IL TRIBUNALE Premesso che i difensori di Olivier Chefdeville e Giancarlo Cometti, imputati dei reati di cui agli artt. 7 e 58 d.P.R. 19 marzo 1956, nn. 303 e 590 c.p., hanno chiesto la sospensione del processo ai sensi dell'art. 5, secondo comma, legge 12 giugno 2003, n. 134. O s s e r v a L'art. 5, legge 12 giugno 2003, n. 134, stabilisce che l'imputato, o il suo difensore munito di procura speciale, ed il pubblico ministero, nella prima udienza utile successiva alla data di entrata in vigore della legge, possono chiedere l'applicazione della pena, ai sensi dell'art. 444 c.c.p., come novellato dalla stessa legge, anche nei processi penali dei quali sia in corso il dibattimento ed anche se sia decorso il termine previsto dall'art. 446, comma 1, c.p.p. La facolta' e' concessa anche quando sia gia' stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero o la richiesta sia stata rigettata da parte del giudice, e sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizone della precedente. Su richiesta dell'imputato il dibattimento e' sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni per valutare l'opportunita' della richiesta e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare. La richiesta di sospensione - ad avviso di questo giudice e della maggioranza delle pronunce sulla questione finora note, fra le quali numerose di questo tribunale - puo' essere avanzata dal difensore del contumace o dell'assente anche se non munito di procura speciale, dato che la legge richiede la procura speciale solo per la richiesta di applicazione della pena, non per quella di sospensione, ed in forza della regola secondo la quale tali categorie di imputati sono rappresentati dal difensore, oggi allocata negli artt. 420-quater e 420-quinquies c.p.p. e richiamata, quanto al dibattimento, dall'art. 484 c.p.p. Peraltro, nel caso di specie, il difensore di Chefdecille ha, fin dalla sua nomina, procura speciale a chiedere l'applicazione della pena. Il giudicante dubita della legittimita' costituzionale della norma per contrasto con gli articoli 3 e 111 della Costituzione. Quanto all'art. 3, ed in ispecie al principio di ragionevolezza che per consolidatissima elaborazione della giurisprudenza costituzionale da esso viene dedotto, la norma non appare ragionevole a) perche' consente di formulare la richiesta anche oltre il termine fissato dall'art. 446, primo comma c.p.p.; quanto all'art. 111, il contrasto sussiste b) perche' la norma impone, su richiesta dell'imputato, una sospensione di quarantacinque giorni, fissando il termine di decorrenza dalla prima udienza utile successiva alla data di pubblicazione della legge. Sub a. Il cosiddetto patteggiamento e' stato introdotto nel codice di rito vigente per determinare un effetto deflattivo del processo penale: si e' concesso alle parti di concordare la pena per evitare i costi in termini di tempo, di risorse umane e finanziarie che il rito ordinario comporta; in cambio di tale risparmio, l'imputato gode di uno sconto di un terzo della pena. La finalita' indicata e' stata ribadita anche dalla corte costituzionale con la sentenza n. 129 del 1993, in cui si afferma, con riferimento ai riti speciali, che «l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi conseguenti a tali giudizi in tanto rileva, in quanto egli rinunzia al dibattimento e venga percio' effettivamente adottata una sequenza procedimentale che consenta di raggiungere l'obiettivo di una rapida definizione del processo», deducendone la legittimita' costituzionale della preclusione dei riti speciali in caso di contestazione suppletiva. Se questa e' la finalita' dell'applicazione della pena, lo sbarramento previsto dall'art. 446 primo comma e' necessario per garantire che la finalita' venga nel concreto perseguita. La novella opera, per i processi in corso al momento della sua entrata in vigore, una scelta del tutto contraria: consente infatti il ricorso al rito speciale in ogni momento, perfino quando sia stato dichiarato chiuso il dibattimento e ci si trovi gia' in fase di discussione. Consente, cioe', la riduzione della pena anche a chi non ha fatto risparmiare alcuna risorsa allo stato, e cio' appare irragionevole e contrasta coli le finalita' del rito speciale, cioe' la rapida definizione del