LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto da
Guttadauro  Carlo  Salvatore,  nato a Bagheria in data 29 marzo 1956,
avverso  il  decreto  emesso  in  data  8  luglio 2002 dalla Corte di
appello di Palermo;
    Udita la relazione fatta dal consigliere dott. Giantranco Riggio;
    Esaminati gli atti;
    Sentite  le  conclusioni  del p.g., dott. Gioacchino Izzo, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;

                          Ritenuto in fatto

    Con decreto del 21 maggio 2001, il Tribunale di Palermo disponeva
l'applicazione   della   misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale  di  pubblica  sicurezza  per  la durata di quattro anni nei
confronti  di  Guttadauro  Carlo  Salvatore,  al  quale  era  imposto
l'obbligo  di  versamento di una cauzione di cento milioni di lire, e
respingeva  la  richiesta del p.m. rivolta ad ottenere la confisca di
beni mobili e immobili appartenenti al proposto o dei quali lo stesso
aveva la disponibilita'.
    Pronunciando sugli appelli del Guttadauro e del p.m., la Corte di
appello  di  Palermo,  con  decreto  dell'8  luglio  2002, confermava
l'applicazione  della  misura  di  prevenzione  personale  e, a norma
dell'art. 2-ter  della  legge  31  maggio  1965, n. 575, disponeva il
sequestro  e  la  contestuale  confisca  delle azioni della Sud Pesca
S.p.A.,  delle  quali  il  Guttadauro  era  titolare, senza che fosse
dimostrata la legittima provenienza.
    La corte territoriale riteneva accertata la pericolosita' sociale
attuale del proposto sulla base della sentenza emessa il 2 marzo 2002
dal  Tribunale  di  Palermo,  con  la  quale  il Guttadauro era stato
condannato alla pena di dieci anni di reclusione perche' riconosciuto
responsabile del delitto di cui all'art. 416-bis c.p., osservando che
tale  decisione,  pur  non  essendo irrevocabile, conteneva precisi e
puntuali  elementi  di  prova,  tra i quali attendibili dichiarazioni
accusatorie  di  piu' collaboratori di giustizia, che dovevano essere
utilizzati  nel  procedimento  di  prevenzione  a dimostrazione della
pericolosita'   qualificata   del   proposto   quale   indiziato   di
appartenente  all'associazione  di  stampo  mafioso  denominata «cosa
nostra».  Quanto alla misura di prevenzione patrimoniale, la Corte di
merito  esaminava la documentazione acquisita e riteneva che soltanto
la  partecipazione  azionaria alla Sud Pesca S.p.A. fosse derivata da
mezzi finanziari di provenienza illecita.
    Il  difensore  del  Guttadauro  proponeva  ricorso per Cassazione
chiedendo  l'annullamento  del  decreto  per  i  seguenti  motivi: a)
violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione agli
artt. 1  e  2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sull'assunto che il
giudice   della  prevenzione  non  aveva  valutato  criticamente  gli
elementi di prova acquisiti nel processo penale, omettendo, cosi', di
osservare   il   principio   dell'autonomia  tra  processo  penale  e
procedimento  di  prevenzione:  inoltre,  per  escludere l'attualita'
della pericolosita' sociale, non era stato tenuto conto del fatto che
il  proposto si era trasferito in Turchia dal 1986 e che dal 1991 era
stabilmente  residente  in  tale  Paese, onde l'accertamento relativo
all'abituale  dimora  nel  Comune  di  Bagheria  era  il risultato di
argomentazioni  logiche  e  giuridiche  viziate dall'utilizzazione di
premesse  del  tutto inconducenti; b) violazione dell'art. 606, comma
1,  lett. b), in relazione all'art. 597 c.p.p., per la ragione che la
corte   palermitana,   dopo   avere   considerato  non  condivisibile
l'impostazione  dell'impugnazione del p.m., che tendeva alla confisca
indiscriminata  di  tutti  i  beni  del  Guttadauro in relazione alle
illecite modalita' di mantenimento e di accrescimento del patrimonio,
in   dipendenza   della   qualita'   di   indiziato  di  appartenenza
all'associazione mafiosa, aveva, poi, superato i limiti del devolutum
procedendo  alla  verifica  della  provenienza illecita delle risorse
impiegate  nell'acquisizione  delle  azioni  della soc. Sud Pesca; c)
violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione agli
artt. 2-ter  e  segg. della legge n. 575 del 1965, sul rilievo che la
corte  era  incorsa  in  una  serie di errori nella valutazione della
documentazione  in  atti  e  nella  ricostruzione  del patrimonio del
Guttadauro.
