ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli articoli 7 e 22
della legge della Regione Emilia-Romagna del 19 dicembre 2002, n. 37,
recante «Disposizioni regionali in materia di espropri», promosso con
ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, notificato il
18 febbraio  2003,  depositato  in  cancelleria  il  27 successivo ed
iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11 novembre  2003  il giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per la
Regione Emilia-Romagna.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  il  18 febbraio, e depositato il
27 febbraio  2003  e  iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2003, il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  dello  Stato, ha impugnato gli articoli 7 e 22 della
legge    della   Regione   Emilia-Romagna 19 dicembre   2002,   n. 37
(Disposizioni  regionali  in  materia  di  espropri)  per  violazione
dell'art. 120,  secondo  comma,  della  Costituzione e dell'art. 117,
secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.
    Il  ricorrente premette che la legge regionale impugnata, al fine
di armonizzare la legislazione regionale in materia di pianificazione
territoriale  e  urbanistica  con  la  disciplina  di cui al d.P.R. 8
giugno 2001,  n. 327  (Testo  unico  delle disposizioni legislative e
regolamentari  in materia di espropriazione per pubblica utilita), ha
dettato  un  complesso  di  norme  volte  a regolare le procedure per
l'acquisizione  di  immobili  o  di  diritti relativi ad immobili per
l'esecuzione,  nel  territorio  regionale,  di  opere  ed  interventi
pubblici o di pubblica utilita'.
    La  legge  regionale,  dopo  aver conferito ai comuni le funzioni
amministrative   per   i   procedimenti   di  espropriazione  per  la
realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilita' di competenza
regionale  (art. 6),  dispone, all'art. 7, che in caso di inerzia dei
comuni  nel  compimento  di un atto loro spettante, la giunta assegna
all'ente un termine per provvedere, non inferiore a quindici giorni e
che,   trascorso  inutilmente  tale  termine,  «la  giunta  assume  i
provvedimenti  necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la
nomina di un commissario ad acta».
    Tale  previsione,  secondo la difesa erariale, contrasterebbe con
l'art. 120  Cost.,  che  riserva  al  Governo  il potere sostitutivo,
secondo  procedure  definite  con legge che salvaguardi i principi di
sussidiarieta'  e di leale collaborazione. Ad avviso dell'Avvocatura,
se la titolarita' del potere sostitutivo e' del Governo, la legge cui
l'art. 120  Cost.  demanda la disciplina delle modalita' di esercizio
di  tale  potere non potrebbe che essere una legge statale. Il potere
sostitutivo  della Regione nei confronti del comune, pur teoricamente
ammissibile,  necessiterebbe,  dunque,  della  mediazione  di un atto
normativo  dello  Stato.  L'art. 7  della  legge regionale impugnata,
nell'attribuire  alla  Regione  il  potere  di sostituirsi al comune,
violerebbe la riserva di legge statale posta dalla Costituzione.
    2.  -  L'Avvocatura  dello  Stato censura inoltre l'art. 22 della
legge  regionale  n. 37  del  2002,  la  quale  -  sotto  la  rubrica
«edificabilita'  di  fatto»  - dispone che, salva la necessita' della
edificabilita'  legale,  un'area  possiede  anche  i  caratteri della
edificabilita'  di  fatto  quando  sono  gia'  presenti o in corso di
realizzazione,  nell'ambito  territoriale cui l'area stessa inerisce,
le  dotazioni  territoriali  richieste  dalla legge o dagli strumenti
urbanistici.
    Premette  la  difesa  erariale  che l'espropriazione per pubblica
utilita'   e   il   relativo   indennizzo   atterrebbero   al  regime
costituzionale  della proprieta', quale delineato dall'art. 42 Cost.,
dunque  alla  materia  dell'ordinamento  civile, la cui disciplina e'
riservata alla legislazione esclusiva statale.
    L'art. 22   sarebbe   volto  a  dare  rilevanza,  ai  fini  della
determinazione    dell'indennita'    di    esproprio,    anche   alla
edificabilita'   di  fatto,  in  contrasto  con  il  diritto  vivente
formatosi  sull'art. 5-bis  del  decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333
(Misure  urgenti  per  il  risanamento  della  finanza pubblica), che
riconosce  alla edificabilita' di fatto valore meramente sussidiario,
cioe' solo in assenza dello strumento urbanistico.
    Anche   laddove   l'art. 22   dovesse  intendersi  nel  senso  di
richiedere   la  compresenza  della  edificabilita'  legale  e  della
edificabilita'  di  fatto, esso contrasterebbe con il diritto vivente
che  ritiene  sufficiente la sola edificabilita' legale per conferire
ad un'area il carattere della edificabilita'.