singolo processo e l'efficienza complessiva del sistema giudiziario penale, oggi costituzionalmente valorizzate dall'art. 111 Cost. Sub b. La sospensione per quarantacinque giorni del processo contrasta, ad avviso del giudicante, con l'art. 111 appena richiamato oltre che, sotto diverso profilo, con l'art. 3 della Cost. Il contrasto con il principio della ragionevole durata del processo appare chiaro se si da' della riformata norma costituzionale una lettura che abbia riguardo non solo all'interesse di ogni singolo imputato, ma anche a quello di tutte le altre parti processuali, dello stato e dei cittadini in generale. Infatti, se la speditezza processuale si intendesse come forma di tutela del singolo imputato, la richiesta di rito alternativo avanzata nel corso di un processo in cui l'istruttoria dibattimentale sia iniziata o addirittura terminata, non incontrerebbe ostacoli nell'art. 111 Cost., dal momento che il singolo imputato, a seconda dei casi, ha interesse ad un processo piu' lungo nella speranza della prescrizione del reato, oppure piu' breve, attraverso riti alternativi, quando la prescrizione sia ancora lontana. Si ritiene, invece, piu' fondata una lettura del principio della ragionevole durata del processo quale garanzia dell'intera collettivita', sulla scorta delle considerazioni che seguono. In primo luogo si osserva che la regola di cui si discute e' contenuta nel secondo comma dell'art. 111, relativo a tutti i processi, non solo a quello penale. Cio' evidenzia in maniera chiara che il principio non puo' essere inteso solo come funzionale agli interessi di una sola delle parti di uno solo dei vari tipi di processo che il nostro ordinamento prevede. Sono i commi successivi della norma che si occupano specificamente del processo penale e che prevedono garanzie dell'imputato, nessuna delle quali, tuttavia, e' delineata in maniera tale da derogare apertamente alla regola generale della ragionevole durata. Unica di tali garanzie che in qualche modo s'interseca con il principio generale e' quella inerente il diritto dell'imputato a disporre del tempo e delle condizioni necessarie a preparare la sua difesa, che tuttavia riguarda il merito dell'accusa, non la semplice strategia processuale, e sarebbe percio' richiamata a sproposito nella materia di cui si sta discutendo, soprattutto quando il punto di scontro fra le due esigenze si situa, come avviene applicando la norma transitoria, a dibattimento iniziato o perfino concluso, cioe' in un momento in cui l'imputato ha ormai impostato od anche attuato la sua linea difensiva. L'interpretazione dell'art. 111 Cost. che collega il principio della ragionevole durata non ai contingenti interessi dell'imputato, ma a quello della collettivita', si avvalora poi alla luce della produzione legislativa che ha fatto seguito alla modifica della norma costituzionale. Si consideri che la legge 24 marzo 2001, n. 89, che consente alle parti un'equa riparazione allorche' il processo abbia avuto una durata eccessiva, indipendentemente dalle ragioni che l'abbiano determinata, attribuisce il diritto all'equa riparazione non solo all'imputato, ma anche alla parte civile. Da cio' si evince che la ragionevole durata del processo penale non e' un diritto solo dell'imputato, ma anche delle altre parti processuali, ivi compresa la parte civile, il che costituisce chiaro indice della sua natura di principio generale, non di forma di tutela di una parte. Se poi si ha riguardo agli effetti concreti della norma denunciata nello svolgimento dei processi, l'implausibilita' della lettura del principio della ragionevole durata come tutela del solo imputato, da questi disponibile e rinunciabile discrezionalmente, risulta ancor piu' chiara. Si consideri che nell'attuale sistema i poteri istruttori, e conseguentemente quelli decisori, del giudice sono stati ampiamente ridotti in favore di quelli delle parti. Ogni volta che sia disposta la rinnovazione del dibattimento, l'istruttoria dibattimentale deve ricominciare da capo, salvo nel caso in cui le parti prestino il consenso alla lettura degli atti in precedenza svolti. Percio', se il processo ha piu' imputati, di cui solo uno chieda la sospensione, ai sensi dell'art. 5, comma 2 della legge 134 citata, il giudice