ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera b),  della  legge  29 gennaio  1994, n. 87 (Norme relative al
computo  dell'indennita'  integrativa  speciale  nella determinazione
della buonuscita dei pubblici dipendenti), promosso con due ordinanze
dell'8 gennaio 2003 dalla Corte d'appello di Bologna nei procedimenti
civili  vertenti tra l'Istituto Postelegrafonici e Zucchini Edi e tra
il  medesimo  Istituto  e Fiorini Paolo iscritte ai nn. 340 e 441 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 24 e 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  d'intervento  del  Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2004 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di due controversie previdenziali promosse nei
confronti  dell'Istituto Postelegrafonici (IPOST) al fine di ottenere
il  ricalcolo  dell'indennita'  di  buonuscita, la Corte d'appello di
Bologna,  in  funzione  di  giudice  del lavoro, con due ordinanze di
identico   contenuto   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione,
dell'art. 1,  comma 1,  della  legge  29 gennaio  1994,  n. 87 (Norme
relative   al  computo  dell'indennita'  integrativa  speciale  nella
determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti).
    Premette  il  giudice  a  quo  che  entrambi  i  ricorrenti, gia'
dipendenti  dell'Ente  Poste italiane poi trasformato in societa' per
azioni,  collocati  in quiescenza rispettivamente in data 30 dicembre
1994  e  25 settembre  1995,  avevano  chiesto  che  l'indennita'  di
buonuscita  loro  erogata  fosse  ricalcolata  inserendo l'indennita'
integrativa speciale nella misura del 60 per cento anziche' in quella
del   48   per   cento   effettivamente  conteggiata.  Radicatosi  il
contraddittorio con l'IPOST, il Tribunale di Bologna aveva accolto le
domande  dei  ricorrenti  rilevando  che,  in base a quanto stabilito
dalla  sentenza  n. 243  del  1993  di  questa  Corte,  la  quota  di
indennita' integrativa speciale del 60 per cento prevista dall'art. 1
della  legge  n. 87 del 1994 doveva essere aggiunta direttamente alla
base  contributiva  di  cui  al  d.P.R. n. 1032 del 1973 senza alcuna
ulteriore decurtazione.
    Entrambe le sentenze erano state gravate d'appello.
    Cio'  posto,  la  Corte  di  Bologna  osserva  che,  com'e' stato
rilevato   dall'IPOST  negli  atti  di  appello,  per  giurisprudenza
costante della Corte di cassazione, da assumere in termini di diritto
vivente,    il    computo    dell'indennita'   integrativa   speciale
nell'indennita'    di   buonuscita   avviene   mediante   inserimento
dell'aliquota del 60 per cento di cui alla norma impugnata nella base
di  calcolo  poi utilizzata per la determinazione dell'effettiva base
contributiva;  e poiche' su quest'ultima si opera la riduzione all'80
per  cento  prevista  dall'art. 38  del  d.P.R.  n. 1032 del 1973, in
effetti  e'  soltanto  il  48  per  cento dell'indennita' integrativa
speciale ad essere conteggiato nel calcolo della buonuscita.
    In tale riduzione rispetto alla quota del 60 per cento il giudice
a quo ravvisa una violazione dei richiamati parametri costituzionali.
Come risulta dalla sentenza di questa Corte n. 243 del 1993, infatti,
l'indennita'  integrativa  speciale ha carattere retributivo, sicche'
le  riduzioni  delle  percentuali  di  calcolo della medesima ai fini
della  determinazione  della  buonuscita  non debbono pregiudicare il
principio  della  sufficienza della retribuzione. La norma impugnata,
invece,  interpretata  secondo  il  diritto  vivente, risulterebbe in
contrasto  con  il  principio di adeguatezza e proporzionalita' della
retribuzione  di  cui all'art. 36 Cost., poiche' determina un computo
dell'indennita'  integrativa  in  misura  inferiore  al 50 per cento,
palesemente  insufficiente  in  considerazione  del  citato carattere
retributivo  dell'indennita' stessa; d'altra parte la riduzione della
quota effettiva andrebbe a vulnerare anche l'art. 38 Cost., stante la
natura   di   retribuzione   differita   con  funzione  previdenziale
dell'indennita'  di  buonuscita, la quale e' finalizzata a concorrere
ad  assicurare  nel  corso  della  vecchiaia quei mezzi adeguati alle
esigenze   di   vita  cui  fa  riferimento  il  menzionato  parametro
costituzionale.
