IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

    Ha pronunciato il seguente decreto sul ricorso n. 180/04 proposto
da:   Ausonia   Servizi  Tributari  S.p.a.,  in  persona  del  legale
rappresentante   pro   tempore,   rappresentata  e  difesa  dall'avv.
Salvatore  Raimondi  con  domicilio  eletto  in  Palermo, via Nicolo'
Turrisi n. 59 presso lo studio dello stesso;
    Contro  il  Comune  di  Belmonte  Mezzagno, in persona del legale
rappresentante  pro  tempore,  non  costituito  in  giudizio,  e  nei
confronti della I.N.P.A. S.p.a., in persona del legale rappresentante
pro  tempore,  non  costituita  in giudizio, per l'annullamento della
sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sede di
Palermo  (Sez.  II)  n. 124/04  relativa al ricorso n. 4173/03 del 19
gennaio  2004  riguardante: gara relativa all'appalto del servizio di
riscossione e gestione dei tributi;
    Visti gli atti e i documenti depositati con l'appello;
    Vista   l'istanza   di   concessione   provvisoria  della  misura
cautelare;
    Visto l'art. 21, comma nono della legge 6 dicembre 1971, n. 1034,
cosi' come introdotto dall'art. 3 della legge n. 205/2000, coordinato
con l'art. 1 della legge stessa;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con ricorso notificato in data 10 febbraio 2004 la S.p.a. Ausonia
Servizi   Tributari   ha   impugnato   la   sentenza   del  Tribunale
amministrativo regionale Sicilia - Palermo - 19 gennaio 2004, n. 124.
    Esponeva   di   avere   in   primo  grado  richiesto  con  l'atto
introduttivo del giudizio l'annullamento dei seguenti atti:
        1)  dell'atto  del  Comune  di Belmonte Mezzagno, a firma del
responsabile  del Servizio Finanziario, 9 luglio 2003, prot. n. 9143,
con  il quale apparentemente si preannunzia, ma in realta' si dispone
l'annullamento in autotutela, dell'aggiudicazione della gara relativa
all'appalto  del  servizio  di  riscossione  e  gestione  dei tributi
disposto a favore della ricorrente con determina n. 304 del 28 maggio
2003;
        2)  ed  occorrendo,  del bando di gara nella parte in cui non
prescrive  la  presentazione  della dichiarazione di cui all'art. 17,
legge n. 68 del 1999.
    Impugnava  con  motivi aggiunti chiedendo altresi' l'annullamento
dei seguenti atti:
        1)  della determina del responsabile del Servizio finanziario
del  Comune  di  Belmonte  Mezzagno n. 419 del 22 luglio 2003, con il
quale    si    ribadisce    il    provvedimento    di    annullamento
dell'aggiudicazione  gia'  contenuto  emesso  nella nota del 9 luglio
2003;
        2)  della  nota del responsabile del Servizio finanziario del
Comune  di  Belmonte Mezzagno, prot. n. 9714, del 23 luglio 2003, con
la  quale  si  trasmette  la  predetta  determina  ed  al contempo si
comunica che le operazioni di gara saranno ripetute in data 11 agosto
2003.
    In prime cure articolava le seguenti censure:
        1)  violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9, 10 e 11
legge reg. 30 aprile 1991, n. 10.
        2)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 2 del bando di
gara.
        3)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 6 del bando di
gara.
        4)  violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 17 legge 12
marzo 1999, n. 68.
        5)  violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 17 legge 12
marzo 1999, n. 68, sotto altro profilo.
        6) in subordine. Illegittimita' del bando di gara per mancata
espressa  previsione  della  dichiarazione  di cui all'art. 17, legge
n. 68  del  1999. Violazione dell'art. 17 predetto. Eccesso di potere
per manifesta illogicita'.
        7)   ancora   in   subordine.  Violazione  del  principio  di
trasparenza  di  cui  agli  artt. 1  e 25, legge reg. 10 aprile 1991,
n. 10.
        8)  violazione  e  falsa applicazione dell'art. 16, d.lgs. 17
marzo  1995,  n. 157  e,  in  subordine veniva sollevata questione di
costituzionalita'  del citato art. 16 in correlazione con l'art. 12 e
per  contrasto  con  il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
della  Costituzione  e  veniva  chiesto da ultimo il risarcimento dei
danni.  L'appellante  espone  altresi'  che  nel corso di giudizio di
primo  grado  veniva  accolta  l'istanza cautelare proposta in quella
sede  e che l'ordinanza emessa dal Tribunale amministrativo regionale
veniva  appellata  dalla  controinteressata  societa' S.p.a. I.N.P.A.
Tuttavia l'appello a questo C.G.A. fissato per la camera di consiglio
del  27 novembre 2003, non poteva essere trattato causa la astensione
di   un  componente  laico  di  questo  Consiglio  e  la  conseguente
impossibilita' di formare il collegio.
    Con  la decisione impugnata il Tribunale amministrativo regionale
disattendeva  tutte  le censure e dichiarava manifestamente infondata
la  questione di costituzionalita' sollevata in subordine nell'ottavo
motivo.
    Avverso  tale  decisione  ha  proposto  appello la S.p.a. Ausonia
Servizi  Tributari  riproponendo  espressamente tutte le censure e le
domande  avanzate  in  primo  grado ed articolando inoltre i seguenti
motivi:
    1. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 2, 6,
commi 3, 4 e 5 e 7, d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373.
    Con  d.lgs.  24  dicembre  2003, n. 373, pubblicato nella G.U. 14
gennaio  2004, n. 10, sono state approvate nuove «Norme di attuazione
dello   statuto   speciale   della   Regione   siciliana  concernenti
l'esercizio  nella  regione  delle funzioni spettanti al Consiglio di
Stato». Le quali sono entrate in vigore il 29 gennaio 2004.
    La disciplina dettata da tali norme ha fatto venire meno soltanto
alcune,  peraltro  le  meno  rilevanti questioni di costituzionalita'
sollevate  da  codesto  Consiglio  con ordinanza n. 185 del 13 maggio
2003  e  con  ordinanze  successive,  mentre non ha fatto venire meno
quelle piu' importanti.
    Infatti  e'  rimasta  ferma  la  composizione  mista.  Per quanto
concerne la sezione giurisdizionale, il collegio viene composto, come
gia'  secondo  le  disposizioni di cui all'abrogato d.lgs. n. 654 del
1948,  come  modificato  con  d.P.R.  n. 204  del 1978, della sezione
giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa fanno parte
oltre  che il presidente dello stesso ed il presidente assegnato alla
sezione  giurisdizionale  ed  a quattro consiglieri di Stato, quattro
componenti  designati  dal  presidente  della  regione e nominati con
d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito
il  Consiglio  di  presidenza  della giustizia amministrativa, previa
deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri  (artt. 4, comma 1, e 6,
commi  2  e  3).  Il  collegio  giudicante e' composto da uno dei due
presidenti  della  sezione  da  due consiglieri di Stato e da due dei
membri designati dal presidente della regione.
    Non  appare dubbio che, sotto tale profilo, le nuove disposizioni
sono  affette  dalle medesime ragioni di incostituzionalita' che sono
poste a base delle citate ordinanze di codesto Consiglio.
    Parafrasando   l'ordinanza   n. 185/03  si  possono  avanzare  le
seguenti  questioni  di  costituzionalita'  degli  artt. 4,  primo  e
secondo  comma, 6, terzo, quarto e quinto comma, 7, d.lgs. n. 373 del
2003:
        1)  in rapporto all'art. 23, comma 1, dello statuto siciliano
ed  in  rapporto  al  comma 1 della VI disposizione transitoria della
Costituzione   che  esclude  dalla  revisione  la  giurisdizione  del
Consiglio di Stato;
        2)  in  rapporto  allo stesso art. 23, comma 1, dello statuto
siciliano,  nonche'  in  rapporto  all'art. 102, comma 2, e 108 commi
primo e secondo, della Costituzione, non essendo consentito istituire
sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali;
        3)   in  rapporto  all'art. 23  dello  statuto  siciliano  ed
all'art.  102,  comma  primo,  e  108,  comma primo, Cost., in quanto
l'art.  23  dello statuto non prevede alcuna deroga alla composizione
ordinaria  delle  sezioni  del  Consiglio  di Stato da localizzare in
Sicilia,  e  in  rapporto  agli  artt. 102, comma primo, e 108, comma
secondo,   Cost.,   in  quanto  disciplina  materia  riservata  dalla
Costituzione  alla  legge statale, per cui eventuali deroghe a favore
dell'autonomia  regionale  debbono  essere supportate da una espressa
previsione  di  pari  rango  costituzionale  che  -  come  piu' volte
rappresentato   -  non  e'  rinvenibile  nell'art. 23  dello  statuto
siciliano;
        4)  in rapporto all'art. 23, comma 1, dello statuto siciliano
che  non  prevede  ne' una sezione specializzata del giudice speciale
ne'  una  composizione  collegiale diversa da quella ordinaria e cio'
anche in relazione, quale tertia comparationis, all'art. 24, comma 1,
dello  statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta Corte,
nonche'  all'art. 23,  comma  3,  del  medesimo  statuto,  al decreto
legislativo  6  maggio  1948,  n. 655,  concernente  l'istituzione di
sezioni  della  Corte  dei  conti  per  la Regione siciliana, ed agli
artt. 90 e 91, comma 2, del testo unico delle leggi costituzionali di
cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670.
    Conseguentemente  in  via  principale  si chiede che il Consiglio
ritenga   rilevanti   e  non  manifestamente  infondate  le  predette
questioni  di costituzionalita' e conseguentemente, dopo avere deciso
sull'istanza  cautelare,  sospenda  il  giudizio e trasmetta gli atti
alla Corte costituzionale.
    2. - Sul primo capo della sentenza.
    Il  TA.R. ha ritenuto infondato il primo motivo del ricorso e del
ricorso  per  motivi  aggiunti  con cui era stato denunciato l'omesso
avviso  di avvio del procedimento. Si assume al riguardo che, sebbene
con  una  formulazione «non del tutto appropriata», con la nota del 9
luglio 2003, il comune avrebbe assicurato all'Ausonia la possibilita'
di partecipare al procedimento.
    Siffatta  conclusione non puo' essere condivisa. Il predetto atto
del  9  luglio 2003, lungi dal configurarsi come avviso di inizio del
procedimento,  e' da configurare come un vero e proprio provvedimento
di   annullamento,  in  quanto  il  comune  ha  manifestato  in  modo
inequivoco la volonta' di annullare, tanto che:
        1)  non  ha  assegnato  nessun  termine  all'Ausonia  per  la
presentazione di deduzioni e documenti;
        2)  non  ha  neppure, prescindendo dal termine, rappresentato
all'Ausonia  la  possibilita'  della  presentazioni  di  deduzioni  e
documenti;
        3)  ha  preannunziato  l'invio  di  un successivo atto il cui
centro  di  gravita'  sarebbe stato l'indicazione della nuova data di
ripetizione degli atti di gara.
    Cio'  posto, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di primo
grado,  il  secondo  provvedimento,  del 22 luglio 2003, si configura
come un atto meramente confermativo del primo.
    Pertanto la censura dedotta risulta pienamente fondata.
    3.  -  Sul  secondo  e  sul  quinto  capo  della  sentenza (n. 3,
riguardante il secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso per
m.a. e n. 5 riguardante il sesto motivo del ricorso per m.a.).
    In  relazione  alla  «questione di fondo», vale a dire la portata
dell'art. 17,  legge n. 68/1999, il tribunale, «riconsiderando quanto
delibato  in  sede  cautelare»,  ha ritenuto «di dovere prendere atto
che,  da  ultimo,  si  e'  affermato  l'orientamento secondo il quale
l'omessa  produzione della dichiarazione della certificazione ... non
solo  e'  requisito  di  partecipazione  ... ma comporta l'esclusione
della gara anche in difetto di apposita previsione del bando ...».
    L'appellante  non pone minimamente in discussione la possibilita'
che  in  sede  di merito il giudice amministrativo riconsideri quanto
delibato  in  sede  cautelare.  Tuttavia  non  puo'  fare  a  meno di
osservare  che,  all'evidenza,  il  TA.R., pur non essendo per niente
convinto della bonta' dell'orientamento giurisprudenziale al quale fa
riferimento, come si suole dire «non se l'e' sentita» di assumere una
posizione diversa da quella ritenuta corrente.
    In  proposito  e' da osservare preliminarmente che l'orientamento
al  quale si fa riferimento nella sentenza, e negli atti difensivi di
controparte,  non  e'  cosi'  solido  come  nella stessa si sostiene.
Diverse  sentenze citate non sono affatto in termini. Cosi', per fare
un  esempio, nella decisione della sez. IV n. 6440/02, si legge della
«clausola  stabilita  con  l'art. 11  del  disciplinare  di gara, che
richiedeva, alle imprese partecipanti, apposita certificazione ... di
cui  all'art. 17  della  legge  n. 68/1999  ...».  Nella  sentenza si
discute pertanto dell'osservanza o meno di tale clausola.
    Nel  merito  l'appellante fa presente di non volere neppure porre
in discussione l'importanza, la pregnanza, del principio sotteso alla
norma di cui al citato art. 1, legge n. 68 del 1999, che e' quello di
offrire  la  massima  tutela  ai disabili vale a dire a quei soggetti
che,   essendo  colpiti  da  menomazioni  meritano,  da  parte  della
societa',  tutto  il  sostegno  possibile.  E' in tale senso che deve
essere intesa la disposizione di cui si discute.
    Si  permette  pero' di osservare che non e' affatto incompatibile
con  il  predetto  principio  quello  della  tutela dei concorrenti a
pubbliche  gare  che  hanno  il sacrosanto diritto di trovarsi in una
situazione nella quale non devono sentirsi in concreto, turlupinati a
causa delle conseguenze che dal richiamato principio si pretenderebbe
di  trarre,  vale  a  dire  una  sua  imperativita' talmente forte da
travolgere  ogni  altro profilo, pur meritevole di considerazione e -
si  ripete - perfettamente conciliabile con lo scopo perseguito dalla
norma in oggetto (art. 17, legge n. 68/1999). Talmente forte da farlo
assurgere ad una gratuita soperchieria.
    A  tale riguardo l'appellante richiama l'attenzione del Consiglio
su  un  aspetto  della  vicenda  in  oggetto,  che, invero, non trova
riscontro   nei  precedenti  giurisprudenziali  tenuti  presenti  dal
tribunale.
    L'Ausonia,  oltre  ad  impugnare il provvedimento di annullamento
dell'aggiudicazione,  ha  anche impugnato il bando nella parte in cui
esso,  pur  avendo  dettato  un  dettagliato elenco dei documenti che
ciascun  concorrente  avrebbe dovuto presentare e del contenuto della
dichiarazione  che  ciascun  concorrente avrebbe dovuto rendere, tace
completamente  in ordine alla dichiarazione di cui all'art. 17, legge
n. 68 del 1999.
    Donde  la sua dedotta illegittimita' per violazione dell'art. 17,
nonche'  sotto  il  profilo  dell'eccesso  di  potere  per  manifesta
illogicita'.  E'  indubbio  che  bando di gara deve essere redatto in
modo  che  risulti  chiaro  quali  documenti  e quali dichiarazione i
concorrenti devono presentare.
    Nel   caso   in   esame   il   bando,   all'art. 2  modalita'  di
partecipazione,  dopo  avere  prescritto  che  ogni  concorrente deve
presentare  inserendola  nel  plico  una  busta  contenente  «tutti i
documenti  richiesti»,  aggiunge: «Di seguito riportiamo elenco della
documentazione richiesta».
    Al  punto  A  e'  prevista  la dichiarazione, il cui contenuto e'
espressamente indicato: «con la quale si attesti ...».
    Orbene,   se  si  ritenesse  esatta  l'impostazione  seguita  dal
Tribunale amministrativo regionale, il bando, in concreto, come si e'
denunziato  nel sesto motivo si rivelerebbe una trappola in quanto da
una  parte  prescrive  tassativamente  qual  e' il contenuto che deve
avere  la dichiarazione - tra l'altro «che non vi siano in atto cause
ostative  per  la  partecipazione  a  pubblici incanti» - dall'altra,
dalla  mancata  presentazione della dichiarazione di cui all'art. 17,
legge n. 68/1999 deriverebbe l'esclusione delle imprese.
    Di  fronte ad un bando siffatto, l'impresa comprensibilmente puo'
ritenere,  come  ha  ritenuto  l'Ausonia,  che  la  dichiarazione  di
insussistenza  di  cause  ostative sia comprensiva anche di quella di
cui all'art. 17.
    Le  conclusioni  alle quali il tribunale e' pervenuto non tengono
minimante conto del principio di trasparenza (art. 1 e 25, legge reg.
n. 10 del 1991), invocato nel settimo motivo. Se fosse esatta la tesi
del comune, condivisa dal Tribunale amministrativo regionale, saremmo
passati dalla trasparenza al tranello.
    Sia  consentito  al riguardo di rammentare la nota sentenza della
Corte  cost.  n. 364  del 1988, sull'ignoranza della legge scusabile.
Intesa  nel  modo  in  cui l'hanno intesa i giudici di primo grado la
disposizione  di  cui  all'art. 17  comporta l'onere di presentare la
dichiarazione  presumendo  la  consapevolezza  dell'impresa di essere
tenuta  a presentarla sebbene il bando non solo non la contempla anzi
e'  concepito  in  modo  tale  da  fare ritenere che la dichiarazione
specifica  sia  compresa in quella generale di insussistenza di cause
ostative.
    4.  -  Sul  quarto capo della sentenza (ottavo motivo del ricorso
per m.a.).
    Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto infondata anche
la  censura relativa all'art. 16, d.lgs. n. 157 del 1995, riguardante
l'integrazione  documentale,  assumendo  che nel caso in esame non si
tratterebbe  di integrare qualcosa che si e' gia' prodotto, ma di una
omissione.
    In  contrario  si  osserva che si trattava di chiarire la portata
della dichiarazione di mancanza di cause ostative.
    Il   Tribunale   amministrativo   regionale  ha  ritenuto  infine
manifestamente infondata la questione di costituzionalita' del citato
art. 16  facendo  leva  ancora  una  volta  sul  carattere imperativo
dell'art. 17, legge n. 68/1999.
    In  proposito  si  deduce  ancora  una  volta  che  non  si  puo'
configurare  alcuna  incompatibilita' tra la tutela dei disabili e la
tutela  delle  imprese  che  ben  potrebbero  rendere  i  chiarimenti
comunque prima dell'aggiudicazione.
    L'appellante contestualmente chiede disporsi la sospensione della
decisione appellata cosi' motivando l'istanza cautelare:
        La   sentenza  appellata  comporta  per  l'Ausonia  un  grave
pregiudizio in quanto le impedisce di svolgere il servizio che le era
stato  aggiudicato  di guisa che se non fosse disposta la sospensione
si  vedrebbe  costretta,  tra  l'altro  a licenziare il personale che
aveva destinato al comune di Belmonte. Si chiede pertanto che in sede
cautelare sia disposta la sospensione della sentenza e dell'impugnato
provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione.
