IL TRIBUNALE In relazione alle questioni di legittimita' costituzionale sollevate da parte ricorrente in ordine all'art. 1, commi 260 e 261, legge 23 dicembre 1996, n. 662 e in ordine all'art. 38, commi 7-10, legge n. 448/2001, O s s e r v a In data 5 marzo 2001, questo giudice rimetteva gli atti alla Corte costituzionale con la seguente ordinanza: «Il ricorrente Giuseppe Di Clemente, in data 30 novembre 1995, ha ricevuto dall'INPS la richiesta di restituzione della somma di L. 9.203.670, motivata dalla avvenuta corresponsione - per il periodo dal 1° ottobre 1983 al 30 aprile 1995 - di quote di integrazione al trattamento minimo in misura superiore a quella spettante, tenendo conto dell'importo dei redditi personali, ed ha chiesto l'accertamento dell'illegittimita' di tale provvedimento eccependo la illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 260 e 261, legge n. 662/1996 per violazione degli artt. 3 e 38 Costituzione, sostenendo la riconducibilita' dell'indebito a negligenza dell'INPS che, pur essendo venuto a conoscenza sin dal gennaio 1986 degli ulteriori redditi dallo stesso percepiti, aveva continuato a corrispondergli quote di integrazione al minimo non spettanti; L'INPS si e' costituito, chiedendo in via principale di rigettare il ricorso e, in subordine, di dichiarare la irripetibilita' dell'indebito nei limiti di cui al comma 261 dell'art. 1, legge 23 dicembre 1996, n. 662, detratti i ratei prescritti relativi al periodo 1/1983-1/1985; Considerato che la Corte costituzionale, in tema di indebiti pensionistici relativi alla integrazione al minimo, con sentenza n. 166/1996, si e' pronunciata nel senso che «la ripetibilita' cessa la' dove l'ente previdenziale abbia continuato il pagamento della integrazione al minimo pur avendo la disponibilita' delle informazioni necessarie per l'accertamento del reddito del pensionato, o in seguito alla tempestiva presentazione della dichiarazione sostitutiva del certificato fiscale, alla quale e' tenuto ai sensi dell'art. 6, comma 4, decreto-legge n. 463/1983 o altrimenti, per esempio, attraverso una comunicazione del datore di lavoro alle cui dipendenze il pensionato ha trovato occupazione oppure perche' entrambe le pensioni sono pagate dall'ente stesso, che percio' e' in condizione di conoscere da se', se e quando l'importo della prima sia aumentato oltre il limite di reddito ostativo dell'integrazione al minimo della seconda», affermando che «il limite cosi' individuato della ripetibilita' sancita dalla disposizione denunziata non puo' trovare applicazione immediata dal momento in cui si determinano per INPS le condizioni di verificabilita' del reddito dell'assicurato. Perche' i dati disponibili siano effettivamente acquisiti dall'istituto ed immessi nei circuiti delle verifiche contabili sono necessari tempi tecnici, che il giudice valutera' avuto riguardo eventualmente ai termini indicati dall'art. 13, comma 2 della legge n. 412/1991, non applicabile ratione temporis nei casi di specie, ma utilizzabile quale criterio di orientamento». Rilevato che la Corte di cassazione, in varie decisioni, dando applicazione alla citata pronuncia, ha ritenuto di assumere come termine finale per la ripetizione delle somme proprio quello contenuto nella norma individuata dalla Corte costituzionale, «sul rilievo che questa norma, nel porre il termine di un anno successivo alle verifiche, cui pure annualmente l'INPS deve procedere, entro il quale e' possibile ripetere le somme indebitamente erogate, ha recepito un termine presente nell'ordinamento previdenziale fin dal 1924 (art. 80, regio decreto n. 1422) e da considerare ormai insito nel sistema, traendone la conseguenza che l'INPS, ove lasci decorrere piu' di un anno dalla effettiva conoscenza o dalla concreta possibilita' di conoscenza degli elementi necessari alle operazioni di recupero, non potra' ripetere piu' alcuna somma dall'assicurato (pur potendo ovviamente sempre per il futuro rettificare i propri provvedimenti errati e comunque