    Sotto  tale profilo la norma censurata, riconoscendo valore anche
alla edificabilita' di fatto e dunque introducendo un «tertium genus»
nel   regime   dei   suoli,  violerebbe  l'art. 117,  secondo  comma,
lettere l)  e  m),  della Costituzione, che attribuisce allo Stato la
competenza  esclusiva  a  disciplinare  l'ordinamento civile (nel cui
ambito  rientrano la proprieta' privata e la qualificazione giuridica
dei  beni che ne sono oggetto) e le prestazioni concernenti i diritti
civili,  tra cui rientrerebbe l'uniforme applicazione dei criteri per
la determinazione dell'indennita' di esproprio.
    Tali  parametri,  ed  in  particolare  l'art. 117, secondo comma,
lettera m),  sarebbero  violati  anche  per  il  fatto  che l'art. 22
individua  i  requisiti  per la edificabilita' di fatto. In base alla
normativa  vigente  -  art. 5-bis  del  decreto legge 11 luglio 1992,
n. 333  e  art. 37,  commi 5  e  6,  del  d.P.R. n. 327 del 2001 - la
definizione  di  tali  criteri  sarebbe  rimessa  ad  un  decreto del
Ministro  delle  infrastrutture,  da  emanarsi  ai sensi dell'art. 17
della  legge  n. 400 del 1988 (Disciplina dell'attivita' di Governo e
ordinamento   della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri),  per
esigenze  di  unificazione della disciplina in tema di determinazione
dell'indennita' di esproprio.
    Sostiene  infine  l'Avvocatura che, anche a voler ritenere che la
individuazione  dei criteri per la definizione dell'edificabilita' di
fatto  rientri  nella materia del «governo del territorio», l'art. 22
violerebbe  l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto darebbe rilievo
alle previsioni degli strumenti urbanistici in dispregio dei principi
fondamentali dettati o da desumersi da un atto di normazione statale.
    3.  -  Si  e'  costituita  in giudizio la Regione Emilia-Romagna,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato.
    Nella  successiva  memoria depositata in data 29 ottobre 2003, la
Regione da' preliminarmente atto che l'art. 7, il quale disponeva che
«in  caso  di persistente inerzia nel compimento di un atto spettante
ai  soggetti  di  cui  all'articolo 6,  comma 1, nell'esercizio delle
funzioni  conferite, la Giunta regionale assegna all'ente medesimo un
termine  per  provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni» e
che   «trascorso   inutilmente  tale  termine,  la  giunta  assume  i
provvedimenti  necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la
nomina  di  un commissario ad acta», e' stato modificato dall'art. 21
della  legge  regionale  3  giugno 2003,  n. 10 (Modifiche alle leggi
regionali  24 marzo  2000,  n. 20,  8 agosto 2001, n. 24, 25 novembre
2002,  n. 31  e  19 dicembre  2002,  n. 37  in materia di governo del
territorio  e  politiche  abitative).  A seguito di tale modifica, la
norma  risulta  adesso  cosi'  formulata:  «Per  le  opere  pubbliche
regionali,  in  caso di persistente inerzia del comune o del soggetto
attuatore nel compimento degli atti del procedimento espropriativi ad
esso spettanti ai sensi degli articoli 6 e 6-bis, la giunta regionale
assegna  all'ente  medesimo  un  termine per provvedere, comunque non
inferiore  a  quindici giorni. Trascorso inutilmente tale termine, la
giunta  assume i provvedimenti necessari per il compimento dell'atto,
ivi compresa la nomina di un commissario ad acta».
    In  merito  alle  censure  formulate  nel  ricorso  e concernenti
l'art. 7  della  legge  regionale  n. 37 del 2002, la Regione osserva
come  la  soluzione  del  dubbio  di  costituzionalita' dipenda dalla
interpretazione   che   si   ritenga   di   dare  all'art. 120  della
Costituzione, invocato quale parametro nel ricorso introduttivo, e in
particolare,   «se  essa  esaurisca  le  possibilita'  di  interventi
sostitutivi  nei  confronti  degli  enti locali oppure se, accanto ai
poteri sostitutivi esercitabili dal Governo a garanzia degli speciali
valori  costituzionali  indicati  nella  disposizione,  altri  ve  ne
possano  essere,  in  particolare a garanzia dell'effettivo esercizio
delle  funzioni  pubbliche  affidate  agli  enti  locali».  La difesa
regionale  ritiene  preferibile  la  seconda  delle  soluzioni appena
citate,  e  cio'  in  quanto  «la possibilita' di una sostituzione di
organi  regionali  in  caso  di  non esercizio di una funzione che la
stessa  legge  regionale  affida  all'ente locale o che essa comunque
disciplina,   non   solo   non   contraddirebbe  alcuna  disposizione
costituzionale,  ma  sarebbe  coerente con il complessivo sistema del
decentramento».
