IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  su richiesta di convalida di
arresto (artt. 391 e 558 c.p.p.).
    Vista   la   richiesta  di  convalida  dell'arresto  operato  nei
confronti di:
        1)  Daif  Waid  nato in Palestina il 1° gennaio 1975 detenuto
presso  la  Casa  c.le  di  Sollicciano,  difeso  d'ufficio dall'avv.
Valentina Sanfelice;
        2)  Adel  Lofti  nato  in Marocco il 24 giugno 1968, detenuto
presso  la  Casa  C.le  di  Sollicciano,  difeso  d'ufficio dall'avv.
Valentina Sanfelice;
        3)  Dian  Aziz  nato  in Marocco il 12 dicembre 1984 detenuto
presso la Casa C.le di Sollicciano;
        4)  Absalem  Slah, nato in Marocco il 27 luglio 1973 detenuto
presso la Casa C.le di Sollicciano, difeso di fiducia dall'avv. Diego
Mangio' del Foro di Firenze;
tutti  i difensori sostituiti ex art. 97 c.c.p. dall'avv. Miccoli del
Foro di Firenze;
    Rilevato:
        che  in data 28 agosto 2003 veniva effettuato l'arresto degli
imputati in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter d.lgs.
25  luglio  1998, n. 286, come modificato dalla legge 30 luglio 2002,
n. 189;
        che  in data 29 agosto 2003 il p.m., ritenuta la legittimita'
dell'arresto  nella  nuova  ipotesi  di cui all'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  come  modificato  dalla  legge n. 189/2002, dal
momento  che  gli  imputati si trattenevano senza giustificato motivo
nel  territorio  dello Stato in violazione dell'ordine loro impartito
dal  Questore ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998,
ordine  ritualmente notificato, chiedeva la convalida degli arresti e
procedersi per rito direttissimo;
        che il p.m., all'odierna udienza, sollevava in tesi questione
di   illegittimita'   costituzionale   della  norma  in  oggetto  per
violazione degli artt. 2 e 27 della Costituzione;
        che gli imputati venivano interrogati;
        che  il  difensore  in  tesi  si  associava  all'eccezione di
incostituzionalita'   e   in   ipotesi  si  opponeva  alla  convalida
dell'arresto  di  Adel Lofti e Dian Aziz, essendo remissivo in ordine
alla convalida degli altri due imputati;
    Cio'   posto,   ritenuto  che  l'eccezione  di  costituzionalita'
formulata  dalle  parti  debba  essere esaminata preliminarmente alla
decisione  sulla convalida dell'arresto, questo giudice, condividendo
e   la   prospettazione  delle  parti,  solleva  dinanzi  alla  Corte
costituzionale  questione  di  costituzionalita'  della  norma di cui
all'art. 14,   comma   5-quinquies   d.lgs.  n. 286/1998,  nel  testo
novellato  dalla  legge  30  luglio  2002,  n. 189  sulla  base delle
seguenti  motivazioni  in  merito alla rilevanza e alla non manifesta
infondatezza.
    Sul carattere di pregiudizialita' e rilevanza della questione
    A norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudice
a  quo  e'  chiamato, in primo luogo, a verificare la rilevanza della
questione    che   intende   sottoporre   al   vaglio   della   Corte
costituzionale, al fine di accertare il carattere di pregiudizialita'
rispetto alla decisione di merito di cui trovasi ad essere investito.
    In  tanto  una  questione  di  costituzionalita' potra' reputarsi
rilevante  nel giudizio a quo in quanto dalla sua risoluzione possano
scaturire  effetti  per  la  decisione  di  merito. La verifica della
rilevanza  impone pertanto al giudice a quo l'esigenza di operare una
valutazione di prevedibile applicabilita' della norma impugnata.
    Ebbene,  nel  caso  in  esame il giudice ritiene che l'arresto e'
avvenuto  in presenza dei presupposti contemplati dal disposto di cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs.  n. 286/1998, nel testo novellato
dalla legge 30 luglio 2002, n. 189. Non puo' pertanto dubitarsi della
rilevanza della questione di costituzionalita' della norma citata.

