IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di rimessione degli atti per
giudizio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale relativamente
all'art. 32,  legge  n. 724/1994,  commi 1, 2, 4, e all'art. 5, comma
7-bis della legge 29 novembre 1995, n. 507.
    Nella  causa  iscritta al n. 2923/2001 R.G. avente per oggetto il
pagamento  di  canoni  ed  oneri  condominiali  non corrisposti dalla
conduttrice   Cinelli  Liliana  per  la  locazione  dell'immobile  di
proprieta' del Ministero della giustizia.

                      Svolgimento del processo

    In  data 27 ottobre 2001 il Ministero della giustizia, in persona
del  Ministro  pro  tempore,  adiva  l'intestato tribunale al fine di
sentir condannare la sig.ra Cinelli Liliana al pagamento di canoni di
locazione  ed  oneri  condominiali  che  assumeva  non  essere  stati
corrisposti dalla convenuta nel corso del rapporto di locazione inter
partes cessato in data 25 settembre 1999.
    Esponeva, infatti, il Ministero ricorrente di essere proprietario
dell'immobile  sito  in  Ancona,  viadotto  della Ricostruzione n. 4,
concesso  in locazione a Bianchi Pia, ved. Cinelli, con contratto del
26 marzo  1969;  defunta  la  predetta  in  data  22 luglio 1997, nel
contratto  succedeva la figlia Cinelli Liliana - odierna resistente -
che  continuava ad occupare l'immobile sino al 24 settembre 2000; dal
mese  di  gennaio  1999  alla  data  del  rilascio dell'appartamento,
avvenuta  il 24 settembre 2000, la conduttrice si era resa morosa nel
pagamento dei canoni di locazione e degli oneri accessori, risultando
pertanto   debitrice   nei  confronti  del  Ministero  per  la  somma
complessiva di Euro 13.469,38, oltre interessi.
    La  convenuta,  costituitasi  in  giudizio, contestava la domanda
avversaria assumendo che il contratto del 26 marzo 1969 stipulato fra
Bianchi  Pia  ved.  Cinelli  ed  il  Ministero  rientrava  tra quelli
soggetti  alla  legge  n. 392/1978  e  che, in base all'art. 32 della
legge  n. 724/1994,  il canone di locazione - fino al 1° gennaio 1995
di  lire 488.244  -  era  stato raddoppiato e fissato per volonta' di
legge in lire 976.488 mensili stante il fatto che il nucleo familiare
occupante  l'immobile disponeva di un reddito compreso fra i 40 e gli
80  milioni  di  lire  annui  nel  1993,  anno  di imposta preso come
riferimento  dal  legislatore  del  1994. Defunta la Bianchi Pia, nel
contratto  succedeva  la  convenuta  la  quale  rimaneva  da  sola ad
occupare  l'immobile.  Il canone rimaneva invariato nonostante che il
nucleo  familiare  occupante  l'immobile  avesse un reddito ridotto a
circa lire 24.000.000 lorde annue, anzi successivamente rivalutato in
base   agli   indici   Istat   dei   prezzi  al  consumo  arrivava  a
lire 1.045.817 mensili.
    Deduceva  la  difesa  resistente l'inefficacia della normativa in
oggetto  per contrasto con la direttiva CE 93/13 (recepita nel nostro
ordinamento   con   la   legge   n. 52/1996  che  ha  introdotto  gli
artt. 1469-bis  e  segg.);  nonche'  l'illegittimita'  costituzionale
della   stessa   per  violazione  con  l'art. 3  della  Costituzione,
chiedendo  la  sospensione  del  giudizio con trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale.

                              Rilevanza

    Posto  che,  a  parere del sottoscritto giudicante, la disciplina
europea sulla cd. «tutela del consumatore», recepita nell'ordinamento
nazionale  con  legge  n. 52/1996,  non puo' trovare applicazione nel
caso  in  esame  considerato  che il Ministero della giustizia, nella
stipulazione del contratto di locazione per cui e' giudizio, ha agito
al di fuori della sua attivita' «professionale», la questione dedotta
nel  procedimento  de  quo  ha  un'incidenza  attuale e non meramente
eventuale.