    Peraltro - sostiene la Regione - la stessa Avvocatura dello Stato
ritiene, in linea di principio, ammissibile un intervento sostitutivo
nei  confronti  degli  enti  locali  operato  dalla Regione: solo che
sarebbe  necessaria  -  in  virtu'  della  riserva  di  legge  di cui
all'art. 120   della  Costituzione  -  la  interpositio  della  legge
statale.  Secondo  la difesa regionale pero', sarebbe contraddittorio
ritenere  che  l'art. 120,  che  concerne  il  potere sostitutivo del
Governo  in presenza di determinati presupposti, possa legittimare lo
Stato  a regolare il differente fenomeno dei poteri sostitutivi della
Regione  nei  confronti  degli  enti  locali, da attivarsi in ipotesi
ulteriori.  A sostegno di tali affermazioni la Regione Emilia-Romagna
cita la recente decisione della Corte costituzionale n. 313 del 2003,
nella   parte   in   cui   afferma   che,   ove   dovesse   ritenersi
costituzionalmente  ammissibile  un  potere sostitutivo delle Regioni
nei  confronti  degli  enti  locali,  «occorrerebbe  un  procedimento
definito  dalla  legge,  adottata  secondo  l'ordine delle competenze
rispettivamente  statali  e  regionali fissato dalla Costituzione» ed
individua  i  presupposti  in  presenza dei quali una legge regionale
puo'  legittimamente  prevedere  un  potere sostitutivo nei confronti
degli   enti   locali.  La  legge  regionale  censurata,  secondo  la
resistente,  rispetterebbe  ante  litteram  tali requisiti, in quanto
attribuirebbe  l'esercizio  del  potere  sostitutivo  regionale  alla
competenza   della   giunta   regionale,  e  lo  subordinerebbe  alla
sussistenza  di  una  «persistente  inerzia»  ed  alla previa diffida
dell'ente locale.
    In  relazione  all'art. 22  della  legge  regionale impugnata, la
Regione  ritiene  che,  contrariamente a quanto affermato nel ricorso
dalla  difesa  erariale,  la disposizione non «renderebbe sufficiente
l'edificabilita'   di  fatto»  ai  fini  della  determinazione  della
indennita'  di  esproprio  in  quanto  essa  sarebbe «chiarissima nel
mantener  ferma  la  necessita' dell'edificabilita' legale». Anzi, la
norma  regionale  sarebbe  volta  proprio  a  «prevenire  quei  dubbi
interpretativi che sono sorti in relazione alla disposizione statale,
come  testimoniano  le  numerose  sentenze  con  cui la Cassazione e'
dovuta  intervenire  ad  affermare  la necessita' dell'edificabilita'
legale  per  l'applicazione dell'art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 333
del 1992».
    L'art. 22  non  potrebbe essere interpretato neppure nel senso di
ritenere  necessaria  la  compresenza  della  edificabilita' legale e
dell'edificabilita' di fatto. La norma, infatti, non si pronuncerebbe
«ne'  sulla  necessaria  presenza  di entrambi gli elementi ne' sulla
sufficienza   dell'edificabilita'  legale,  come  del  resto  non  si
pronuncia  su  cio' la legge statale». Peraltro, sostiene la Regione,
l'interpretazione  dell'art. 5-bis  piu'  sopra  citato  non  sarebbe
affatto    univoca    nel   ritenere   sufficiente   la   sussistenza
dell'edificabilita'  legale,  esistendo  viceversa numerose decisioni
che  richiedono anche la compresenza dell'edificabilita' di fatto. In
ogni  caso,  la  stessa normativa statale - sia l'art. 5-bis del d.l.
n. 333  del  1992,  sia  l'art. 37  del  d.P.R.  n. 327  del  2001  -
prescriverebbero di valutare le possibilita' sia legali sia effettive
di edificare.
    Sarebbe  necessario  allora,  ad  avviso  della difesa regionale,
valutare   i   requisiti   relativi   alla  edificabilita'  di  fatto
individuati  dalla  normativa statale. L'art. 37, comma 5, del d.P.R.
n. 327   del  2001  rinvia  tale  individuazione  ad  un  regolamento
ministeriale;   e   secondo   l'Avvocatura  dello  Stato  tale  norma
risponderebbe   alla   esigenza   di   uniformita'  della  disciplina
concernente il punto de quo: e a cio' corrisponderebbe la violazione,
causata  dalla  legge  regionale  impugnata,  dell'art. 117,  secondo
comma,  lettera m),  della  Costituzione.  Al  riguardo,  la  Regione
anzitutto osserva come il regolamento ministeriale non risulti ancora
adottato; in secondo luogo, evidenzia come - a seguito della modifica
del  Titolo V della Parte II della Costituzione - la previsione di un
regolamento  ministeriale  in materia di competenza regionale sia del
tutto inammissibile. Conseguentemente, l'art. 37, comma 5, del d.P.R.
n. 327   del   2001   dovrebbe   ritenersi   abrogato   dalla   legge
costituzionale  n. 3  del  2001 (in quanto la norma era comunque gia'
esistente  al  momento dell'entrata in vigore di quest'ultima); e nel
caso   in  cui  non  lo  si  volesse  considerare  abrogato,  sarebbe
senz'altro da reputare incostituzionale.
