Ricorso della Regione Umbria, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 140 del 19 febbraio 2004 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura del 23 febbraio 2004, n. di rep. 310910 (doc. 2), rogata dal notaio Biavati del Collegio di Perugia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri n. 5, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 17, 18, 20 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2003, supplemento ordinario n. 196/L, per violazione degli artt. 3, 117, 118, 119 Cost., e dei principi costituzionali di legalita' sostanziale, uguaglianza, ragionevolezza, leale collaborazione, nei modi e per i profili di seguito illustrati. Fatto e diritto La legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004) contiene diverse disposizioni concernenti molte e differenziate materie, accomunate dal fatto di avere direttamente o indirettamente rilievo finanziario. In particolare, essa dedica alcune disposizioni alla precisazione della regola posta dall'art. 119, sesto comma, secondo il quale le regioni possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. Ribadita al comma 16 tale regola, il comma 17 stabilisce quali operazioni costituiscano indebitamento, e rientrino cosi' nel divieto. Precisamente, esso dispone (primo periodo) che «per gli enti di cui al comma 16 costituiscono indebitamento, agli effetti dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, l'assunzione di mutui, l'emissione di prestiti obbligazionari, le cartolarizzazioni di flussi futuri di entrata non collegati a un'attivita' patrimoniale preesistente e le cartolarizzazioni con corrispettivo iniziale inferiore all'85 per cento del prezzo di mercato dell'attivita' oggetto di cartolarizzazione valutato da un'unita' indipendente e specializzata». Aggiunge poi (secondo periodo) che «costituiscono, inoltre, indebitamento le operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche», mentre non costituiscono indebitamento (terzo periodo) «le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidita' e di effettuare spese per le quali e' gia' prevista idonea copertura di bilancio». L'ultimo periodo del comma 17 statuisce che «modifiche alle predette tipologie di indebitamento sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, sulla base dei criteri definiti in sede europea». A sua volta, il comma 18 stabilisce quali operazioni possano rientrare nel concetto di «investimento» ai fini di cui all'art. 119, sesto comma, della Costituzione. Precisamente, secondo tale disposizione costituiscono investimenti: «a) l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali; b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti; c) l'acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale; d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; e) l'acquisizione di aree, espropri e servitu' onerose; f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facolta' di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti; g) i trasferimenti in conto capitale destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni; h) i trasferimenti in conto capitale in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all'erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. In tale fattispecie rientra l'intervento finanziario a favore del concessionario di cui al comma 2 dell'art. 19 della legge 11 febbraio 1994, n. 109; i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalita' pubblica volti al recupero o alla valorizzazione del territorio». Il comma 20, poi, dispone che «le modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18 sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT». Il riferimento al comma 17, si notera', e' meramente ripetitivo dell'ultimo periodo dello stesso comma, il quale inoltre era piu' ampio, riferendosi per le modifiche al parametro dei criteri definiti in sede europea Tali disposizioni restringono le possibilita' di azione delle regioni rispetto alla regola costituzionale, e presentano diversi elementi e profili di illegittimita'. Nel contenuto, va premesso che la regola costituzionale del divieto di indebitamento se non per investimenti e' direttamente operativa, e non demanda alcun compito attuativo alla legge statale. Anche se si ammettesse che questa possa dettare posizioni specificative ed attuative, e' pero' evidente che tali disposizioni dovrebbero attenersi al concetto economico di investimenti, e non potrebbero arbitrariamente restringerlo, estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che esso non era destinato a coprire. In particolare, e' da sottolineare che il comma 18, lettere g) ed h), considera «investimenti» solo i trasferimenti in conto capitale effettuati a favore di determinati soggetti, cosi' precludendo alle regioni la possibilita' di ricorrere all'indebitamento per effettuare trasferimenti in conto capitale di altro tipo, cioe', essenzialmente, per concedere contributi ai privati per i loro investimenti. In questo modo la norma statale restringe irragionevolmente un consolidato concetto di investimento, escludendo dal suo ambito alcuni trasferimenti in conto capitale in quanto effettuati a favore di privati anziche' a favore di soggetti pubblici. E' invece chiaro che la tipologia del soggetto destinatario non modifica la natura economica della spesa e che i trasferimenti in conto capitale ai privati non possono ragionevolmente essere esclusi dal concetto di investimento (e, dunque, dalla possibilita' dell'indebitamento). Il comma 18, dunque, incide sull'autonomia finanziaria