          Sulla non manifesta infondatezza della questione

    Come  noto,  la  possibilita' di attivare il giudizio incidentale
sulla  costituzionalita'  di  una  norma  e' condizionato alla previa
verifica  della  non  manifesta infondatezza della medesima, ossia da
una  preventiva  e forzatamente sommaria delibazione, all'esito della
quale   emergano   profili   di   contrasto   con   norme   di  rango
costituzionale.
    Operato  tale  sommario vaglio, questo giudice reputa sussistenti
profili  di  dubbia costituzionalita' dell'art. 14, comma 5-quinquies
d.lgs.  n. 286/1998,  nel testo novellato dalla legge 30 luglio 2002,
n. 189  alla  stregua  degli  artt. 3,  13,  primo comma, 27, secondo
comma, della Cost.
    Occorre  premettere  che la disposizione citata prevede l'arresto
obbligatorio  nella flagranza del reato di cui al comma V-ter nonche'
la  necessita' di procedere con rito direttissimo nei confronti degli
autori dei reati rispettivamente previsti dall'art. 14, comma 5-ter e
dall'art. 14,  comma 5-quater d.lgs. n. 286/1998, nel testo novellato
dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
    La  prima fattispecie incriminatrice - contestata nel caso che ci
occupa  -  punisce con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno la
condotta  dello  straniero che si trattenga senza giustificato motivo
nel  territorio  dello  Stato  in violazione dell'ordine del questore
impartitogli ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis.
    Preme  osservare  che  in  questa  ipotesi  contravvenzionale  il
legislatore  ha  stabilito  che  deve  altresi'  procedersi  a  nuova
espulsione,  tramite  accompagnamento  alla  frontiera  a mezzo della
forza pubblica.
    Per  completezza  deve  soggiungersi  che  la seconda fattispecie
(quella contemplata dall'art. 14, comma 5-quater) descrive un'ipotesi
delittuosa,  punendo  con  la  pena della reclusione da uno a quattro
anni  il  comportamento dello straniero, che colpito da provvedimento
di  espulsione  ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter, venga trovato nel
territorio dello Stato.
    Cio' posto e considerato, la circostanza che il legislatore abbia
inteso   prevedere   un'ipotesi   di  arresto  obbligatorio  per  una
fattispecie  di  reato  contravvenzionale,  quale  quella  contestata
all'imputato,  solleva  ictu  oculi perplessita' sotto il profilo del
fondamentale  canone  della  ragionevolezza ex art. 3 Cost., cui deve
informarsi  l'attivita'  del  legislatore  nell'esercizio  delle  sue
prerogative istituzionali.
    Occorre,   a  tal  proposito,  evidenziare  come  nel  codice  di
procedura   penale   l'arresto   in  flagranza  -  misura  fortemente
restrittiva  della  liberta'  personale - in generale, e salvi i casi
tassativamente  previsti  dal  secondo  comma  dell'art. 381, non sia
consentito  per  i delitti puniti con la pena della reclusione pari o
inferiore, nel massimo, a tre anni.
    Ancor piu' ristretti sono i casi di arresto obbligatorio previsti
dall'art. 380  c.p.p.,  con i quali occorre istituire il raffronto in
questo  caso,  dato  che, come se gia' detto, la novella prevede tale
categoria di arresto.
    Il  sistema penale, in altri termini, prescrive l'obbligatorieta'
della  misura  restrittiva  della  liberta' personale solo per reali,
obiettive situazioni di singolare gravita'.
    Orbene,  in  deroga ai criteri generali, nel caso in esame, viene
introdotta  nell'ordinamento  un'ipotesi  di arresto obbligatorio per
una contravvenzione neppure particolarmente grave, soprattutto ove la
si  raffronti  con  ipotesi  delittuose  per  le  quali e' consentito
l'arresto  in  flagranza al di sotto dei limiti sanciti dall'art. 380
c.p.p.  (si  pensi  al  delitto  di  furto,  in relazione al quale il
legislatore ha previsto la misura limitativa della liberta' personale
sulla  base  dell'apprezzamento  della spiccata pericolosita' sociale
del fatto).
