ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 497, comma 2,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro,  con  ordinanza del 12 dicembre 2002, iscritta al n. 167
del  registro  ordinanze  2003  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 14, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con ordinanza del 12 dicembre 2002 il Tribunale di
Venezia,   sezione   distaccata  di  Portogruaro,  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione,  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 497,  comma 2,  del codice di
procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede il divieto di
esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituita parte
civile,  con la conseguenza di sottoporla, nonostante sia interessata
all'esito  del giudizio, all'obbligo di dire la verita' e di prestare
«giuramento»,  cosi'  consentendo,  «di  fatto,  che  la  prova della
colpevolezza   dell'imputato   si   basi   esclusivamente   o   quasi
esclusivamente sulle sue dichiarazioni»;
        che  il  Tribunale  -  premesso  che  la  questione  e' stata
prospettata  dalla  difesa degli imputati - ritiene che la disciplina
censurata  determini  una situazione processuale di squilibrio tra le
parti, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.;
        che  in  particolare  il  rimettente  rileva, in relazione al
valore  da  attribuire  alla deposizione della persona offesa, che la
giurisprudenza  di  legittimita'  per  un verso ha affermato che tale
testimonianza deve essere valutata «con ogni opportuna cautela» e che
puo'  «essere  assunta,  come  fonte  di  prova,  unicamente se venga
sottoposta  a [un] riscontro di credibilita' oggettiva e soggettiva»,
«sorretto   da  adeguata  e  coerente  giustificazione»;  dall'altro,
seguendo   un  indirizzo  «meno  rigoroso»,  ha  ritenuto  che  «puo'
attribuirsi  piena  efficacia  probatoria  alla  testimonianza  della
persona  offesa  dal  reato  qualora  ne  sia  accertata l'intrinseca
coerenza  logica,  anche  quando  essa  costituisca  l'unica  prova e
manchino elementi esterni di riscontro»;
        che,   «nella   pratica»,  la  «stragrande  maggioranza»  dei
procedimenti   penali  che  hanno  origine  da  una  denuncia-querela
presentata  dalla  parte  lesa  si  fonderebbe  soltanto «sulla prova
fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre
costituitosi   parte  civile»,  ovvero  sulle  deposizioni  dei  suoi
prossimi  congiunti  per  i  quali  neppure e' previsto il divieto di
testimoniare  o  la  facolta'  di  astenersi  dal deporre «come per i
prossimi congiunti dell'imputato»;
        che  percio',  ove  il  giudice  applicasse  i principi sulla
valutazione   della   testimonianza  della  persona  offesa  dapprima
menzionati,  il  processo penale quasi sempre «si dovrebbe concludere
con l'assoluzione dell'imputato»; di contro, se il giudice basasse la
sua  motivazione  di  condanna esclusivamente sugli elementi di prova
forniti  dalla  persona  offesa,  «ne  verrebbe (e di fatto ne viene)
fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti»;
        che, in definitiva, il rimettente, pur dando atto che analoga
questione,  sollevata in relazione all'art. 197, comma 1, lettera c),
cod.  proc.  pen.,  e'  stata  dichiarata manifestamente infondata da
questa   Corte  con  ordinanza  n. 115  del  1992,  vorrebbe  che  la
deposizione  della  persona  offesa  fosse  assunta con modalita' che
consentano  di  attribuirle  lo  stesso  valore  delle  dichiarazioni
dell'imputato;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  osservando  che  la  questione  e' nella sostanza uguale alle
altre gia' piu' volte esaminate e dichiarate infondate dalla Corte;
        che,  d'altra  parte,  dalla  stessa  ordinanza di rimessione
emerge come non vi sia affatto bisogno di introdurre nell'ordinamento
una  preclusione  alla  testimonianza della parte civile, dal momento
che  la  giurisprudenza  ha  oramai  individuato canoni e criteri per
scongiurare  l'evenienza  di  un'acritica acquisizione al processo di
dichiarazioni la cui obiettivita' non sia accertata.
    Considerato  che  il rimettente solleva questione di legittimita'
costituzionale   dell'art. 497,  comma 2,  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in  cui  non pone il divieto di esaminare come
testimone  la  persona  offesa  dal  reato  costituita parte civile e
consente cosi' che la prova della colpevolezza dell'imputato si fondi
esclusivamente  su  tale  deposizione,  determinando  una  situazione
processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e
24 della Costituzione;
        che  la medesima questione, sollevata dallo stesso rimettente
sulla   base   di   identiche  argomentazioni,  e'  stata  dichiarata
manifestamente infondata con ordinanza n. 82 del 2004;
        che  in  tale  ordinanza  questa  Corte ha gia' avuto modo di
rilevare come, malgrado il rimettente formalmente censuri l'art. 497,
comma 2,  cod. proc. pen., la questione e' posta negli stessi termini
di  quelle,  dichiarate  manifestamente  infondate  con  le ordinanze
n. 115  del  1992 e n. 374 del 1994, e infondate con le sentenze n. 2
del  1973 e n. 190 del 1971, che hanno avuto ad oggetto gli artt. 197
e  208  cod.  proc.  pen., ovvero l'analoga disciplina del codice del
1930;
        che,  non  avendo  questa  Corte  motivo di discostarsi dalle
ragioni  poste  a  base delle pronunce sopra menzionate, la questione
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.