regionale restringendo irragionevolmente il concetto di investimenti, violando l'art. 119 Cost., nonche', quanto al carattere discriminatorio della restrizione, l'art. 3 Cost. L'irragionevolezza della norma, gia' chiara in assoluto, emerge anche all'interno della stessa legge n. 305 del 2003, se si pone mente al fatto che l'art. 4, intitolato Finanziamento agli investimenti contempla sin dal primo comma contributi a privati (e poi ne sono previsti molti altri). Ora - anche tralasciando il fatto che finanziare gli investimenti e' ovviamente esso stesso, dal punto di vista dell'ente finanziatore, un investimento - in ogni caso l'art. 119, sesto comma, espressamente consente l'indebitamento «per finanziare spese di investimento». Del tutto illegittima pertanto l'esclusione da tale categoria, per le regioni, di una tipologia di spesa che lo stesso legislatore statale qualifica come «finanziamento agli investimenti». Inoltre, la definizione contenuta nel comma 18, lettere g) ed h), non corrisponde alla disciplina dei «trasferimenti in conto capitale» contenuta nel regolamento CE n. 2223/1996 del 25 giugno 1996 (punto D.9), relativo al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella comunita'. Tale regolamento, fra l'altro, comprende nell'ambito dei trasferimenti in conto capitale, i «contributi agli investimenti» (D.92) e fra questi sono espressamente menzionati quelli alle imprese private o a soggetti privati diversi dalle imprese. Dunque, le norme impugnate violano anche l'art. 117, coma primo, Cost.., ed anche tale illegittimita' si traduce in lesione dell'autonomia finanziaria regionale. Infine, le norme in questione differenziano irragionevolmente le possibilita' di indebitamento delle regioni da quelle dello Stato, per il quale continua a valere la disciplina comunitaria: e anche questa illegittimita' si traduce in lesione dell'autonomia finanziaria regionale. Illegittime risultano anche le norme che prevedono che gli elenchi di cui agli artt. 17 e 18 possano essere modificati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT. In primo luogo e' da segnalare che, come gia' accennato, mentre l'ultimo periodo del comma 17 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a modificare le tipologie di indebitamento, sentito l'ISTAT, «sulla base dei criteri definiti in sede europea», il comma 20 prevede, per la modifica sia delle tipologie di indebitamento che di quelle di investimento, un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, ma senza piu' richiamare i «criteri definiti in sede europea». La differenza non e' irrilevante perche' il comma 17 potrebbe essere inteso nel senso che il Ministro e' autorizzato a apportare quelle modifiche rese necessarie da nuovi criteri elaborati a livello comunitario, mentre il comma 20 sembra prevedere un regolamento ministeriale «in deroga», discrezionalmente adottabile dal Ministro. Entrambe le norme, comunque, risultano illegittime. La materia in questione e' il «coordinamento della finanza pubblica», che rientra nella competenza concorrente di Stato e regioni. In tali materie, l'attuazione delle fonti comunitarie non self-executing e' regolata, tuttora, dall'art. 9, legge n. 86 del 1989 (come e' noto, la legge n. 131 del 2003 non si e' occupata della materia, mentre una apposita legge modificativa della legge n. 86 del 1989 e' in corso di discussione). In attesa della legge regionale di recepimento, e' ammesso che sia lo Stato ad attuare la direttiva, ma e' necessario che cio' avvenga, perlomeno, con un regolamento governativo (v. art. 9, comma 4 legge n. 86 del 1989). Dunque, la previsione di un decreto del Ministro (sostanzialmente regolamentare) per il recepimento dei «criteri» europei in materia di competenza concorrente risulta lesiva della sfera costituzionale di competenza regionale, dato che la competenza dell'organo collegiale, prevista dalla legge n. 86 del 1989, deve ritenersi costituzionalmente necessaria in relazione al rango costituzionale dell'autonomia regionale. Quanto al comma 20, che non fa riferimento ai criteri europei, esso e' ancor piu' chiaramente illegittimo in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in materia di competenza concorrente, in violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. Della natura sostanzialmente regolamentare del decreto ministeriale previsto dalle norme di cui sopra non sembra potersi dubitare. Ma, anche qualora si ritenesse che esse prevedano, invece, una funzione amministrativa attribuita al Ministro in virtu' del principio di sussidiarieta', non verrebbe meno l'illegittimita', dato che, comunque, mancherebbe qualsiasi meccanismo di coinvolgimento delle regioni, in contrasto con principio di leale collaborazione e secondo quanto richiesto dalla sentenza n. 303 del 2003. Infine, nella parte in cui si riferisce alle tipologie di cui al comma 18, il comma 20 risulta illegittimo anche perche' conferisce al Ministro un «nudo» potere discrezionale, senza formulare criteri idonei a guidare l'esercizio del potere, in violazione del principio di legalita' sostanziale; ne' tale mancanza puo' essere compensata dal parere dell'ISTAT, la cui opinione non ha ne' la funzione ne' gli effetti giuridici di criteri fissati nella legge. Poiche' al Ministro e' affidato un potere dal tutto discrezionale capace di incidere notevolmente sull'autonomia regionale, la violazione del principio di legalita' sostanziale (che si aggiunge a quella dell'art. 117, sesto comma e del principio di leale collaborazione) si traduce in lesione dell'autonomia stessa.