    Quanto  poi  all'asserito  contrasto  della norma regionale con i
principi  fondamentali  della  legge  dello Stato, la censura sarebbe
inammissibile  perche'  generica, mancando l'indicazione dei principi
che si assumono violati.
    In   ogni   caso,  conclude  la  Regione,  la  definizione  della
edificabilita' di fatto contenuta nell'art. 22 non contrasterebbe ne'
con  l'art. 5-bis  del  d.l.  n. 333 del 1992, che non specifica tale
nozione,  ne' con la definizione contenuta nell'art. 37, comma 6, del
d.P.R.  n. 327  del  2001. In definitiva la norma regionale impugnata
non solo non sarebbe illegittima, ma anzi contribuirebbe a chiarire e
a dare maggiore certezza giuridica alle norme statali.
    4.  -  Anche  l'Avvocatura  generale  dello Stato, in prossimita'
dell'udienza, ha depositato una memoria nella quale si ribadiscono le
argomentazioni  gia'  esposte  in  sede  del  ricorso  introduttivo a
sostegno della incostituzionalita' della norma regionale impugnata.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7  della legge
regionale  dell'Emilia-Romagna 19 dicembre  2002, n. 37 (Disposizioni
regionali  in  materia  di  espropri),  per violazione dell'art. 120,
secondo comma, della Costituzione.
    La  difesa  erariale ritiene che l'art. 7 della legge regionale -
il   quale  prevede  un  intervento  sostitutivo  della  Regione  nei
confronti   dei  comuni  per  il  caso  di  persistente  inerzia  nel
compimento  di  un  atto  loro  spettante - violi l'art. 120, secondo
comma,  della  Costituzione,  il  quale conferisce la titolarita' del
potere   sostitutivo  al  Governo,  e  demanda  la  disciplina  delle
modalita' di esercizio di tale potere ad una legge statale.
    Nel  ricorso  si  censura inoltre l'art. 22 della legge regionale
n. 37  del 2002, in relazione all'art. 117, secondo comma, lettere l)
e   m),  della  Costituzione.  Sostiene  l'Avvocatura  che  la  norma
regionale,  nel  disciplinare  l'edificabilita'  di fatto di un'area,
riconoscerebbe  a  tale carattere un valore non meramente sussidiario
ai  fini  della  determinazione dell'indennita' di espropriazione. In
tal  modo  la  norma  inciderebbe sul regime della proprieta' e della
qualificazione  giuridica dei terreni, la cui disciplina e' riservata
alla  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
ordinamento  civile,  nonche' sulla uniforme applicazione dei criteri
di  determinazione dell'indennizzo espropriativo, anch'essa riservata
alla  potesta'  statale,  attenendo  alla  materia  delle prestazioni
concernenti   i   diritti   civili   che   devono   essere  garantiti
uniformemente su tutto il territorio nazionale.
    L'art. 22, inoltre, contrasterebbe con l'art. 117, secondo comma,
lettera m),  anche  nella  parte  in  cui individua i requisiti della
edificabilita'  di  fatto,  dal momento che sarebbe compito esclusivo
della  legislazione  statale salvaguardare le esigenze di uniformita'
di  disciplina  degli effetti sulla determinazione dell'indennita' di
esproprio.
    Infine,  la disposizione impugnata contrasterebbe con l'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione,  in quanto assegnerebbe rilevanza
alle  previsioni  degli  strumenti  di  pianificazione urbanistica in
dispregio  dei  principi  fondamentali «dettati o da desumersi» da un
atto   di   legislazione   statale   ai   fini  della  determinazione
dell'edificabilita' di fatto delle aree.
    2.  -  Prima  di  affrontare  nel  merito  le  censure  mosse dal
ricorrente avverso l'art. 7 della legge regionale dell'Emilia-Romagna
n. 37 del 2002, e' necessario richiamare l'assetto costituzionale dei
poteri  sostitutivi,  sui quali questa Corte ha di recente avuto modo
di soffermarsi nella sentenza n. 43 del 2004.
    Come  si  e'  messo  in  luce  in  tale  decisione,  i poteri che
comportano  la  sostituzione  nel  compimento di atti di organi di un
ente  rappresentativo ordinariamente competente da parte di organi di
un  altro  ente, ovvero la nomina da parte di questi ultimi di organi
straordinari  dell'ente  «sostituito»  per il compimento degli stessi
atti, concorrono a configurare e a limitare l'autonomia dell'ente nei
cui   confronti  opera  la  sostituzione,  e  devono  quindi  trovare
fondamento   esplicito   o  implicito  nelle  norme  o  nei  principi
costituzionali che tale autonomia prevedono e disciplinano.
