Ricorso nei confronti della Regione Marche, in persona del suo Presidente della Giunta, avverso l'art. 4 della legge regionale 23 dicembre 2003, n. 29, intitolata «Norme concernenti la vigilanza sull'attivita' edilizia nel territorio regionale», pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 122 del 30 dicembre 2003. La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 febbraio 2004 (si depositera' estratto del relativo verbale). La Regione Marche ha proposto una prima controversia (reg. ric. n. 81 del 2003) di legittimita' costituzionale nei riguardi (anche) dei commi da 25 a 41 (non pure il 43) dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 ed una seconda similare controversia nei riguardi (anche) dei commi anzidetti del medesimo art. 32, come risultato dalla conversione nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Con la legge ora in esame la Regione ha disposto nell'art. 4, comma 6 che «non si applicano nel territorio regionale le disposizioni di cui ai commi da 25 a 38 ed ai commi 40, 41 e 43 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ad eccezione di quelle in materia di oblazione penale». Nello stesso comma 6 il legislatore regionale premette di avere «con la presente legge» effettuato l'adeguamento alle disposizioni del testo unico approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e quindi fornisce una lettura per cosi' dire «condizionante» del comma 2 del menzionato art. 32. Una siffatta lettura di questo comma 2 non e' pero' condivisibile; detto comma (premesso all'intero art. 32 e non soltanto ai commi di esso menzionati dalla legge in esame) fa riferimento al contesto generale e d'insieme entro il quale i commi successivi dello stesso art. 32 vanno a collocarsi, e si limita a rammentare l'esigenza di un rinnovato «adeguamento» di tutte le leggi regionali in essere. Comunque, la normativa introdotta dai commi dell'art. 32 citato che l'art. 4, comma 6 della legge marchigiana in esame intende rendere non applicabili va molto oltre le sanatorie «a regime» previste nei commi da 1 a 5 dello stesso art. 4. Non puo' certo contestarsi che gli anzidetti commi dell'art. 32 introducono innovativamente un principio generale non presente nella legislazione regionale. La controversia concerne dunque non gia' se le disposizioni contenute nella legge in esame siano o meno sufficienti, ma se allo Stato era consentito porre le regole che si vorrebbero rendere non applicabili ed i principi che si vorrebbero lasciare inosservati. Quanto osservato rende palese come le parole «ad eccezione di quelle in materia di oblazione penale» (nel citato comma 6) siano destinate a rimanere prive di concreta effettivita' qualora il «non si applicano» che le precede superasse il vaglio di legittimita' costituzionale per non essersi ravvisata lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale» (art. 117, comma secondo, lettera l) Cost.). Competenza legislativa esclusiva che il legislatore statale ha utilizzato nel produrre quelle norme sull'oblazione che costituiscono il fulcro delle disposizioni che si vorrebbero non applicabili, e che il legislatore marchigiano solo apparentemente salvaguarda. Posto che la materia «ordinamento penale» e' di esclusiva competenza statale, la sottrazione dal territorio nazionale del territorio di una o piu' Regioni introduce disuguaglianze (art. 3 Cost.) non legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle autonomie regionali. Queste non possono condurre a discipline diversificate nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Non pare che fatti identici (ad esempio, edificazioni in assenza di permesso di costruire) siano repressi penalmente in una Regione, e non repressi perche' sanati «per condono» in altre Regioni. In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che irriguardosa dell'art. 117, comma secondo, lettera l) Cost. e lesiva dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, comma terzo Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127 comma secondo e 134 Cost. Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003, n. 350), impedire l'applicazione nel territorio di una Regione dei commi menzionati nel comma 2 dell'art. 1 in esame concreta una ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi una lesione di quella «autonomia finanziaria» che anche, ed anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una compressione della competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari», una sottrazione di risorse destinate alla copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di stabilita' concordato a livello da Unione europea. L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a finanza derivata» le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato. La Regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra di finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare altrimenti l'invarianza del «livello massimo del saldo netto da finanziare» (art. 1, comma 1 della legge finanziaria citata), ad esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato. D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma terzo Cost. che riconosce allo Stato la competenza alla «determinazione dei principi» (si noti «determinazione», e non ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le evidenti e plurime connessioni con la materia «ordinamento civile» (art. 117, comma secondo, lettera l) Cost.) - produrre la disciplina normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non ordinari, quali quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia. Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente - che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre norme meramente demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare l'unita' della Repubblica (art. 5 Cost. ) e comunque concretano una sosta di anomala «autodichia». L'ordinamento costituzionale (ora art. 127, comma secondo Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta' di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei Consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio governativo, e facendo leva sulla successione della leggi nel tempo - essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza del ricorso della Regione). Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per il sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello Stato e delle autonomie. Si confida in un insegnamento di codesta Corte, il quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare appieno l'autorita' del Parlamento nazionale. La legge regionale in esame, impedendo ai proprietari di immobili siti nella Regione Marche (proprietari non necessariamente in essa residenti) l'accesso alla sanatoria straordinaria degli abusi edilizi durante la pendenza del processo costituzionale, arreca pregiudizio all'interesse dello Stato e degli enti «a finanza derivata» al conseguimento degli introiti «da condono» previsti dal bilancio e dalla legge finanziaria dello Stato. Lo Stato potrebbe trovarsi costretto a sostituire i mancati o ritardati introiti con manovre di finanza straordinaria (per le quali del resto i parametri di Maastricht lasciano margini strettissimi) e con inasprimenti ulteriori della gia' pesante fiscalita', cosi' soffocando ogni speranza di «agganciare» la auspicata ripresa economica e rendendo problematica persino il rimanere all'interno di un contesto concorrenziale; oppure - in alternativa - ad operare «tagli» alla spesa pubblica sia corrente (compreso il «welfare») sia per investimenti. La scelta di ricorrere ad introiti «da condono» non e' stata voluttuaria o di tolleranza degli abusi; essa e' stata imposta dalla bassa congiuntura e dalla distanza che, malgrado semisecolari progressi, ancora separa il nostro Paese dalle economie piu' solidamente strutturate. Inoltre, la legge in esame arreca pregiudizio all'ordinamento giuridico della Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel prospettare i motivi di ricorso. Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale) di non impegnare codesta Corte nell'esame di istanze cautelari; e pero' istanze siffatte sono state formulate da Regioni ricorrenti avverso l'art. 32 citato. La sospensione ex art. art. 9, comma 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131 e' chiesta solo per l'art. 4, comma 6 della legge in esame.