    Nella  sua  requisitoria  scritta, il procuratore generale presso
questa  corte  chiedeva  il  rigetto  del  ricorso, osservando che il
sindacato di legittimita' sui provvedimenti in materia di prevenzione
e'  limitato  al  vizio  di  violazione  di  legge  e dunque, a norma
dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, non si estende al controllo
dell'adeguatezza  e  della  coerenza  logica dell'iter giustificativo
della  decisione:  precisava  che, in ogni caso, il decreto impugnato
risulta  sorretto  da  una motivazione corretta e del tutto correlata
alle  risultanze  in  atti, valutate nel quadro di principi normativi
esattamente interpretati ed applicati.
    Con  motivi  aggiunti  del  24  settembre  2003,  la  difesa  del
ricorrente contestava il contenuto della requisitoria del procuratore
generale   e  sviluppava  le  censure  formulate  contro  il  decreto
impugnato  relativamente  alla  violazione del principio di autonomia
del   procedimento   di  prevenzione  rispetto  al  processo  penale,
all'accertamento  del  luogo  di  residenza  e di dimora abituale del
proposto, alle numerose contraddizioni e agli errori di calcolo nella
ricostruzione della provenienza delle risorse patrimoniali.

                       Considerato in diritto

    1.  - Preliminarmente deve osservarsi che, benche' nei motivi del
ricorso  e nei motivi aggiunti la difesa del proposto non abbia fatto
mai  riferimento  al vizio di illogicita' manifesta della motivazione
indicato  nell'art. 606,  comma  1, lett. e) c.p.p., la maggior parte
delle  censure mosse contro il provvedimento impugnato attengono alla
congruenza   logica   del  discorso  giustificativo  della  decisione
impugnata,  dato  che l'effettivo contenuto critico dell'impugnazione
e'  diretto  a  porre in discussione l'adeguatezza logica delle linee
argomentative lungo le quali si e' sviluppato il ragionamento seguito
dalla  corte  di  merito  nella valutazione degli indizi tratti dalle
chiamate  di  correo acquisite nel processo penale, nell'accertamento
del  luogo  in  cui  si  e'  manifestata la pericolosita' sociale del
Guttadauro e dell'attualita' della stessa, nonche' nell'apprezzamento
delle  risultanze  probatorie  riguardanti le fonti del reddito e, in
particolare, la provenienza delle risorse finanziarie investite nella
S.p.A Sud Pesca.
    2.  -  E'  necessario,  quindi,  stabilire  se il tipo di censure
formulate dal ricorrente possa ritenersi compreso, o non, nell'ambito
del  sindacato della motivazione demandato alla Corte di legittimita'
in materia di misure di prevenzione personale e patrimoniale.
    L'art. 4  della  legge  27  dicembre  1956,  n. 1423,  dopo avere
disposto,  al  comma  undicesimo, che «avverso il decreto della Corte
d'appello  e'  ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge,
da  parte  del  pubblico  ministero  e  dell'interessato, entro dieci
giorni»,  precisa,  nel  comma  immediatamente successivo, che «salvo
quanto  e'  stabilito  nella presente legge, per la proposizione e la
decisione  dei ricorsi, si osservano, in quanto applicabili, le norme
del  codice  di  procedura  penale  riguardanti  la proposizione e la
decisione  dei  ricorsi  relativi  all'applicazione  delle  misure di
sicurezza». Tale normativa e' indubbiamente applicabile non solo alle
misure  di prevenzione personale previste dalla legge 31 maggio 1965,
n. 575, contenente disposizioni contro la mafia, ma anche alle misure
di  prevenzione  patrimoniale,  introdotte  dalla  stessa  legge, per
effetto  dell'esplicito rinvio contenuto nell'art. 3-ter, che, per le
impugnazioni, richiama l'art. 4 della legge del 1956.
    Va anche chiarito che il rinvio del comma dodicesimo dell'art. 4,
riguardante  originariamente  le  norme  del  codice del 1930 vigente
all'epoca  in  cui  e' stata emanata la legge n. 1423 del 1956, ha ad
oggetto  attualmente  le  disposizioni  del  codice del 1988, come e'
comprovato   dall'art. 208   del   d.lgs.  28  luglio  1989,  n. 271,
contenente  una norma di coordinamento per effetto della quale quando
sono  richiamati  istituti  o  disposizioni  del  codice abrogato, il
richiamo  si  intende  riferito agli istituti o alle disposizioni del
codice vigente, che disciplinano la corrispondente materia.
    Il  richiamo  al  codice  vigente  in  tema  di  impugnazioni  di
provvedimenti  applicativi  di misure di prevenzione trova, peraltro,
un   limite  espresso  nella  clausola  di  sussidiarieta'  enunciata
nell'ultimo  comma  dell'art. 4,  che rende applicabile la disciplina
codicistica  soltanto  quando  la legge n. 1423 del 1956 non disponga
diversamente  («salvo quanto e' stabilito nella presente legge ...»).