    Tali   affermazioni   erano  sottese  anche  alla  giurisprudenza
formatasi prima della riforma del Titolo V della Costituzione operata
dalla  legge cost. n. 3 del 2001, sia pure con prevalente riferimento
ad  ipotesi  di sostituzione dello Stato nei confronti delle Regioni,
previste  per  la  tutela  di  interessi unitari allora affidati alla
finale  responsabilita'  dello Stato. In quel contesto, come e' noto,
spettavano  alle  Regioni le funzioni amministrative nelle materie di
cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione, mentre le funzioni
degli  enti  locali  territoriali  erano  determinate  in  termini di
principio  dalle  leggi generali della Repubblica di cui all'art. 128
della  Costituzione,  e  la  puntuale individuazione delle stesse era
demandata alle leggi dello Stato per le materie di competenza statale
e  per  le funzioni di «interesse esclusivamente locale» pur inerenti
alle   materie   di   competenza  regionale.  La  eventualita'  della
sostituzione  di  organi  regionali  agli  enti locali, esclusa nelle
materie  in  cui  la  Regione  non  aveva  competenze  legislative  e
amministrative  (sentenza  n. 104  del  1973), poteva invece fondarsi
sulle  leggi  regionali di delega o di «conferimento» di funzioni per
le   materie   in   cui,  in  base  agli  articoli 117  e  118  della
Costituzione,  le  Regioni  erano  costituzionalmente  titolari delle
competenze amministrative, oltre che legislative.
    Nel  sistema  del  nuovo  Titolo  V,  invece, l'art. 117, secondo
comma,  lettera p),  comprende nella competenza legislativa esclusiva
dello  Stato  la determinazione delle sole «funzioni fondamentali» di
comuni,  province  e  citta'  metropolitane, mentre l'art. 118, primo
comma,  attribuisce  in  via  di  principio  ai  comuni,  in tutte le
materie,  «le  funzioni  amministrative»,  salva  la possibilita' che
esse,  al fine di assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a
province,  citta'  metropolitane,  regioni  e  Stato,  sulla base dei
principi   di   sussidiarieta',   differenziazione   ed  adeguatezza.
Pertanto,  in  virtu'  dell'art. 118  Cost.,  sara'  sempre la legge,
statale  o  regionale,  in  relazione  al  riparto  delle  competenze
legislative,  ad  operare  la concreta allocazione delle funzioni, in
conformita'  alla generale attribuzione costituzionale ai comuni o in
deroga  ad  essa  per  esigenze  di  «esercizio  unitario», a livello
sovracomunale, delle funzioni medesime.
    In  questo  quadro,  anche  l'eventuale previsione di eccezionali
sostituzioni  di  un livello di governo ad un altro per il compimento
di  specifici atti o attivita', considerati dalla legge necessari per
il  perseguimento  degli  interessi di livello superiore coinvolti, e
non  posti  in  essere tempestivamente dall'ente competente, non puo'
che  rientrare,  in via di principio e salvi i limiti e le condizioni
di  cui  si  dira',  nello  stesso  schema logico, affidato nella sua
attuazione  al  legislatore  competente  per materia, sia esso quello
statale  o  quello  regionale.  Ragionando  altrimenti,  infatti,  si
giungerebbe    all'assurda    conseguenza   che,   per   evitare   la
compromissione  di  interessi  di livello superiore che richiedono il
compimento  di  determinati  atti o attivita', derivante dall'inerzia
anche  solo  di  uno degli enti competenti, il legislatore (statale o
regionale)  non avrebbe altro mezzo se non allocare la funzione ad un
livello   di  governo  piu'  comprensivo:  conseguenza  evidentemente
sproporzionata  e contraria al criterio generale insito nel principio
di sussidiarieta' (si veda ancora, al riguardo, la sentenza n. 43 del
2004).
    3. - Il nuovo art. 120 della Costituzione - il quale non puo' che
essere letto in tale contesto - deriva invece dalla preoccupazione di
assicurare  comunque,  in  un  sistema di piu' largo decentramento di
funzioni  quale  quello  delineato  dalla riforma, la possibilita' di
tutelare,  anche  al  di  la'  degli  specifici  ambiti delle materie
coinvolte e del riparto costituzionale delle funzioni amministrative,
taluni interessi essenziali che il sistema costituzionale attribuisce
alla  responsabilita'  dello  Stato,  quali  sono  il  rispetto degli
obblighi  internazionali  e comunitari, il mantenimento dell'ordine e
della  sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali, nonche' il mantenimento dell'unita' giuridica ed economica
del complessivo ordinamento repubblicano.
    Gli   interventi  governativi  contemplati  dall'art. 120,  terzo
comma,  hanno  dunque carattere «straordinario» ed «aggiuntivo», come
risulta sia dal fatto che esso allude alle emergenze istituzionali di
particolare   gravita',   che  comportano  rischi  di  compromissione
relativi   ad   interessi  essenziali  della  Repubblica,  sia  dalla
circostanza  che nulla, nella norma, lascia pensare che si sia inteso
con essa smentire la consolidata tradizione legislativa che ammetteva
pacificamente   interventi  sostitutivi,  nei  confronti  degli  enti
locali, ad opera di organi regionali.