    L'appellante  propone  altresi'  una  istanza  cautelare  urgente
motivandola con le seguenti considerazioni:
    Premesso  che  non sarebbe possibile la trattazione della domanda
cautelare  relativa  all'appello in oggetto causa stante l'astensione
per  l'incompatibilita'  gia' dichiarata in sede di appello cautelare
(Cam.  Cons.  del  27 novembre  2003)  di  un  componente  laico  del
Consiglio;
        che  e'  interesse  dell'appellante ottenere una pronuncia al
riguardo;
        che  peraltro,  la  necessaria  composizione  paritetica  del
collegio  giudicante  cosi'  formulata nell'art. 4, secondo comma del
d.lgs.   n. 373/2003   impedisce  di  formare  l'organo  in  caso  di
astensione di piu' componenti laici.
    Rilevato  altresi',  che  la  complessita'  dei  procedimenti  di
sostituzione  e/o  rinnovo  dei  membri  laici  di  codesto Consiglio
comporta,  come  ha  comportato,  una sostanziale vanificazione della
tutela cautelare;
        che  tutto cio' e' riconducibile alla previsione normativa di
una  composizione  mista di codesto Consiglio poiche', per le sezioni
giurisdizionali ordinarie del Consiglio di Stato vige la disposizione
di  supplenza  di cui all'art. 2, terzo comma della legge n. 186/1982
che consente di integrare ad horas i Collegi giurisdizionali;
        che  comunque  anche  la rimessione della causa nella fase di
merito  ad un Collegio la cui composizione non sia costituzionalmente
corretta altera gravemente l'esercizio della funzione giurisdizionale
ed espone comunque anche la parte che dovesse risultare vittoriosa al
rischio   di   un   gravame  e  di  un  annullamento  per  motivi  di
giurisdizione;
        che   e'  anche  nell'interesse  degli  appellati  che  siano
chiariti   i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  relativi  alla
composizione  del  Collegio  cui la causa deve inevitabilmente essere
rimessa  sia per la decisione definitiva sulla domanda cautelare, sia
sul merito;
        che,  come si e' rappresentato nel primo motivo di appello, i
dubbi  di  costituzionalita'  sollevati  da  codesto  Consiglio nella
ordinanza  n. 185/2003  non  sono  stati  del  tutto  superati con la
emanazione  del  d.lgs.  n. 373/2003,  e  cio'  con  riferimento alle
questioni  concernenti  il  contrasto con la norma di cui all'art. 23
dello    statuto    siciliano    che    prevede   semplicemente   una
delocalizzazione  e  la  composizione  mista gia' prevista dal d.lgs.
n. 654/1948 e ribadita dal d.lgs. n. 373/2003;
        che pertanto le medesime questioni possono proporsi in questa
sede;
        che le anzidette questioni appaiono rilevanti nel processo in
esame  sia  ai  fini  della  pronuncia  cautelare d'urgenza sia nella
successiva  fase cautelare ordinaria ed in quella di merito in quanto
attinenti  alla  composizione del Collegio che dovra' pronunciarsi ed
al quale il giudice monocratico dovra' comunque rimettere la causa;
        che  il  giudice  monocratico  puo'  sollevare  questioni  di
costituzionalita'  in  via  incidentale  con  riferimento a questioni
riguardanti  disposizioni che lo stesso giudice deve applicare per la
adozione   di   provvedimenti   di   sua   competenza   (Corte  cost.
n. 111/1998);
        che    peraltro    la    proposizione    di    questioni   di
costituzionalita'  non  impedisce  la  adozione  di  misure cautelari
interinali   (Corte   cost.   nn. 444/1990,   367/1991)  e  che  tale
possibilita'  deve ritenersi ammessa anche nel caso della adozione di
misure  cautelari  provvisorie  ex  art. 21,  nono  comma della legge
n. 1034/1971 del testo modificato dall'art. 3 della legge n. 205/2000
(ord. Corte cost. n. 261/2002).
    Conclude pertanto chiedendo che si voglia:
        preliminarmente  pronunziarsi sull'istanza cautelare dapprima
in sede monocratica e successivamente in sede collegiale;
        gia'  in  sede cautelare monocratica ritenere rilevanti e non
manifestamente  infondate le questioni di costituzionalita' di cui al
primo (composizione del CGA) ed al quarto motivo di appello (art. 16,
d.lgs.  n. 157 del 1995), e conseguentemente sospendere il giudizio e
trasmettere gli atti alla Corte costituzionale;
        nel  merito  ritenere  errata  la  sentenza  di  primo grado,
annullarla ed accogliere il gravame di primo grado;
        nell'ipotesi   di   mancato   accoglimento   dell'istanza  di
sospensione,  condannare  il  comune al risarcimento dei danni in via
principale  in forma specifica ed in subordine per equivalente. Vinte
le spese del giudizio.

                            D i r i t t o

    Ai sensi dell'art. 21, nono comma della legge n. 1034/1971 questa
presidenza   e'   chiamata   ad   emettere  una  pronuncia  cautelare
provvisoria  disponendo nel contempo la rimessione della controversia
al  Collegio  alla  prima  Camera di Consiglio utile per la pronuncia
cautelare definitiva.
    L'appellante,  peraltro, nel primo motivo di gravame ha sollevato
questioni  di legittimita' costituzionale concernenti la costituzione
e la composizione del Collegio cui la causa, ai sensi della normativa
succitata,  dovrebbe  essere  rimessa.  Nei motivi secondo e terzo ha
censurato la decisione appellata e, nel quarto ha altresi' riproposto
una  eccezione  di  costituzionalita', disattesa dal primo giudice, e
concernente  l'art. 16 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157.
Nel  formulare  l'istanza  cautelare  e la richiesta di provvedimento
cautelare  urgente,  l'appellante, dopo avere espressamente richiesto
una    pronuncia   cautelare   dapprima   in   sede   monocratica   e
successivamente  in  sede collegiale, ha insistito affinche', gia' in
questa   sede   monocratica,   vengano   ritenute   rilevanti  e  non
manifestamente  infondate le questioni di costituzionalita' di cui al
primo  ed  al quarto motivo di appello e, conseguentemente, che venga
sospeso il giudizio e trasmessi gli atti alla Corte costituzionale.
    Cio'  rende  necessario  affrontare  l'interrogativo se la previa
adozione,  in  questa  sede,  di  una decisione cautelare provvisoria
precluda  per  cio'  solo  a  questa  presidenza  la  possibilita' di
sollevare   questioni   di   costituzionalita'   e   cio'   a   causa
dell'«esaurimento del potere cautelare» (Corte cost. n. 444/1990).
    Al  riguardo  si  ritiene che la previa adozione di una pronuncia
cautelare  provvisoria  non  precluda  tale  possibilita'. Invero, la
giurisprudenza    della   Corte   costituzionale   ha   ripetutamente
considerato ammissibile l'esercizio del potere cautelare da parte del
giudice  amministrativo  purche'  in  via  interinale  e con separato
provvedimento  in  attesa  della pronuncia della Corte costituzionale
medesima   (Corte   cost.  444/1990  cit.,  367/1991,  4/2000).  Tale
orientamento  sembra  confermato  anche in relazione ai provvedimenti
cautelari  presidenziali  provvisori  di  cui all'art. 21, nono comma
citato. In analoga fattispecie, la Corte costituzionale, sembra avere
implicitamente riconosciuto tale possibilita' (ord. 261/2002).
    Per  di  piu',  in  questo  caso,  il dubbio di costituzionalita'
sollevato  nel  primo  motivo  di  appello  non  investe le norme che
disciplinano  il merito della controversia, bensi', specificatamente,
la  costituzione e la composizione del Collegio cui la causa dovrebbe
essere  rimessa.  Pertanto,  ove  la  questione  non dovesse apparire
manifestamente   infondata,   e  dovesse  percio'  essere  sottoposta
all'esame  della  Corte  costituzionale,  questa fase monocratica non
potrebbe  esaurirsi  con la fisiologica remissione al Collegio per la
decisione  cautelare definitiva, ma dovrebbe essere sospesa e ripresa
all'esito della pronuncia del Giudice delle leggi.
    Cio'  dimostra  come  questo  giudice  monocratico  non  potrebbe
considerare  «esaurita ogni sua potesta' in quella sede» (Corte cost.
n. 579/1989)  e  come  invece risulterebbe applicabile l'insegnamento
della  Corte  costituzionale secondo cui «nel caso di atti urgenti il
giudice   di   merito   e'   legittimato  a  sollevare  questione  di
legittimita'    costituzionale    sempre    che   essi,   riferendosi
esclusivamente alle norme da applicare per il compimento degli stessi
in  tale  limitato ambito siano rilevanti» (Corte cost. n. 186/1976 e
n. 177/1973).
    Ritenuta   quindi   la  propria  legittimazione,  va  di  seguito
affrontato, ma sotto altro profilo, il problema della rilevanza delle
anzidette  questioni  in  questa  fase  monocratica  del giudizio. In
proposito,  l'appellante,  nel  primo  motivo,  solleva  eccezioni di
costituzionalita'  sia con riferimento alla temporanea impossibilita'
di  costituire  il  Collegio,  sia, piu' in generale, con riferimento
alla  inevitabile  rimessione  della  causa  ad  un  Collegio  che il
ricorrente assume composto in base a disposizioni incostituzionali.
    Al riguardo si osserva che puo' prescindersi dal profilo relativo
alla  temporanea  impossibilita'  di  costituire  il Collegio con due
membri  laici.  In effetti, tale impossibilita' temporanea sussiste e
cio'  a  causa della concomitanza, per quanto attiene ai membri laici
di  questo  Consiglio,  di una astensione, di una infermita' e di una
mancata   designazione  da  parte  della  Regione  siciliana,  ma  va
considerato   che   analoga   questione   e'  stata  gia'  dichiarata
manifestamente  infondata  dalla  Corte  costituzionale con la citata
ordinanza n. 261/2002.
    Puo'  essere  invece  preso in considerazione il profilo relativo
alla  inevitabile  rimessione  della  controversia,  dapprima in sede
cautelare  definitiva,  e  successivamente nel merito, ad un Collegio
composto  in  base  a  norme  della  cui costituzionalita' si dubita.
Invero,  va  al riguardo considerato che di tale norma, e cioe' della
rimessione  al  Collegio, il presidente, ex art. 21, nono comma della
legge  n. 1034/1971, deve fare immediata applicazione all'atto stesso
in cui pronuncia la decisione cautelare provvisoria.
    Trattasi  pertanto  di norma che dovrebbe essere immediatamente e
contestualmente  applicata  in  questa  fase  e,  quindi,  ricorre il
presupposto  di  cui  all'art. 23  della  legge  n. 87/1953  il quale
«implica,  di  regola,  che  la  rilevanza sia strettamente correlata
all'applicabilita'  della  norma impugnata nel giudizio a quo» (Corte
cost.  n. 18/1989).  Comunque,  va altresi' rammentato l'insegnamento
della  Corte  costituzionale secondo cui «debbono ritenersi influenti
sul  giudizio  anche  le  norme  che,  pur  non  essendo direttamente
applicabili  nel  giudizio  a quo, attengono allo status del giudice,
alla  sua composizione nonche', in generale alle garanzie e ai doveri
che  riguardano  il  suo  operare. L'eventuale incostituzionalita' di
tali  norme  e'  destinata  ad  influire su ciascun processo pendente
davanti  al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le
garanzie  e i doveri: in sintesi la "protezione" dell'esercizio della
funzione,  nella  quale  i  doveri si accompagnano ai diritti» (Corte
cost. n. 18/1989 cit. e Corte cost. 177/1973).
    Peraltro,  la  rilevanza della anzidetta questione in questa fase
risulta  implicitamente  riconosciuta  nella  stessa citata ordinanza
n. 261/2002   in   cui   analoga  questione  non  e'  stata  ritenuta
inammissibile  per  difetto  di  rilevanza, ma e' stata esaminata nel
merito ancorche' con dichiarazione di manifesta infondatezza.
    Deve  ritenersi  tuttavia  la  irrilevanza, in questa fase, della
eccezione di costituzionalita' sollevata nel quarto motivo di appello
atteso  che  «la  estrema  gravita' ed urgenza tale da non consentire
neppure  la  dilazione  sino alla data della Camera di Consiglio puo'
essere  delibata,  nel  caso  di  specie,  anche  prescindendo  dalla
anzidetta eccezione.
    Tutto  cio'  premesso,  occorre  quindi  previamente darsi carico
delle  eccezioni  di  costituzionalita'  sollevate  dall'appellante e
concernenti la composizione del Consiglio di giustizia amministrativa
per la Regione siciliana come risulta dal d.lgs. n. 373/2003.
    Tali  questioni  non appaiono manifestamente infondate per quanto
di seguito verra' esposto.
    1.  -  Lo  statuto  speciale della Regione siciliana, per ragioni
storiche, in parte legate al secondo conflitto mondiale, e' anteriore
alla proclamazione della Repubblica ed alla Costituzione repubblicana
in  quanto  e'  stato approvato nel 1946 con r.d.lgs. 15 maggio 1946,
n. 455  e  con  la  espressa  riserva,  contenuta  nel  secondo comma
dell'articolo  unico,  di essere sottoposto all'Assemblea costituente
per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato.
    Come e' noto, tale coordinamento non vi e' stato.
    Invero,  la  Costituzione  repubblicana e' stata pubblicata il 27
dicembre  1947  ed  e'  entrata in vigore il 10 gennaio 1948 ai sensi
della  XVIII  disposizione  transitoria  e lo statuto siciliano venne
convertito  in  legge  costituzionale con l'art. 1, primo comma della
legge  costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 ed e' entrato in vigore,
ai sensi dell'art. 2 della legge anzidetta, il 10 marzo 1948.
    Il  coordinamento  con la Costituzione non avvenne ne' in sede di
Assemblea costituente e neppure in epoca successiva. Il secondo comma
dell'art. 1  della  legge  cost. n. 2/1948 prevedeva bensi' modifiche
allo  statuto, modifiche che avrebbero dovuto essere effettuate entro
un  biennio con legge ordinaria, d'intesa con la regione, ma, come e'
noto,    l'Alta    Corte   per   la   Regione   siciliana   dichiaro'
incostituzionale  tale  disposizione con decisione 10 settembre 1948,
n. 4.  Pertanto, lo statuto siciliano e' rimasto nel testo originario
ed  il  mancato  coordinamento  e'  stato  sovente sottolineato dalla
dottrina  e dalla giurisprudenza anche costituzionale (v. Corte cost.
nn. 38/1957; 6/1970, 115/1972 113/1993 e, da ultimo n. 314/2003).
    Per  quello  che  concerne  la questione in oggetto l'articolo 23
dello   statuto  siciliano  prevede  semplicemente  che  «gli  organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti per gli affari concernenti
la  regione»  e  che  «Le  sezioni svolgeranno, altresi' le funzioni,
rispettivamente,   consultive,   e   di  controllo  amministrativo  e
contabile.
    Il  decentramento non ha mai avuto attuazione per quanto concerne
le  sezioni  civili  e  penali  della  Cassazione, la quale ha sempre
respinto  le questioni di costituzionalita' in relazione all'articolo
25  Cost.  argomentando  con  la natura meramente programmatica della
norma statutaria (v. Cass. 12 settembre 1991, n. 9534; 8 aprile 1992,
n. 4270). Non sono state decentrate neppure la Commissione tributaria
centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche.
    Il  decentramento  e'  stato  invece  attuato per il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei  conti con i coevi decreti legislativi del 6
maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655.
    Questo  Consiglio  con  ordinanza  n. 185/2003  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale - prima serie speciale - n. 28 del 16 luglio 2003
ha   sollevato  talune  questioni  di  costituzionalita'  del  d.lgs.
n. 654/1948  sotto  vari  profili in rapporto a numerose disposizioni
sia dello statuto siciliano sia della Costituzione.
    Nelle  more  del  giudizio  innanzi  alla Corte costituzionale e'
stato  emanato il d.lgs. n. 373/2003 il quale, come recita l'articolo
14,  sostituisce integralmente il d.lgs. n. 645/1948 ed il decreto di
modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. n. 204/1978.
    Non pochi interrogativi posti nell'anzidetta ordinanza sono stati
superati  dalle nuove disposizioni. In particolare, e' venuto meno un
gruppo  di  questioni  concernenti la supposta violazione di principi
costituzionali  sia  in  tema  di delega legislativa sia dell'art. 43
dello statuto siciliano, e cio' poiche' il d.lgs. n. 654/1948 sarebbe
stato  emanato  in base a norme di delega a contenuto indeterminato e
comunque prescindendo dall'intervento della commissione paritetica di
cui  all'articolo  43  dello  statuto  siciliano.  Un altro gruppo di
censure   concerneva   altri   supposti   vizi  di  costituzionalita'
dell'articolo  2  del  d.lgs. n. 654/1948 (come sostituito dal d.P.R.
n. 204/1978)  in  relazione  a taluni principi costituzionali per non
essere  assicurata  ai membri laici della sezione giurisdizionale del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione  siciliana
sufficienti  garanzie  di  indipendenza  e di imparzialita' e per non
essere   previsto   un  termine  per  la  loro  designazione  nonche'
meccanismi sostitutivi.
    Anche   tali   interrogativi   sono  stati  superati  dal  d.lgs.
n. 373/2003  e, in particolare, dalle previsioni degli articoli 6 e 7
che  hanno esteso ai membri laici il regime giuridico e disciplinare,
nonche'  il  trattamento  economico dei togati e ne hanno previsto la
cessazione automatica al termine del sessennio di nomina.
    Peraltro,  ad  avviso  di  questa  presidenza,  e  come  rilevato
dall'appellante,  il d.lgs. n. 373/2003 non ha eliminato un dubbio di
costituzionalita',  gia'  adombrato  nella  ordinanza  n. 185/2003, e
concernente,  in particolare, la possibilita' che in sede di norme di
attuazione  dell'articolo  23  dello  statuto siciliano sia possibile
prevedere  una  composizione mista di laici e togati del Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   Regione   siciliana  in  sede
giurisdizionale.
    Pertanto, gli articoli 4, primo e secondo comma e 6 secondo comma
del  d.lgs.  n. 373/2003  lasciano  inalterati  gli  stessi  dubbi di
costituzionalita'  che  erano  stati  gia'  evidenziati in precedenza
nella  citata  ordinanza  n. 185/2003 in relazione all'articolo 2 del
d.lgs. n. 654/1948 come sostituito dal d.P.R. n. 204/1978.
    2.  - Al riguardo, si premette in via generale che anche le leggi
costituzionali  (come ad esempio gli statuti speciali regionali) sono
soggette  al sindacato di legittimita' costituzionale (v. Corte cost.
n. 38/1957    sull'Alta    Corte    siciliana   e   n. 6/1970   sulla
responsabilita'  penale  avanti  all'Alta  Corte del presidente della
regione).