Sulla  base  di  tale  dato normativo, secondo la communis opinio, il
ricorso  in  cassazione  contro  i provvedimenti anzidetti e' ammesso
soltanto   per  violazione  di  legge,  in  quanto  il  principio  di
specialita'  impedisce di ricavare dall'art. 606, comma 1, del codice
vigente  la  disciplina  dei  vizi denunciabili dinanzi alla corte di
legittimita' in materia di prevenzione.
    3. - Il tema di indagine si risolve, dunque, nel verificare se il
vizio  di illogicita' manifesta della motivazione, che corrisponde al
prevalente  contenuto  critico  del ricorso del Guttadauro, sia o non
ricompreso  nella  violazione di legge, che l'art. 4, comma 11, della
legge  n. 1423  del 1956 considera quale unico motivo proponibile nel
ricorso  in  Cassazione avverso i decreti emessi, in sede di appello,
in tema di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
    Sull'argomento  si  e'  formato,  negli ultimi anni, un indirizzo
giurisprudenziale  uniforme che esclude l'illogicita' manifesta della
motivazione,  ai  sensi  dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., dai
vizi riconducibili nella tipologia della violazione di legge.
    In   materia   di   misure   di   prevenzione,  questa  corte  ha
ripetutamente  stabilito  che  il  ricorso  per Cassazione e' ammesso
soltanto  per  violazione  di legge, secondo il disposto dell'art. 4,
decimo  comma  (divenuto undicesimo comma per effetto delle modifiche
introdotte  dalla  legge  26  marzo  2001,  n. 128),  della  legge 27
dicembre  1956,  n. 1423,  richiamato dall'art. 3-ter, secondo comma,
della  legge  31  maggio  1965,  n. 575.  Ne consegue che, in tema di
sindacato   sulla   motivazione,  e'  esclusa  dal  novero  dei  vizi
deducibili   in   sede  di  legittimita'  l'ipotesi  dell'illogicita'
manifesta   di   cui   all'art. 606   lett.   e)   c.p.p.,  potendosi
esclusivamente  denunciare  con  il  ricorso  il  caso di motivazione
inesistente  o  meramente  apparente,  qualificabile  come violazione
dell'obbligo  di  provvedere  con decreto motivato imposto al giudice
d'appello  dal  nono  comma  del  predetto art. 4 della legge 1423/56
(Cass.,  Sez.  VI,  26 giugno 2002, Paggiarin, rv. 222754; Sez. II, 3
febbraio 2000, Ingraldi ed altro, rv. 215556; Sez. II, 6 maggio 1999,
Sannino,  rv. 213852; Sez. I, 2 ottobre 1997, P.G. in proc. Nocera ed
altri,  rv.  209129). In questa stessa prospettiva interpretativa, e'
stato   chiarito   che   -   parallelamente   all'analoga  previsione
dell'art. 311,  comma  2,  c.p.p.  riguardante  l'ammissibilita'  dei
ricorso  per  saltum  per sola violazione di legge relativamente alle
misure  cautelari  personali  -  col  ricorso per cassazione contro i
decreti  della  Corte  d'appello  i  vizi  della  motivazione  devono
ritenersi   sindacabili,   oltre   che  in  caso  di  mancanza  della
motivazione,  nelle  ipotesi nelle quali essa risulti del tutto priva
dei  requisiti  minimi di coerenza, di completezza e di logicita', al
punto  da risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea
a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare
oscure  le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura
di  prevenzione  (Cass.,  Sez.  I,  21  gennaio 1999, Barbangelo, rv.
212946).
    La    non   sindacabilita'   dell'illogicita'   manifesta   della
motivazione,  ai  sensi dell'art. 606 lett. e) c.p.p., rappresenta un
principio   consolidato  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  con
riguardo  a  tutti  i  casi  nei  quali  il  ricorso in Cassazione e'
limitato  al  vizio di violazione di legge. Tale rigorosa limitazione
e'  stata  costantemente  affermata  sia per il ricorso per saltum ex
art. 311,  comma  2,  c.p.p. in materia di misure cautelari personali
(cfr.,  ex  plurimis  Cass.,  Sez.  I, 9 aprile 1999, Zanzarelli, rv.
213383;  Sez. V, 24 febbraio 1999, Pacini Battaglia, rv. 212876; Sez.
I,  20  marzo 1998, rv. 210566; Sez. III, 12 giugno 1998, Suraci, rv.