    Da  tanto consegue, secondo la Corte remittente, la necessita' di
un   intervento   di   questa  Corte  che  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale     della    norma    impugnata    quale    risultante
dall'interpretazione   giurisprudenziale   sopra   riportata;   e  la
rilevanza  della  questione  risulta  dal  fatto  che, in caso di suo
accoglimento,  entrambi  i  ricorrenti  avrebbero diritto a percepire
un'indennita'  di  buonuscita  maggiore di quella effettivamente loro
erogata.
    2.  - In entrambi i giudizi davanti a questa Corte e' intervenuto
il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo,  con  memorie di
diverso  contenuto, che la questione venga dichiarata inammissibile o
comunque infondata.
    Nell'atto di intervento relativo al giudizio di cui all'ordinanza
iscritta  al n. 340 del registro 2003 la difesa erariale ha osservato
che  il  giudice  a quo ha prospettato i propri dubbi di legittimita'
costituzionale  in  relazione  ad una possibile interpretazione della
norma,  lasciando  intendere  che  quest'ultima  sarebbe  conforme  a
Costituzione  ove  diversamente  interpretata; ne consegue, in virtu'
del  criterio  fondamentale secondo cui il giudice deve privilegiare,
tra  piu' interpretazioni, quella conforme al dettato costituzionale,
che  la  questione  e'  inammissibile, ben potendo la Corte d'appello
decidere  la controversia secondo la diversa interpretazione ritenuta
non in contrasto con la Carta costituzionale.
    Nel   merito,  l'Avvocatura  dello  Stato  ha  sostenuto  che  la
questione  e'  da  ritenere  non  fondata;  la  legge n. 87 del 1994,
infatti, non e' che una risposta del legislatore alla sentenza n. 243
del  1993 di questa Corte. E questa stessa Corte, chiamata a decidere
numerose  questioni di legittimita' costituzionale, con la successiva
sentenza  n. 103  del  1995  ha  gia'  chiarito che detta legge e' da
valutare  come  del  tutto conforme a Costituzione, rappresentando un
intervento   adeguato   e   tempestivo  conseguente  alla  precedente
declaratoria di illegittimita' costituzionale.
    Nell'atto di intervento relativo al giudizio di cui all'ordinanza
iscritta  n. 441  del  registro  2003 la difesa erariale ha osservato
innanzitutto che la legge n. 87 del 1994 rappresenta un tentativo del
legislatore  di  contemperare  quanto deciso dalla sentenza di questa
Corte  n. 243  del  1993  con  le esigenze di bilancio. In periodi di
crisi  economica  e  di  forte disavanzo pubblico il legislatore deve
necessariamente  coordinare  la  fruizione  dei diritti economici dei
cittadini  con  le  disponibilita'  finanziarie  esistenti, come piu'
volte  questa  Corte  ha  riconosciuto;  e,  d'altra parte, la stessa
sentenza   in   ultimo  citata  aveva  riconosciuto  rientrare  nella
discrezionalita' del legislatore il potere di disporre in merito alla
base retributiva da computare per i trattamenti di fine rapporto.
    La  difesa  erariale  ha  quindi  rilevato  che  le doglianze del
giudice  remittente  si  traducono,  in  effetti, in una richiesta di
sindacato   della   discrezionalita'   legislativa,  con  conseguente
inammissibilita'  della  questione.  D'altra  parte, l'illegittimita'
costituzionale  non deriverebbe - secondo il ragionamento fatto dalla
Corte   d'appello   di  Bologna  -  dall'inserimento  dell'indennita'
integrativa  speciale,  nella  misura del 60 per cento, nella base di
calcolo   dell'indennita'   di   buonuscita,  scelta  che  non  viene
criticata;   quanto,  piuttosto,  dall'ulteriore  riduzione  disposta
dall'art. 38  del  d.P.R.  n. 1032  del  1973,  il  che si traduce in
un'intrinseca   contraddittorieta'  della  questione,  finalizzata  a
contestare una scelta legislativa discrezionale, peraltro in se' gia'
ritenuta congrua.
