41-ter,  legge  n. 104/1992,  e  violativo
dell'art. 17,  legge n. 400/1988, dal momento che, non avendo assunto
la  forma  del  regolamento, elude di fatto la prescrizione che vieta
allo Stato di adottare regolamenti nelle materie diverse da quelle di
legislazione statale esclusiva (art. 117, comma 6, Cost.).
    In   secondo   luogo,  ancora  una  volta  in  palese  violazione
dell'art. 41-ter   citato,   esso   non   e'   stato   preceduto  dal
raggiungimento  della  prescritta intesa con la Conferenza unificata,
non essendo stata questa neppure consultata.
    Risulta   dunque   gravemente   violato  il  principio  di  leale
collaborazione  tra  Stato e Regioni, elaborato negli anni da codesta
ecc.ma  Corte,  che  deve  «governare  i  rapporti  fra lo Stato e le
Regioni  nelle  materie  e  in  relazione  alle  attivita'  in cui le
rispettive  competenze  concorrano  o  si  intersechino, imponendo un
contemperamento dei rispettivi interessi» (cfr., ad es., Corte cost.,
18 luglio 1997, n. 242, in Cons. St., 1997, II, 1099; Corte cost., 14
dicembre  1998,  n. 408; Corte cost., 10 dicembre 1998, n. 398; Corte
cost.,  10  febbraio  1997,  n. 19,  in Giur. cost., 1997, 142; Corte
cost.,  23  dicembre  1994, n. 444, in Giur. cost., 1994, 3876; Corte
cost., 10 novembre 1992, n. 427, in Giur. cost., 1992, 3980).
    Anche  a  voler  prescindere dal problema relativo alla ulteriore
utilizzabilita'  dell'art.  41-ter,  legge n. 104/1992, alla luce del
nuovo  titolo V, ed in particolare dell'art. 117, commi 3 e 6, Cost.,
risulta  evidente  che  la violazione dello specifico procedimento di
consultazione  e  intesa  con  la  Conferenza unificata, e quindi del
principio   di   leale   collaborazione,   rendono   illegittima   la
compressione  dei  poteri delle Regioni e delle Province autonome. La
mancanza  di  questo  procedimento  «concertato», infatti, ridonda in
violazione delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione
ricorrente  (cfr., ex multis Corte cost., 27 marzo 2003, n. 88; Corte
cost.,  24 ottobre 2001, n. 342; Corte cost., 12 luglio 2001, n. 244;
Corte  cost.,  20 giugno 2002, n. 255; Corte cost., 22 febbraio 1984,
n. 39;  Corte  cost.,  15  luglio 1985, n. 206; Corte cost., 31 marzo
1994, n. 116).
    2.  - Quanto alla direttiva nella sua interezza: violazione degli
artt. 3, 5, 32, 97, 117 e 118 Cost., e degli artt. 3 e 4, legge cost.
n. 4/1948,  in  riferimento  al  d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, ed al
d.lgs.  31  marzo  1998, n. 112. Difetto di consultazione; violazione
del   principio   di   leale   collaborazione   e  del  principio  di
sussidiarieta'.
    Il  fatto  che nella fase preparatoria della direttiva che qui si
contesta  non  siano  state  coinvolte  nelle debite forme le Regioni
risulta tanto piu' grave ove solo si consideri che:
        a)   la  materia  -  rientrante  nel  settore  «assistenza  e
beneficenza  pubblica»  -  e'  espressamente riservata dagli artt. 3,
comma 1,  lett.  i),  e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta
(legge  cost.  n. 4/1948)  alle competenze legislative concorrenti ed
amministrative della Regione ricorrente;
        b)   successivamente,   l'art. 131,  d.lgs.  n. 112/1998,  ha
ribadito  il  conferimento  alle Regioni delle funzioni e dei compiti
nella materia dei servizi sociali;
        c)  ai sensi del nuovo titolo V della Costituzione (art. 117,
comma  2,  lett.  m),  allo  Stato  sono  riservate esclusivamente le
funzioni  in  materia di «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il territorio nazionale», mentre al di fuori di
tale  limite  ogni  potesta'  legislativa  e  regolamentare spetta di
diritto alle Regioni (art. 117, commi 4 e 6, Cost.), ivi comprese, in
virtu'  dell'art. 10,  legge  cost.  3/2001,  le  Regioni  a  statuto
speciale e le Province autonome.