    4.  - Come piu' ampiamente evidenziato nella gia' citata sentenza
n. 43   del   2004,   l'art. 120   Cost.,   quindi,   non  esaurisce,
concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilita' di esercizio
di poteri sostitutivi, ma si limita a prevedere un potere sostitutivo
straordinario,  da esercitarsi da parte del Governo nei casi e per la
tutela  degli  interessi  ivi  indicati; viceversa, tale norma lascia
impregiudicata   l'ammissibilita'   di   altri   casi  di  interventi
sostitutivi,  configurabili  dalla legislazione di settore, statale o
regionale,  in capo ad organi dello Stato o delle Regioni, o di altri
enti  territoriali.  Poiche' pero', come si e' detto, tali interventi
sostitutivi   costituiscono   una   eccezione   rispetto  al  normale
svolgimento    di    attribuzioni   degli   enti   locali,   soggetti
rappresentativi  dotati  di autonomia politica, attribuzioni definite
dalla  legge  sulla  base  di  criteri  oggi  assistiti  da  garanzia
costituzionale,  debbono  valere  nei  confronti di essi condizioni e
limiti non diversi da quelli elaborati nella ricordata giurisprudenza
di  questa  Corte  in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei
confronti delle Regioni.
    In  primo  luogo,  dunque,  le  ipotesi  di  esercizio  di poteri
sostitutivi   devono  essere  previste  e  disciplinate  dalla  legge
(sentenza n. 338 del 1989), che deve altresi' definirne i presupposti
sostanziali  e  procedurali;  in  secondo luogo, la sostituzione puo'
essere  prevista solo per il compimento di atti o attivita' «prive di
discrezionalita' nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel
quomodo)»  (sentenza  n. 177 del 1988), la cui obbligatorieta' sia il
riflesso  degli  interessi di livello superiore alla cui salvaguardia
provvede l'intervento sostitutivo; ancora, il potere sostitutivo deve
essere  esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base
di  una  decisione di questo, a causa dell'attitudine dell'intervento
ad   incidere   sull'autonomia  costituzionale  dell'ente  sostituito
(sentenze  n. 460  del  1989  e  n. 313  del  2003);  da  ultimo,  e'
necessario  che  la legge predisponga congrue garanzie procedimentali
per  l'esercizio  del potere sostitutivo, in conformita' al principio
di   leale   collaborazione:   dovra'   dunque   essere  previsto  un
procedimento  nel  quale  l'ente  sostituito  sia  messo  in grado di
interloquire  e  di  evitare  la  sostituzione  attraverso l'autonomo
adempimento (sentenza n. 416 del 1995 e ordinanza n. 53 del 2003)
    5. - Alla luce delle considerazioni svolte le censure prospettate
avverso  l'art. 7  della  legge  regionale  n. 37  del  2002 non sono
fondate.
    Il capo II della legge, nel quale e' inserita la norma impugnata,
disciplina  le  procedure espropriative per la realizzazione di opere
di  competenza  regionale  e  per  le  opere di difesa del suolo e di
bonifica.
    L'art. 6 conferisce ai comuni le funzioni amministrative relative
ai  procedimenti  di  espropriazione  per  la  realizzazione di opere
pubbliche  regionali,  disponendo  che  gli enti locali le esercitino
secondo  le  disposizioni contenute nella legge stessa. L'art. 6-bis,
introdotto  dalla  legge regionale dell'Emilia-Romagna 3 giugno 2003,
n. 10  (Modifiche alle leggi regionali 24 marzo 2000, n. 20, 8 agosto
2001,  n. 24,  25 novembre  2002,  n. 31 e 19 dicembre 2002, n. 37 in
materia  di  governo  del  territorio e politiche abitative), riserva
alla Regione lo svolgimento delle procedure espropriative concernenti
le  opere  di  difesa  del  suolo da essa realizzate e attribuisce ai
consorzi  di  bonifica la competenza allo svolgimento delle procedure
espropriative per tutte le opere di bonifica da essi realizzate.
    L'art. 7,  nella  sua  formulazione originaria, disponeva che «in
caso  di  persistente  inerzia nel compimento di un atto spettante ai
soggetti   di   cui  all'articolo 6,  comma 1,  nell'esercizio  delle
funzioni  conferite, la giunta regionale assegna all'ente medesimo un
termine  per  provvedere, comunque non inferiore a quindici giorni» e
che   «trascorso   inutilmente  tale  termine,  la  Giunta  assume  i
provvedimenti  necessari per il compimento dell'atto, ivi compresa la
nomina di un commissario ad acta».