deve, innanzitutto, stabilire se proseguire il giudizio nei confronti dei coimputati, stralciando la posizione del richiedente - opzione che sembra la piu' corretta alla luce dell'attuale formulazione dell'art. 18. lett. b), c.p.p., ma che puo' rivelarsi inutile, se il rito alternativo non viene concretamente richiesto, con dispendio di energie e di attivita' processuali; oppure se, anziche' sospendere il processo anche nei confronti dei coimputati, rinviano in attesa del decorso dei quarantacinque giorni prescritti. In quest'ultimo caso, se l'interessato poi chiede l'applicazione della pena, l'accoglimento dell'istanza rende il giudice incompatibile a giudicare gli altri coimputati, mentre il rigetto della richiesta lo rende ugualmente incompatibile a giudicare l'imputato: se non si procede allo stralcio gia' al momento della richiesta di sospensione, quindi, il processo, per la parte che prosegue con rito ordinario, deve in ogni caso iniziare ex novo innanzi ad altro giudice, con rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. In tale non vi e' speditezza processuale ne' per l'interessato ne' per i coimputati, ma, al contrario, una dilatazione dei tempi della decisione. La cosa e' particolarmente evidente quando l'istruttoria e' gia' esaurita: ad una decisione con rito ordinario ormai certa nel tempo, si sostituisce un'attivita' interlocutoria di sospensione che potrebbe concludersi con il rigetto della richiesta di applicazione della pena e con la necessita' di iniziare nuovamente il processo con rito ordinario, in caso di unico imputato; oppure, se vi sono piu' imputati ed uno solo chiede il rito alternativo, con lo stralcio delle posizioni degii eventuali coimputati, per i quali il processo ricomincerebbe, anche se fosse ormai conclusa l'istruttoria. Il giudicante non ignora che la corte costituzionale, con sentenza n. 266 del 1992, ha affermato che «l'applicazione della pena concordata con il pubblico ministero da uno solo degli imputati di concorso nel medesimo reato costituisce un procedimento congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine al quale e previsto un controllo giurisdizionale che non include pero' la valutazione delle posizioni dei coimputati». La questione, tuttavia, era stata esaminata solo con riferimento all'art. 3 Cost. ed inoltre era relativa ad una disposizione ordinaria e non all'introduzione di una norma transitoria, come quella oggi denunciata, che mira ad applicare l'istituto a tutti i procedimenti in corso, anche se in fase dibattimentale, sicche' quella oggi sollevata e' questione nuova e diversa. Inoltre la sentenza citata era antecedente alla riforma dell'art. 111 Cost. Sempre in punto di effetti concreti delle norme impugnate, si osserva, ancora, che, nel caso di applicazione della pena in corso di giudizio, l'esercizio del diritto di azione della parte civile costituita, garantito dall'art. 24 Cost., viene oltremodo sacrificato, giacche' tutta l'attivita' processuale fino a quel momento svolta si vanifica nel merito e puo' portare solo alla condanna alle spese, in forza della sentenza n. 443 del 1990 della Corte costituzionale. E se e vero che il giudice delle leggi ha risolto nel limitato senso indicato il problema relativo all'esclusione della parte civile nel rito de quo, e' anche vero che, di nuovo, la decisione si riferiva al sistema ordinario di applicazione della pena e non ad una norma transitoria, come quella in esame, che interviene a disciplinare un giudizio in corso in cui la parte civile sta gia' esercitando o addirittura ha gia' del tutto esercitato il proprio diritto di azione. Sicche' anche sotto tale aspetto la frustrazione dei diritti della parte civile e della ragionevole durata - anche per essa - del processo finisce con il violare i principi di ragionevolezza e di ragionevole durata stabiliti dagli artt. 3 e 111 Cost. Sia in astratto che in concreto, percio', una norma, quale quella di cui si discute, che consente all'imputato di dilazionare ad libitum per ben quarantacinque giorni il giudizio, senza alcuna conseguenza negativa in caso di mancato ricorso al patteggiamento, ad avviso del giudicante stride in maniera evidente con il principio della ragionevole durata del processo letto come interesse dell'intera collettivita'. Il