procedere alla corretta applicazione delle leggi), cui non sia addebitabile l'erogazione non dovuta» (cfr. Cass n. 9489/1997); Ritenuto che nel caso in esame, emergendo dagli atti la prova dell'indebito, qualora venisse applicato l'art. 6, comma 11-quinquies, legge n. 638/1983 cosi' come interpretato dalla Corte costituzionale, l'INPS non avrebbe diritto a ripetere le somme corrisposte in eccedenza, poiche' sin dal gennaio 1986 era al corrente degli altri redditi del Di Clemente, come risulta dal documento allegato al n. 5 del fascicolo di parte ricorrente (modello Red 1 del 23 gennaio 1986); al contrario, ai sensi dell'art. 1, comma 261, legge n. 662/1996, il ricorrente deve restituire i tre quarti delle somme indebitamente erogategli, avendo percepito nell'anno 1995 un reddito superiore a L. 16.000.000, come risulta dal modello 740/96, allegato al n. 4 del fascicolo di parte ricorrente; Rilevato che la normativa di cui all'art. 1, commi 260 e 262, legge n. 662/1996 e' stata interpretata dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 2333/1997, sulla base del «significato delle parole secondo la loro connessione e della intenzione del legislatore quale risulta dal contesto e dagli atti parlamentari», quale disciplina avente efficacia retroattiva ed, in via transitoria, globalmente sostitutiva di quella anteriore, articolata nelle varie leggi succedutesi nel tempo in materia di indebito previdenziale aventi ciascuna natura speciale o subspeciale rispetto all'art. 2033 c.c.; Rilevato che a tale sentenza ne sono seguite delle altre della sezione lavoro, che affermano principi contrari a quelli gia' esposti, avendo, in particolare, Cass. n. 9489/1997 ritenuto che «fermi restando le norme ed i principi previgenti - i quali continuano come per il passato a disciplinare la materia dell'indebito previdenziale - la legge n. 662/1996 ha inteso aggiungere a quelle norme ed a quei principi, senza alcuna incompatibilita' con essi, un ulteriore criterio, fondato sul reddito, e cioe' una condizione reddituale per l'effettivo recupero cosi' da escludere del tutto per i meno abbienti l'obbligo restitutorio e da ridurre a tre quarti per gli altri percettori di indebiti il loro debito, sempre se sussistente in base ai principi come sopra fissati dalla legge, interpetrati e integrati dalla elaborazione della giurisprudenza costituzionale e di legittimita', salvo l'esistenza del dolo, che rende tutto rimborsabile o la scomparsa dell'obbligato che rende tutto irripetibile ...»; Rilevato che tale ultima interpretazione, condivisa da una parte della giurisprudenza di merito (anche in quanto consentiva di superare i dubbi di legittimita' costituzionale in questa sede sottoposti al vaglio della Corte) e' stata superata dalla nuova pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione, che con sentenza n. 30/2000 ha ribadito i principi gia' affermati nella sentenza n. 2333/1997, precisando che le prestazioni previdenziali indebitamente erogate dagli enti di previdenza obbligatoria prima del 1° gennaio 1996 sono ripetibili secondo i criteri posti dall'art. 1, commi 260-261-262-263 e 265, legge 23 dicembre 1996, n. 662, che al riguardo sostituiscono per intero la precedente disciplina, con la conseguenza che la ripetizione non e' subordinata anche alla sussistenza dei relativi presupposti secondo la disciplina precedentemente applicabile; la citata sentenza delle sezioni unite n. 30/2000 ha precisato che la legge n. 662 del 1996 come risulta dai commi 260 ss. «innova rispetto all'art. 6, comma 11-quinquies del decreto-legge n. 463/1983 convertito in legge n. 638 del 1983, giacche', a parte l'ipotesi di dolo del percettore, che da' luogo all'integrale restituzione, non attribuisce alcun rilievo all'addebitabilita' all'ente dell'erroneo pagamento» sicche', alla luce di tale nuova pronuncia, non e' dato di dubitare che le disposizioni di cui all'art. 1, comma 260 e 261, legge n. 662/1996 abbiano natura retroattiva - sia pur in via transitoria - e carattere