211552;  Sez.  I,  13  novembre  1997, Denaro, rv. 209833; Sez. V, 16
ottobre 1996, Camaggi, rv. 206150; Sez. VI, 26 giugno 1996, Acampora,
rv.  205897;  Sez.  I, 21 marzo 1996, Sciuto, rv. 204693; Sez. II, 21
febbraio  1996,  Campanale,  rv.  202457) sia per il ricorso previsto
dall'art. 325  c.p.p.  in tema di misure cautelari reali (Cass., Sez.
VI,  18  ottobre  1999,  Albanese, rv. 214953; Sez. V, 8 maggio 1998,
Monelli,  rv.  210934;  Sez. I, 12 novembre 1997, Icicli, rv. 208944;
Sez.  II,  4  giugno 1997, Baisi, rv. 209595; Sez. I, 1° luglio 1994,
Bavaglini, rv. 199325).
    La  costanza di tale linea interpretativa, per cui dal ricorso in
Cassazione  per  violazione  di legge resta esclusa la sindacabilita'
dei  vizi  logici  della  motivazione  di  cui  all'art. 606 lett. e)
c.p.p., risulta di tale compattezza da dare vita ad un vero e proprio
«diritto vivente», che ha trovato recente espressione nella decisione
delle  sezioni  unite  di  questa  corte,  con  cui,  in  materia  di
liquidazione  dei  compensi spettanti ai difensori di persone ammesse
al  patrocinio  a spese dello Stato, e' stato ribadito che il ricorso
in  Cassazione e' esperibile «solo per violazione di legge, non anche
per  vizio di motivazione, a meno che questa sia mancante o meramente
apparente» (Cass., Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 25080, Pellegrino).
    4.   -   Questo   collegio   non   ignora   che   nella  dottrina
processualpenalistica prevale l'opinione favorevole all'inquadramento
nella  violazione  di legge di tutti i vizi logici della motivazione,
nell'ottica del motivo del ricorso prefigurato dall'art. 606 lett. c)
del  codice vigente, e che - in riferimento alla materia delle misure
di  prevenzione - si ritiene, pressoche' unanimemente, che il ricorso
per violazione di legge, previsto dall'art. 4 della legge n. 1423 del
1956,  sia  esperibile  anche  per  far valere, a norma dell'art. 606
lett.  e),  l'illogicita'  manifesta della motivazione del decreto di
secondo grado contenente la decisione sulla richiesta di applicazione
di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
    La  tesi interpretativa non puo' essere condivisa, per la ragione
che,   oltre  a  non  essere  sorretta  da  argomenti  convincenti  e
adeguatamente  sviluppati,  e' contraddetta da elementi di inequivoca
valenza    logica    e   sistematica   desumibili   dalla   peculiare
configurazione che i vizi logici della motivazione hanno ricevuto nel
codice  del  1988.  Come  emerge dalle univoche indicazioni contenute
nella  Relazione  al  Progetto  preliminare  e  dalla struttura della
disciplina  dettata  dal  primo  comma dell'art. 606, detti vizi, che
inficiano   la  base  razionale  del  discorso  giustificativo  della
pronuncia  giudiziale,  sono  stati specificamente tipizzati e, nella
lett.  e),  hanno assunto piena autonomia nell'elencazione dei motivi
del ricorso per Cassazione, mentre, nel sistema processuale abrogato,
acquistavano rilevanza soltanto «attraverso il riferimento ai casi di
nullita' della sentenza» (rel. prog. prel., p. 133).
    Nel  codice vigente, il distacco dei vizi della motivazione dalla
figura  della  violazione  di  legge (sub specie dell'inosservanza di
norme  stabilite  a  pena  di  nullita)  e'  certamente  avvenuto per
l'ipotesi  di illogicita' manifesta e solo parzialmente per quella di
motivazione  omessa.  La  prima  corrisponde  al mancato rispetto dei
canoni  epistemologici  e  valutativi, che, regolando il ragionamento
del   giudice,   sono  imposti  da  norme  di  legge  (principalmente
dall'art. 192 c.p.p.), ma non sono presidiati da una diretta sanzione
di  nullita',  potendosi  denunciare  nel  giudizio  di  legittimita'
l'incongruenza logica delle decisioni, contrastanti con detti canoni,
soltanto  per  il  tramite  dell'espressa  previsione dello specifico
motivo  del  ricorso  di  cui  all'art. 606  lett.  e), che riconosce
rilevanza  al  vizio  logico  risultante  dal testo del provvedimento
impugnato.  Invece,  l'ipotesi  della  mancanza  di  motivazione, pur
essendo  inclusa  nel  citato  art. 606  lett.  e),  non  ha  perduto
l'intrinseca  consistenza  del vizio di violazione di legge, che vale
ad  accomunarlo  al  motivo  del ricorso enunciato nella lett. c) del
medesimo  art.  606,  in  quanto  il  caso  di  motivazione omessa, o
meramente  apparente,  e'  sempre  correlato  alla  trasgressione  di
precise   norme  processuali,  le  quali,  specificando  il  precetto
costituzionale   di   cui   all'art. 111,   comma   6,   della  Carta
costituzionale,   stabiliscono   l'obbligo   della   motivazione  dei
provvedimenti  giurisdizionali, facendo derivare dall'inosservanza di
esso  la  nullita' dell'atto. A questa particolare categoria di norme
processuali   appartengono   l'art. 125,  comma  3,  riguardante,  in
generale,  i provvedimenti del giudice, l'art. 292, comma 2, lett. c)
e c-bis), relativo alle misure cautelari personali, l'art. 546, comma
1,  lett.  e),  concernente  le  sentenze, e, per quanto interessa in
questa  sede,  l'art. 4,  comma  10,  della  legge  n. 1423 del 1956,
secondo  cui  la  Corte d'appello provvede con decreto motivato sulle
impugnazioni.