    3.  -  Nel  giudizio  relativo  all'ordinanza  n. 340 del 2003 il
Presidente del Consiglio dei ministri, in prossimita' della camera di
consiglio,   ha  depositato  una  memoria  nella  quale  ha  aggiunto
ulteriori  argomenti a sostegno delle richieste avanzate nell'atto di
intervento, ponendo principalmente l'accento sul fatto che il diritto
vivente  di  cui  attualmente  si  discute e' del tutto conforme alla
finalita' primaria dell'art. 1 della legge n. 87 del 1994. Infatti la
statuizione,    in   esso   contenuta,   secondo   cui   il   computo
dell'indennita' integrativa speciale nell'indennita' di buonuscita (e
negli  analoghi  trattamenti di fine rapporto) deve essere effettuato
in    percentuale   e   l'individuazione   di   percentuali   diverse
rispettivamente  per  i  dipendenti compresi nella lettera a) e nella
lettera b)  della  disposizione  sono principalmente finalizzate alla
realizzazione   di  una  soddisfacente  equita'  ed  omogeneita'  del
risultato  finale  del calcolo del trattamento di fine rapporto tra i
vari  comparti  del  settore  pubblico, da un lato, e tra questi e il
settore   privato,  dall'altro,  onde  contenere  gli  effetti  della
diversita'   delle  rispettive  discipline,  secondo  le  indicazioni
fornite   nella   sentenza   di   questa   Corte   n. 243  del  1993.
L'orientamento giurisprudenziale di cui si tratta ha valorizzato tale
obiettivo,  mentre  la  diversa interpretazione auspicata dalla Corte
remittente  darebbe  luogo  ad una sensibile sperequazione tra i vari
settori a favore di quello pubblico.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  di appello di Bologna dubita della legittimita'
costituzionale   dell'art. 1,   comma 1  -  recte:  art. 1,  comma 1,
lettera b)  -  della  legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al
computo  dell'indennita'  integrativa  speciale  nella determinazione
della  buonuscita  dei  pubblici  dipendenti),  nella  parte in cui -
secondo  la  costante  interpretazione  giurisprudenziale costituente
diritto   vivente  -  dispone  che  per  i  pubblici  dipendenti  ivi
contemplati   (e,   in   particolare,   per   i  lavoratori  iscritti
all'Istituto   postelegrafonici)   l'inserimento   della   prescritta
percentuale dell'indennita' integrativa speciale (60 per cento) nella
base  di  calcolo  dell'indennita'  di  buonuscita  (e degli analoghi
trattamenti    di    fine   rapporto)   debba   avvenire   attraverso
l'applicazione  anche  a  tale percentuale della decurtazione (del 20
per  cento)  stabilita,  dall'art. 38  del  d.P.R.  29 dicembre 1973,
n. 1032,  per  tutti gli altri emolumenti che concorrono a formare la
base  contributiva  da prendere in considerazione per la liquidazione
dell'indennita' di buonuscita.
    Il  giudice  remittente  ritiene  che la norma censurata, in base
alla quale la percentuale di indennita' integrativa speciale presa in
considerazione   ai   suddetti  fini  viene  ad  essere  in  concreto
determinata  nella  misura del 48 per cento, sia in contrasto con gli
artt. 36 e 38 Cost. in quanto l'incisiva riduzione della misura utile
dell'indennita'  integrativa  speciale che essa comporta, da un lato,
si  traduce  in  una  quantificazione  di tale indennita' palesemente
inadeguata  alla  sua  natura retributiva e, dall'altro, da' luogo ad
una   quantificazione  dell'indennita'  di  buonuscita  tale  da  non
consentire  al suddetto trattamento, nella sua natura di retribuzione
differita,  di svolgere la funzione di concorrere ad assicurare mezzi
adeguati  alle  esigenze  di  vita  dei  lavoratori  nel  corso della
vecchiaia.
    2.  - La questione viene sollevata con due ordinanze di contenuto
identico,  pertanto  i  relativi  giudizi  possono essere riuniti per
essere definiti con unica pronuncia.
    3.  -  Deve,  in  primo  luogo,  essere  respinta  l'eccezione di
inammissibilita'  presentata  dall'Avvocatura dello Stato sul rilievo
che  il  remittente  avrebbe dovuto egli stesso attribuire alla norma
impugnata   il   significato   ritenuto  piu'  idoneo  a  superare  i
prospettati  dubbi  di legittimita' costituzionale. Si deve, infatti,
osservare  che,  in  presenza  di  un  orientamento giurisprudenziale
consolidato che abbia acquisito i caratteri del «diritto vivente», la
valutazione  se  uniformarsi  o  meno a tale orientamento e' una mera
facolta' del giudice remittente.
    4. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Secondo  l'orientamento  di  questa  Corte  la disciplina dettata
dalla  legge  n. 87  del  1994  deve  considerarsi  il  frutto di una
ragionevole  scelta  effettuata  dal  legislatore,  nell'ambito della
discrezionalita'  che  gli  compete  in  materia  di  introduzione di
benefici  di carattere retributivo e previdenziale, per perseguire in
modo  adeguato  l'obiettivo  considerato  ineludibile  dalla sentenza
n. 243  del  1993,  consistente  nella  previsione  di  meccanismi di
computo   dell'indennita'   integrativa   speciale   nell'ambito  dei
trattamenti  di fine rapporto dei pubblici dipendenti (v., per tutte,
sentenze n. 103 del 1995 e n. 175 del 1997).