    A  fortiori sono denunciabili per incostituzionalita' le norme di
attuazione  degli  statuti delle regioni a statuto speciale le quali,
sotto  questo  profilo,  sono state ritenute sullo stesso piano delle
leggi  statali (Corte cost. 14 luglio 1956, nn. 14, 15, 16; 16 luglio
1956, n. 20; 19 luglio 1956, n. 22; 26 gennaio 1957, n. 15; 18 maggio
1959,  n. 30,  etc.)  e  cio'  ancorche' le norme di attuazione degli
statuti  speciali si ritiene operino ad un livello superiore a quello
della  legge  statale (Corte cost. 18 maggio 1959, n. 30, Corte cost.
n. 13/1974).
    Per  quanto poi concerne la natura ed il contenuto delle norme di
attuazione,   va   rilevato   che   la   giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  (dec.  n. 20/1956  cit.) da un lato ha precisato come
queste  non  siano  da  qualificare  alla  stregua  di  norme di mera
esecuzione  dello statuto regionale, come se si trattasse di semplici
regolamenti  esecutivi.  Al  contrario,  esse possono contenere norme
primarie, ancorche' di «attuazione» degli statuti, e quindi rivestono
carattere legislativo.
    Da  tale  carattere  discende la necessita' che il loro contenuto
non  sia  in  contrasto  ne'  con  la  Costituzione, e neppure con lo
statuto  speciale,  ma  debbono,  semmai,  essere  «in  aderenza»  al
medesimo.
    Il concetto di «aderenza» puo' essere poi sottoposto al controllo
della Corte costituzionale proprio con riferimento al contenuto delle
norme  di attuazione e cioe' verificando se le stesse siano contrarie
o meno allo statuto.
    Al di la' delle ipotesi di norme di attuazione contra statutum la
Corte costituzionale (sempre nella citata decisione n. 20/1956) si e'
posta  il  problema  delle norme di attuazione praeter legem, o anche
apparentemente secundum legem risolvendolo testualmente come segue.
    «Se  poi le norme di attuazione siano praeter legem nel senso che
abbiano  integrato  le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad
esse  qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se
queste  integrazioni  od  aggiunte  concordino  innanzi  tutto con le
disposizioni  statutarie  e col fondamentale principio dell'autonomia
della regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla
finalita'  dell'attuazione  dello statuto. Laddove, infine, si tratti
di  norme  secundum  legem,  e' ovvio che se esse, nel loro effettivo
contenuto e nella loro portata, mantengano questo carattere, non e' a
parlarsi  di  illegittimita' costituzionale, ma sarebbe pur sempre da
dichiararsene  la illegittimita' nel caso che esse, sotto l'apparenza
di  norme secundum legem, sostanzialmente non avessero tal carattere,
ponendosi  in  contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo
dettate dalla necessita' di dare attuazione a queste disposizioni».
    Questo insegnamento e' stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo
specifico   punto,   la  decisione  20/1956  e'  stata  costantemente
richiamata  dalla  successiva  giurisprudenza  costituzionale  (v. da
ultimo Corte cost. n. 353/2001).
    3.  -  Orbene,  se si esaminano a confronto le disposizioni dello
statuto   siciliano   e   le   norme  di  attuazione  in  materia  di
giurisdizione  amministrativa  relativamente  alla composizione mista
del  Collegio  si  evince come queste ultime siano di segno contrario
rispetto alle previsioni statutarie e comunque non in aderenza con la
lettera e con lo spirito delle previsioni statutarie stesse.
    L'art.   23   primo   comma  dello  statuto,  infatti  stabilisce
semplicemente  che  «gli  organi  giurisdizionali centrali avranno in
Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione».
    Nello  statuto  non  e'  contenuto  alcun  accenno, come tutta la
dottrina   costituzionalistica   dell'epoca   non   ha   mancato   di
sottolineare,  alla composizione dei Collegi giudicanti e neppure per
i Collegi chiamati a decidere in sede consultiva e di controllo (art.
23, secondo comma).
    Gli  articoli  4  e  6  del  d.lgs. n. 373/2003 non si limitano a
dettare  norme  attuative  o  che  comunque costituiscano la logica e
naturale  espansione  dei  principio  statutario (decentramento degli
uffici  e  trasferimento  di  personale per consentire la presenza in
loco   di  sezioni  delle  giurisdizioni  superiori  per  gli  affari
regionali),   ma   modificano   la  struttura  ordinaria  dell'organo
giurisdizionale  introducendo  un  principio  del tutto estraneo allo
statuto e contrario, come verra' in seguito chiarito, a precise norme
e principi di rango costituzionale.
    D'altra   parte   e'  del  tutto  evidente  che  la  composizione
dell'organo  giurisdizionale  in modo diverso dall'ordinario non puo'
essere  considerata, nel silenzio dello statuto al riguardo, come una
necessaria integrazione e specificazione della norma statutaria.
    La  citata  decisione  della  Corte  n. 20  del  1956, e' precisa
nell'affermare  che  la  legittimita'  costituzionale  delle norme di
attuazione e' subordinata alla duplice sussistenza di due requisiti.
    Innanzitutto  occorre  la  concordanza  tra norme di attuazione e
statuti  (e  nella specie ictu oculi tale concordanza non esiste); in
secondo  luogo  le  norme  di  attuazione debbono essere giustificate
dalla finalita' di date attuazione allo statuto.
    Neppure tale ultimo requisito sussiste nella specie.
    A proposito di quest'ultimo la Corte ha affermato che «l'esigenza
delle  norme  di  attuazione  si  manifesta  nel bisogno di dar vita,
nell'ambito   delle   ben   definite   autonomie  regionali,  ad  una
organizzazione  dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento  giuridico» (dec. nn. 14/1962, 30/1968, 136/1969) ed
ha  ribadito tale convincimento anche nella decisione 12 luglio 1984,
n. 212  nella  quale  ha  anche  precisato  che  «le  finalita' della
attuazione  vanno  accertate nel contesto delle autonomie regionali e
nei principi costituzionali».
    Nella  citata  decisione  n. 212/1984 la Corte, nel dichiarare la
illegittimita'   costituzionale  della  istituzione  di  una  sezione
giurisdizionale  e  delle  sezioni  unite  della  Corte  dei conti in
Sardegna,  ha  argomentato  con  il fatto che ne' dalla lettera dello
statuto  regionale,  ne' dal suo spirito, ne' dalle sue finalita' era
in  alcun  modo ricavabile che si fosse inteso prevedere, neppure per
implicito, sezioni di organi centrali neppure nei limiti degli affari
concernenti  la  regione  e cio' a differenza di quanto stabilito per
altre  regioni, richiamando appunto l'art. 23 dello statuto siciliano
e l'art. 90 dello statuto del Trentino-Alto Adige.
    Al  riguardo  tuttavia  non  puo' non sottolinearsi la differenza
fondamentale  tra  lo  statuto  siciliano  e quello del Trentino-Alto
Adige  i  quali,  ai  fini  in  esame, non possono porsi sullo stesso
piano.
    Infatti,  mentre  lo  statuto  siciliano  si  limita  alla pura e
semplice  localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni
superiori,  lo  statuto  del  Trentino-Alto  Adige  e' di ben diverso
contenuto.
    Innanzitutto,   l'art.   90   del   testo   unico   delle   leggi
costituzionali  di  cui  al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, istituisce
espressamente  il  T.R.G.A.  e  rinvia  espressamente  alle  norme di
attuazione  per  il  suo  ordinamento. Inoltre, il successivo art. 91
disciplina    espressamente    la    composizione    della    sezione
giurisdizionale  per  la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come
prevede  espressamente  che  la  meta'  dei  componenti la sezione e'
nominata  dal  Consiglio  provinciale  di  Bolzano  (art. 91, secondo
comma).
    Le  norme  di  attuazione  dello  statuto  del  Trentino  (d.P.R.
6 aprile  1984,  n. 426) di conseguenza, essendo a cio' espressamente
delegate  dallo  statuto,  disciplinano  le  modalita'  di scelta dei
magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra cui questi
debbono  essere  scelti, il ruolo in cui debbono essere collocati, le
garanzie  che  li  assistono,  lo  stato  giuridico  e il trattamento
economico  (articoli  2,  4,  5, 6, d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426). In
proposito,  nella  decisione  n. 137/1998  la Corte costituzionale ha
espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella
delega   contenuta   nell'art.  90  dello  statuto  speciale  da  cui
legittimamente  discendono  le  norme  di  attuazione adottate con lo
speciale procedimento della commissione paritetica.
    Anche il d.lgs. n. 373/2003 di attuazione dello statuto siciliano
contiene,  agli articoli 4 e 6, norme di contenuto analogo alle norme
di  attuazione  dello  statuto  del  Trentino, ma con la fondamentale
differenza  che lo statuto siciliano ne' prevede la istituzione di un
organo  speciale  giurisdizionale  a  composizione mista e neppure ne
delega  il suo ordinamento alle norme di attuazione. Nessun accenno -
ripetesi  -  ne'  esplicito  ne' implicito e' contenuto nello statuto
siciliano  circa  la  istituzione  di  un  organo  giurisdizionale  a
composizione  speciale  per  la  regione siciliana e neppure circa la
necessita'  che  parte  del  Collegio  giudicante  sia  costituito da
magistrati laici di designazione regionale.
    Ne' potrebbe sostenersi che la presenza in Collegio di magistrati
laici  di  designazione  regionale  costituisca  la logica e naturale
conseguenza,  se  non  della  lettera,  almeno  dello spirito e delle
finalita' autonomistiche dello statuto siciliano.
    Un  conto  infatti e' la localizzazione di una funzione, un altro
e'  la  organizzazione  della  funzione.  Sono  due aspetti del tutto
diversi   che   il   legislatore   costituzionale  puo'  disciplinare
diversamente  a  seconda  dei casi cosi' come dimostra lo statuto del
Trentino-Alto   Adige  (istituzione  espressa  dell'organo  speciale,
delega espressa alle norme di attuazione, localizzazione e previsione
di  giudici  laici),  quello della Valle d'Aosta (limitata competenza
per gli uffici di conciliazione), quello della regione Sardegna e del
Friuli-Venezia  Giulia  (nessuna  disposizione sulla giurisdizione) e
della  Sicilia  (solo localizzazione degli organi ordinari). La Corte
costituzionale - come verra' meglio chiarito in prosieguo - ha sempre
rifiutato   qualsiasi  esegesi  finalistica  anche  delle  competenze
normative   statutarie   primarie,  sottolineando  la  necessita'  di
attenersi   al  tenore  letterale  degli  statuti  (Corte  cost.  nn.
124/1957, 66/1961, 46/1962, 66/1964, 115/1972).
    4. - D'altra parte, la riprova che le deroghe alla organizzazione
giurisdizionale  nazionale  sono  e  debbono  essere  contenute negli
statuti si rinviene nello stesso statuto siciliano.
    Innanzitutto   va   osservato   che   quando  si  e'  voluta  una
composizione mista, lo statuto siciliano lo ha espressamente sancito,
come  risulta  dal  confronto dell'art. 23 con l'art. 24 primo comma,
secondo  cui  i  membri  dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in
pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della regione».
    Peraltro,  un  ulteriore  argomento si ricava dal testuale tenore
dello  stesso  art.  23.  Invero, l'art. 23 terzo comma dello statuto
siciliano si da' carico di precisare che i magistrati della Corte dei
conti  sono  nominati  «d'accordo  dai  Governi  dello  Stato e della
regione».
    Il  legislatore  costituzionale  ha  talmente avvertito l'effetto
derogatorio  al  normale  e  limitato  assetto  organizzatorio  della
designazione del giudice contabile togato, da ritenerne necessaria la
specificazione nello statuto.
    Orbene,  di  fronte  a tale espressa specificazione dello statuto
per  una  delle  magistrature  superiori,  non  si vede come si possa
sostenere  che  invece  l'assoluto  silenzio dello stesso legislatore
circa  le altre possa essere interpretato come una implicita delega a
disciplinare,  in  sede di attuazione, la nomina, la composizione, la
stessa  struttura  del  giudice  amministrativo in una organizzazione
giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria.
    La  Corte  costituzionale  ha  affermato  chiaramente  che, anche
laddove  gli statuti prevedano in via generica la emanazione di norme
di  attuazione,  sarebbe  illogico ritenere che queste ultime debbano
essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si
perverrebbe  «all'assurdo  di  giudicare che esse sono state previste
anche  in  caso  in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena
completezza  e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In
tali  ipotesi  le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per
mancanza di oggetto» (Corte cost. 1° luglio 1969, n. 136).
    5.  - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che nella
previsione  statutaria  siciliana,  limitata alla localizzazione, sia
implicita la disciplina della organizzazione giurisdizionale.
    Al  riguardo  la  Corte costituzionale ha sempre affermato che in
materia  di  ordinamento  giudiziario  esiste, ex art. 108 Cost., una
riserva   di   legge  statale  (Corte  cost.  n. 4/1956,  n. 76/1995,
n. 134/1998, n. 86/1999).
    E'  stato anche affermato che il disegno del costituente e' stato
«di  procedere  bensi'  per  determinate  materie ad un decentramento
istituzionale  nel  campo  legislativo  ed  amministrativo  a  favore
dell'Ente regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore
giudiziario  e  di  sottrarlo,  quindi,  a qualsiasi competenza delle
regioni,  anche  di  quelle  a statuto speciale dettando cosi' uno di
quei    principi   dell'ordinamento   giuridico   dello   Stato   che
costituiscano  limite  insuperabile  all'attivita'  legislativa delle
regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982).
    In  questa  ottica  appare  oltremodo  significativa la decisione
n. 150/1993   in   cui  si  trattava  di  stabilire  la  legittimita'
costituzionale della legge statale n. 374/1991 istitutiva del giudice
di  pace  asseritamente  lesiva  delle  competenze  statutarie  della
regione  Valle  d'Aosta  disciplinanti la istituzione degli uffici di
conciliazione (art. 41 legge cost. n. 4/1948).
    In  quella  occasione  la Corte ha affermato «Il Titolo VII dello
statuto di autonomia della Valle d'Aosta, rubricato come «Ordinamento
degli uffici di conciliazione», prevede nella sua unica norma (l'art.
41) determinate attribuzioni, di natura amministrativa, in favore del
presidente  della  giunta,  nonche' della giunta stessa, attribuzioni
concernenti  sia l'istituzione degli uffici di' conciliazione (che e'
disposta  con  decreto  del  presidente della giunta deliberazione di
questa);  sia  la  nomina,  la  decadenza,  la  revoca  e la dispensa
dall'ufficio  dei  giudici  conciliatori  e  viceconciliatori (che e'
disposta  dal  presidente  della  giunta in virtu' di delegazione del
Presidente della Repubblica); sia, infine, l'esercizio delle funzioni
di  cancelliere  e  di  usciere  (che  e'  autorizzato  anch'essa dal
Presidente della giunta).
    Orbene,  il  significato  limitativo espresso dal tenore testuale
della  previsione  statutaria  riferentesi esclusivamente - sia nella
rubrica del titolo, sia nella formulazione della sua unica norma - al
giudice  conciliatore  ed al suo ufficio, e non al «giudice onorario»
in generale, trova conforto non solo nella considerazione che la piu'
ampia figura, appunto, del «giudice onorario» - ricomprendente in se'
quella   del   «giudice   conciliatore»   gia'   all'epoca  esistente
nell'ordinamento  giudiziario  -  non  poteva  non essere presente al
legislatore  costituente,  essendo  la Carta costituzionale (che tale
figura «generale» conosce ed ammette: art. 106, secondo comma, Cost.)
antecedente,  sia  pure  di poco, allo statuto di autonomia, ma trova
conferma anche in altre varie e concorrenti ragioni.
    La  norma  statutaria,  per  il  suo contenuto precettivo, incide
sull'ordinamento giudiziario e sullo status di un giudice dell'ordine
giudiziario.
    Sotto  il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario),
va  innanzi  tutto ribadito che in tale materia c'e' riserva di legge
(art.  108  Cost.)  e  questa  Corte ha gia' piu' volte puntualizzaro
trattarsi  di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di
qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del
1988,  sent.  n. 43  del  1982,  sent. n. 81 del 1976, sent. n. 4 del
1956).
    Deve  quindi  ripetersi  che  alla  legge statale «compete in via
esclusiva  disciplinare  in  modo  uniforme  per  l'intero territorio
nazionale  e nei confronti di tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme
di  tutela  giurisdizionale  dei  diritti e degli interessi legittimi
(articoli  24,  primo  comma,  e  113  Cost.»  (sent. n. 81 del 1976,
citata).  Tale  riserva  abbraccia  sia  la  disciplina  degli organi
giurisdizionali  sia  la  normativa  processuale, anch'essa riservata
esclusivamente  alla  legge  statale  (sent.  n. 505  del 1991, sent.
n. 489 del 1991).
    Come  la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del
nostro   ordinamento),   cosi'   anche   la  normativa  degli  organi
giurisdizionali  non  puo' che essere uniforme su tutto il territorio
nazionale,  dovendo  a  tutti  essere  garantiti  pari  condizioni  e
strumenti  nel  momento  di  accesso  alla  fruizione  della funzione
giurisdizionale,  il  cui  esercizio  e'  imprescindibilmente neutro,
perche'  insensibile  alla localizzazione in questa o quella regione,
oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto
ai poteri dello Stato, non escluso il potere esecutivo delle regioni.
    Pertanto   le   attribuzioni  regionali  in  materia  di  giudice
conciliatore,  in  quanto  incidenti in materia soggetta a riserva di
legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della
legge  cost.  n. 4  del  1948  (statuto)  si  pone come deroga a tali
principi,  consentita  soltanto  dal rango costituzionale della norma
stessa;    deroga    doppiamente    eccezionale   perche'   contempla
un'interferenza  regionale in materia di esclusiva competenza statale
e  perche' tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza
a  livello  non gia' di legge regionale bensi' esclusivamente di atti
dell'esecutivo.  Tale  connotazione  di  eccezionalita'  non puo' che
confinare  la  norma  statutaria nel ristretto, ambito del suo tenore
letterale  sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore»
e  non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost.,
ad  essere  in  qualche  misura  diverso dal giudice conciliatore sul
restante territorio del Paese.
    Il  rilevato  carattere  derogatorio  si appalesa poi ancora piu'
marcato  se  si  considera il contenuto della norma statutaria, che -
seppur  su  delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una
serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della regione che
incidono   in   radice   sullo   status   di   giudice  conciliatore,
condizionandone la nomina, la decadenza, la revoca e la dispensa.