    Le  considerazioni  teste'  svolte  rivelano  dunque  -  in piena
consonanza  con  il  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza di
legittimita'  -  che, in materia di misure di prevenzione personali e
patrimoniali,  il  ricorso  in  Cassazione per violazione di legge e'
esperibile  soltanto  per denunciare la mancanza di motivazione e non
anche  il vizio di illogicita' manifesta di cui all'art. 606 lett. e)
del codice vigente.
    5. - A questo punto dell'indagine, deve porsi il problema se tale
disciplina  sia  rispondente  alle  condizioni richieste dai precetti
costituzionali  per  l'esercizio  del  diritto  di difesa, in termini
adeguati  rispetto  ai valori e agli interessi giuridici coinvolti, e
se la limitazione dell'esperibilita' del ricorso per Cassazione possa
trovare razionale collocazione nel sistema processuale vigente.
    A  giudizio  di  questa  Corte,  sono giustificati dubbi motivati
sulla   compatibilita'   con   le   norme  della  Costituzione  della
disposizione  di  cui  all'art. 4,  comma 11, della legge 27 dicembre
1956,  n. 1423,  nella  parte in cui non prevede la sindacabilita' in
Cassazione  del  vizio di illogicita' manifesta della motivazione, ai
sensi  dell'art. 606,  comma  1,  lett.  e)  c.p.p., per le misure di
prevenzione   personale   e,   attraverso   il   richiamo   contenuto
nell'art. 3-ter,  secondo  comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575,
per le misure di prevenzione patrimoniale.
    Deve   osservarsi,  anzitutto,  che  le  misure  di  prevenzione,
denominate   praeter   o  ante  delictum  perche'  prescindono  dalla
commissione  di  un  precedente  reato,  sono  sorte  all'interno del
diritto  amministrativo  come  strumento  di difesa sociale mirante a
prevenire  il  compimento  di  reati ad opera di categorie di persone
considerate  socialmente  pericolose:  la  loro  applicazione implica
limitazioni,  anche rilevanti, della liberta' personale, accompagnate
sovente,   nella  recente  legislazione  diretta  a  fronteggiare  la
criminalita' organizzata, da misure di natura patrimoniale.
    L'entrata  in vigore della Costituzione repubblicana ha suscitato
un  acceso dibattito sulla compatibilita' delle misure di prevenzione
con  le  garanzie riconosciute dalla Carta fondamentale, inducendo la
dottrina  penalistica  alla  ricerca  di  un  punto di equilibrio tra
garanzie  costituzionali  e  difesa  sociale: e non a caso la materia
della  prevenzione  ha  formato oggetto di reiterati interventi della
Corte  costituzionale  sin  dalle prime pronunce emesse a partire dal
1956.  Le  decisioni del Giudice delle leggi hanno dato l'avvio ad un
processo  evolutivo  della  disciplina  delle  misure  di prevenzione
tendente  a  svincolare  tale  materia dal terreno amministrativo e a
ricondurla,   sul   piano   sostanziale,   nell'ambito  dei  principi
fondamentali  del  diritto  penale  (legalita' e determinatezza delle
previsioni  normative:  cfr.  Corte  cost.,  23  giugno 1956, n. 2; 3
luglio   1956,   n. 11;  22  dicembre  1980,  n. 177)  e,  sul  piano
procedimentale,  all'interno  della  giurisdizione,  con  il presidio
delle garanzie che a questa ineriscono.
