ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 497, comma 2,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro,  con  ordinanza  del 12 dicembre 2002, iscritta al n. 45
del  registro  ordinanze  2003  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 21 gennaio 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Venezia,  sezione distaccata di
Portogruaro,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 497,
comma 2,  del  codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non
prevede  il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal
reato  costituita  parte  civile,  con  la conseguenza di sottoporla,
nonostante  sia  interessata  all'esito  del giudizio, all'obbligo di
dire  la  verita'  e di prestare «giuramento», cosi' consentendo, «di
fatto,   che  la  prova  della  colpevolezza  dell'imputato  si  basi
esclusivamente o quasi esclusivamente sulle sue dichiarazioni»;
        che  il  Tribunale  -  premesso  che  la  questione  e' stata
prospettata  dalla  difesa degli imputati - ritiene che la disciplina
censurata  determini  una situazione processuale di squilibrio tra le
parti, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost;
        che  in  particolare  il  rimettente  rileva, in relazione al
valore  da  attribuire  alla deposizione della persona offesa, che la
giurisprudenza  di  legittimita'  per  un verso ha affermato che tale
testimonianza deve essere valutata «con ogni opportuna cautela» e che
puo'  «essere  assunta,  come  fonte  di  prova,  unicamente se venga
sottoposta  a [un] riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva»,
«sorretto   da  adeguata  e  coerente  giustificazione»;  dall'altro,
seguendo   un  indirizzo  «meno  rigoroso»,  ha  ritenuto  che  «puo'
attribuirsi  piena  efficacia  probatoria  alla  testimonianza  della
persona  offesa  dal  reato  qualora  ne  sia  accertata l'intrinseca
coerenza  logica,  anche  quando  essa  costituisca  l'unica  prova e
manchino elementi esterni di riscontro»;
        che,   «nella   pratica»,  la  «stragrande  maggioranza»  dei
procedimenti   penali  che  hanno  origine  da  una  denuncia-querela
presentata  dalla  parte  lesa  si fonderebbero soltanto «sulla prova
fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre
costituitosi  parte  civile,  ovvero  sulle  deposizioni  di prossimi
congiunti  di  questi,  per  i  quali,  specularmente,  [...]  non e'
previsto il divieto di testimoniare o la facolta' di astensione dalla
deposizione come per i prossimi congiunti dell'imputato»;
        che  percio',  ove  il  giudice  applicasse  i principi sulla
valutazione   della   testimonianza  della  persona  offesa  dapprima
menzionati,  il  processo penale quasi sempre «si dovrebbe concludere
con l'assoluzione dell'imputato»; di contro, se il giudice basasse la
sua  motivazione  di  condanna esclusivamente sugli elementi di prova
forniti  dalla  persona  offesa,  «ne  verrebbe (e di fatto ne viene)
fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti»;
        che, in definitiva, il rimettente, pur dando atto che analoga
questione,  sollevata in relazione all'art. 197, comma 1, lettera c),
cod.  proc.  pen.,  e'  stata  dichiarata manifestamente infondata da
questa   Corte  con  ordinanza  n. 115  del  1992,  vorrebbe  che  la
deposizione  della  persona  offesa  fosse  assunta con modalita' che
consentano  di  attribuirle  lo  stesso  valore  delle  dichiarazioni
dell'imputato;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  osservando  nel  merito  che  la  questione e' nella sostanza
uguale  alle  altre  gia' piu' volte esaminate e dichiarate infondate
dalla Corte;
        che,  d'altra  parte,  dalla  stessa  ordinanza di rimessione
emerge come non vi sia affatto bisogno di introdurre nell'ordinamento
una  preclusione  alla  testimonianza della parte civile, dal momento
che  la  giurisprudenza  ha  oramai  individuato canoni e criteri per
scongiurare  l'evenienza  di  un'acritica acquisizione al processo di
dichiarazioni la cui obiettivita' non sia accertata.
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 497,  comma 2,  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in  cui  non pone il divieto di esaminare come
testimone  la  persona  offesa  dal  reato  costituita parte civile e
consente cosi' che la prova della colpevolezza dell'imputato si fondi
esclusivamente  su  tale  deposizione,  determinando  una  situazione
processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e
24 della Costituzione;
        che questioni analoghe, sollevate, in riferimento ai medesimi
parametri, in relazione all'art. 197, comma 1, lettera c), cod. proc.
pen.  - ove l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone e' prevista
solo per il responsabile civile e per la persona civilmente obbligata
per  la pena pecuniaria - e agli artt. 197 e 208 cod. proc. pen. - in
quanto  prevedono  forme  diverse  per l'esame della persona offesa e
dell'imputato  -,  nonche' in relazione alla disciplina del codice di
procedura  penale del 1930 - ove era espressamente previsto l'obbligo
della  persona  offesa  di  testimoniare,  anche  se costituita parte
civile   -,  sono  state  rispettivamente  dichiarate  manifestamente
infondate  con  le  ordinanze  n. 115  del  1992 e n. 374 del 1994, e
infondate con le sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971;
        che,  in  particolare,  nell'ordinanza n. 115 del 1992 questa
Corte,  richiamandosi  alle  argomentazioni  svolte  nelle precedenti
sentenze,  ha  ribadito  la  ragionevolezza di una scelta legislativa
fondata  sul  presupposto  che  «la rinuncia al contributo probatorio
della  parte  civile  costituisse  un  sacrificio troppo grande nella
ricerca  della  verita'  processuale»  rilevando  inoltre  che,  alla
stregua   di   un   consolidato  orientamento  giurisprudenziale,  la
deposizione della persona offesa costituita parte civile «deve essere
valutata  dal  giudice  con prudente apprezzamento e spirito critico,
non  potendosi essa equiparare puramente e semplicemente a quella del
testimone, immune dal sospetto di interesse all'esito della causa»;
        che,   d'altro   canto,   lo   stesso   rimettente  da'  atto
dell'orientamento   della   Cassazione  secondo  cui  la  deposizione
testimoniale della persona offesa costituita parte civile deve essere
sottoposta  ad un riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva, e
il  convincimento  del  giudice  su  tale  fonte di prova deve essere
sorretto  da  adeguata  e  coerente motivazione, cosi' dimostrando di
essere  al  corrente  dell'indirizzo  giurisprudenziale  che dovrebbe
fugare  qualsiasi  dubbio circa il rischio che la testimonianza della
persona   offesa   venga   acriticamente  assunta  come  prova  della
responsabilita' dell'imputato;
        che,  malgrado  il rimettente formalmente censuri l'art. 497,
comma 2,  cod. proc. pen., la questione e' posta negli stessi termini
di  quelle  che hanno avuto ad oggetto gli artt. 197 e 208 cod. proc.
pen., ovvero l'analoga disciplina del codice del 1930;
        che,  non  avendo  questa  Corte  motivo di discostarsi dalle
ragioni  poste  a  base delle pronunce sopra menzionate, la questione
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.