    Anche   sotto   questo   secondo   profilo  giova  richiamare  la
giurisprudenza  di questa Corte che ha evidenziato come la riserva di
legge  in  materia  di  ordinamento  giudiziario e' posta «a garanzia
dell'indipendenza   della   magistratura»  (sent.  n. 72  del  1991);
indipendenza  che  costituisce  valore  centrale  per  uno  stato  di
diritto,  sicche'  l'eventuale  difetto  di presidi a sua difesa puo'
ridondare  in  vizio  di  incostituzionalita'  (sent. n. 6 del 1970);
indipendenza  che  e'  assicurata in generale, ma anche con specifico
riferimento  al  giudice  onorario,  dalle  competenze  del Consiglio
superiore della magistratura, sicche' anche per la nomina dei giudici
di  pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso
(art. 4 della legge n. 374 del 1991).
    Quindi  anche  sotto  questo  profilo  dell'esigenza  di garanzia
dell'indipendenza  del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41
della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (statuto Valle d'Aosta), del
potere (seppur delegato) del presidente della giunta di dichiarare la
decadenza  e  la  dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il
potere  di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e
del   tutto   eccezionale,   nella   specie   consentito   dal  rango
costituzionale della norma stessa».
    Il  principio  ricavabile  dalla anzidetta decisione sembra molto
chiaro:   innanzitutto   nel   senso   che  la  deroga  alla  riserva
costituzionale  di  legge  statale  in  materia  di  giurisdizione e'
consentita  solo  se  espressamente prevista da una norma speciale di
pari  rango  costituzionale  e, in secondo luogo, che le disposizioni
degli  statuti  speciali  in materia di giurisdizione hanno carattere
eccezionale e che quindi, come si esprime la Corte «tale connotazione
di  eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel suo
ristretto   ambito  del  tenore  letterale».  In  sostanza  la  Corte
ribadisce  per  le norme di attuazione il divieto generale di esegesi
finalistica  delle competenze statutarie di cui alle citate decisioni
nn.   124/1957,   66/1961,   46/1962,  66/1964,  115/1972.  Non  meno
importante,  ai  fini  che  qui interessano, e' la affermazione della
necessaria   uniformita'  su  tutto  il  territorio  nazionale  della
«normativa   degli  organi  giudiziari»  che  viene  ricondotta  alla
necessita'  di  garantire  a  tutti  i  cittadini  pari  condizioni e
strumenti  di  accesso  alla  funzione  giurisdizionale  di cui viene
affermato  il  carattere neutro ed insensibile alle localizzazioni in
una  piuttosto  che  in  altra  regione.  Non  puo' non rilevarsi, in
proposito,  la  stringente  analogia  di tali affermazioni con quelle
concernenti  la  attuale  tematica dei limiti alle potesta' normative
regionali derivanti dalle cosiddette materie trasversali (Corte cost.
nn. 282/2002,  407/2002,  536/2002,  88/2003, 303/2003) e cio' per la
tutela di esigenze unitarie ed infrazionabili.
    6.  -  Se  cio'  e' esatto, se ne deve concludere che le norme di
attuazione  dello  statuto  siciliano  di cui agli articoli 4 e 6 del
d.lgs.   n. 373/2003   hanno   introdotto   in  Sicilia  un  istituto
eccezionale,  quale  la  possibilita'  di nomina di magistrati laici,
hanno  disciplinato  il  loro  status (ed anche, ex art. 8 quello dei
togati)  in  modo diverso da - quello ordinario e cio' al di fuori di
qualsiasi  previsione  statutaria,  in una materia costituzionalmente
riservata  alla disciplina statale necessariamente uniforme sul punto
-  come  verra' chiarito in prosieguo, e pertanto derogabile solo per
espressa   previsione   di   norma  equiordinata  e  cioe'  di  rango
costituzionale.
    Tale  natura  non  e'  riconosciuta  -  ripetesi  - alle norme di
attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale.
    Con  riferimento al d.lgs. n. 654/1948 (corrispondente per natura
al  d.lgs.  n. 373/2003) la Corte costituzionale ha affermato «che il
predetto  decreto  legislativo  ha  valore di legge ordinaria» (Corte
cost. n. 61/1975).
    Inoltre,  piu' in generale, la Corte ha affermato che le norme di
attuazione  degli  statuti  speciali «hanno dunque valore di legge, e
per  alcuni  statuti,  come  per  quello  sardo,  e' prevista la loro
compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire
il  parere di alcuni organi regionali sia per ragioni formali che per
ragioni  sostanziali  esse  si  pongono  dunque su un piano diverso e
superiore  rispetto  alle  leggi  da  emanare  nelle  materie da esse
regolate;  ma  non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere
di leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 30/1959 cit.).
    E'  stato  infatti  osservato  «esse sono, per definizione, norme
dettate per "l'attuazione" di norme costituzionali. Se esse risultano
conformi  alla norma costituzionale secundum legem, nessuna questione
puo'  essere  sollevata;  ma  se,  al  contrario,  si  dimostrano  in
contrasto con la norma costituzionale, della quale dovrebbero rendere
possibile  l'attuazione  contra legem non si comprende come e perche'
potrebbero    sottrarsi    ad   una   pronuncia   di   illegittimita'
costituzionale.  Piu'  delicati possono essere i casi, nei quali, pur
non prospettando un manifesto contrasto, la norma di attuazione ponga
un  precetto  nuovo, non contenuto neppure implicitamente nella norma
costituzionale  praeter  legem:  casi,  che mal si prestano ad essere
classificati preventivamente in via generale e che possono richiedere
piuttosto  decisioni  di  specie. E' chiaro, comunque, che ai fini di
tali  decisioni  non  si potra' prescindere dal criterio fondamentale
stabilito dallo stesso costituente (art. 2 della legge costituzionale
9  febbraio  1948, n. 1) che ha affidato alla Corte costituzionale il
compito  di  garantire  che  non  avvengano  invasioni nella sfera di
competenza  assegnata  alla  regione  dalla  Costituzione.  A meno di
attribuire  alle  norme  di  attuazione natura ed efficacia di vere e
proprie  norme  costituzionali  (il  che,  in  verita',  non e' stato
sostenuto   neppure   dall'Avvocatura   generale   dello  Stato),  la
competenza   della   Corte   ad  esaminarle  e  a  pronunciare  sulla
legittimita'  costituzionale di esse non puo' essere posta in dubbio»
(v. Corte cost. n. 14/1956).
    In  relazione  alla  necessita'  che  in materia di giurisdizione
occorra  una  deroga  espressa  di  rango  costituzionale,  va  anche
ricordato,  che  la riserva dell'art. 108 della Costituzione concerne
«la  disciplina  di  tutto  quanto  concerne  l'Amministrazione della
giustizia,  sia  riguardo  alla istituzione dei giudici che alle loro
funzioni ed alle modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte cost.
n. 4/1956).
    Tale  principio e' stato sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza
della  Corte  che  ne  ha sempre fatto rigorosa applicazione numerose
volte   anche   in   Sicilia   sino   al   punto   di   affermare  la
incostituzionalita'  anche  di  norme soltanto meramente riproduttive
della  disciplina  nazionale (v. Corte cost. nn. 154/1995, 115/1972),
nonche'  di  norme  che anche soltanto in via indiretta interferivano
con   l'esercizio   della   funzione   giurisdizionale  (Corte  cost.
n. 94/1995).  In  proposito  va  altresi'  ricordato  che - come gia'
osservato   -   alle   censure  di  costituzionalita'  riguardo  alla
giurisdizione non si e' sottratto neppure lo stesso statuto siciliano
di  cui  sono  stati dichiarati incostituzionali gli articoli 26 e 27
sulla giurisdizione penale dell'Alta Corte (Corte cost. n. 6/1970).
    Premesso  poi  che  la  funzione  delle  norme  di attuazione, in
Sicilia,  come  nelle  altre regioni a statuto speciale, consiste nel
rendere  possibile  il  trasferimento  alle  regioni delle funzioni e
degli uffici nelle materie di competenza (v. Corte cost. nn. 17/1961,
14/1962,   180/1980).  Va  poi  sottolineato  che  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  riconosciuto  che,  nella specie, l'art. 23 dello
statuto siciliano, a differenza dello statuto del Trentino-Alto Adige
non  contiene, in materia di composizione dei Collegi e di status dei
magistrati,  ne'  una  delega  alle  norme  di  attuazione, ne' alcun
accenno  alla  possibilita'  di  nomina  regionale  di  giudici laici
poiche'  esso  stabilisce  soltanto  che  gli  organi giurisdizionali
centrali   debbano  avere  in  Sicilia  le  sezioni  per  gli  affari
concernenti  la regione» (Corte cost., n. 189/1992) ed inoltre l'art.
23   del   r.d.l.   15  maggio  1946,  n. 455,  attiene  soltanto  al
decentramento  degli  organi  giurisdizionali centrali per gli affari
concernenti la regione» (Corte cost. n. 61/1975).
    Se  tutto  cio'  e' esatto, l'art. 4, primo comma, lettera d), il
successivo  secondo  comma  nonche'  l'art. 6 del d.lgs. n. 373/2003,
laddove  prevedono  la presenza e la designazione di laici regionali,
solo apparentemente rivestono il carattere di norme di attuazione ma,
in  realta',  rientrano  in  quella categoria individuata dalla Corte
costituzionale  nelle  decisioni nn. 14/1956 e 20/1956 e suscettibili
di   essere   censurate   in   sede   di   giudizio   incidentale  di
costituzionalita'.
    Si tratta di norme che, sotto l'apparenza di norme secundum legem
in realta', in primo luogo contrastano con le disposizioni statutarie
e,  comunque,  non sono dettate dalla necessita' di dare attuazione a
queste disposizioni.
    Cio'   si   evince   con   chiarezza   poiche'   il   legislatore
costituzionale  aveva  limitato  -  ripetesi - la autonomia regionale
alla  sola localizzazione in Sicilia degli organi delle giurisdizioni
superiori,  cosi' come evidenziato dal tenore letterale dell'articolo
23   e   come   riconosciuto   nelle  citate  decisioni  della  Corte
costituzionale n. 189/1992 e n. 61/1975.
    7.  -  Il  decreto  legislativo  n. 373/2003 appare quindi contra
statutum  poiche',  al  pari  del  d.lgs.  n. 654/1948, istituisce in
Sicilia  «un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una
propria  fisionomia e struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso da
quello   ordinario,  composto  anche  con  giudici  laici  di  nomina
regionale.  Esso quindi ha ampliato enormemente la sfera di autonomia
regionale,  ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e
soprattutto  lo spirito della disposizione costituzionale statutaria,
che limitava la autonomia regionale nel solo ambito della presenza in
Sicilia   di  sezioni  delle  magistrature  superiori,  senza  alcuna
intenzione  di  alterarne  la  struttura  e le funzioni (v. in questo
senso  l'ordinanza  6  marzo  1975 con cui l'Adunanza plenaria rimise
alla  Corte costituzionale la questione su cui poi intervenne la dec.
n. 25/1976).
    L'   incostituzionale   ampliamento   dell'autonomia   regionale,
dapprima  operato  con  le  norme  di  attuazione  di  cui  al d.lgs.
n. 654/1948,  e,  attualmente,  con  gli  articoli  4  e 6 del d.lgs.
n. 373/2003,  le ha portate di conseguenza a collidere con i principi
costituzionali  sanciti  dall'art. 108 per quanto concerne la riserva
di   legge  statale  sulla  amministrazione  della  giustizia  e,  in
particolare, sulla nomina di magistrati laici.
    A  dimostrazione poi che la materia disciplinata dagli articoli 4
e  6 del d.lgs. n. 373/2003 rientra nella riserva di legge statale in
materia  di  giurisdizione  e'  sufficiente rammentare l'insegnamento
della  Corte  costituzionale nelle decisioni nn. 585/1989, 224/1999 e
25/1976.
    Nella prima, che si riferiva alla regione Trentino-Alto Adige, si
e'  affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che
non  veniva  peraltro  messo  in  discussione,  spettava  allo  Stato
stabilire  le  variazioni  qualitative  e  quantitative  della pianta
organica   dei   magistrati  addetti  agli  uffici  giudiziari  della
Provincia di Bolzano.
    Nella  seconda,  con  riferimento  alla  regione  Sicilia,  si e'
affermato  che anche la disciplina degli incarichi extraistituzionali
a  magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti
in  Sicilia  rientra  nella  competenza  esclusiva  statale in quanto
attinente  al  loro  stato  giuridico.  Ancora  piu' significativa la
affermazione   contenuta  nella  decisione  n. 25/1976  in  cui,  con
espresso  riferimento  alla nomina dei componenti laici del Consiglio
di  giustizia  amministrativa  per  la  regione  siciliana  la  Corte
costituzionale  ha  rilevato che trattasi di «questione che incide in
modo   diretto   sulla  giurisdizione  dell'organo  o,  quanto  meno,
sull'esercizio della medesima».
    Se  cio'  e'  esatto,  sembra evidente che con gli articoli 4 e 6
delle  norme  di  attuazione dianzi citate si sia invasa una sfera di
competenza riservata al legislatore statale.
    8.  - Peraltro, quando anche le disposizioni degli articoli 4 e 6
del  d.lgs.  n. 373/2003 volessero qualificarsi non gia' contra legem
ma semplicemente praeter legem le conclusioni non muterebbero.
    La  legittimita'  costituzionale  delle norme di attuazione degli
statuti  speciali  praeter  legem e' infatti subordinata - ripetesi -
alla  duplice  condizione  del  dovere concordare con le disposizioni
statutarie  e con il principio dell'autonomia regionale e dell'essere
giustificate dalla finalita' di dare attuazione allo statuto.
    Nessuna   di   queste  condizioni  e'  ravvisabile  nella  nomina
regionale   di   giudici  laici  presso  il  Consiglio  di  giustizia
amministrativa per la regione siciliana.
    Tale  previsione non concorda affatto con lo statuto (Corte cost.
n. 189/1992  e  n. 61/1975  cit.) e neppure concorda con il principio
dell'autonomia  regionale in quanto, in difetto di apposita deroga di
rango  costituzionale,  la  norma di attuazione non puo' impingere su
altri   principi   costituzionali   non  conferenti  con  l'autonomia
regionale  (Corte  cost.  n. 150/1993).  La  Corte  costituzionale in
proposito  ha  sempre affermato che «la capacita' additiva si esprime
pur  sempre  nell'ambito  dello  spirito  dello  statuto  e delle sue
finalita'  e  -  come  s'e' pure rilevato - nel rispetto dei principi
costituzionali» (Corte cost. nn. 212/1984, 213/1998).
    La  nomina dei giudici laici di designazione regionale neppure e'
giustificata dalla necessita' di dare attuazione allo statuto.
    Tale   necessita',   com'e'  costante  insegnamento  della  Corte
costituzionale,  si  concreta  nel trasferimento di funzioni e uffici
(Corte  cost. nn. 17/1961, 14/1962, 30/1968, 180/1980) al fine di dar
vita  «nell'ambito  delle  ben  definite  autonomie  regionali ad una
organizzazione  degli  uffici  e  delle  pubbliche  funzioni  che  si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento  amministrativo  generale» (Corte cost. nn. 14/1962,
213/1998 cit.).
    Orbene,  ai  fini  del  mero  trasferimento  di  una  sezione del
Consiglio  di  Stato in Sicilia - poiche' tale e' l'oggetto dell'art.
23  dello  statuto siciliano (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975) -
non si vede perche' era necessario cambiare la composizione ordinaria
della  sezione  con l'introduzione nel Collegio giudicante di giudici
laici  di  designazione  regionale. E' stato infatti affermato che la
norma  di  attuazione, intanto puo' porsi in funzione di integrazione
dello   statuto  «sempreche'  sia  giustificata  da  un  rapporto  di
strumentalita'  logica  rispetto  all'attuazione  di disposizioni del
medesimo»  (Corte  cost.  n. 260/1990).  Diversamente,  ove  il testo
statutario  sia  completo,  le norme di attuazione sarebbero prive di
oggetto (Corte cost. n. 136/1969 cit.).
    Sotto altro profilo neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la
regione,   in  sede  di  commissione  paritetica,  possano  d'accordo
attribuire  alla  norma  statutaria  una  portata  maggiore di quella
risultante dal tenore letterale della stessa.
    In  altri  termini,  non  e' possibile che in sede di commissione
paritetica  lo  Stato  autorizzi  una limitazione dei suoi poteri, in
assenza  di  qualsiasi  previsione  statutaria,  ed  al  di la' delle
finalita'  tipiche  delle norme di attuazione (decentramento), specie
poi  se  rapportate  alla  chiara  previsione statutaria nel medesimo
senso.
    Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un
parallelo  ampliamento  dei  poteri regionali e, quindi, in sostanza,
una surrettizia modifica dello statuto speciale.
    Gli  statuti  speciali, poi, sono norme costituzionali (art. 116,
primo  comma  Cost.) approvati e modificabili secondo il procedimento
speciale di cui all'art. 138 Cost.
    Non   sarebbe   quindi   ammissibile   che  una  fonte  di  rango
subordinato,  quale  le  norme  di attuazione, potesse modificare una
normativa di rango costituzionale.
    Neppure  sembrerebbe  possibile  sostenere  che nel nuovo assetto
costituzionale  equiordinato  (art.  114,  primo  comma)  i vari enti
possano  esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma
di  collaborazione  e  cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di
competenze  normative  di  cui  all'art.  117.  In effetti una simile
possibilita'  non  e' prevista neppure negli ordinamenti propriamente
federali ed a Costituzione flessibile.
    Il  nuovo  Titolo  V  prevede  in molti casi l'intesa tra Stato e
regioni,  ma,  nessuno  di  essi, neppure (in forza della clausola di
maggior  favore,  di  cui  all'art.  10  della legge cost. n. 3/2001,
potrebbe   sovrapporsi   o   comunque   modificare  il  regime  e  le
caratteristiche  del  sistema di cooperazione tipico del procedimento
delle  norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale  siciliano  in
subiecta materia.
    L'art.  116  ultimo comma, l'art. 117, quinto comma e l'art. 118,
terzo  comma  della Costituzione riguardano infatti materie diverse e
presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc.
    Neppure  sarebbe  ipotizzabile  una  intesa Stato-regione ex art.
118,  primo comma. Invero, ai sensi di tale disposizione l'intesa fra
Stato  e regioni puo' solo concorrere a spostare verso l'alto, e cio'
in  vista  di  esigenze unitarie, funzioni amministrative tipicamente
locali.   Tale   principio   e'  stato  esteso  dalla  giurisprudenza
costituzionale  anche alla funzione piu' propriamente legislativa, ma
solo  a  condizione che quest'ultima avesse ad oggetto esclusivamente
la   organizzazione   e   regolazione   di   quelle  stesse  funzioni
amministrative   assunte  dallo  Stato  in  forza  del  principio  di
sussidiarieta'.  La  deroga  al  riparto delle competenze legislative
sarebbe quindi piu' apparente che reale presentandosi invece come una
logica    conseguenza   del   nuovo   principio   costituzionale   di
sussidiarieta'.  Peraltro,  ove  non  ricorrano  i  presupposti della
sussidiarieta'  e non venga previsto un procedimento di coordinamento
orizzontale   riprenderebbe   vigore  quanto  alla  distribuzione  di
competenze legislative il principio di «rigidita' della Costituzione»
(Corte cost. n. 303/2003, v. anche Corte cost. n. 376/2003).
    Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame.
    Innanzitutto  non sembra previsto dall'art. 118, primo comma, che
l'attrazione  di  competenza  venga  spostata  a  favore  del livello
inferiore.
    In   secondo   luogo  difetta  il  presupposto  fondamentale  del
principio  di  sussidiarieta'  e  cioe'  l'esigenza  di assicurare un
esercizio  unitario  della  funzione  giurisdizionale amministrativa,
esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata.
    In  terzo  luogo  la  materia  de qua (composizione dei Collegi e
stato  giuridico  dei giudici) sotto nessun profilo puo' essere fatta
rientrare  nella  categoria delle funzioni amministrative, ma rientra
invece  nella  funzione  giurisdizionale  (Corte  cost.  n. 25/1976 e
n. 224/1999 cit.).
    In  conclusione,  quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci)
afferenti   la   adozione   delle  norme  di  attuazione  tramite  le
commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi
in  cui  fosse  invocabile  (ma  non e' questo il caso) la cosiddetta
clausola  di  maggior  favore (v. in questo senso testualmente l'art.
11, secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003, n. 131).
    A   cio'   deve   aggiungersi  anche  l'ulteriore  considerazione
(ripetutamente  esaminata nei precedenti punti 5 - 6 - 7) secondo cui
le  deroghe  al  principio  del  regime uniforme della organizzazione
giurisdizionale  su  tutto  il  territorio nazionale debbono comunque
essere  contenute in norme di rango costituzionale e che il carattere
eccezionale  di  tale  deroga  non  consente  di  superare  il tenore
letterale della norma statutaria (Corte cost. n. 150/1993 cit.).
    D'altra  parte neppure potrebbe ritenersi che la riserva di legge
statale  possa  essere  intesa in senso solamente formale e non anche
sostanziale. In altri termini non e' possibile sostenere che, ai fini
in  esame,  sia  sufficiente  la adozione di una legge da parte dello
Stato  il  quale,  assolto  cosi'  l'onere  della  riserva  di legge,
potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali
differenti da regione a regione.
    Una  simile  esegesi  sarebbe  insostenibile  poiche' contraria a
specifici  principi  costituzionali  ed alla costante interpretazione
fornitane dalla Corte costituzionale.
    Invero,   se   si   affermasse   il  principio,  dianzi  soltanto
ipotizzato,  che  nella materia de qua sia ammissibile una riserva di
legge  in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe
anche  ammettersi  che  il  legislatore statale potrebbe incidere non
solo  sulla  struttura  dei  Collegi  disciplinandoli diversamente da
regione  a  regione,  ma  differenziare  a livello regionale anche la
struttura  dei  processi  (civile, penale, ammmistrativo) e cio', non
solo  in  relazione  alle  regioni  a  statuto speciale, ma anche con
riferimento alle regioni a statuto ordinario.
    Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli
articoli  3,  24, primo comma, 113, primo comma, 102, primo e secondo
comma,   108,   primo   comma   della   Costituzione   differenziando
irragionevolmente  l'esercizio  della giurisdizione in funzione della
residenza e violando cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della
parita'  di tutela dei diritti ed interessi legittimi (art. 24, primo
comma,  art.  113,  primo  comma).  Piu'  in generale, verrebbe anche
vulnerato  il principio dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui
valore,  gia'  riconosciuto  in  passato  in  forza dell'art. 5 della
Costituzione,  e'  attualmente  ribadito,  a  livello costituzionale,
anche  dall'art. 120, secondo comma, nel testo introdotto dalla legge
costituzionale  n. 3/2001.  La Corte costituzionale ha infatti sempre
affermato  ribadito  che  «le modalita' di esercizio del fondamentale
principio  della tutela giurisdizionale non possono essere diverse in
una  regione  rispetto  al restante territorio nazionale (Corte cost.
n. 113/1993)  e  che esiste una «esigenza di un'uniformita' di tutela
in  ordine  a  situazioni soggettive di identica natura» (Corte cost.
n. 42/1991).
    In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia
giurisdizionale  non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi
compresi  quelli  concernenti  il  reclutamento  la nomina e lo stato
giuridico  dei giudici (Corte cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che,
ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale.
Sotto  questo  profilo,  pertanto,  la normativa statale non potrebbe
introdurre  differenziazioni  a  livello regionale senza incorrere in
censure  e vizi di costituzionalita'. L'unica deroga, come piu' volte
sottolineato,  e'  ammessa  solo  in base ad una disposizione di pari
rango  costituzionale,  da interpretare inoltre, in quanto deroga, in
senso strettamente letterale.
    Pertanto,  e  in  conclusione  su  questo  punto, l'art. 23 dello
statuto  siciliano  nella  sua  chiara previsione, limitata alla sola
localizzazione  della  funzione giurisdizionale, rappresenta un punto
fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo
Stato  (autonomamente o in sede di commissione paritetica) potrebbero
adottare  una  disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che
incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e
semplice localizzazione.
    9.  -  Questa  presidenza e' consapevole della circostanza che la
questione    della    composizione   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa  per  la  regione  siciliana  e'  stata  ripetutamente
affrontata  anche  dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli
di valutazione diversi.
    Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata
del  problema,  con  riferimento  tuttavia soltanto all'art. 5, terzo
comma  del  d.lgs.  n. 654/1948  e  cioe'  all'istituto  dell'appello
all'adunanza  plenaria  delle  decisioni  emesse  in  unico grado del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  regione  siciliana
allora,   prima   della   istituzione  dei  Tribunale  amministrativo
regionale
    In  quell'occasione  la  Corte ha fatto altresi' riferimento alla
nota  decisione delle Sezioni unite della Cassazione 11 ottobre 1955,
n. 2994,  dichiarando  di  condividerla. Nella anzidetta decisione la
Cassazione,  non  essendo ancora in funzione la Corte costituzionale,
si  pose  il  problema  della  costituzionalita'  in  generale  della
istituzione  del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione
siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco.
    Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza
o  meno  del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi
l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di
una   competenza  legislativa  alla  commissione  paritetica  di  cui
all'art.  43  dello  statuto  siciliano  anziche'  al  Governo.  Tale
profilo,  di  cui  si e' trattato nella ordinanza di questo Consiglio
185/2003,   non   viene   in   discussione  in  relazione  al  d.lgs.
n. 373/2003.
    Sotto  il  profilo  intrinseco,  invece, la costituzionialita' si
pose  con  preciso  riferimento  alla  questione  se  il Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   regione   siciliana   dovesse
considerarsi o meno un giudice speciale (la cui istituzione era ed e'
vietata  ex  art.  102,  secondo  comma  della  Costituzione)  che  i
ricorrenti  ritenevano  offrisse  minori  garanzie  rispetto  ad  una
ordinaria sezione del Consiglio di Stato.
    A  riprova  della  specialita' venivano addotte la diversita' del
numero  dei  votanti  (5  anziche'  7)  e  la  differenza  di  talune
prerogative:  inamovibilita'  dei componenti le sezioni del Consiglio
di  Stato;  temporaneita'  dei  due  membri  designati  dalla  giunta
regionale;   partecipazione   al  Collegio  esclusa  per  gli  allora
referendari del Consiglio di Stato.
    La   Cassazione,  com'e'  noto,  affermo'  che  il  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   per  la  regione  siciliana  non  poteva
considerarsi   quale   giudice  speciale,  ma  soltanto  una  sezione
specializzata  del  Consiglio  di  Stato  superando in questo modo la
eccezione di incostituzionalita'.
    Ne'  in  quella  occasione  ne' successivamente e' stato posto ex
professo  alla  Corte  costituzionale  il profilo del rapporto tra la
lettera  e  lo  spirito  dell'art.  23  dello  statuto  e le norme di
attuazione  che  prevedono  la  designazione  regionale di magistrati
laici.
    Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione
in  tal  senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel
pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza
che  il  d.lgs.  n. 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e
dello spirito dell'art. 23 dello statuto.
    Invero,  nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato
- afferma che «l'art. 23 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, attiene
soltanto  al  decentramento degli organi giurisdizionali centrali per
gli affari concernenti la regione».
    Nella decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei membri
laici  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la Regione
siciliana,   per   quanto   qui  interessa,  la  Corte  ha  affermato
testualmente  che  «certamente  l'art. 23 dello statuto della Regione
siciliana  prevedeva  semplicemente  l'istituzione  in Sicilia di una
sezione  giurisdizionale  del Consiglio di Stato ed e' innegabile che
con  il  d.lgs.  n. 654/1948  e'  stato invece istituito un organo di
giustizia  amministrativa  caratterizzato  da una propria particolare
fisionomia e struttura».
    Nella   decisione   dianzi   citata   la   Corte   ha  confermato
l'orientamento  della  Cassazione  circa  la  natura del Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   regione   siciliana  (sezione
specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se
la  anzidetta  definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che
ad  una  sezione  specializzata)  ma,  com'e'  noto,  cio' non gli ha
impedito  di  dichiarare incostituzionale il d.lgs. n. 654/1948 nella
parte  in  cui  (art. 3,  terzo  comma)  prevedeva la possibilita' di
rinnovo dei giudici laici. Sotto questo profilo il d.lgs. n. 373/2003
non  presenta  alcuna  differenza  rispetto al d.lgs. n. 654/1948 dal
momento  che  entrambi, invece di limitarsi a localizzare in Sicilia,
per  quanto  qui interessa, una sezione giurisdizionale del Consiglio
di   Stato,  ne  disciplinano  una  composizione  diversa  da  quella
ordinaria.
    10.  -  Possono  pertanto  proporsi  le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettera d), e del successivo
secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6,  secondo  comma,  del  d.lgs.
n. 373/2003,  limitatamente  alle  parole  «e  all'art. 4, comma uno,
lettera  d)»  in  rapporto  agli  articoli  23  e  43  dello  statuto
siciliano,  nonche'  agli  articoli  3,  24,  primo comma, 113, primo
comma, 108, primo comma, 102, primo e secondo comma, e al primo comma
della VI disposizione transitoria della Costituzione.
    I profili relativi al rapporto tra gli anzidetti commi del d.lgs.
n. 373/2003  e  gli  articoli  23 e 43 dello statuto ed all'art. 108,
primo  comma  della Costituzione sono stati in precedenza esposti nel
senso  che  le  anzidette  norme  di  attuazione disciplinano materie
riservate alla competenza esclusiva statale.
    11. - Quanto al rapporto tra il d.lgs. n. 373/2003 e gli articoli
3, 24, primo comma, 113, primo comma Cost. va rilevato nell'esercizio
della   tutela   giurisdizionale  dei  propri  diritti  ed  interessi
legittimi  tutti  i  cittadini  debbono  essere  posti nelle medesime
condizioni  non  essendo ammissibile un esercizio della giurisdizione
diversificato  su  alcune parti del territorio nazionale (Corte cost.
nn. 4/1956, 43/1982, 113/1993, 150/1993) a meno che - ripetesi - cio'
non  sia  legittimato  ad  una deroga di rango costituzionale, deroga
peraltro   nella   specie   insistente.  Nel  concetto  di  esercizio
diversificato  non puo' poi non ricomprendersi anche una composizione
collegiale   diversa   da   quella  ordinaria  (in  questo  senso  v.
testualmente  la  citata  dec.  Corte  cost. n. 25/1976) e da cio' la
violazione dei parametri costituzionali dianzi indicati.
    Circa  il  rapporto tra il d.lgs. n. 373/2003 e gli articoli 102,
primo   e   secondo  comma,  e  108,  primo  e  secondo  comma  della
Costituzione occorre sottolineare che anche qualificando il Consiglio
di  giustizia  amministrativa  per  la regione siciliana come sezione
specializzata,  la  istituzione di sezioni specializzate innanzitutto
deve  essere  prevista da una legge statale, come si evince dall'art.
102,  primo  comma,  per  il giudice ordinario e dall'art. 108, primo
comma per i giudici speciali.
    Esiste,   quindi,  a  livello  costituzionale,  una  ancora  piu'
speciale  riserva  esclusiva di legge statale circa la istituzione di
sezioni  specializzate,  derogabile  quindi solo in presenza di norma
espressa  di  pari  rilevanza costituzionale (Corte cost. n. 150/1993
cit.).
    Nella  specie  -  ripetesi  -  in nessun comma dell'art. 23 dello
statuto  siciliano  e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne'
esplicito  alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni
specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature
superiori.
    Il  decentramento  puro  e  semplice  (Corte  cost.  n. 61/1975 e
n. 25/1976)  non  implica  affatto di per se' la creazione ex novo di
sezioni  specializzate  tanto piu' che l'unico accenno di specialita'
contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra
Stato e regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei
conti.
    Va   poi  rammentato  che  la  Carta  costituzionale  prevede  la
istituzione  di  sezioni  specializzate  soltanto  nell'ambito  della
magistratura  ordinaria  (art. 102, secondo comma) per cui la sezione
specializzata  viene  considerata  ªnon  gia' un tertium genus fra la
giurisdizione  speciale  e  quella  ordinaria,  bensi' una species di
quest'ultima»   (Corte   cost.   nn. 76/1961,  394/1998  e  ordinanza
n. 424/1989).
    E'  stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire
giudici  speciali,  la  deroga  costituzionale  a  favore  delle sole
sezioni  specializzate,  dipende  proprio  dalla loro compenetrazione
istituzionale  con  il  giudice  ordinario  (Corte  cost. nn. 4/1984,
424/1989).
    Pertanto,   se   la   istituzione  di  sezioni  specializzate  e'
consentita  dalla  Costituzione  (ex  art.  102,  secondo comma) solo
nell'ambito  della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso
organico  con  quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi'
come  non  e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa
stregua   non   sarebbe  possibile  istituire  sezioni  specializzate
all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti.
    La questione non e' stata affrontata e risolta nell'unico caso in
cui il problema si e' posto nei confronti di un giudice speciale gia'
esistente o, meglio, gia' previsto dalla Costituzione.
    Invero,  nella  decisione  n. 49/1968  esaminando la legittimita'
costituzioile  delle  sezioni  dei Tribunale amministrativo regionale
del  contenzioso  elettorale  ex  art.  2,  legge  23  dicembre 1966,
n. 1147,  la  Corte  costituzionale  da  un  lato  ha escluso il loro
carattere di nuovi giudici speciali in quanto «parte degli istituendi
Tribunale  amministrativo  regionale» ex art. 125 Cost. e non essendo
vietata   «la   gradualita'  nell'introduzione  di  nuovi  organi  di
giustizia amministrativa». Peraltro, la Corte neppure ha riconosciuto
alla  anzidetta sezione elettorale la natura di sezione specializzata
degli  istituendi  Tribunale  amministrativo  regionale pervenendo ad
affermare   che   si   trattava  di  «un'articolazione  di  tribunale
amministrativo»  e  che,  in  quanto tale non richiede la presenza di
giudici  togati  cosi'  come non sembra che la richieda questo stesso
tribunale».
    In altri termini, nel pensiero della Corte sembrerebbe che mentre
si  ammetteva  che  il  giudice  speciale da istituire ex novo come i
Tribunale  amministrativo regionale, potesse anche essere interamente
composto  da  laici  (salvo  le  garanzie  di indipendenza, art. 108,
secondo   comma  Cost.),  lasciava  impregiudicato  il  problema  se,
nell'ambito  dell'istituendo  giudice  speciale, fosse costituzionale
istituire   sezioni  specializzate  in  analogia  a  quanto  previsto
dall'art. 102, secondo comma per il giudice ordinario.
    12.  -  In ogni caso, quando anche si pervenisse alla conclusione
che  l'art.  102,  secondo comma e l'art. 108, primo comma Cost., non
implicano  di  per  se' il divieto di istituire sezioni specializzate
nell'ambito  del  giudice  speciale  gia' esistente, non sembra possa
dubitarsi  che  tale  possibilita'  sia  coperta  da riserva di legge
statale  ex  art. 102,  primo  comma  e 108, primo comma Cost., e che
comunque  la  riserva  di  legge  statale  non  potrebbe  dettare, in
subiecta  materia,  e in assenza di specifiche disposizioni di deroga
di  rango  costituzionale,  un  regime  differenziato  da  regione  a
regione.
    Il  vizio  di  costituzionalita'  degli articoli 4 e 6 del d.lgs.
n. 373/2003  verrebbe  pertanto  a  porsi negli stessi termini dianzi
enunciati.
    Quanto  poi  al  rapporto  tra  il  d.lgs.  n. 373/2003  e  la VI
disposizione  transitoria  della  Costituzione,  va rammentato che la
stessa  prevedeva  di  procedere,  entro 5 anni, alla revisione delle
giurisdizioni  speciali  eccettuando  espressamente  il  Consiglio di
Stato,  la Corte dei conti e i tribunali militari. In questa espressa
eccezione  trova  concordanza  la formulazione dell'articolo 23 dello
statuto  siciliano  che  si limitava al mero decentramento. Il d.lgs.
n. 654/1948  prima,  e  il  d.lgs.  n. 373/2003  poi,  istituendo una
sezione   specializzata   hanno   invece  apportato  sicuramente  una
modificazione  all'organo  giurisdizionale,  ponendosi  in  contrasto
oltre  che con lo statuto siciliano anche con il primo comma della VI
disposizione transitoria.
    A  questo  proposito  l'assenza  di  coordinamento tra lo statuto
siciliano  e  la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente
se  si  considera che lo statuto (articolo 23, primo comma) prevedeva
un decentramento negli organi giurisdizionali centrali, decentramento
peraltro   neppure   generalizzato,   ma  limitato  ai  soli  «affari
concernenti  la  regione».  Innanzitutto  non  era  e  non e' agevole
stabilire,  in sede di giurisdizione (civile, penale amministrativa e
contabile)  quali  siano  gli  «affari  concernenti  la  regione» dal
momento  che  la  giurisdizione  e'  un  valore e una funzione neutra
«insensibile  alla  localizzazione in questa o quella regione» (Corte
cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata
dal fatto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle
acque  pubbliche  non  e'  mai  stata data attuazione alla previsione
statutaria  e,  che  in  quella  amministrativa si e' reso necessario
estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per
la  regione  siciliana  anche  ad  atti  emessi  da autorita' statali
(articolo  5,  primo  comma,  d.lgs.  n. 654/1948;  articolo 4, terzo
comma,  d.lgs.  n. 373/2003)  di  modo che attualmente, atteso che la
competenza  territoriale del giudice amministrativo e' derogabile, e'
possibile  conoscere  in  Sicilia  anche  di  ogni  sorta  di atti da
chiunque  emanati. Inoltre, per evitare di compromettere l'unita' del
sistema  giuridico  della  giustizia  amministrativa, il Consiglio di
giustizia  amministrativa per la regione siciliana venne configurato,
relativamente agli atti statali, come organo sottordinato rispetto al
Consiglio   di  Stato  al  quale  era  previsto  la  possibilita'  di
appellarsi (articolo 5, terzo comma, d.lgs. n. 654/1948).
    Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte
costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'Adunanza
plenaria  avverso  pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa
per  la  regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il
venir  meno,  in  quel  caso,  delle  «ragioni  per cui gli era stata
conferita   quella   particolare  composizione  caratterizzata  dalla
presenza  di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a
cio'  costituire  opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita'
delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto
per  «attribuire  ai  ricorrenti  davanti  al  Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la  regione siciliana una tutela giurisdizionale
maggiore  di  quella  riconosciuta  alla  generalita'  dei  cittadini
davanti  al  Consiglio  di  Stato quanto piuttosto per assicurare una
definitiva  uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni
dello Stato».
    Tale  competenza  di primo grado e' venuta meno dapprima in forza
di  una  esegesi pretoria (Adunanza plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979)
ed  ora  risulta  espressamente  sancita dal citato articolo 4, terzo
comma  del  d.lgs.  n. 373/2003,  ma rimane innegabile il superamento
della  lettera  e dello spirito della norma statutaria che limitava e
limita la competenza ai soli «affari concernenti la regione».
    Le   anzidette   considerazioni   dimostrano  le  difficolta'  di
adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo
e  limitato  aspetto  della  localizzazione.  Pertanto,  estendere la
portata  dell'articolo  23 sino a modificare la struttura dell'organo
giudicante  legittima  il  sospetto di una incostituzionale revisione
(sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato.
    13.  - In conclusione sui precedenti punti possono per ora essere
avanzate   nell'ordine  e  in  subordine  le  seguenti  questioni  di
costituzionalita'   con   riserva   di   successiva  integrazione  in
prosieguo:
        A) dell'articolo 4, primo comma, lettera d), e del successivo
secondo  comma,  nonche'  dell'articolo  6, secondo comma, del d.lgs.
n. 373/2003,  limitatamente alle parole «e all'articolo 4, comma uno,
lettera  d),  in  rapporto all'articolo 23 dello statuto siciliano ed
all'articolo  102,  primo  comma  e 108, primo comma Cost., in quanto
l'articolo   23   dello   statuto  non  prevede  alcuna  deroga  alla
composizione  ordinaria  delle  sezioni  del  Consiglio  di  Stato da
localizzare  in Sicilia, e in rapporto agli articoli 102, primo comma
e  108,  secondo  comma Cost., in quanto disciplina materia riservata
dalla  Costituzione  alla  legge statale, per cui eventuali deroghe a
favore  dell'autonomia  regionale  debbono  essere  supportate da una
espressa  previsione  di  pari  rango  costituzionale che - come piu'
volte  rappresentato  -  non  e'  rinvenibile  nell'articolo 23 dello
statuto  siciliano,  nonche',  in  rapporto agli articoli 3, 24 primo
comma, 113, primo comma Cost., in quanto introduce una ingiustificata
differenziazione  dell'organo  giudicante,  e  quindi  dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale.
        A1)  in subordine dell'articolo 4, primo comma, lettera d), e
del  successivo secondo comma, nonche' dell'articolo 6, secondo comma
del  d.lgs.  n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'articolo 4,
comma uno, lettera d), in rapporto all'articolo 23, primo comma dello
statuto  siciliano che non prevede ne' una sezione specializzata, del
giudice  speciale  ne'  una composizione collegiale diversa da quella
ordinaria  e  cio'  anche  in  relazione,  quale tertia comparationis
all'articolo  24,  primo comma dello statuto siciliano concernente la
composizione  dell'Alta  Corte,  nonche' all'articolo 23, terzo comma
del  medesimo  statuto,  all'articolo  10,  del d.lgs. 6 maggio 1948,
n. 655,  concernente  la istituzione di sezioni della Corte dei conti
per  la regione siciliana, all'articolo 1, del d.lgs. 18 giugno 1999,
n. 200,  ed  all'articolo 90 e 91, secondo comma del t.u. delle leggi
costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670.
        A2)  in  subordine dell'articolo 4, primo comma, lettera d) e
del successivo secondo comma, nonche' dell'articolo 6, secondo comma,
del  d.lgs.  n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'articolo 4,
comma  uno,  lettera d),  in  rapporto allo stesso articolo 23, primo
comma  dello statuto siciliano, nonche' in rapporto all'articolo 102,
secondo  comma  e  108, primo e secondo comma della Costituzione, non
essendo  consentito  istituire  sezioni specializzate nell'ambito dei
giudici speciali.
        A3)  in  subordine dell'articolo 4, primo comma, lettera d) e
del  successivo  secondo comma, nonche' dell'articolo 6 secondo comma
del  d.lgs.  n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'articolo 4,
comma  uno, lettera d) in rapporto all'articolo 23, primo comma dello
statuto siciliano ed in rapporto al primo comma della VI disposizione
transitoria   della  Costituzione  che  esclude  dalla  revisione  la
giurisdizione del Consiglio di Stato.
        14. - La questione sub A1) consente di porre sotto un diverso
angolo   di  visuale  l'affermazione,  contenuta  nella  gia'  citata
decisione delle Sezioni unite della Cassazione n. 2994/1955, circa la
aderenza  del  d.lgs. n. 654/1948 allo spirito dell'articolo 23 dello
statuto siciliano.
    In  quella  occasione la Cassazione si e' preoccupata di chiarire
che   il   Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  regione
siciliana,  per  la  sua  composizione,  non  e'  un  giudice  capite
deminutus quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri.
    La  Cassazione  non  si  e' invece data carico della questione di
costituzionalita'  a  monte  e  cioe' se lo statuto e la Costituzione
legittimavano   la   istituzione  (gia'  fortemente  criticata  dalla
dottrina   costituzionalistica  dell'epoca)  di  una  sezione,  sotto
molteplici  profili,  diversa  rispetto  a  una sezione ordinaria del
Consiglio  di  Stato,  ma si e' limitata ad affermare apoditticamente
che   «le   variazioni   morfologiche   del  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la  regione siciliana sono in funzione di quella
stessa  esigenza  di  decentramento che ha giustificato l'istituzione
dell'Ente regione».
    A  questo  proposito  e' opportuno segnalare, anche a chiarimento
del  richiamo  che  e'  stato operato quale tertium comparationis, al
d.lgs.  n. 655/1948,  che, nella stessa data del 6 maggio 1948, venne
adottato,  oltre  al decreto legislativo n. 654/1948, anche il d.lgs.
n. 655/1948  relativo  alla  istituzione  in  Sicilia  di una sezione
giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il
predetto  d.lgs.  n. 655/1948  non  dispone  una  composizione  delle
Sezioni  diversa  da  quella  ordinaria, ma si e' limitato a ribadire
(articolo  10,  primo  comma)  la previsione statutaria (articolo 23,
terzo  comma)  della  intesa  tra  Stato  e  regione sulla nomina dei
magistrati.  Va ulteriormente rimarcato che in sede di modifica delle
norme  di  attuazione  del  predetto d.lgs. n. 655/1948, il d.lgs. 18
giugno  1999,  n. 200,  adottato questa volta su determinazione della
commissione  paritetica  ex  articolo 43, dello statuto siciliano, ha
introdotto  all'articolo  1, del d.lgs. n. 655/1948, un secondo comma
che  testualmente  dispone che «la composizione e la competenza delle
sezioni sono determinate dalle disposizioni della legge statale».
    Orbene,  nell'unico  caso  in  cui  l'articolo  23  dello statuto
siciliano  prevedeva,  al terzo comma, un accenno di specialita', ne'
le   prime   norme   di   attuazione  (adottate  senza  la  procedura
dell'articolo 43 dello statuto), ne' le successive (adottate stavolta
con  il  procedimento  speciale) hanno ritenuto possibile e legittimo
alterare  la  composizione  ordinaria  delle  sezioni della Corte dei
conti.
    Sulla base delle argomentazioni addotte dalle sezioni unite della
Cassazione  nella  decisione  2994/1955  in merito alle «esigenze del
decentramento»  non  e'  agevole  giustificare  come  mai, in sede di
attuazione   della  stessa  norma  statutaria,  nei  confronti  della
clausola  di  una  qualche  maggiore  specialita' si sia mantenuta la
composizione  ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla
clausola  dell'articolo  23,  primo  comma,  del  tutto anodina sotto
questo  profilo,  si  sia  ritenuto  di  poter  istituire una sezione
specializzata del Consiglio di Stato.
    Comunque,  le vicende del coevo d.lgs. n. 655/1948 e come pure le
successive  determinazioni  della  commissione  paritetica  del  1999
allorche'  e'  stato  introdotto  il secondo comma all'articolo 1 del
predetto   d.lgs.   n. 655/1948   concernente  la  Corte  dei  conti,
costituiscono  ulteriore riprova del fatto che le norme di attuazione
di  cui  al d.lgs. n. 373/2003, che riproducono, in parte qua, quelle
di cui al d.lgs. n. 654/1948, sono in palese contrasto con la lettera
e lo spirito dello statuto siciliano.
    Ne'  potrebbe  addursi, a giustificare il differente regime tra i
due  decreti  legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del
d.lgs.  n. 373/2003,  l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile
che   nell'organo  controllante  (Corte  dei  conti)  siano  presenti
magistrati  designati  dal soggetto controllato (regione). Va infatti
sottolineato  che  l'articolo  23 dello statuto siciliano e il d.lgs.
n. 655/1948  prevedono  anche  la  localizzazione  in  Sicilia  della
sezione  giurisdizionale  per  i  giudizi di conto, responsabilita' e
pensionistici  e che la composizione di tale sezione non e' stata mai
modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003, n. 131. Questa
infatti, all'articolo 7, ha previsto la mera possibilita' che le sole
sezioni  regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate
con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la
norma  in esame e' contenuta in una legge statale di portata generale
ed  uniforme  su  tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si
volesse  riconoscere  identico  carattere  giurisdizionale anche alla
funzione  di  controllo  della  Corte  dei  conti,  la  norma sarebbe
ugualmente  in  linea  con i principi costituzionali della riserva di
legge  statale  e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte
del territorio nazionale.
    In altri termini, se per effetto dell'art. 7 della legge 131/2003
(ove  applicabile  alle  regioni  a  statuto  speciale) la sezione di
controllo  della  Corte dei conti in Sicilia dovesse essere integrata
con  consiglieri  di  designazione  regionale,  cio'  sarebbe  dovuto
all'efficacia  di  una  legge statale uniforme su tutto il territorio
nazionale,  e  non  gia'  in  forza  di una norma di attuazione dello
statuto   siciliano  che  avesse  introdotto  un  regime  derogatorio
rispetto a quello ordinario.
    Circa  poi  la  attuazione  dello  statuto siciliano va ricordato
storicamente  che  la  prima  commissione  paritetica del 1946, nelle
prime  ed  uniche  norme da essa «deliberate» non aveva modificato la
composizione  delle magistrature superiori esistenti e certamente non
per  superficialita'  o per ignoranza delle norme statutarie. Invero,
il  Presi-dente  della  Commissione,  come  e' noto, e come aveva lui
stesso   dichiarato   in   una   nota  24  maggio  1947,  indirizzata
all'Assemblea  regionale siciliana, era stato uno dei redattori dello
statuto.  Tuttavia,  ne'  lui,  ne'  nessun altro dei padri fondatori
dello  statuto (Giovanni Salemi, Mario Mineo, lo stesso Movimento per
l'Autonomia  della  Sicilia)  pensarono mai ad organi giurisdizionali
superiori a composizione mista paritetica.
    Com'e'  noto  lo  statuto  siciliano e' frutto di una commissione
nominata  con decreto 1° settembre 1945, dall'Alto Commissario per la
Sicilia on. Salvatore Aldisio.
    La   commissione   prese  a  base  dei  lavori  quattro  progetti
predisposti  rispettivamente  dal  prof.  Giovanni  Salemi,  dall'on.
Giovanni  Guarino  Amella,  dal dott. Mario Mineo e dal Movimento per
l'autonomia della Sicilia.
    Per  quanto  conceme  gli  organi giurisdizionali il progetto del
prof.   Salemi   all'articolo   21,   primo  comma,  cosi'  recitava:
«l'organizzazione  giudiziaria  e' stabilita con legge dello Stato ed
e' a carico dello Stato».
    Il  progetto dell'avv. Guarino Amella all'articolo 30 si limitava
a   stabilire  che:  «Tutti  gli  organi  per  la  definizione  delle
controversie  nel  campo civile, penale, commerciale, amministrativo,
tributario  e  sindacale e in tutti i gradi di giurisdizione, debbono
risiedere nella regione, in modo che tutte le controversie abbiano in
Sicilia il loro intero e totale svolgimento».
    Il   progetto   del   dott.   Mineo   all'articolo  37  prevedeva
semplicemente che: lo Stato istituira' in Sicilia sezioni autonome di
ciascuno dei suoi supremi organi giurisdizionali».
    Il  progetto  del  Movimento  per  l'Autonomia della Sicilia agli
articoli  26  e  27  era  cosi' formulato: articolo 26 «L'ordinamento
giudiziario e' stabilito con legge dello Stato.
    La  creazione  di  nuovi  uffici  giudiziari  e le modifiche alle
circoscrizioni giudiziarie sono pero' stabilite con provvedimento del
consiglio regionale.
    Articolo 27. L'Amministrazione della giustizia nella regione e' a
carico del bilancio dello Stato.
    Tutti  gli organi per la definizione delle controversie nel campo
civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro,
ed  in  tutti  i  gradi  di  giurisdizione,  debbono  risiedere nella
regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro
intero e totale svolgimento».
    Se  poi  si  esaminano i resoconti stenografici della commissione
(riportati in un volume, dedicato ai lavori preparatori dello statuto
dal  presidente  della  commissione  prof.  Giovanni  Salemi)  e,  in
particolare  quelli  delle  sedute  del  21  dicembre  1945  e del 22
dicembre 1945 si trova documentato che la formula (inserita nell'art.
20) «l'organizzazione giudiziaria e' stabilita con legge dello Stato»
venne  eliminata  su  proposta  del  consigliere  Taormina  il  quale
«basandosi sul principio che la funzione giurisdizionale e' riservata
allo  Stato  propone  la  soppressione  dell'art. 20  ....»  ...  «La
Consulta  respinge  l'articolo.  Ne  dissente  solo  il  cons. Romano
Battaglia».
    In  relazione  poi  alla  stesura  dell'art.  21 (poi divenuto il
definitivo  art.  23) i lavori cosi' riportano: «Scartata la proposta
del  prof. Di Carlo, di votare al riguardo l'art. 27 del progetto del
«Movimento  per l'autonomia» si approva nei seguenti termini il primo
comma  dell'art.  21: «Gli organi giurisdizionali aventi oggi la sede
soltanto  in  Roma  saranno istituiti anche in Sicilia per gli affari
concernenti la regione».
    Sul  secondo  comma  dello stesso articolo, intervengono il prof.
Majorana  e  il  cons.  Cartia;  l'uno proponendo di non assegnare al
Consiglio  di  Stato  in  Sicilia  la  funzione consultiva al fine di
soddisfare meglio alle esigenze dell'autonomia; l'altro per dare alla
Corte  dei  conti  una  composizione mista, con rappresentanti, cioe'
dello  Stato  e della regione, essendo comune ai due enti l'interesse
al controllo contabile.
    Si  invita  il  relatore a presentare la redazione definitiva del
detto comma.» ...
    «Il   relatore   presenta   un'altra  formula,  piu'  semplice  e
comprensiva:  "Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia
le  rispettive  sezioni  per gli affari concernenti la regione". Essa
viene approvata e diventa il primo comma dell'art. 21.
    Ritornando  al  secondo  comma  dello stesso art. 21, il relatore
propone  di  metterlo  in  armonia  col  primo, dicendo: "Sezioni del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti" anziche' "Il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei conti". Al fine di attuare la rappresentanza
mista  dello  Stato  e  della  regione  in seno alla Corte dei conti,
suggerisce  il  seguente  nuovo  comma: "I magistrati della Corte dei
conti  sono  nominati  di  accordo  dai  Governi  dello Stato e della
regione".» (v. all. A pag. 69-70).
    Il   progetto  definitivo  venne  poi  approvato  dalla  Consulta
siciliana, poi dalla Consulta nazionale. Per quanto qui interessa non
vennero  apportati emendamenti, e venne infine approvato con r.d.lgs.
15 maggio 1946, n. 455.
    Emerge quindi con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione
dello  statuto,  penso'  ad  una  organizzazione  delle  magistrature
superiori  diversa  da quella disciplinata dalla legge statale e che,
se  vi  fu  un accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice
contabile.
    Pertanto, la affermazione delle Sezioni unite n. 2994/1955 dianzi
citata  secondo  cui  «le  variazioni  morfologiche  del Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono in funzione di
quella   stessa   esigenza   di  decentramento  che  ha  giustificato
l'istituzione  dell'Ente Regione» non solo non trova alcun riscontro,
ma  anzi  e'  smentita  proprio  dalle  vicende  occorse  in  sede di
istituzione  dell'Ente  Regione  e  cio'  senza  considerare  che  le
«variazioni» non sono solo «morfologiche» ma di sostanza.
    Anche  i  lavori  preparatori  dello  statuto  confermano  quindi
testualmente  e  sul  piano  storico  quanto piu' volte in precedenza
osservato  circa  il carattere contra statutum del d.lgs. n. 654/1948
e, in parte qua del d.lgs. n. 373/2003.
    Se  poi  ci  si  chiede  come  mai,  nel 1948 in sede di norme di
attuazione  di cui al d.lgs. n. 654/1948 sia stata cosi' radicalmente
stravolta  la  lettera  e lo spirito, tanto dello statuto, siciliano,
quanto  della  conforme  proposta della prima commissione paritetica,
puo'  farsi  riferimento  a  coloro  che,  in dottrina, attribuiscono
storicamente il tenore del d.lgs. n. 654/1948 ad un accordo personale
intercorso  tra  Ferdinando  Rocco  e  l'on. Luigi Sturzo, del quale,
peraltro,  sembra  non  sia  rimasta  traccia. A questo proposito non
varrebbe richiamarsi, come sovente assume taluna pubblicistica, ad un
supposto   carattere   «pattizio»  dello  statuto  siciliano  che  lo
differenzierebbe  percio' solo dagli altri statuti speciali. Anche se
fosse  possibile  assimilare  lo  Statuto  ad  un accordo tra entita'
equiordinate, al pari cioe' di un trattato internazionale, resterebbe
comunque  indubbio  che  ai patti occulti, in ogni caso, non potrebbe
riconoscersi alcun valore.