    In  particolare,  per quanto concerne il processo di prevenzione,
costituiscono  tappe fondamentali dell'evoluzione della disciplina le
sentenze  della  Corte  costituzionale con le quali e' stata ritenuta
obbligatoria l'assistenza del difensore (sent. 25 maggio 1970, n. 76)
ed  e'  stato  riconosciuto  il  principio  del contraddittorio quale
canone  del procedimento di prevenzione, con la precisazione, fornita
con  decisione interpretativa di rigetto, che l'invito a comparire e'
equiparabile  all'atto  di  contestazione  dell'accusa  nel  processo
ordinario,  sicche'  esso  non  puo'  limitarsi all'indicazione della
misura  di  cui  e'  stata  proposta  l'applicazione,  ma  deve anche
indicare  gli  elementi  sui quali vertera' il giudizio di tribunale,
sia  pure  nei  limiti  consentiti  dal  collegamento della misura di
prevenzione  ad  un  complesso  di comportamenti del soggetto e non a
fatti singolarmente determinati (sent. 25 marzo 1975, n. 69).
    Il     percorso     avviato     in    direzione    della    piena
giurisdizionalizzazione  del  procedimento  di prevenzione e' segnato
dai seguenti passaggi salienti:
        a)  in  dottrina  e  in  giurisprudenza  si  ritiene  che  la
decisione,  formalmente  denominata decreto, abbia natura sostanziale
ed efficacia di sentenza, in quanto conclude una fase del giudizio ed
e'  soggetta  ad  appello  e  a  ricorso  per  Cassazione, ossia alle
medesime  impugnazioni previste contro le sentenze (Cass., Sez. I, 16
aprile  1996,  Biron  e altri; Sez. I, 14 ottobre 1988, Olivieri, rv.
179719;  Sez.  I,  21 dicembre 1984, De Cicco, rv. 167525; Sez. I, 14
gennaio 1980, Garonfolo, rv. 144576;
        b)  la  natura  del  decreto  si  riflette  sulla  dimensione
dell'obbligo   della  motivazione,  che  deve  essere  imperniata  su
elementi   indizianti,   realmente  sintomatici  della  pericolosita'
sociale   ed   ancorati   a  fatti  obiettivi,  con  l'esclusione  di
valutazioni  puramente  soggettive ed incontrollabili (Corte cost., 7
dicembre  1994, n. 419, e 22 dicembre 1980, n. 177; Cass., Sez. V, 14
dicembre  1998,  Musso;  Sez.  I,  8 marzo 1994, Scaduto; Sez. VI, 24
marzo  1993, Bertuca, rv. 194196; Sez. I, 1° giugno 1990, Franco, rv.
184901);
        c)  nel  procedimento  di  prevenzione, e' operante la regola
della  correlazione  della  decisione  con  gli  addebiti contestati,
imposta  dalla necessita' di osservare i principi del contraddittorio
e  della  tutela  dei  diritti  di difesa (Cass., Sez. I, 11 novembre
1985,  Nicoletti,  rv. 171475; Sez. I, 10 marzo 1986, Scarantino, rv.
172302);
        d)  anche  nel  procedimento di prevenzione e' ammissibile la
rimessione  ex  art. 45  c.p.p.,  in  virtu'  della natura pienamente
giurisdizionale  di  esso,  che  postula  l'esistenza  di  un giudice
indipendente e imparziale (Cass., Sez. I, 9 febbraio 2000, Tiani, rv.
216005; Sez. I, 9 gennaio 1998, Bardellino, rv. 210233);
        e)   nell'ottica   del   giusto  processo,  il  principio  di
neutralita-terzieta'  del  giudice rende applicabile l'istituto della
ricusazione   quando   il   giudice,   chiamato   a   decidere  sulla
responsabilita'  dell'imputato,  abbia  espresso, nel procedimento di
prevenzione,  una  valutazione  di  merito  sullo  stesso  fatto  nei
confronti  della  medesima  persona  (Corte  cost.,  14  luglio 2000,
n. 283,  che  ha dichiarato la parziale illegittimita' costituzionale
dell'art. 37,  comma 1,  c.p.p.): identico principio e' indubbiamente
operante  nell'ipotesi  inversa a quella esaminata in detta pronuncia
di incostituzionalita', onde la ricusazione e' sicuramente esperibile
allorche'  il procedimento di prevenzione penda dinanzi ad un giudice
che ha gia' giudicato, in un processo penale, la stessa persona per i
medesimi fatti.
    6.  -  A  conclusione  dell'esame  dello  sviluppo  evolutivo del
procedimento   di   prevenzione,  e'  da  ritenere  che  questo,  pur
mantenendo  le proprie peculiari connotazioni, sia ormai pervenuto ad
una  compiuta giurisdizionalizzazione e ad una piena assimilazione al
processo  ordinario di cognizione, essendo caratterizzato, al pari di
quest'ultimo,   dai   principi   coessenziali   al  giusto  processo,
identificati  dal  novellato  art. 111  Cost.  nella  presenza  di un
giudice  terzo  e  imparziale  e  nel  contraddittorio delle parti in
posizione di parita'. Va sottolineato, del resto, che la spinta verso
tale  equiparazione  corrisponde ad una necessita' logica e giuridica
dettata  dalla natura dei beni giuridici sui quali incidono le misure
praeter  delictum,  il  cui  contenuto si traduce, nella sostanza, in
rilevanti  limitazioni  di diritti costituzionalmente protetti, primo
tra  tutti  quello  della liberta' personale proclamata «inviolabile»
dal  primo  comma  dell'art. 13  Cost.:  di  talche'  la  potesta' di
prevenzione  non  puo' prescindere dall'osservanza delle garanzie che
sono  proprie  del  processo  e  di  riflesso, per quanto concerne le
impugnazioni,  deve  essere assicurato il controllo effettivo e reale
delle decisioni limitative della liberta' personale.