    Questo  giudicante non puo', infatti, prescindere dalla decisione
della  questione di legittimita' costituzionale e la pregiudizialita'
necessaria  si  ravvisa sotto il seguente profilo: se fosse accertata
l'incostituzionalita'  della  norma  citata,  le somme corrisposte in
eccesso  dalla  Cinelli  in  relazione a canone effettivamente dovuto
potrebbero  essere  ripetute  in  base  alle  norme sulla ripetizione
dell'indebito;  il  canone  dovuto  dalla  resistente potrebbe essere
individuato   nell'importo   originariamente   pattuito,  oltre  alla
rivalutazione.
    Poiche'  il canone pagato corrisponde al doppio rispetto a quello
che  risulterebbe  dovuto e' evidente che, se anche la Corte sancisse
l'illegittimita'  della norma solo per i vizi sul punto (perche' essa
non  prende  in  considerazione  eventuali diminuzioni di reddito dei
conduttori   escludendo   in   relazione   ad  esse  l'applicabilita'
dell'aumento),  il canone dovrebbe tornare ad essere quello iniziale,
per  cui  avendo  la  convenuta,  per  il  periodo  dal  gennaio 1995
all'agosto  1999,  corrisposto  un canone pari al doppio dell'importo
che  la  difesa  istante  assume  dovuto,  la  sua  morosita' sarebbe
certamente  inferiore a quanto lamentato dal Ministero ricorrente (20
mensilita',  dal  gennaio  1998 al settembre 2000), quindi il decreto
ingiuntivo   opposto   dovrebbe   essere  revocato  e  la  resistente
condannata al pagamento di una somma inferiore a quella ivi indicata.
    La rilevanza nel caso di specie riguarda altresi' l'art. 5, comma
7-bis,   della   legge   n. 507/1998   considerato   che   il  canone
asseritamente dovuto dalla Cinelli comprende l'aumento corrispondente
alla  variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di
impiegati accertata dall'Istat.
    E'  ben  vero che la suintestata Corte, investita della questione
da una precedente ordinanza di rimessione del Tribunale di Ancona, ha
gia'  deciso  per  il  rigetto ma, in quell'occasione, l'eccezione di
illegittimita'  costituzionale  era  stata  sollevata nel corso di un
procedimento   di  convalida  di  sfratto  per  morosita'  nel  quale
risultava non controverso il fatto che la conduttrice aveva smesso di
corrispondere   i  canoni  di  locazione  e  da  lungo  tempo  godeva
dell'immobile  senza  versare  all'amministrazione  statale locatrice
alcun corrispettivo, per cui - alla luce del consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui la sospensione del pagamento dei canoni
costituisce  un  fatto arbitrario, di per se' idoneo a determinare la
risoluzione  del  rapporto  per  inadempimento  -  la  questione  era
dichiarata  dalla  Consulta  manifestamente  inammissibile (ordinanza
n. 41 del 25 febbraio 2002).

                     Non manifesta infondatezza

    Ritenuto  che la questione non sia manifestamente infondata sotto
i seguenti profili:
        quanto all'art. 32, legge n. 724/1994, commi 1, 2, 4:
          1)  in  relazione  all'art. 3,  primo  comma, Cost., per la
disparita'  di  trattamento  che  tale  norma  viene  a  creare - pur
modificata dalla legge n. 507/1995 (art. 5, comma 6) che limita entro
la  misura  del canone di mercato il canone raggiungibile per effetto
dell'aumento  automatico - in casi uguali, per parita' di trattamento
in  casi  diseguali.  Cio'  non  tanto  in  ordine alla disparita' di
trattamento  tra  conduttori  di  immobili  pubblici  e  di  immobili
privati. Tale disparita' potrebbe essere giustificata da una triplice
ratio: condurre a maggiori entrate per le casse dell'erario; adeguare
maggiormente   il   canone  al  valore  reale  degli  immobili;  dare
attuazione  ad  una linea di tendenza legislativa gia' avviata con il
d.l.  27  aprile  1990,  n. 90 convertito nella legge 26 giugno 1990,
n. 165  e  la  legge 24 dicembre 1993, n. 537, tesa a predisporre una
disciplina  di favore per la p.a. e restando estranea al sindacato di
costituzionalita' ogni valutazione di opportunita' e di equita' della
scelta legislativa.