    A  giustificazione  della  composizione  mista  del  Consiglio di
giustizia  aniministrativa  per  la  Regione siciliana confermata dal
d.lgs.  n. 373/2003  neppure  potrebbe  invocarsi una sorta di tacita
consuetudine  ovvero  di  convalescenza  per  decorso  del  tempo. Si
tratterebbe  infatti,  in  ambedue  i  casi,  di  istituti o fonti di
integrazioni   sconosciute  al  livello  di  norme  costituzionali  e
comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida.
    In  altri  termini  non  sembrerebbe  possibile  sostenere  (come
talvolta  adombrato)  che la sussistenza della composizione mista del
C.G.A.  per  oltre  mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova
della  sua  costituzionalita'.  Innanzitutto,  va  rammentato  che il
periodo suindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni
aspetti  di  tale composizione mista non hanno superato il vaglio del
giudice  delle  leggi  (Corte  cost.  n. 25/1976) ovvero hanno subito
modificazioni,  piu'  o meno radicali, a seguito o in prospettiva del
giudizio  della  Corte  (v.  il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso d.lgs.
n. 373/2003).
    In  secondo  luogo  non  puo'  ritenersi che la permanenza di una
norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca
garanzia  di  costituzionalita',  come  dimostrano  gli  esempi delle
giunte   provinciali  amministrative  (Corte  cost.  n. 30/1967)  del
Tribunale   superiore  delle  acque  (Corte  cost.  n. 305/2002)  dei
tribunali  regionali  delle  acque  (Corte  cost. n. 353/2002), della
giunta  speciale  presso  la  Corte di appello di Napoli (Corte cost.
n. 393/2002) etc.
    Neppure sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al mutato
quadro  istituzionale  introdotto  dal  d.lgs.  n. 373/2003  ed  alla
intervenuta  assimilazione  del  regime  giuridico  ed  economico dei
membri  laici  del C.G.A. a quello dei laici nominati in Consiglio di
Stato.
    In  altri  termini,  non  sembrerebbe  possibile sostenere che il
superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega
in  bianco  e  mancato  intervento  della Commissione paritetica) sia
taluni  di  quelli  sostanziali  (indipendenza, imparzialita', regime
giuridico  ed  economico  nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del
C.G.A.)  valga  di  per  se'  a  dimostrare la sopravvenuta manifesta
infondatezza  della  questione  concernente  il contrasto tra la pura
localizzazione  prevista  dall'art. 23,  primo  comma  dello  statuto
siciliano  e  la  composizione  mista  di  cui  all'art. 4 del d.lgs.
n. 373/2003.
    In  sostanza,  non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione
risultava  non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui
ai  laici  non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre
non  apparirebbe  piu' tale nell'ambito del d.lgs. n. 373/2003 in cui
tali garanzie sono state assicurate.
    Tale  argomentazione  non  sembrerebbe convincente per un duplice
ordine  di considerazioni. Innanzitutto le questioni dianzi esaminate
ed  elencate  non  hanno  alcun  riferimento  alla  maggiore o minore
indipendenza  o  imparzialita' dei laici. Invero, la questione che ne
occupa,  similmente  a quanto ritenuto nella ordinanza n. 185/2003 di
questo  Consiglio,  consiste  nell'interrogativo  se,  in  assenza di
copertura  costituzionale,  sia  possibile  introdurre  una  forma di
giurisdizione   differenziata   solo  su  una  parte  del  territorio
nazionale.
    Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che
ai  componenti laici sia assicurata, ex d.lgs. n. 373/2003, lo stesso
trattamento giuridico ed economico dei laici nominati in Consiglio di
Stato, non elimina il dato di fatto della esistenza una giurisdizione
differenziata.
    Al  riguardo  e'  sufficiente rilevare innanzitutto che il regime
giuridico  non  e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee
per  un sessennio difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento
dalla   professione   (art. 3,   legge   n. 303/1998),  ovvero  dalla
amministrazione  di  provenienza  che  caratterizza  i Consiglieri di
Stato e della Corte dei conti di nomina politica.
    In  secondo  luogo,  ma  non  meno decisivo a dimostrazione della
esistenza   di   una   differenziata   singolarita',  e'  sufficiente
richiamare   il   disposto  dell'art. 4,  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003  secondo  cui  il  collegio giudicante e' necessariamente
composto  con  due  membri laici di nomina politica regionale, il che
comporta una differenziazione, non solo formale, ma anche sostanziale
dell'esercizio della giurisdizione (Corte cost. n. 25/1976 cit.).
    Nei  collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende
la  necessita'  che  vengano  rappresentate  esigenze, prospettive, e
interessi  di  natura  locale,  il che, ovviamente, non ha ragione di
essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le
norme  dell'ordinamento  quale  che  ne sia la fonte (internazionale,
comunitaria, nazionale, regionale etc.).
    L'unico esempio di collegio giurisdizionale amministrativo in cui
e'   stata  prevista  la  composizione  mista  e'  rappresentalo  dal
T.R.G.A.,  ma  con  norma  di  rango  costituzionale  e  in base alla
dichiarata  e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e
linguistiche  presenti  nella  regione  (v.  artt. 90, 91, 92, d.P.R.
n. 670/1972).
    Neppure   sembrerebbe   possibile,  a  questi  fini,  richiamarsi
all'inciso  di  cui  all'art. 23, primo comma dello statuto siciliano
che fa riferimento agli «affari concernenti la regione» interpretando
cioe'  la  formula  come  se questa implicitamente sottintenda che il
contenzioso  amministrativo  tra  un qualsiasi privato e le autorita'
amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in
composizione  speciale.  Infatti,  non  sarebbe  spiegabile come tale
esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi'
fosse,  come  non  sia  emersa al livello statutario, ed anzi risulti
ignorata nei lavori preparatori dello statuto.
    Per   le  suesposte  argomentazioni  si  ritiene  che  il  quadro
normativo  offerto  dal d.lgs. n. 373/2003, ancorche' sostanzialmente
migliorativo  rispetto  al  precedente,  quafito a talune garanzie di
imparzialita'  ed indipendenza dei membri laici del C.G.A., non abbia
risolto  (come  gia' avvertito dai primi coininentatori) la questione
di  fondo  concernente la legittimita' della istituzione di una forma
di  esercizio  della  giurisdizione amministrativa in Sicilia diversa
dal  resto  del  territorio  nazionale in assenza - ripetesi - di una
specifica copertura costituzionale.
    Pertanto  si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per
cio'  solo  a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni
di  costituzionalita'  che  meritano  quindi  di essere riproposte al
vaglio del giudice delle leggi.
    Le  questioni  di  costituzionalita'  dianzi esposte appaiono poi
rilevanti  ai  fini  del  presente giudizio in quanto la legittimita'
costituzionale   della   composizione  del  Collegio  rappresenta  un
presupposto    imprescindibile   per   l'esercizio   della   funzione
giurisdizionale (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Quanto alla non manifesta infondatezza, questa presidenza ritiene
che   tale   requisito   sussista  sia  con  riferimento  all'assetto
costituzionale  precedente,  sia  anche  con  riferimento all'assetto
costituzionale  quale  risulta  dopo  la  modifica del Titolo V della
Costituzione per effetto della legge costituzionale n. 3/2001.
    15.  -  A  riguardo  va  innanzitutto ricordato, alla stregua del
pacifico  insegnamento  della Corte costituzionale, inaugurato con la
sua  stessa  prima  decisione  (n. 1/1956),  che  le norme ordinarie,
ancorche' nate cosituzionalmente legittime, possono essere affette da
illegittimita'  costituzionale  sopravvenuta  per contrasto con nuove
norme costituzionali (Corte cost. n. 13/1974).
    Cio'  vale anche per lo statuto siciliano, approvato con r.d.lgs.
15  maggio 1946, n. 455, prima della Costituzione repubblicana, i cui
articoli  26  e  27  -  come  gia'  accennato - sono stati dichiarati
incostituzionali  malgrado  la  costituzionalizzazione  dello statuto
fosse intervenuta successivamente (Corte cost. n. 6/1970 cit.).
    In  altri  termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme
statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi
fondamentali  poiche',  in  tal  caso,  le  stesse  norme  statutarie
potrebbero  risultare  affette  da  incostituzionalita'  (Corte cost.
numeri 30/1971, 31/1971, 32/1971, 12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982,
183/1983,  170/1984,  1146/1988).  Nella  specie,  peraltro, la norma
statutaria  in  esame,  e  cioe'  l'articolo 23, primo comma, nel suo
tenore  letterale  e  nella sua ratio, appare perfettamente coerente,
con  i  principi  costituzionali in tema di uguaglianza dei cittadini
nella  tutela dei propri diritti ed interessi, nonche' di uniformita'
nell'esercizio  della  giurisdizione  limitandosi  -  come piu' volte
osservato   -   al   puro   e  semplice  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  superiori  nella  loro  composizione  ordinaria. Gli
interrogativi  non  riguardano  quindi  il  disposto  statutario,  ma
soltanto   la  sua  attuazione,  attuazione  che,  travalicando  tale
disposto,  ne  e'  stata fornita, dapprima con il decreto legislativo
n. 654/1948, ed attualmente, sotto il vigore del nuovo Titolo V della
Costituzione, con il decreto legislativo n. 373/2003.
    Cio' premesso, il nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso di
questa  presidenza,  non  solo  non  fa  venir  meno  le questioni di
costituzionalita'  dinanzi  prospettate, ma rafforza, se mai, il peso
delle argomentazioni di cui sopra.
    Mantiene,   infatti,   identica   rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza  la questione rubricata sub A3 concernente la violazione
del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione.
    Quanto  agli  altri  profili,  puo'  ritenersi  anche per essi la
perdurante rilevanza ed anzi la maggiore fondatezza per effetto delle
disposizioni del rinnovo Titolo V.
    Com'e'  noto,  l'art.  10  della  legge  costituzionale n. 3/2001
dispone   che   sino   all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti,  le
disposizioni  del  nuovo  Titolo  V si applicano anche alle regioni a
statuto  speciale  per  le  parti in cui prevedono forme di autonomia
piu'  ampie rispetto a quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di
maggior favore).
    Peraltro,  in  precedenza si e' denunciata la incostituzionalita'
di  talune  disposizioni  del  d.lgs.  n. 373/2003 in quanto norme di
attuazione  statutaria  contra  legem  o  comunque,  praeter legem in
quanto  in  contrasto  con  la  lettera  e  lo  spirito dello Statuto
siciliano    oltreche'    con   principi   e   precise   disposizioni
costituzionali.
    Tuttavia,  tali  principi  e tali disposizioni sono contenuti nel
Titolo  IV  della  Costituzione  e  non  gia'  nel  Titolo V  le  cui
modifiche,  pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in
esame.   Peraltro,   per   indispensabile   completezza,   dovrebbero
esaminarsi  taluni  aspetti  della  riforma, aspetti che comunque non
incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano.
    Innanzitutto  va  premesso che nella specie si tratta di valutare
la  costituzionalita'  di  una normativa emanata successivamente alla
entrata  in  vigore  della  legge  costituzionale n. 3/2001. Quindi i
canoni circa il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni
dovrebbero   essere   valutati   alla   stregua   del  nuovo  assetto
costituzionale  non  essendo  applicabile il principio di continuita'
dell'ordinamento (Corte cost. n. 422/2002).
    Cio'  premesso  va osservato che, come gia' accennato, nel vigore
della  distribuzione  delle  competenze  legislative  anteriore  alla
riforma   del   Titolo   V   la   giurisprudenza   costituzionale  ha
costantemente  affermato, sin dalla decisione 124/1957, la necessita'
di  distinguere  lo  Stato  quale  unico  ente  a fini generali dalle
regioni   (ordinarie   o   a   statuto   speciale)   «enti  con  fini
predeterminati  e inderogabilmente fissati» (Corte cost. n. 66/1964).
Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario della impossibilita'
di  estendere  in  senso  finalistico l'ambito delle materie elencate
negli  statuti.  Pertanto,  anche  se  uno  statuto  speciale  avesse
attribuito alla competenza esclusiva regionale il conseguimento di un
certo   fine,   questo  avrebbe  potuto  essere  conseguito  soltanto
nell'ambito  delle  materie  attribuite  alla competenza regionale. E
cosi', esemplificando con riferimento alla Regione siciliana, il fine
statutario  di  cui  all'articolo  14,  lettera  e) «incremento della
produzione  agricola  e  industriale»  pur  attribuendo  alla Regione
competenza  legislativa  esclusiva  in  materia,  non  le  consentiva
tuttavia  di  conseguirlo  disciplinando  il  regime  delle  accise e
dell'I.G.E.  poiche'  la  materia  dei tributi erariali non risultava
attribuita  alla  Regione  (Corte  cost. n. 124/1957 cit.). Identiche
conclusioni,  sempre  con  riferimento  alla  Regione siciliana, sono
state  ribadite  con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come la
competenza  esclusiva  «e'  strettamente  limitata alle materie quali
sono elencate negli Statuti speciali restando escluso che, rispetto a
queste,  possano  valere  criteri  finalistici  che  non risultino da
valutazioni  del  tutto  obiettive  del  loro contenuto» (Corte cost.
n. 66/1964).  Ed  inoltre  che  non  sarebbe  possibile  una  esegesi
dell'ambito  delle  varie  materie «non suffragata dalla formulazione
letterale  della  disposizione statutaria» (Corte cost. n. 115/1972).
La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze
statali  e  quelle  regionali  «che  e'  necessario  tener ferma onde
salvaguardare  l'interesse  all'unita' dell'ordinamento» (Corte cost.
n. 46/1962)  ha  portato  ad  escludere  sia una competenza normativa
regionale  in  ambiti  connessi  alle materie attribuite (Corte cost.
n. 46/1962   cit.),   sia   una  esegesi  finalistica  delle  materie
attribuite  poiche'  «se  cosi'  non  fosse la competenza legislativa
delle  Regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento
giuridico  ...  e,  per converso, tutta la potesta' legislativa dello
Stato  sarebbe  limitata  dalla  potesta'  della  Regione di regolare
qualunque  rapporto  giuridico  nel  campo delle attivita' attribuite
alla   competenza  regionale,  in  modo  diverso  dalla  legislazione
statale» (Corte cost. n. 66/1961).
    Il  quadro  e' mutato con il nuovo Titolo V, ma la giurisprudenza
costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'.
    Nelle  sue prime pronuncie sull'argomento la Corte costituzionale
infatti, da un lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo
dei  rapporti  tra  Stato  e  nel quale «sono apparsi particolarmente
rilevanti  l'articolo  114, che pone sullo stesso piano lo Stato e le
regioni,  come  entita'  costitutive  della  Repubblica,  accanto  ai
comuni,  alle  citta'  metropolitane e alle province; l'articolo 117,
che  ribalta il criterio prima accolto, elencando specificatamente le
competenze  legislative dello Stato e fissando una clausola residuale
in  favore  delle  regioni; e infine l'articolo 127, che configura il
ricorso  del Governo contro le leggi regionali come successivo, e non
piu'  preventivo».  Peraltro,  pur nel mutato assetto la Corte non ha
mancato  di  sottolineare  come,  «nel  nuovo  assetto costituzionale
scaturito  dalla  riforma,  allo  Stato  sia  pur  sempre  riservata,
nell'ordinamento  generale  della Repubblica, una posizione peculiare
desumibile   non   solo  dalla  proclamazione  di  principio  di  cui
all'articolo 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione
di  un'istanza  unitaria,  manifestata dal richiamo al rispetto della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le
potesta'  legislative  (articolo 117 primo comma e dal riconoscimento
dell'esigenza   di   tutelare   l'unita'   giuridica   ed   economica
dell'ordinamento stesso (articolo 120, secondo comma). E tale istanza
postula  necessariamente  che  nel  sistema  esista  un soggetto - lo
Stato,  avente  il  compito  di assicurarne il pieno soddisfacimento»
(Corte cost. n. 274/2003).
    Come  si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal
nuovo  articolo  117  della  Costituzione  le regioni (anche quelle a
statuto  speciale) hanno goduto di un significativo ampliamento della
loro  sfera  di competenza legislativa che, ai sensi del quarto comma
dell'attuale  articolo  117,  e'  divenuta  generale in via residuale
invertendosi  l'originario  criterio. Si discute quindi sul carattere
esclusivo  generale  di  tale competenza, e cioe' ci si chiede se una
materia  non  riconducibile  al  secondo  e terzo comma dell'art. 117
rientri,  percio' solo, nella competenza generale residuale (v. Corte
cost.  n. 370/2003).  Ci  si chiede poi se i limiti a tale competenza
siano  soltanto quelli generali di cui all'articolo 117, primo comma,
o  se  ve  ne  siano anche degli altri. Inoltre, con riferimento alle
Regioni  a  statuto  speciale,  ci  si  interroga  se  la  precedente
competenza legislativa primaria sia transitata o meno nella residuale
generale  dell'articolo  117,  quarto  comma,  e  se  ad essa debbano
applicarsi  i  vecchi limiti presenti negli statuti speciali ovvero i
nuovi ricavabili dall'art. 117, primo conma, e non solo da questo.
    In  riferimento  alle  problematiche  dianzi  rilevate  e  di non
agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento
alla  questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo,
se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali
derivante  dalla  attribuzione  di competenza generale residuale, non
debba  contrapporsi,  anche  per  le  Regioni  a statuto speciale, la
riserva  di  legislazione  esclusiva  a favore dello Stato cosi' come
elencata all'articolo 117, secondo comma.
    Al  riguardo,  la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si
afferma  che  il nuovo Titolo V non si applica alle Regioni a statuto
speciale,  se  non  nelle parti che prevedono forme di autonomie piu'
ampie  rispetto  a  quelle  gia'  attribuite  (v.  Corte  cost.  ord.
n. 377/2002  decisioni  nn.  408/2002,  533/2002, 48/2003, 103/2003).
Tuttavia,  in  un'altra decisione, concernente la Regione Sardegna, e
in  materia  di caccia in cui tale Regione gode di potesta' normativa
primaria,   le   argomentazioni   della  Corte  appaiono  molto  piu'
articolate  in  quanto  si  e' affermato (con riferimento espresso al
nuovo  Titolo  V)  che  «la  disciplina  statale  rivolta alla tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  puo'  incidere anche sulla materia
caccia   pur  riservata  alla  potesta'  legislativa  regionale,  ove
l'intervento  statale  sia  rivolto  a  garantire  standard  minimi e
uniformi  di  tutela della fauna trattandosi di limiti unificanti che
rispondono   ad  esigenze  riconducibili  ad  ambiti  riservati  alla
competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002).
    Sembrerebbe quindi che la Corte costituzionale abbia riconosciuto
che  nel  nuovo  assetto  delle competenze legislative, delineato dal
nuovo  Titolo  V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si
impongono  anche alle competenze legislative primarie delle Regioni a
statuto  speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di
poter  fissare  a  quelle  autonomie  regionali  nuovi  limiti  prima
inesistenti.  Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia
nei  confronti  (come  era  ovvio)  delle Regioni a statuto ordinario
(decisione n. 227/2003) sia nei confronti della provincia autonoma di
Trento   dotata  di  competenza  esclusiva  in  materia  e  cio'  con
riferimento  ai  preesistenti  limiti  statutari  all'esercizio della
competenza anzidetta (decisione n. 226/2003).