    Quest'ultima  notazione  permette  di esprimere argomentati dubbi
sulla rispondenza al canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
della  disposizione dell'art. 4, comma 11, della legge 1423 del 1956,
che,  escludendo  l'ammissibilita'  del  ricorso  in  Cassazione  per
illogicita'   manifesta   della  motivazione,  configura  un  assetto
normativo   incoerente   rispetto   al   fine   primario  perseguito,
consistente nella tutela da provvedimenti illegittimamente limitativi
della   liberta'   personale.  In  altri  termini,  il  sindacato  di
legittimita'   previsto   in   materia   di  misure  di  prevenzione,
circoscritto  alla sola esistenza della motivazione e deprivato della
possibilita'  di  controllare  la  congruenza  della struttura logica
della  stessa,  determina  un'evidente  contrazione  del  livello  di
effettivita' della tutela apprestata dall'art. 13 Cost. alla liberta'
della  persona:  sicche'  risulta  configurabile il vizio legislativo
della  «inadeguatezza», che, secondo autorevole dottrina, rappresenta
una  specie  della  «irragionevolezza»  denunciabile  quando «vengono
utilizzati strumenti legislativi che pecchino palesemente per difetto
o  per  eccesso,  o  comunque  per  mancanza di proporzione, rispetto
all'obiettivo    avuto    di    mira,   apparendo,   rispettivamente,
insufficienti,   oppure  ultronei,  o  comunque  tali  da  ingenerare
disparita' la cui incongruita' sia di immediata evidenza».
    L'irragionevolezza della normativa vigente acquista piu' spiccato
spessore  quando  si  considera che un simile deficit di effettivita'
della  tutela  assicurata  dal ricorso per Cassazione rappresenta una
conseguenza  dell'entrata  in  vigore  del codice del 1988 e non era,
invece,  riscontrabile  con il codice del 1930. Infatti, tenuto conto
che   nel  sistema  processuale  abrogato  mancava  una  tipizzazione
autonoma   dei   vizi   logici   della  motivazione  tra  i  casi  di
ricorribilita'  in  Cassazione,  va  sottolineato  che  l'ambito  del
sindacato  di  legittimita'  sugli  stessi doveva essere ricavato dal
coordinamento  dell'art. 524,  comma  1,  che  elencava  i  motivi di
ricorso,  con  l'art. 475,  che  indicava  le cause di nullita' della
sentenza:  la  prima disposizione prevedeva, al n. 3, come motivo del
ricorso  la  «inosservanza  delle  norme di questo codice stabilite a
pena  di  nullita',  di  inammissibilita' o di decadenza»; la seconda
disposizione  sanciva  la  nullita'  della  sentenza  «se  manca o e'
contraddittoria  la  motivazione». Pertanto, poiche' nella nozione di
contraddittorieta'  venivano  ricompresi  anche  i  vizi logici della
motivazione originati dalla difformita' dai canoni epistemologici che
presiedono  al  ragionamento  del  giudice, dottrina e giurisprudenza
ritenevano  concordemente  che  i vizi logici fossero suscettibili di
sindacato  di  legittimita' perche' riconducibili nella violazione di
legge  prevista come motivo del ricorso dall'art. 524, comma 1, n. 3.
Ne'  deriva  che la disposizione di cui all'attuale art. 4, comma 11,
della legge n. 1423 del 1956, allorche' era inserita nell'ordinamento
processuale   delineato  dal  codice  del  1930,  non  precludeva  il
controllo  in  Cassazione  di  quei vizi logici della motivazione che
oggi  sono  inquadrabili  nella  figura  della illogicita' manifesta,
tant'e'  che,  proprio  in  materia  di  misure di prevenzione, nella
giurisprudenza  di  questa  Corte  era  stato riconosciuto che non si
sottrae  al  controllo di legittimita' la congruita' sul piano logico
della motivazione adottata dal giudice di merito circa la sussistenza
del  fatto ritenuto indiziante, ne' quello circa l'idoneita' di detto
fatto  ad essere assunto come indice di pericolosita' sociale (Cass.,
Sez. I, 27 febbraio 1989, Castrogiovanni, rv. 181061).