    L'irragionevolezza  della  disciplina  in  esame  riguarda invece
altro  aspetto: si impone solamente ai locatori di immobili pubblici,
in violazione dell'autonomia negoziale, la modifica del corrispettivo
originariamente concordato con la controparte; non sembra infatti che
la  natura  pubblica  del  titolare  del  bene possa giustificare una
disciplina  derogatrice  della  normativa applicabile, fuoriuscendosi
dall'ipotesi  in  cui sia lo stesso regime della proprieta' pubblica,
ovverosia  il  criterio  oggettivo proprio dei beni facenti parte del
demanio  e  del  patrimonio  indisponibile,  a  presentare  carattere
speciale  attesa  la  finalita'  di  interesse  generale tramite essi
perseguita.
    La  norma  prevede una maggiorazione autoritativa del canone, per
di  piu'  assai  consistente,  di  applicazione immediata in corso di
rapporto;  essa  modifica  solamente  le  condizioni dei contratti in
corso  tra  i conduttori titolari di un rapporto intercorrente con lo
Stato, non gia' quelle relative ai conduttori titolari di un rapporto
intercorrente  con  soggetti  privati,  pur trattandosi in entrambi i
casi di fattispecie disciplinate della norme di diritto privato.
    Ne'  tale disparita' puo' ritenersi compensata dalla possibilita'
di  risoluzione (rectius rescissione) di cui al comma 5 («nel caso in
cui  le  maggiorazioni  dei  canoni  operate  ai  sensi  del presente
articolo   siano   considerate  eccessive,  gli  interessati  possono
chiedere  entro  sei  mesi  dalla  data  di  entrata  in vigore della
presente    legge,    la   risoluzione   del   rapporto   restituendo
contestualmente il bene») in quanto tale norma e' volta ad evitare di
essere  schiacciati  da  un  canone  eccessivo  senza  fornire alcuna
garanzia  in ordine all'immutabilita' del canone durante l'esecuzione
del contratto.
    Non  elimina  tale  disparita' nemmeno la possibilita' di ridurre
l'importo  del canone a quello di mercato prevista dall'art. 5, commi
6,  7  e  7-bis, della legge 29 novembre 1995, n. 507 (di conversione
del d.l. n. 415/1995) posto che comunque il conduttore di un immobile
pubblico  ha  perso,  in  costanza di rapporto, le proprie garanzie a
differenza del conduttore di immobile privato.
    La  norma,  quindi, non tiene in considerazione i diritti quesiti
dai conduttori di immobili appartenenti allo Stato, facendoli trovare
di   fronte   a   spese  inaspettate  che  hanno  sicuramente  creato
notevolissimi problemi al loro bilancio familiare.
    Il  legislatore  puo' si trattare alcune situazioni o determinati
soggetti  in  modo diverso, oppure parificarli ad altri soggetti o ad
altre  situazioni  gia' oggetto di altra disciplina, purche' cio' sia
ragionevole.