      Ne'  puo'  sottacersi  che il nostro ordinamento, mentre, da un
lato introduce l'arresto obbligatorio per l'ipotesi contravvenzionale
di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter, dall'altro, lo esclude per altre
fattispecie  contravvenzionali,  punite  con  altrettanta, quando non
maggiore,  severita'.  Si pensi, a tal proposito, alla fattispecie di
cui  all'art. 678  c.p. che incrimina la fabbricazione o il commercio
abusivo  di  materie  esplodenti,  punendola con la pena dell'arresto
fino a diciotto mesi oltre all'ammenda, per tacere del reato di porto
di  armi  per cui non e' ammessa la licenza (art. 699, secondo comma,
c.p.),  reato  sanzionato con la pena dell'arresto da diciotto mesi a
tre anni.
    Quanto   evidenziato   vale   a   palesare   chiari   sintomi  di
irragionevolezza   nella   scelta   del   legislatore,  al  punto  da
configurarla come prodotto di logiche non del tutto in armonia con il
principio di ragionevolezza costituzionalmente codificato.
    Cio'  posto, se e' innegabile che, in un ordinamento che accoglie
il  principio  della  separazione  dei poteri, competa al legislatore
qualsiasi  scelta  di  politica  criminale,  con  la  conseguenza che
rientra  nell'ambito di discrezionalita' propria del legislatore ogni
opzione  in  ordine  alla  determinazione  della  quantita'  e  della
qualita'  della  sanzione, non puo' pero' trascurarsi che spetta alla
Corte costituzionale il ruolo di giudicare in concreto l'esercizio di
detta  discrezionalita',  allo  scopo di verificarne la conformita' o
meno  ai  parametri  costituzionali.  Si  richiama,  a tal proposito,
quanto  ebbe  ad  enunciare  la  Corte  costituzionale nella sentenza
n. 408 del 1989, laddove si sostiene che «il principio di uguaglianza
di  cui  all'art. 3,  primo  comma,  Cost.  esige  che  la  pena  sia
proporzionata  al  disvalore del fatto illecito commesso, in modo che
il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa
sociale  ed  a  quella  di tutela delle posizioni individuali; ... le
valutazioni  all'uopo  necessarie  rientrano  nell'ambito  del potere
discrezionale   del   legislatore,   il  cui  esercizio  puo'  essere
censurato,   sotto  il  profilo  della  legittimita'  costituzionale,
soltanto  nei  casi  in  cui non sia stato rispettato il limite della
ragionevolezza».
    Si   richiama   altresi'   in   ossequio   al  principio  sotteso
all'ordinamento  penale  che prescrive l'obbligatorieta' della misura
restrittiva  della liberta' personale solo in obiettive situazione di
singolare  gravita',  la  sentenza  11  marzo 1970 n. 39 declaratoria
della  illegittimita'  costituzionale dell'art. 220 TULPS nella parte
in   cui   prevedeva  l'arresto  obbligatorio  in  flagranza  di  chi
contravveniva al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico.
    L'art. 13   Cost.   proclama   l'inviolabilita'   della  liberta'
personale,    ammettendone   la   limitazione   per   atto   motivato
dell'autorita' giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge.
    In   casi  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza,  la  polizia
giudiziaria,  per  finalita'  di  pubblica  sicurezza  puo'  adottare
provvedimenti  provvisori  che  limitino  la  liberta'  personale  da
sottoporre,   entro   breve   tempo   predeterminato,   a   convalida
dell'autorita' giudiziaria.
    L'intento del legislatore costituzionale traspare nitidamente: la
liberta' personale - massima espressione della liberta' individuale -
puo'  cedere  solo  di  fronte  a  particolari  esigenze di rilevanza
costituzionale  non  altrimenti  tutelabili,  e pur sempre, nel pieno
rispetto di procedure costituzionalmente garantite.