globalmente sostitutivo della disciplina precedente e deve pertanto ritenersi la rilevanza delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale; Rilevato che le disposizioni di cui all'art. 1, commi n. 260 e 261, legge n. 662/1996 riconducono la ripetibilita' dell'indebito all'unico requisito del reddito, formulando una doppia ipotesi: totale irripetibilita' in caso di reddito pari e/o inferiore a L. 16.000.000, parziale irripetibilita' con abbattimento di un quarto del debito per i percettori di redditi di importo superiore a tale limite con riferimento del requisito reddituale al solo anno 1995 e che tale disciplina e' applicabile ai soli indebiti anteriori al 1° gennaio 1996; Rilevato che l'efficacia retroattiva (affermata nelle citate sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione) delle suddette disposizioni comporta che fattispecie ricadenti nel medesimo arco temporale siano trattate diversamente solo in relazione all'epoca del procedimento di recupero, atteso che un pensionato il quale in base al regime precedente non avrebbe dovuto restituire alcunche' per essersi l'ente attivato oltre il termine di un anno dalla conoscenza della indebita percezione, sulla base della normativa in esame e' tenuto a restituire, mancando un giudicato in suo favore, i tre quarti di quelle somme, qualora abbia percepito nel 1995 un reddito superiore ai sedici milioni; Ritenuto pertanto che, in tali ipotesi, come gia' affermato dalla Corte di cassazione nella citata sentenza n. 9489/1997, la applicazione retroattiva delle disposizioni in esame determina una «disparita' di trattamento tra pensionati per i quali sia gia' stata sancita in via definitiva, secondo i precedenti principi, la irripetibilita' di un indebito e pensionati i quali, per indebiti risalenti alla medesima epoca, debbono soggiacere alla nuova normativa (cfr. sent. n. 39/1993 Corte cost.)» con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione; Rilevato che la Corte costituzionale nella sentenza n. 39/1993 ha evidenziato la necessita' di tutelare «l'affidamento di una vasta categoria di cittadini nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto»; Rilevato che l'articolata disciplina in materia di indebito previdenziale (integrata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 166/1996, che ha dettato il «principio direttivo del sistema dell'indebito previdenziale secondo il quale "deve escludersi la ripetizione" in presenza di una situazione di fatto ... avente come minimo comun denominatore la non addebitabilita' al percepiente della erogazione non dovuta») in deroga alla generale ripetibilita' dell'indebito prevista dall'art. 2033 c.c., si fonda sulla presumibile immediata destinazione delle somme percepite a titolo di trattamento pensionistico alla soddisfazione di bisogni primari del pensionato e della sua famiglia, pertanto, se la entita' del reddito del percettore puo' in astratto costituire un parametro idoneo a verificare la possibilita' concreta di restituzione della somma indebitamente percepita, cio' puo' valere per il singolo anno in cui e' avvenuto il pagamento indebito; Rilevato pertanto che la riferibilita' al solo anno 1995 del reddito quale parametro per la ripetibilita' previsto dall'art. 1, comma 260, legge n. 662/1996 e al contempo la mancanza di un limite temporale alla retroattivita' della disciplina di cui all'art. 1, commi 260 e 261, legge 23 dicembre 1996, n. 662 - produttiva in taluni casi, come quello di specie, di effetti meno favorevoli rispetto a quelli derivanti dalle norme precedenti - comporta la possibilita' per l'ente previdenziale di richiedere la restituzione sulla base del reddito relativo ad un anno anche diverso da quello in cui si e' verificata la indebita erogazione di prestazione pensionistica, in quanto tale inidoneo a costituire indice della concreta possibilita' di restituzione delle somme indebitamente percepite da parte di pensionati a reddito non elevato, con conseguente violazione dell'art. 38 Cost.