    Nel  caso  di  specie  si  ravvisa  invece  un  eccesso di potere
legislativo  in  quanto  la  norma  impugnata  prevede una disciplina
irragionevolmente  discriminatoria  rispetto  agli  artt. 12-22 della
legge  sull'equo  canone  che  si  applica  ai  contratti in corso di
locazione di immobili non dello Stato (c.d. tertium comparationis);
          2)  in  relazione  all'art. 3  Cost.,  primo  comma, per la
disparita'  di  trattamento  che  crea  tra  gli stessi conduttori di
immobili  pubblici  sotto  diversi profili (ed in tal caso il tertium
comparationis si ravvisa nella stessa disposizione impugnata);
          2a)  in  relazione  all'art. 3  della  Costituzione  per la
disparita' di trattamento che crea la norma prevedendo l'applicazione
al  canone,  a  suo tempo liberamente determinato, di un coefficiente
moltiplicatore  fisso  il quale prescinde sia dal momento in cui, con
la stipula del contratto, tale corrispettivo e' stato fissato sia dal
valore  di  mercato  dell'immobile  locato  -  intervenendo  la legge
n. 507/1995  solo  per  porre  il valore reale del bene immobile come
limite   massimo   dell'importo  del  canone  -  e  risulta  pertanto
svincolato da criteri di valutazione oggettivi.
    La duplicazione ovvero la quintuplicazione imposta dalla norma di
un corrispettivo diversamente predeterminato puo' infatti comportare,
in presenza di immobili aventi le stesse caratteristiche, conseguenze
del  tutto  diverse  rendendo applicabile un canone enormemente alto,
pari  al  valore di mercato, quando lo stesso sia stato concordato in
tempi  recenti,  oppure  di  gran  lunga  inferiore  al  valore reale
allorquando  il  canone  sia  stato  fissato in tempi piu' remoti con
l'applicazione  dei coefficienti previsti dalla legge n. 392/1978, se
non addirittura prescindendone.
    La  limitazione  di  cui  alla  legge  n. 507/1995 non elimina le
disparita'  tra chi sotto tale limite si trova a pagare somme diverse
senza  alcun  valido  motivo. Si possono presentare situazioni in cui
conduttori  con  reddito tra i 40 e gli 80 milioni delle vecchie lire
si  vedono  attribuire  un  nuovo  canone  pari al valore di mercato,
mentre altri conduttori, con redditi miliardari, si vedono attribuire
per appartamenti di lusso un canone che (pur se aumentato di 5 volte)
appare ridicolo rispetto al valore di mercato.
    Soltanto  in  apparenza  un  meccanismo  di maggiorazione attuato
mediante   un   moltiplicatore  fisso  del  canone  gia'  corrisposto
rappresenta  un  intervento destinato ad operare in maniera uniforme;
in  realta',  esso  finisce con il fare aumentare a dismisura le gia'
esistenti  differenze  fra  canoni  di  rapporti  locativi aventi per
oggetto  beni  simili  condotti  in  locazione  da  soggetti  simili,
avvicinando  ben  poco  i  canoni  piu'  bassi  a quelli di mercato e
rendendo pari a questi i canoni piu' alti;
          2b)  in  relazione  all'art. 3  Cost.  per la disparita' di
trattamento  che  viene  a creare la norma in quanto la maggiorazione
del  canone  non e' stata adeguata a sufficienza al reddito percepito
dal nucleo familiare occupante.
    La  legge,  infatti,  ha  disposto  che i canoni annui per i beni
patrimoniali e demaniali dello Stato destinati ad uso abitativo sono,
in  deroga  alle  altre  disposizioni  di legge in vigore, rivalutati
rispetto  a  quelli dovuti per l'anno 1994 di un coefficiente pari a:
due  volte  il canone stesso per i soggetti appartenenti ad un nucleo
familiare  con  un  reddito  complessivo riferito all'anno di imposta
1993,  non  superiore  ad  ottanta milioni delle vecchie lire; cinque
volte  il  canone  stesso  per  i  soggetti appartenenti ad un nucleo
familiare  con  un  reddito complessivo, riferito all'anno di imposta
1993,  uguale  o  superiore  ad ottanta milioni di lire. Sono esclusi
dall'incremento  di cui al comma 2 gli alloggi di servizio, quelli in
godimento  alle  vedove  o  alle  persone  gia'  a  carico  e finche'
mantengano  i  requisiti  per  essere  considerati  tali, di pubblici
dipendenti deceduti per causa di servizio, a soggetti appartenenti ad
un  nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all'anno di
imposta 1993 ... non superiore a quaranta milioni di lire.