    In  altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il
concetto    che   le   esigenze   di   unitarieta'   ed   uniformita'
dell'ordinamento  (v.  anche  dec.  n. 274/2003  cit.)  insiste nella
elencazione  delle  competenze  esclusive  statali e specie in quelle
trasversali   (e  cioe'  definibili  finalisticamente  piu'  che  per
l'oggetto,  quali  la  tutela  dell'ambiente,  della concorrenza, del
risparmio,  la  determinazione  dei livelli essenziali v. Corte cost.
nn. 282/2002,  407/2002,  88/2003,  303/2003, 376/2003, 14/2004) sono
talmente  rilevanti  da  condizionare  ex  novo anche la operativita'
della clausola di maggior favore.
    Se  cio'  e'  esatto,  anche  qualora lo statuto siciliano avesse
attribuito  espressamente  alla  competenza primaria della Regione la
organizzazione,  in  ambito regionale, della giustizia civile, penale
ed   amministrativa  di  ultima  istanza  (il  che  non  risulta  ne'
implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipotetico
caso,  la  maggiore  autonomia  statutaria  spettante  in  base  alla
clausola  di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che
non  potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola
Regione  siciliana,  aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex
articolo   117,   secondo   comma,   lettera   l),   debbono  restare
necessariamente  unitari  per  l'ordinamento generale della giustizia
(composizione  dei  Collegi,  stato  giuridico dei magistrati laici e
togati  etc.).  Quanto  poi  al  carattere  finalistico della materia
«giurisdizione»   e'   sufficiente   osservare  come  questa  attenga
direttamente,  ex  articolo 24 Cost., «alla tutela dei propri diritti
ed interessi legittimi» e quindi non sembrerebbe dubitabile che anche
essa  appartenga  alla  stessa categoria trasversale e finalistica al
pari  della tutela del risparmio, della concorrenza, dell'ambiente ed
altresi'  (forse  anche  nel  suo  contenuto)  a  quella  dei livelli
essenziali  di  prestazioni,  come  sembrerebbe  gia' adombrato nella
citata decisione Corte cost. n. 150/1993.
    Potrebbe   invece   consolidarsi   una   diversa   esegesi  nella
applicazione  dell'articolo  10 della legge costituzionale n. 3/2001,
nel  senso cioe' che le materie riservate in via esclusiva allo Stato
dal  nuovo  articolo  117,  secondo  comma, non possono costituire od
introdurre  nuovi  limiti  ai piu' ampi poteri normativi primari che,
nelle  stesse  materie,  sono previsti negli statuti speciali, e, che
debbono,  semmai,  soltanto applicarsi i vecchi limiti statutari alla
normativa  primaria.  Tuttavia,  anche in questo caso, permarrebbe la
rilevanza  dei  dubbi di costituzionalita' dianzi enunciati e la loro
non  manifesta  infondatezza.  Invero, la Corte costituzionale, nella
decisione n. 48/2003 da un lato ha affermato che l'applicazione della
clausola  di  maggior  favore  (condotta sulla base di un valutazione
comparativa)  esclude  ovviamente le competenze normative statali, ma
ha  riconfermato  nella  specie,  per quanto qui interessa, il limite
statutario  della  armonia  con  la  Costituzione  e  con  i principi
dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica. Lo statuto siciliano,
pur  anteriore  alla  Costituzione,  prevede similmente (articolo 14,
primo  comma)  che la competenza legislativa primaria si esercita nei
limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si e' mai dubitato
quindi  che  la  competenza  primaria della Regione siciliana dovesse
osservare  i  principi  della  Costituzione (Corte cost. nn. 66/1964,
115/1972)  cosi'  come  anche  i principi fondamentali delle leggi di
riforma   economico-sociale   (Corte   cost.  nn.  545/1989,  4/2000,
314/2003). In questo caso i limiti alla possibilita' di legiferare in
tema    di   giurisdizione   sarebbero   rappresentati,   oltre   che
dall'articolo  14,  primo  comma  dello statuto da quelli ricavabili,
come  sottolinea  la  Corte  costituzionale  (dec.  n. 274/2003 cit.)
dall'articolo  5,  dall'articolo 117, primo comma, dall'articolo 120,
secondo comma, della Costituzione.
    In   conclusione,  quindi,  i  principi  unitari,  unificanti  ed
infrazionabili   ricavabili   dalla  Costituzione,  tra  i  quali  va
annoverata  la  uniformita'  della  disciplina della giurisdizione in
ogni  suo  aspetto  su  tutto  il  territorio nazionale, si impongono
comunque  alle  Regioni a statuto speciale in assenza di una espressa
deroga  statutaria  e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche
limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale
prevalenza,  che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si
applica  sia  con  riferimento ai limiti alla normativa primaria gia'
presenti  negli  statuti,  sia  ai  nuovi, e cio' sia con riferimento
all'assetto  antecedente  la  riforma  del  Titolo  V,  sia  a quello
successivo.  In proposito la Corte costituzionale ha affermato che il
potere  di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla Regione
Sardegna  come alle altre Regioni a statuto speciale od ordinario non
spetta,  restando  invece  riservato  alla competenza del legislatore
statale  (cfr.  sentenza  115  del  1972;  e  v. oggi l'articolo 117,
secondo  comma,  lettera  l) della Costituzione come sostituito dalla
legge costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost. n. 29/2003).
    Pertanto,  sia  la  riserva  di legge statale di cui all'articolo
117,  secondo  comma,  lettera l) della Costituzione, sia il disposto
dell'articolo  14,  primo comma dello statuto siciliano nonche' degli
articoli 5, 117, primo comma e 120, secondo comma della Costituzione,
inducono  tutti  a  ritenere  che  i  vizi  di  costituzionalita'  in
precedenza    denunciati   si   dovrebbero   ritenere   ulteriormente
confermati.  Al  limite,  qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi
esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente
assetto  costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente
riconosciuti con riferimento al nuovo.
    Pertanto,  il  combinato  disposto  degli  articoli  5, 102 primo
comma,  108,  primo  comma,  117, primo e secondo comma, lettera l) e
120,  secondo  comma  della Costituzione dovrebbe ormai dimostrare in
modo  inconfutabile  che  le  norme  di  attuazione  di cui al d.lgs.
n. 373/2003  sembrano  affette da incostituzionalita' anche alla luce
della riforma del Titolo V. In altri termini, l'articolo 117, secondo
comma rafforza, se ce ne fosse bisogno, la necessita' di attenersi ad
una  esegesi  strettamente  letterale  dell'articolo 23 dello statuto
siciliano.  Invero,  nel  silenzio totale dello statuto in materia di
organizzazione  giudiziaria  (oltre  all'articolo  23,  v.  anche gli
articoli  14 e 17) si osserva, innanzitutto, che non puo' scattare la
clausola  di  maggior favore non essendo tale materia attribuita alla
competenza  regionale,  e,  in secondo luogo, che comunque, qualsiasi
iniziativa normativa che dovesse essere assunta in proposito, vuoi in
sede di commissione paritetica vuoi autonomamente dallo Stato o dalla
regione,  dovrebbe  in ogni caso tener conto dell'articolo 117, primo
comma,  secondo cui la Costituzione (e quindi la competenza esclusiva
statale   da  esercitare  nella  materia  de  qua  con  caratteri  di
uniformita)  costituisce un limite insuperabile a qualsiasi categoria
di normazione regionale sia essa primaria che concorrente e sia anche
in  sede  si  norme  di attuazione che restano pur sempre subordinate
alla  Costituzione  e quindi anche alle esigenze unitarie canonizzate
negli articoli 5 e 120, secondo comma.
    16.  - Pertanto in relazione alle questioni elencate sub A), A1),
A2), A3), puo' essere posta anche la seguente:
        A4)   in   subordine   qualora   si   potesse   ritenere   la
costituzionalita'  dell'articolo  4,  primo  comma,  lettera d) e del
successivo  secondo  comma, nonche' dell'articolo 6 secondo comma del
d.lgs. n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'articolo 4, comma
1,  lettera  d)»  in relazione alle questioni sollevate ai precedenti
punti  sub  A1),  A2),  A3),  si  ripropongono le stesse questioni in
rapporto  anche al disposto dell'articolo 117, secondo comma, lettera
l)  della  Costituzione,  dell'articolo 14, primo comma dello statuto
siciliano,   dell'articolo   5,   dell'articolo  117  primo  comma  e
dell'articolo 120, secondo comma della Costituzione.
    In  conclusione,  quindi, tutte le questioni di cui ai precedenti
punti   sub   A   appaiono  rilevanti,  in  quanto,  la  legittimita'
costituzionale  della  composizione  del Collegio costituisce, di per
se',  un  presupposto per l'adozione di qualsivoglia decisione (v. da
ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Peraltro,  come  in  precedenza  osservato,  mentre  e' possibile
adottare  una  esegesi  costituzionalmente  corretta  sulla  base del
tenore   letterale   dell'articolo  23,  primo  comma  dello  statuto
siciliano,  la  tassativita'  delle  disposizioni  di  cui  sopra non
consente  di adottare, in subiecta materia una esegesi costituzionale
corretta  ne'  sussiste  un  diritto giurisprudenziale vivente che la
supporti (v. da ultimo Corte cost. ord. 30 gennaio 2003, n. 19).
    Questa   presidenza   peraltro  ritiene  che  il  vigente  regime
transitorio  ed  anche la futura possibilita' di diversa composizione
del Collegio per effetto di eventuali nuove nomine di laici regionali
ex  articolo  4, 6, 7 e 15 del d.lgs. n. 373/2003 non influisca sulla
rilevabilita' e rilevanza delle questioni sin qui prospettate.
    Innanzitutto  va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003
e'  entrato in vigore il 29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14
dello stesso decreto da tale data sono abrogati il d.lgs. n. 654/1948
e  il  d.P.R. n. 204/1948 per cui, nessuna efficacia puo' piu' essere
riconosciuta alla anzidetta normativa.
    Per  quanto  invece  concerne  le  nomine effettuate sotto il suo
vigore  va  tuttavia  considerato  che, con espresso riferimento alle
nomine  precedenti,  la  norma  transitoria di cui all'art. 15, primo
comma  del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  ai  laici componenti della
Sezione  giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del
sessennio   a   decorrere   dal   rispettivo  giuramento,  (sia  pure
subordinatamente  ad  una  dichiarazione  di  insussistenza ovvero di
intervenuta  cessazione  delle  cause  di incompatibilita), mentre il
successivo  secondo  comma  consente  ai  medesimi  la  permanenza in
servizio  per  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore del decreto
legislativo,  ancorche'  versino  in situazioni di incompatibilita' o
comunque gia' scaduti.
    Pertanto,  il  regime transitorio di cui al primo e secondo comma
dell'articolo  15  del  d.lgs. n. 373/2003 consente l'esercizio della
giurisdizione  di  questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che
per  i  membri  laici  componenti  di  questo  C.G.A.  e, quindi, del
Collegio cui dovrebbe essere rimessa la controversia il sessennio non
e'  ancora scaduto [(v. allegati B), B1), C), C1) e D) D1)] e neppure
e'  scaduto il termine di sessanta giorni dalla entrata in vigore del
predetto decreto legislativo (29 gennaio 2004).
    Conseguentemente,  le  anzidette  questioni  di costituzionalita'
possono  essere  sollevate  anche nei confronti del primo, cosi' come
del  secondo comma del citato articolo 15 ovviamente, in parte qua, e
cioe'  con  esclusivo  riferimento  ai  membri  laici  della  Sezione
giurisdizionale.
    Peraltro  va  anche  sottolineato  che si tratta di questioni che
riguardano  direttamente,  e  a  regime,  il  modo  di  essere  e  di
funzionare di questo Consiglio.
    Esse  invero  prescindono  nel  modo  piu'  completo  dalla varia
posizione  che  possano  rivestire gli attuali membri laici di questo
Consiglio  in  relazione  al regime transitorio e cioe' se proseguano
nell'incarico  ovvero  se  vengano  sostituiti  da  altri. Invero, le
questioni   prospettate   in   precedenza  concerne  la  legittimita'
costituzionale  in  apicibus  di  una  composizione  mista  di questo
Consiglio,  questioni  nei  confronti  della  quale  e' irrilevante e
ininfluente  la  eventualita'  di  nuove,  norme  di  membri laici in
sostituzione o in aggiunta agli attuali.
    Inoltre,   e'   opportuno   richiamare  il  pacifico  e  costante
insegnamento  della  Corte  costituzionale  in  tema di autonomia del
processo  costituzionale  secondo  cui  «il requisito della rilevanza
riguarda   solo   il   momento   genetico   in   cui   il  dubbio  di
costituzionalita'  viene  sollevato e non anche il periodo successivo
alla  remissione  della  questione  alla Corte costituzionale» (v. da
ultimo Corte cost. ord. n. 110/2000).
    Nella  medesima  ottica  e'  stato  chiarito  che «la vicenda del
processo  incidentale  di legittimita' costituzionale non puo' essere
influenzata  da  circostanze  di  fatto sopravvenute nel procedimento
principale:  e  cio'  in  quanto, svolgendosi il processo incidentale
nell'interesse  pubblico, e non in quello privato, una volta che esso
si  sia  validamente  instaurato  a  norma  dell'articolo  23,  legge
11 marzo  1953, n. 87, acquisisce una autonomia che lo pone al riparo
dall'ulteriore atteggiarsi della fattispecie, financo nel caso in cui
per  qualsiasi  causa,  fosse  venuto  a  cessare il giudizio rimasto
sospeso  (articolo  22  delle Norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale)» (Corte cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002,
e v. anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986).
    Quanto  poi  alla ammissibilita' delle questioni anzidette questa
presidenza   si   richiama  parimenti  all'insegnamento  della  Corte
costituzionale  (Corte  cost.  nn.  177/1973, 25/1976 e 266/1988). La
Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declaratoria di
incostituzionalita'  della  composizione  del  Collegio  non puo' far
venir  meno,  ex  ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione
(Corte  cost.  n. 177/1973)  poiche', in tal caso, siffatte questioni
non potrebbero mai venire sollevate (Corte cost. n. 266/1988).
    Questa   presidenza   non  puo'  non  rilevare  infine  anche  la
singolarita'  della  circostanza  occorsa  in  sede di emanazione del
decreto  legislativo  n. 373/2003 in esame, la cui norma di copertura
finanziaria  e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente
nell'articolo  6  del  24  dicembre  2003,  n. 354  la cui entrata in
vigore,  ai  sensi del successivo articolo 9, e' stata fissata per il
1° gennaio 2004.
    Dalla  relazione  tecnica  allegata,  ex  articolo  11-ter, legge
n. 468/1978,  al  d.l.  n. 354/2003  (v.  allegato E), risulta che il
maggior   onere   complessivo   a   carico   dello   Stato,  pari  ad
Euro 697.500,00,  veniva  ripartito  in  Euro  279.000 per compensi e
indennita'  per  un  presidente di sezione e due consiglieri di Stato
fuori  ruolo ed in Euro 418.500 per la meta' a carico dello Stato del
compenso   iniziale   di  consigliere  di  Stato  spettante  ai  nove
componenti laici.
    In proposito, questa presidenza osserva che la norma di cui sopra
non  incide  sulla  rilevabilita'  e  rilevanza  delle  questioni  di
costituzionalita'   dianzi   adombrate,   in  quanto  ne  rappresenta
semplicemente  i  conseguenziali  sviluppi  sul  piano  della finanza
statale,  ma  condiziona  tuttavia la operativita' delle disposizioni
della  cui  costituzionalita'  si  dubita.  Di  qui  la necessita' di
denunciarne  la  incostituzionalita'  sia  pure  in via derivata e in
parte qua.
    Al  riguardo  va premessa la possibilita' di dedurre questioni di
costituzionalita'  anche nei confronti dei d.l. non ancora convertiti
e  cio'  sia per difetto dei presupposti di cui all'articolo 76 della
Costituzione  (il  che  non viene qui in discussione) sia per il loro
contenuto di merito (Corte cost. nn. 29/1995, 330/1996, 84/1996).
    Va  altresi'  premesso  che la mancata definitiva conversione del
decreto-legge   comporta   la   improcedibilita'   del   giudizio  di
costituzionalita'   instaurato  sul  decreto-legge  medesimo,  mentre
invece  la  sua  conversione  (o  anche la reiterazione con la stessa
disciplina  sostanziale)  consentono  alla  Corte  costituzionale  di
pronunciarsi (Corte cost. nn. 84/1996, 360/1996 cit.).
    Va infine ricordato che, ex articolo 27 della legge n. 87/1953 e'
possibile una declaratoria di incostituzionalita' derivata.
    Pertanto  dalle  censure  rubricate  sub  A),  A1), A2), A3), A4)
dovrebbe   derivatamente   discendere  la  incostituzionalita'  anche
dell'articolo  6  del  d.l.  n. 354/2003  peraltro limitatamente alla
parte  in cui assicura la copertura finanziaria dello Stato in misura
pari  alla meta' dello stipendio iniziale di consigliere di Stato per
quattro componenti togati e quindi per Euro 186.000.
    Da  ultimo,  in relazione ai possibili effetti delle pronuncie di
incostituzionalita'   va   rammentato   che   «l'eventuale  vuoto  di
disciplina che verrebbe a prodursi in conseguenza della dichiarazione
d'illegittimita'   costituzionale ...   (vuoto   di   disciplina  che
spetterebbe  in  ogni caso al legislatore colmare)» non puo' incidere
sulla  ammissibilita'  delle  questioni  di  costinuzionalita' (Corte
cost. n. 266/1988 cit.).
    A    tale   proposito   va   conclusivamente   sottolineato   che
dall'eventuale    accoglimento   di   taluna   delle   questioni   di
costituzionalita'  dianzi  esposte  non discenderebbe la eliminazione
della  presenza  in Sicilia del giudice amministrativo di appello ma,
come  gia'  sottolineato  nella  ordinanza  n. 185/2003, solamente la
sostituzione  della sezione giurisdizionale del C.G.A. a composizione
mista  con  una  sezione  giurisdizionale  del  Consiglio  di Stato a
composizione ordinaria.
    Ritenuto  pertanto  che  la  pronuncia  cautelare provvisoria non
possa  essere  esaurita  con  la  rimessione  della causa al Collegio
prescindendo   dalla   risoluzione   delle   anzidette  questioni  di
costituzionalita'.
    Ritenuto  inoltre  che  il  giudice  monocratico  puo'  sollevare
questioni  di  costituzionalita' in via incidentale con riferimento a
disposizioni  che lo stesso giudice deve applicare per la adozione di
provvedimenti di sua competenza (Corte cost. n. 111/1998).