ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel        giudizio        di       legittimita'       costituzionale
dell'articolo 48-quinquies  del  regio decreto 10 gennaio 1941, n. 12
(Ordinamento   giudiziario),   aggiunto   dall'art. 15   del  decreto
legislativo  19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione
del  giudice  unico  di  primo  grado),  promosso  con  ordinanza del
4 febbraio  2003  dal  Tribunale  di Torino nel procedimento penale a
carico  di  D.A.,  iscritta  al  n. 188 del registro ordinanze 2003 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 10 dicembre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Torino
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 48-quinquies del
regio  decreto  30 gennaio  1941,  n. 12  (Ordinamento  giudiziario),
aggiunto dall'art. 15 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51
(Norme  in  materia di istituzione del giudice unico di primo grado),
nella  parte  in  cui,  «cosi'  come  interpretato  ed  applicato dal
Presidente  del  Tribunale  di  Torino»,  consente  al presidente del
tribunale di disporre che anche singoli procedimenti - e non soltanto
«una  o piu' udienze relative a procedimenti civili o penali» - siano
spostati dalla sezione distaccata alla sede principale del tribunale,
e viceversa, «in considerazione di particolari esigenze»;
        che  il giudice a quo premette che, in forza di provvedimento
adottato dal Presidente del Tribunale di Torino in applicazione della
norma  censurata,  gli  era  stato  assegnato  il  dibattimento di un
procedimento  penale  nei  confronti di persona imputata del reato di
ingiustificato  trattenimento  dello  straniero  nel territorio dello
Stato  in  violazione  dell'ordine  del questore, di cui all'art. 14,
comma 5-ter,  del  d.lgs.  25 luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione  dello  straniero), aggiunto dall'art. 13, comma 1,
della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla normativa in
materia  di  immigrazione  e  di  asilo):  reato  che  - accertato in
Bussoleno e, dunque, di «competenza» della sezione distaccata di Susa
-  era  stato  contestato  ad  imputato  in  stato  di  arresto ed in
relazione   al  quale,  previo  giudizio  di  convalida  dell'arresto
medesimo,   doveva   procedersi   con   rito  direttissimo  in  forza
dell'art. 14, comma 5-quinquies, del citato d.lgs. n. 286 del 1998;
        che  -  in  aderenza  all'interpretazione adottata dal locale
ufficio  del  giudice per le indagini preliminari, il quale si era in
precedenti  occasioni  dichiarato  funzionalmente  incompetente  alla
convalida  dell'arresto  per  il  reato in questione, sul presupposto
che,  dovendosi  necessariamente celebrare il giudizio direttissimo e
dunque  applicare  gli artt. 449, comma 1, e 558, comma 4, cod. proc.
pen.,   il  giudice  per  le  indagini  preliminari  sarebbe  rimasto
«sostanzialmente  estraneo  all'intera procedura» (interpretazione la
cui  correttezza  il  rimettente  peraltro  contesta)  -  il pubblico
ministero  aveva  presentato  l'arrestato al giudice del dibattimento
per detta convalida ed il conseguente giudizio direttissimo;
        che  a  sua  volta  il Presidente del tribunale, in base alla
propria   interpretazione   dell'art. 48-quinquies   dell'ordinamento
giudiziario,  aveva stabilito che, in luogo del giudice della sezione
distaccata  di  Susa, fosse esso rimettente, quale giudice della sede
principale, a doversi occupare della vicenda processuale «a poche ore
dalla  scadenza  prevista  dall'art. 390  cod.  proc.  pen.»  per  la
convalida dell'arresto;
        che,   ad   avviso   del  giudice  a  quo,  il  provvedimento
presidenziale  non  troverebbe  reale  fondamento  nella disposizione
impugnata,   la   quale,   per   il   suo  chiaro  tenore  letterale,
consentirebbe  al  presidente del tribunale di spostare dalla sezione
distaccata  alla  sede  principale,  e viceversa, intere udienze, sia
civili  che  penali,  gia' fissate, e non anche singoli procedimenti,
come era accaduto invece nella specie;
        che    non    potendo,    tuttavia,   il   provvedimento   ex
art. 48-quinquies  dell'ordinamento  giudiziario  essere disatteso da
esso  rimettente,  emergerebbero sospetti di violazione del principio
del  giudice  naturale, giacche' - ove detta norma venga interpretata
nel  senso  di  rendere  possibile  al  presidente  del  tribunale lo
spostamento  anche di un singolo procedimento - il giudice competente
verrebbe   ad   essere   designato   con  criteri  non  automatici  e
precostituiti;
        che  nel  caso  di  specie,  d'altra  parte, il provvedimento
presidenziale  avrebbe  determinato  non  soltanto il mutamento della
competenza  territoriale per il dibattimento, ma anche l'attribuzione
al  giudice  di  quest'ultimo della convalida dell'arresto, spettante
invece  al  giudice  per  le  indagini  preliminari, giudice naturale
dell'udienza di convalida;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile.
    Considerato  che - come gia' rilevato da questa Corte in rapporto
ad  identica questione sollevata dal medesimo giudice (cfr. ordinanza
n. 289  del  2003) - il rimettente censura espressamente non tanto la
norma  in  se',  quanto  il modo in cui essa e' stata interpretata ed
applicata dal Presidente del Tribunale di Torino;
        che il quesito si risolve, dunque, non gia' nella denuncia di
incostituzionalita'  della  disposizione  impugnata, quanto piuttosto
nella contestazione dell'interpretazione ad essa data da altro organo
giurisdizionale,   nell'adozione   di  un  singolo  e  concreto  atto
ordinamentale:  interpretazione  che,  peraltro,  il  rimettente  non
soltanto non condivide, ma reputa, anzi, del tutto errata;
        che cio' implica - alla luce della costante giurisprudenza di
questa  Corte  (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 109 del 2003 e n. 472
del  2002) - la manifesta inammissibilita' della questione, avendo il
rimettente  attivato il giudizio di costituzionalita' al solo fine di
conseguire un avallo interpretativo, e dunque in modo improprio.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.