    Tale  aumento  a scaglioni crea una disparita' di trattamento tra
chi  si  trova  al limite degli stessi: tra chi ha un reddito di lire
39.999.999  e chi ha un reddito di lire 40.000.001: una differenza di
due  lire portera' una differenza di canone (in situazioni pressoche'
uguali) del 250%.
    Se  e'  vero che, allorche' si decide di effettuare l'aumento per
scaglioni   sono  inevitabili  le  disparita'  che  si  creano  nelle
situazioni  limite,  e'  anche vero che si poteva aumentare il numero
degli  scaglioni  oppure  disporre piu' correttamente che gli aumenti
avrebbero dovuto essere proporzionali al reddito.
    Un conduttore percettore di un reddito pari ad un miliardo con la
legge  in  esame  ha, infatti, lo stesso trattamento di un conduttore
percettore di un reddito di ottanta milioni di vecchie lire;
          2c)  in  relazione  all'art. 3  Cost.  per la disparita' di
trattamento  che  viene a creare la norma nella parte in cui, ai fini
dell'applicazione  del  coefficiente  di maggiorazione del canone, fa
riferimento  al  reddito  familiare complessivo per l'anno di imposta
1993 senza tenere in alcuna considerazione il dato relativo al numero
dei  componenti  la  famiglia  occupante.  Con la conseguenza che una
famiglia  di cinque persone con reddito complessivo superiore agli 80
milioni  delle  vecchie  lire  (sintomo  per  il  legislatore  di una
notevole capacita' economica) si e' vista quintuplicare l'importo del
canone  mensile  di locazione mentre un single con reddito fino al 40
milioni  continua  a godere dello stesso canone di prima pur avendo a
disposizione,  egli  da  solo,  una  somma  doppia  rispetto  ad ogni
componente il nucleo familiare di cinque persone;
          2d)  in  relazione  all'art. 3  Cost.  per la disparita' di
trattamento che nasce dall'aver ancorato tutte le modifica al reddito
familiare del conduttore nel 1993, rimanendo irrilevanti le eventuali
successive alle modifiche di tale reddito. In tal modo coloro che nel
1994  hanno  avuto  un incremento del proprio reddito non hanno avuto
alcuna modifica del proprio canone, mentre coloro che hanno avuto una
diminuzione  del proprio reddito non hanno potuto usufruire di alcuna
diminuzione del canone stesso.
    Il legislatore ben poteva prevedere il sistema di adeguamento, in
base ai parametri citati, per ognuno degli anni successivi al 1993 al
fine  di  evitare  l'illegittimita'  della norma (per non trattare in
maniera  diversa  soggetti  che abitano lo stesso tipo di immobile ma
hanno  avuto  redditi  diversi  nel  1993 e redditi uguali negli anni
successivi).  Nel  caso di specie, si osserva per inciso, la mancanza
di  un  tale sistema ha fatto si' che la resistente Cinelli, titolare
ora  di un reddito inferiore ai quaranta milioni (a differenza di chi
nel  1993  aveva  un reddito inferiore ai 40 milioni) abbia subito un
aumento del proprio canone);
          2e)  in  relazione  all'art. 3  Cost.  per la disparita' di
trattamento  che  tale  disposizione  crea tra conduttori di immobili
dello  stato dipendenti pubblici e conduttori di immobili dello Stato
che non siano dipendenti pubblici.
    Invero  tutti  i  conduttori  dipendenti  pubblici,  inizialmente
soggetti  alla legge n. 724/1994, sono stati sottratti all'aumento di
canone   (anche   se   percettori  di  redditi  miliardari)  con  una
disposizione di legge retroattiva (art. 23, n. 146/1998) e forniti di
tutte  le  garanzie  che  attribuisce  la legge n. 392/1978 sull'equo
canone.