    A  seguito delle modifiche introdotte dalla legge regionale n. 10
del  2003, la norma stabilisce che «per le opere pubbliche regionali,
in  caso  di  persistente inerzia del comune o del soggetto attuatore
nel  compimento  degli  atti  del  procedimento espropriativo ad esso
spettanti  ai  sensi  degli  articoli 6  e 6-bis, la giunta regionale
assegna  all'ente  medesimo  un  termine per provvedere, comunque non
inferiore  a  quindici giorni. Trascorso inutilmente tale termine, la
Giunta  assume i provvedimenti necessari per il compimento dell'atto,
ivi compresa la nomina di un commissario ad acta».
    Le  modificazioni apportate alla norma impugnata non sono tali da
incidere in modo sostanziale sul contenuto dell'art. 7 per il profilo
per il quale esso e' stato impugnato.
    La  difesa  erariale censura la norma in esame innanzitutto sotto
il  profilo  per  cui una norma regionale non potrebbe disciplinare i
casi  di  esercizio  di  potere  sostitutivo  da parte delle Regioni,
essendo  tale  disciplina  riservata alla legge statale. Tale censura
appare  infondata  alla  luce  della  considerazione secondo la quale
l'art. 120  Cost.  si  limita a disciplinare una specifica ipotesi di
carattere  straordinario,  ma  nulla  dispone  in ordine ad ulteriori
ipotesi  di  poteri  sostitutivi,  i  quali  dunque  dovranno  essere
regolati  dalla  legge  statale ovvero dalla legge regionale «secondo
l'ordine   delle   competenze  rispettivamente  (...)  fissato  dalla
Costituzione» (sent. n. 313 del 2003). Nel caso in esame lo Stato non
ha  contestato  la competenza della Regione a disciplinare la materia
regolata dalla normativa in esame.
    La  norma  impugnata  inoltre  soddisfa  i  requisiti  piu' sopra
individuati affinche' possano considerarsi rispettate le prescrizioni
costituzionali.
    Innanzitutto,  il  potere sostitutivo della Regione e' previsto e
disciplinato da una legge che regola i presupposti e le procedure per
il suo esercizio.
    In  secondo  luogo,  lo  svolgimento  di  tale potere e' connesso
all'esercizio  delle  funzioni amministrative conferite dalla Regione
ai comuni relativamente alle procedure espropriative finalizzate alla
realizzazione di opere pubbliche regionali.
    Al  riguardo, deve essere evidenziato come nulla nella lettera di
tale  disposizione autorizzi a ritenere che essa regoli anche ipotesi
di  sostituzione  nei  confronti  di  atti  o  attivita' cui gli enti
sostituendi  non  siano giuridicamente vincolati quanto meno nell'an;
viceversa, la necessita' di procedere ad una interpretazione conforme
ai  precetti  costituzionali  porta  alla  conclusione  che  la norma
oggetto  del  presente  giudizio  e'  applicabile  soltanto a casi di
mancato  o irregolare compimento di quegli atti o attivita' che siano
configurati  dalla  legge regionale n. 37 del 2002 come veri e propri
obblighi  giuridici - se non nel quando e nel quomodo, almeno nell'an
-  a  carico  degli  enti  nei  cui confronti puo' essere disposta la
sostituzione.
    L'art. 7  inoltre attribuisce l'esercizio del potere ad un organo
di   governo  della  Regione,  individuato  nella  giunta  regionale,
disponendo  che  essa  assuma i provvedimenti necessari al compimento
dell'atto ovvero nomini un commissario ad acta.
    La  norma  impugnata,  infine,  subordina  l'esercizio del potere
sostitutivo alla previa diffida del comune inadempiente al quale deve
essere  assegnato  un termine, non inferiore a quindici giorni, entro
il quale l'ente locale puo' provvedere al compimento dell'atto.
    La  congruita'  del  termine assegnato all'ente inadempiente e di
cui  la  legge  regionale  fissa  solo la durata minima dovra' essere
valutata sulla base del principio di leale cooperazione, in relazione
ai  singoli  atti  (o  attivita)  ed  alla  loro complessita', con la
conseguenza  che nel caso in cui - alla luce del principio richiamato
- tale termine appaia in concreto inadeguato, in quanto troppo breve,
l'ente   diffidato  potra'  attivare  gli  ordinari  rimedi  previsti
dall'ordinamento.
    6.   -   E'  impugnato  anche  l'art. 22  della  legge  regionale
dell'Emilia-Romagna  che  disciplina  l'edificabilita' di fatto delle
aree,  per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere l) ed m),
nonche' terzo comma, della Costituzione.
    L'art. 22    dispone    che   «ferma   restando   la   necessita'
dell'edificabilita' legale di cui all'art. 20, un'area possiede anche
il  carattere della edificabilita' di fatto quando sono gia' presenti
o  in  corso di realizzazione, nell'ambito territoriale in cui l'area
stessa  si inserisce, le dotazioni territoriali richieste dalla legge
ovvero dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica».
Il secondo comma della norma, poi, consente alla Regione di integrare
e  specificare, con apposita direttiva, «i criteri ed i requisiti per
valutare l'edificabilita' di fatto delle aree».