    La  ragione  che  indusse  la Corte a considerare necessaria - al
fine  di  ricondurre  la  relativa  normativa «a piena conformita' ai
principi  costituzionali»  -  la  previsione del suddetto computo e a
ritenere, nel contempo, indispensabile, a tal fine, un intervento del
legislatore,  e'  stata  quella  di  riuscire a realizzare un sistema
idoneo  ad  assicurare  «una effettiva e ragionevole equivalenza» del
calcolo  complessivo  dei  diversi trattamenti di fine rapporto - non
solo  nell'ambito  del  settore  pubblico  ma anche nei confronti del
lavoro   privato   -   modellato   in  modo  da  attribuire  adeguata
considerazione,   oltre   che   ai  principi  di  proporzionalita'  e
sufficienza,  alle  persistenti  diversita' di regolamentazione, onde
evitare  l'eventuale  creazione di forme di squilibrio ulteriori - e,
in ipotesi, di segno opposto - rispetto a quelle all'epoca esaminate.
    In base a quanto espressamente affermato dall'art. 1 della citata
legge  n. 87 del 1994 la determinazione dei suddetti trattamenti, con
l'inclusione  della  prescritta percentuale di indennita' integrativa
speciale, deve avvenire «in applicazione delle norme gia' vigenti con
riferimento   allo   stipendio  e  agli  altri  elementi  retributivi
considerati   utili».   La   disposizione  in  oggetto,  per  la  sua
connessione sistematica con l'art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, e'
stata   quindi   costantemente   interpretata  nel  senso  che  anche
l'indennita'  integrativa  speciale,  nell'indicata misura del 60 per
cento,  rientra  nella  base  di  calcolo  della buonuscita e subisce
l'ulteriore   decurtazione  del  20  per  cento.  L'attribuzione  del
suddetto  contenuto  precettivo alla norma impugnata non ne determina
il contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
    L'indirizzo  consolidato  di  questa Corte, infatti, e' nel senso
che  la  valutazione  della  congruita'  della  retribuzione  ai fini
dell'art. 36   Cost.   deve   essere  effettuata  con  riguardo  alla
globalita'  della  stessa  e  non alle sue singole componenti (v., da
ultimo,  sentenza  n. 115  del  2003);  pertanto essa non puo' essere
limitata    all'indennita'    integrativa    speciale    isolatamente
considerata,  ancorche'  alla  medesima  sia  da  riconoscere  natura
retributiva,  ma  va  riferita  al  complessivo  trattamento  di fine
rapporto nel quale la suddetta indennita' viene inclusa.
    D'altra parte, l'indennita' di buonuscita e gli altri trattamenti
analoghi,   avendo   anche   funzione  previdenziale,  devono  essere
disciplinati  secondo  i  criteri  della  solidarieta'  sociale e del
pubblico  interesse  a  che sia garantita, per far fronte agli eventi
indicati  nell'art. 38, secondo comma, Cost., la corresponsione di un
minimum  la  cui  determinazione  e'  riservata  alla  competenza del
legislatore,  il  quale nell'operare le sue scelte discrezionali deve
tenere  conto  anche  delle  esigenze  della finanza pubblica (v., da
ultimo,  sentenze  n. 506  del  2002  e  n. 87 del 2003). Nel caso di
specie  il giudizio di conformita' ai suddetti principi dell'adozione
del   criterio   della   computabilita'  dell'indennita'  integrativa
speciale nell'ambito dei trattamenti di fine rapporto soltanto in una
misura  percentuale  e non integralmente, gia' espresso piu' volte da
questa   Corte,  deve  essere  confermato  anche  con  riguardo  alla
riduzione  della  suddetta percentuale derivante dall'interpretazione
giurisprudenziale    contestata    dall'attuale    remittente.   Tale
diminuzione,   infatti,   comporta   un  contenimento  delle  risorse
finanziarie  necessarie per dare attuazione alla legge n. 87 del 1994
senza  incidere  sulla  «garanzia delle esigenze minime di protezione
della  persona»  che  deve essere comunque salvaguardata (v. sentenza
n. 434  del  2002  e  ordinanza  n. 342  del  2002)  ed e', altresi',
adeguata  all'esigenza,  sottolineata  da questa Corte nella sentenza
n. 243  del 1993, di omogeneizzare i risultati finali del calcolo dei
diversi trattamenti di fine rapporto.