    L'art. 32,   legge   n. 724/1994  crea,  quindi,  una  disparita'
irragionevole  di trattamento tra i conduttori di immobili privati ed
i conduttori di immobili pubblici che siano dipendenti pubblici da un
lato e conduttori di immobili pubblici che non siano anche dipendenti
pubblici dall'altro;
          3)  in  relazione all'art. 97, comma primo, Cost. in quanto
l'uniformita' del meccanismo di adeguamento del canone previsto dalla
norma  in  commento  impone allo Stato di applicare, senza lasciargli
alcun  margine  di discrezionalita', a tutti i contratti di locazione
in  corso  potendo  determinare maggiorazioni pari al valore locativo
degli  immobili  oppure  manifestamente  inferiore, appare lesivo dei
principi  di  imparzialita'  e buon andamento che devono informare la
condotta   della   pubblica   amministrazione;  tale  lesione  appare
solamente  attenuata  con il correttivo introdotto dall'art. 5, comma
6,  della  legge  n. 507/1995  ma  non  eliminata.  Se,  infatti,  la
finalita'  cui  e'  sottesa  la  disposizione convenuta nell'art. 32,
legge  n. 724/1994  e'  quella  di  assicurare  la  redditivita'  del
patrimonio    immobiliare   pubblico,   risulta   evidente   che   la
maggiorazione  in  tal  modo  imposta  determina,  se applicata ad un
canone  di  partenza  notevolmente  inferiore  al  valore corrente di
mercato,   un   corrispettivo   che,   malgrado   l'applicazione  del
coefficiente   moltiplicativo  resta  comunque  in  termini  assoluti
ampiamente  al  di  sotto  del valore di mercato e se applicata ad un
canone di per se' gia' corrispondente o soltanto di poco inferiore al
valore  corrente di mercato determina un corrispettivo pari al valore
locativo e quindi altissimo;
        quanto all'art. 5, comma 7-bis, legge n. 507/1995:
          in   relazione   all'art. 3  Cost.  per  la  disparita'  di
trattamento che la norma introduce tra i conduttori di immobili dello
Stato  e conduttori di immobili titolare di un rapporto intercorrente
con   privati  perche'  e'  previsto  che  il  canone  di  locazione,
rideterminato  per il 1995, equivalente a quello retraibile in regime
di  libero  mercato per unita' immobiliari analoghe, venga aggiornato
negli  anni successivi in base all'intera variazione Istat dei prezzi
al  consumo  con il conseguente integrale recupero della svalutazione
nel  frattempo  intervenuta  (recupero  integrale  di regola escluso,
invece,   per   le   locazioni  sia  non  abitative,  art. 32,  legge
n. 392/1978,   sia  per  quelle  ad  uso  abitativo,  art. 24,  legge
n. 392/1978).
    In   conclusione,   si   censura   la  disposizione  della  legge
n. 724/1994 cumulativamente in relazione ai seguenti profili:
        laddove  prevede una maggiorazione del canone locatizio anche
ai contratti gia' in corso al 1995;
        laddove  non  prevede un adeguamento del canone, oltreche' in
base  al  reddito  del  nucleo  familiare occupante, anche in base al
valore  reale  dell'immobile  locato  ed al momento della stipula del
contratto  di  locazione  (e quindi di determinazione dell'originario
canone);
        laddove  non  prevede  un  numero  maggiore  di  scaglioni di
reddito   di   riferimento   per   la   maggiorazione,   in  modo  da
personalizzare la situazione;
        laddove  non  tiene  conto,  oltre  che del reddito familiare
complessivo, del numero dei componenti il nucleo familiare al fine di
assumere  come  criterio  per  la determinazione dello «scaglione» il
reddito pro-capite effettivo;
        laddove  non  prevede  che  la  maggiorazione  sia  dovuta in
riferimento al reddito del nucleo familiare calcolato anno per anno e
non solo nel 1993;
        laddove  prevede  un  aggiornamento del canone in misura pari
all'intera  variazione accertata dall'Istat dell'indice dei prezzi al
consumo  per  le  famiglie di operai ed impiegati, anziche' in misura
percentuale.