    7.  -  Deve innanzitutto essere esaminata la censura mossa a tale
norma in relazione all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
    Sostiene  l'Avvocatura  che  l'art. 22  contrasta  con i principi
fondamentali  dettati  o  da  desumersi  dalla  normazione statale in
riferimento  alla individuazione della edificabilita' di fatto, senza
specificare  quali siano i principi che si assumono violati o da dove
questi possano desumersi.
    La censura, nei termini in cui e' formulata, si rivela generica e
deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.
    8.  -  Nel ricorso si sostiene inoltre che l'art. 22, attribuendo
rilevanza, ai fini della determinazione dell'indennita' di esproprio,
«anche»   alla   edificabilita'   di  fatto,  ovvero  richiedendo  la
«compresenza» sia della edificabilita' legale che di quella di fatto,
contrasta   con   il   diritto   vivente  che  ha  riconosciuto  alla
caratteristica  in  esame  valore meramente sussidiario rispetto alla
possibilita'  legale  di  edificare.  In tal modo, la norma regionale
inciderebbe  sul  regime  dei  suoli  in  violazione della competenza
esclusiva  dello Stato a legiferare in materia di ordinamento civile,
nonche'  di  prestazioni  concernenti  i  diritti civili da garantire
uniformemente su tutto il territorio nazionale.
    Tale censura non e' fondata.
    Il  tenore  letterale  della  norma  regionale  risulta del tutto
coerente  con  la  norma statale contenuta nell'art. 37, comma 3, del
d.P.R.   8   giugno 2001,  n. 327  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilita),  il  quale  stabilisce  che,  ai  fini della determinazione
dell'indennita'  di esproprio, «si considerano le possibilita' legali
ed  effettive  di  edificazione, esistenti al momento dell'emanazione
del decreto di esproprio o dell'accordo di cessione».
    L'art. 22  della  legge  regionale impugnata stabilisce quando un
terreno presenta i caratteri dell'edificabilita' di fatto; nulla dice
sul ruolo da riconoscere a tale elemento ai fini della determinazione
dell'indennizzo,  se  non  che il medesimo non puo' prescindere dalla
sussistenza  dell'edificabilita'  legale.  L'inciso  contenuto  nella
disposizione,   «ferma  restando  la  necessita'  dell'edificabilita'
legale   di   cui  all'art. 20»,  attesta  infatti  la  volonta'  del
legislatore  regionale  di  non  dare all'edificabilita' di fatto una
rilevanza autonoma rispetto alla edificabilita' legale.
    Il   contenuto  normativo  dell'art. 22  deve  dunque  rinvenirsi
soltanto  nella  individuazione  degli elementi in presenza dei quali
puo'  riconoscersi  ad  un'area  il carattere della edificabilita' di
fatto.
    La  formulazione  della  norma  regionale ne consente una lettura
conforme all'interpretazione che del requisito in esame ha fornito la
piu' recente giurisprudenza di legittimita', la quale ha riconosciuto
all'edificabilita'  di fatto un valore esclusivamente suppletivo - in
carenza   di   strumenti   urbanistici   -  ovvero  complementare  ed
integrativo  agli effetti della determinazione del concreto valore di
mercato dell'area espropriata, incidente sul calcolo dell'indennizzo.
    9.  -  Il  ricorrente  censura  infine  l'art. 22  per violazione
dell'art. 117,  secondo  comma, lettera m), della Costituzione, nella
parte  in  cui  prevede  i  requisiti  che conferiscono ad un'area il
carattere   della   edificabilita'   di   fatto.   Sostiene   infatti
l'Avvocatura  che  la  loro  individuazione  e'  riservata allo Stato
dall'art. 5-bis  del  decreto-legge  11 luglio  1992,  n. 333 (Misure
urgenti per il risanamento della finanza pubblica) e dall'art. 37 del
d.P.R.  n. 327 del 2001, che rinviano ad un regolamento ministeriale,
e  cio'  in  ragione  di esigenze di uniformita' che e' compito dello
Stato assicurare.
    Anche tale censura non e' fondata.
    L'art. 22   della  legge  regionale  non  regola  le  prestazioni
concernenti  diritti civili, ne' tale contenuto presenta la normativa
statale  di riferimento (tanto l'art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992,
quanto  l'art. 37  del  d.P.R.  n. 327 del 2001). Esso neppure incide
sull'   esigenza   di  assicurare  uniformita'  nella  determinazione
dell'indennita' di esproprio. La disposizione censurata, infatti, non
individua   modalita'  o  criteri  di  calcolo  dell'indennizzo,  ne'
quantifica l'entita' dello stesso (al cui proposito, semmai, potrebbe
porsi  un'esigenza di definizione uniforme), ma - come gia' osservato
-  si  limita  ad  affermare  la  necessita' che siano specificate le
condizioni  in  presenza  delle  quali  un'area possiede il carattere
dell'edificabilita' di fatto.