ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1,
del  decreto  legislativo  31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30  della  legge  30 dicembre  1991,  n. 413)  promosso con
ordinanza  del  23 maggio 2002 dalla Commissione tributaria regionale
di  Roma  sull'appello  proposto da Raffaele Lamenza contro l'Ufficio
IVA  di  Roma,  iscritta  al  n. 290  del  registro  ordinanze 2003 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 21 gennaio 2004 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza del 23 maggio 2002, la Commissione
tributaria  regionale  di  Roma - nel giudicare sull'appello proposto
avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma
che  aveva  dichiarato  inammissibile il ricorso proposto da Raffaele
Lamenza  oltre  il  termine  di  sessanta giorni dalla notifica degli
avvisi in rettifica delle dichiarazioni IVA - ha sollevato d'ufficio,
in  relazione all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, del
decreto   legislativo  31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30  della  legge  30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in
cui non consente l'impugnazione tardiva dell'atto impositivo da parte
del  contribuente  che  non  abbia  potuto  per caso fortuito o forza
maggiore  proporre  ricorso entro il termine di sessanta giorni dalla
data della notificazione dello stesso;
        che,  nella specie, la presentazione del ricorso era avvenuta
il  29 dicembre  1997,  avverso gli avvisi notificati il 19 settembre
1997,  per  essere stato il ricorrente «trattenuto» presso il carcere
di    Francoforte    sul   Meno   dal   giorno 3 novembre   1997   al
giorno 19 dicembre 1997;
        che,   ad   avviso   del  rimettente,  il  problema  cruciale
dell'accesso   alla   giustizia   va   individuato  nella  necessaria
effettivita'  della  tutela  giudiziaria da intendersi quale concreta
esercitabilita' del diritto di difesa;
        che   «la   rilevanza   impeditiva   del   limite   temporale
inderogabile  e'  apprezzabile  unicamente  laddove  si  coltivi  una
nozione  concreta  di  azione,  che, in proiezione soggettiva, appare
piu'  correttamente come il diritto ad un'attivita' giudiziale che si
sviluppi  in  una  serie  di  situazioni  le  quali sintetizzino, nel
processo,  il  minimo  necessario  e  sufficiente di poteri idonei ad
ottenere un provvedimento decisorio»;
        che  «appare  insostenibile  che  mere  esigenze  di  tecnica
endoprocessuale  volte  alla  ricerca  di  un punto di equilibrio tra
celerita'  ed  economia  dei  giudizi  possano  essere  sufficienti a
giustificare  l'indiscriminato  condizionamento  temporale (o modale)
delle  garanzie  processuali  costituzionalmente  previste  a  tutela
dell'individuo»;
        che  nel  giudizio  innanzi  a questa Corte e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale  ha  concluso per
l'inammissibilita'  -  non costituendo la carcerazione preventiva una
causa  di  forza  maggiore,  non  impedendo la stessa l'esercizio dei
diritti  -  e,  comunque,  per  l'infondatezza  della  questione, dal
momento  che  nella  valutazione  della  congruita' del termine vanno
contemperati  motivi  di  certezza ed uniformita' con l'interesse del
soggetto ad ottenere tutela per i propri diritti.
    Considerato  che  il giudice rimettente afferma in modo del tutto
apodittico la rilevanza della questione nel giudizio a quo;
        che in particolare il rimettente, andando di contrario avviso
rispetto   all'orientamento   della  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione, non indica le ragioni per le quali, invece, la detenzione
all'estero dovrebbe integrare una causa di forza maggiore;
        che,  in  difetto  di plausibile motivazione relativamente al
profilo  anzidetto,  l'invocato  intervento  additivo della Corte non
risolverebbe  la  fattispecie  oggetto  di  giudizio  per  il giudice
rimettente,  in  quanto  essa non rientrerebbe nella previsione della
norma come auspicabilmente modificata;
        che  l'ordinanza  non e' quindi idonea a dare valido ingresso
al  giudizio  di  legittimita' costituzionale (ex plurimis: ordinanze
n. 207, n. 50 e n. 1 del 2003; n. 280, n. 205 e n. 43 del 2002) e che
la   relativa   questione   deve   essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.