    Non puo' ragionevolmente sostenersi che la direttiva ministeriale
di   cui  si  discute  costituisca  legittimo  esercizio  del  potere
regolamentare   statale   in   tema  di  determinazione  dei  livelli
essenziali  di  assistenza.  Valga  in proposito quanto gia' chiarito
recentemente da codesta ec.ma Corte costituzionale, nella sentenza 27
marzo  2003, n. 88. L'art. 54, legge finanziaria per l'anno 2003, nel
confermare  per il futuro l'utilizzabilita' dei livelli essenziali di
assistenza  previsti  dall'art.  1,  comma 6, d.lgs. 502/1992 e succ.
modif.,  ha  affermato  che «le prestazioni riconducibili ai suddetti
livelli  di  assistenza e garantite dal Servizio sanitario nazionale»
sono  quelle  di  cui  al  d.P.C.m.  29 novembre  2001, e ha previsto
esplicitamente  che  eventuali  modifiche  al  decreto  appena citato
debbano essere «definite con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri,  di  intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra
lo Stato, le Regioni e le Province autonome».
    Cio'  premesso,  la  Corte  ha  precisato  che, al di la' di ogni
valutazione  di  merito  sul procedimento configurato, resta indubbio
che in tutto il settore sanitario ed assistenziale esiste attualmente
una  precisa  procedura,  individuata  con  fonte legislativa, per la
determinazione  di  quanto previsto dall'art. 117, comma 2, lett. m),
Cost., e che questa determinazione e' appunto gia' intervenuta con il
d.P.C.m. 29 novembre 2001.
    Risulterebbe  dunque  del tutto infondata anche la pretesa che la
direttiva  ministeriale,  adottata  da  un  organo  e  con  procedura
radicalmente  difforme  da  quella  cosi'  disciplinata, possa essere
ritenuta espressiva del potere statale garantito dall'art. 117, comma
2,  lett.  m),  Cost. Di qui la palese incostituzionalita' di un atto
sostanzialmente  regolamentare,  quale  quello  di  cui  si  discute,
adottato  -  in spregio al dettato dell'art. 117, comma 6, Cost. - in
materia  non  riservata  alla  competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
    Codesta  ecc.ma  Corte,  peraltro,  ha gia' da tempo illustrato e
reiterato,  anche  nel  sistema  regionale  anteriore  alla revisione
costituzionale,   l'insegnamento   per   cui   un   regolamento,  pur
configurato  in  pretesa  esecuzione di leggi statali, non puo' porre
norme  intese  a  limitare la sfera delle competenze delle Regioni in
materie ad esse attribuite (cfr. Corte cost., 6 febbraio 1991, n. 49,
in  Le  Regioni,  1992,  231; Corte cost., 13 maggio 1991, n. 204, in
Giur.  cost.,  1991,  1853;  Corte cost., 31 ottobre 1991, n. 391, in
Cons.  St., 1991, II, 1654; Corte cost., 19 novembre 1992, n. 461, in
Giur.  cost.,  1992,  4152.  Ebbene,  le disposizioni contenute nella
direttiva  contestata, nel disciplinare puntualmente le modalita' con
le quali le domande di finanziamento debbono essere presentate a pena
di inammissibilita', nonche' nel fissare i criteri in base ai quali i
finanziamenti possono essere concessi - demandando ad una commissione
appositamente  costituita  il  compito  di  vagliare  le  domande  ed
assegnare i finanziamenti sulla base di tali criteri -, evidentemente
comprimono  oltre  modo  l'autonomia  regionale,  alla  quale  non e'
lasciato   alcuno   spazio   di   compartecipazione.   Persino  nella
composizione  della  Commissione  tecnica  deputata  alla valutazione
delle  domande  di  finanziamento le Regioni non hanno trovato alcuno
spazio:  di detta Commissione fanno parte, ai sensi dell'art. 6 della
direttiva,  oltre  al direttore generale della direzione generale per
le  tematiche familiari e sociali e la tutela dei diritti dei minori,
quattro  esperti  nel  campo  delle disabilita', di cui uno designato
dall' ANCI.
    Anche  sotto  questo  profilo,  dunque, si conferma l'esorbitanza
della  direttiva impugnata dalla sfera di attribuzioni riservate allo
Stato.
    A  cio'  si  aggiunga  che la sostituzione del livello di governo
regionale  con uno meno vicino agli interessi oggetto dell'intervento
vulnera  anche  il  principio di sussidiarieta', che e' alla base del
conferimento  di  funzioni  alle  Regioni  e  agli  enti locali e che
costituisce  un  principio  informatore  del  rapporto  tra i diversi
livelli   territoriali  di  governo,  oggi  recepito  anche  in  sede
costituzionale.