contrasto appare poi ancor piu' chiaro, e risulta assai poco ragionevole la disciplina della novella, con ulteriore violazione dell'art. 3 Cost., in relazione alla decorrenza del termine per udienza richiedere la sospensione del processo dalla prima udienza utile, anziche' dalla pubblicazione della legge. Sotto tale profilo si osserva che ogni cittadino e' tenuto a conoscere le leggi pubblicate. Pertanto ogni imputato e' stato posto in grado, nel momento in cui la legge in esame e' stata pubblicata, di valutare l'opportunita' di avvalersi della pena concordata, tanto piu' se si considera che ogni imputato e' assistito da un difensore, sicche' ha avuto modo di consultarsi con questi per valutare l'opportunita' di avvalersi della novella. La concessione di un termine di durata notevole, decorrente dalla prima udienza anziche' dalla vigenza della legge, appare irragionevole. Tale irragionevolezza risulta di tutta evidenza allorche' la fase istruttoria sia esaurita o il processo sia addirittura in fase di discussione, e, quindi, l'imputato abbia potuto valutare tutto il materiale probatorio e rendersi conto della convenienza eventuale di concordare la pena. Una volta accertato che il rapporto esistente tra imputato e difensore consente ad entrambi di valutare momento per momento le opportunita' di scelte processuali e che, dunque, non v'e' lesione del diritto di difesa se si dispone che l'imputato, alla prima udienza utile, debba dichiarare se intende patteggiare o no, anziche' chiedere un lungo termine di riflessione, deve ritenersi che la sospensione obbligatoria incida - si passi il bisticcio - irragionevolmente sulla ragionevole durata del processo. Nel bilanciamento tra l'interesse dell'imputato e l'interesse generale alla ragionevole durata del processo sembra debba prevalere quest'ultimo, non indiscriminatamente il primo. Ancora, lo spatium deliberandi obbligatorio appare istituto nuovo, quantomeno nell'ambito del processo penale contrastante le soluzioni adottate anche di recente dal legislatore: si consideri, ad esempio, che la legge 25 giugno 1999, n. 205, che ha introdotto la procedibilita' a querela per il reato di furto, nella disciplina transitoria dell'esercizio del diritto di querela per i reati commessi prima dell'entrata in vigore della legge stessa, di cui all'art. 19, non prevedeva, per i processi pendenti, alcuna sospensione automatica del processo per un tempo necessario a decidere se proporre querela, ma solo un obbligo di informazione della persona offesa circa la facolta' di esercitare tale diritto e la decorrenza del termine di cui all'art. 124 c.p. dal momento in cui veniva ricevuta l'informazione che se l'interessato era presente all'udienza, si identificava con l'udienza stessa. Per i processi relativi a fatti anteriori all'entrata in vigore della legge, ma iniziati successivamente all'entrata in vigore stessa, la legge - in coerenza con l'obbligo di conoscenza delle norme - non prevedeva invece alcuna informazione ed il termine per proporre querela decorreva dall'entrata in vigore della legge. La norma che si denuncia ha invece operato scelte diverse senza alcuna ragione apparente o cogente, ma - sembra di capire - per mero ed ingiustificato favor nei confronti degli imputati anche di gravi reati. In punto di rilevanza si osserva innanzitutto che la richiesta viene proposta a termine di entrata in vigore della legge ampiamente trascorso, e che dunque il suo accoglimento dipende dall'esistenza della norma di favore della cui dubbia costituzionalita' si e' appena detto. Va poi aggiunto che, pur avendo, in questo processo, tutti gli imputati fatto la richiesta, e non essendovi parti civili la cui posizione sarebbe pregiudicata, nondimeno il giudicante dovrebbe oggi sospendere il processo per consentire di decidere se avvalersi della novella, e cio' comporterebbe l'applicazione diretta al caso portato al suo esame di una norma la cui costituzionalita' e' dubbia in generale, essendo quelle relative alle posizioni di altri soggetti processuali solo delle argomentazioni volte a dimostrare la portata generale del principio della ragionevole durata del processo; applicazione, quella della norma ritenuta incostituzionale, che inciderebbe sulla ragionevole durata di questo processo.