    Cio'   premesso,   occorre  verificare  quali  possano  risultare
nell'ipotesi  di  cui  all'art. 14,  comma  5-quinquies le situazioni
«eccezionali   di   necessita'  ed  urgenza»  idonee  a  giustificare
l'adozione della misura restrittiva della liberta' personale.
    A  parere  del  giudice,  tali  situazioni  non  ricorrono  nella
fattispecie   essendo  palese  come  le  nuove  previsioni  normative
processualpenalistiche  siano  in  realta'  finalizzate  a consentire
l'effettiva  espulsione  dello  straniero  dal territorio dello Stato
apparendo  pertanto  del  tutto incongruo ed irrazionale prevedere il
meccanismo  repressivo sopra ricostruito con tanto di sanzione penale
quando  l'obiettivo  e' solo l'espulsione del soggetto, obiettivo che
si   sarebbe  potuto  raggiungere  anche  solo  con  misure  di  tipo
amministrativo efficaci ed effettive.
    Infatti  quanto  al  requisito  della  necessita', e' sufficiente
porre in rilievo che, ad avviso unanime di dottrina e giurisprudenza,
l'arresto  costituisce  mezzo  di coazione preordinato a preparare le
condizioni per l'attuazione di misura custodiale preventiva.
    Laddove,  peraltro,  come  nel caso in esame, il reato per cui si
procede  all'esecuzione  del provvedimento restrittivo della liberta'
personale non consenta al p.m. di chiedere al giudice della convalida
l'applicazione  di  una  misura  custodiale  coercitiva, obbligandolo
quindi,  in  forza del disposto dell'art. 121 disp. att., a rimettere
l'arrestato  immediatamente  in  liberta',  risulta di tutta evidenza
l'assenza di qualunque esigenza di necessita'.
    Anche   il   requisito  dell'urgenza  pare  non  ricorrere  nella
fattispecie.   Non  sembra  certo  possibile  identificare  l'urgenza
nell'esigenza   di   provvedere   ad  un'immediata  espulsione  dello
straniero,  eventualita'  quest'ultima  consentita di per se' gia' in
via   amministrativa,   ancor  prima  del  configurarsi  dell'ipotesi
contravvenzionale  di cui all'art. 14, comma 5-ter, di permanenza sul
territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal
questore ex art. 14, comma 5-bis.
    In  ultima  analisi, per le ragioni sopra esposte, deve ritenersi
contrario   al   principio   della   liberta'   personale   l'arresto
obbligatorio in questione.
    Evidente,  a  giudizio  di  questo  giudice,  risulta  infine  la
violazione dell'art. 27 Cost.
    E'  sufficiente porre in luce l'intrinseca irragionevolezza della
disciplina  dettata  dall'art. 14,  comma  5-ter,  laddove si prevede
l'immediata  espulsione  dello  straniero contravventore, rendendo in
tal  modo  praticamente  ineseguibile - almeno nell'immediatezza - la
pena  irrogata  e  negando,  al contempo, la funzione ontologicamente
assegnata  alla  pena  quale  strumento  volto  alla rieducazione del
condannato.
    Conclusivamente,    evidenziati    i    suddetti    profili    di
incostituzionalita',  non sembra superfluo sottolineare che l'arresto
di  cui  si  tratta dovrebbe essere convalidato in forza di una norma
che  si  ritiene  sospetta  di  incostituzionalita'  e  che,  dopo la
convalida,   si   dovrebbe  procedere  ad  un  giudizio  direttissimo
contrassegnato da alcuni aspetti di anomalia.
    Conseguentemente, l'incidente di costituzionalita' dev'essere del
p.m.  sollevato  gia'  in questa fase, come richiesto dal difensore e
del p.m., con la sospensione dello stesso giudizio di convalida.
    Ne  deriva  che non puo' farsi luogo al giudizio direttissimo, la
cui celebrazione presuppone l'avvenuta convalida dell'arresto, che in
questo caso difetta, in forza della sospensione.
    Va  altresi'  disposta l'immediata liberazione degli imputati, se
non detenuti per altra causa non potendo la convalida avere luogo nei
termini improrogabilmente stabiliti dalla legge.