    Le  precedenti  considerazioni  confermano la piena plausibilita'
del  dubbio di legittimita' costituzionale, nell'ottica del canone di
ragionevolezza  ex  art.  3  Cost.,  per la precisa ragione che - con
andamento   esattamente   contrario   al   processo   di  progressiva
giurisdizionalizzazione   del   procedimento   di  prevenzione  -  il
passaggio  dal vecchio al nuovo codice ha segnato un arretramento del
livello  di  tutela offerto dal ricorso per Cassazione in conseguenza
dell'eliminazione  della possibilita' di censurare dinanzi al giudice
di   legittimita'   l'illogicita'  manifesta  della  motivazione  dei
provvedimenti  applicativi  delle misure praeter delictum. Di talche'
siffatta  incoerenza  dell'art. 4,  comma 11, della legge n. 1423 del
1956,  nella  portata  precettiva  assunta  a seguito dell'entrata in
vigore  del  codice del 1988, puo' essere motivatamente inclusa nella
figura  della  «irragionevolezza  sopravvenuta»,  nota  alla dottrina
costituzionalistica  ed  affiorante  in  talune  pronunce della Corte
costituzionale.
    Ulteriori  argomenti contribuiscono a rafforzare il convincimento
di  questa  Corte sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 4,  comma  11,  della  legge
n. 1423 del 1956, nella parte in cui esclude il ricorso in Cassazione
per l'illogicita' manifesta della motivazione ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lett. e) c.p.p.
    Invero, premesso che l'ultimo comma del citato art. 4 rinvia, per
la  proposizione  e la decisione dei ricorsi, in tema di prevenzione,
alle norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione
e  la decisione dei ricorsi relativi all'applicazione delle misure di
sicurezza,  deve  porsi in risalto che, col codice abrogato, esisteva
piena  equiparazione  di  disciplina  delle due materie relativamente
all'ambito  di  sindacabilita'  in  sede  di legittimita' dei vizi di
motivazione  delle  decisioni:  col codice vigente, invece, mentre in
ordine  alle  misure di sicurezza il ricorso per Cassazione e' esteso
all'illogicita'  manifesta  della  motivazione in forza del combinato
disposto  degli  artt. 678,  comma  1,  e 666, comma 6, c.p.p., detto
vizio,  essendo  escluso dalla violazione di legge, non e' deducibile
come motivo del ricorso contro le decisioni di secondo grado relative
alle  misure  praeter  delictum, con un'evidente disparita' normativa
priva di base razionale.
    Inoltre,   deve   considerarsi   che   i  provvedimenti  previsti
dall'art. 6   della   legge  13  dicembre  1989,  n. 401,  modificato
dall'art. 1  del  d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito nella legge
19  ottobre  2001,  n. 377, in relazione a condotte violente poste in
essere  in  occasione  di  manifestazioni  sportive, sono comunemente
qualificati  come  misure  di  prevenzione, sia pure con caratteri di
autonomia  e  di  atipicita',  e  che  il comma 4 dello stesso art. 6
prevede  l'impugnabilita'  in Cassazione dell'ordinanza di convalida,
senza  limitazioni  di sorta, onde con il ricorso puo' essere dedotta
anche  l'illogicita'  manifesta  della  motivazione  della  decisione
impugnata.  Ne  segue  che,  anche sotto tale particolare profilo, e'
ravvisabile  una  disparita'  di  disciplina  normativa sprovvista di
giustificazione razionale: e tale diversita' di trattamento normativo
appare  tanto  piu' inspiegabile quando si considera che le misure di
prevenzione  previste  dalla  legge  n. 1423  del  1956 e dalla legge
n. 575   del  1965  sovente  comportano  limitazioni  della  liberta'
personale  molto  piu' incisive di quelle provocate dall'applicazione
delle misure regolate dall'art. 6 della legge n. 401 del 1989.
    7.  - In conclusione, alla stregua di tutte le argomentazioni sin
qui   svolte,   deve   dichiararsi  rilevante  e  non  manifestamente
infondata,  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 11, della
legge  27  dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui, limitando alla
sola  violazione  di  legge  il ricorso contro il decreto della Corte
d'appello   in   materia   di   misure  di  prevenzione,  esclude  la
sindacabilita'  del vizio di illogicita' manifesta della motivazione,
ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.
    A  norma  dell'art. 23  della  legge  11  marzo 1953, n. 87, deve
dichiararsi   la   sospensione   del  procedimento  e  deve  disporsi
l'immediata   trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale:
inoltre,  la  cancelleria  provvedera'  alla  notifica di copia della
presente  ordinanza  alle  parti  e  al  Presidente del Consiglio dei
ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.