IL TRIBUNALE Rilevato che il presente procedimento nei confronti di Lombardi Anna, Prandini Diego e Barzoi Giuseppe e' stato fissato ex art. 409 comma 5 c.p.p. non apparendo accoglibile la richiesta di archiviazione avanzata dal p.m., risultando in atti elementi sufficienti a pronosticare una condanna in giudizio per i reati di cui agli artt. 44 d.P.R. n. 380/01 (20 legge 47/1985) e 163 d.P.R. n. 490/1999 connessi all'esecuzione di opere edilizie in zona vincolata in assenza dei prescritti provvedimenti autorizzatori, atteso che quanto realizzato non appare ricomprensibile nella nozione di opere eseguite in difformita' parziale, comportando sagome e volumi diversi da quelli assentiti, peraltro realizzati in zona sottoposta a vincolo (cfr. artt. 10 lettera c e 22 comma 1, 2 e 3 d.P.R. n. 380/2001), ne' in quella di opere pertinenziali, sia per la esecuzione in zona sottoposta a vincolo (con conseguente ravvisabilita' del menzionato reato di cui all'art. 163, d.P.R. n. 490/1999 e inapplicabilita' della esenzione da provvedimento concessorio prevista dall'art. 7 comma 2 della legge n. 94/1982), sia per la loro spiccata autonomia fisica rispetto alla pretesa opera principale; Rilevato infatti che la procedura di sanatoria seguita dall'indagato ai sensi dell'art. 13 legge 47/1985 (ora art. 36 d.P.R. n. 380/2001) non appare idonea a conseguire l'estinzione dei reati per cui e' procedimento, atteso che: 1) il reato edilizio in senso stretto, per l'esecuzione di opere edilizie in assenza o in totale difformita' dal titolo abilitativo, non appare sanato non risultando definiti ne' pagati gli oneri concessori di cui all'art. 13 comma 3 legge n. 47/1985 (art. 36 d.P.R. 380/2001), al cui versamento la norma riconnette l'effetto estintivo del reato; 2) nel fatto denunziato e' ravvisabile anche la violazione dell'art. 163 del d.P.R. n. 490/1999, non estinta dalla concessione in sanatoria rilasciata ai sensi degli artt. 36 e 45 d.P.R. n. 380/2001 artt. 13 e 22 legge n. 47/1985); Osservato che il procedimento andrebbe tuttavia sospeso nella sua interezza per effetto del richiamo ai capi IV e V della legge n. 47/1985 (ove trova collocazione l'art. 44, che prescrive la sospensione dei procedimenti giurisdizionali, ivi compresi quelli penali, sino alla scadenza del termine - fissato al 31 marzo 2004 dall'art. 32 comma 32 decreto-legge n. 269/2003 - fissato per la presentazione della «domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio») operato dall'art. 32 comma 25 del d.l. n. 269/2003, ora convertito nella legge n. 326/2003, trattandosi di opere suscettibili di «condono» ai sensi dei commi 1, 26 e 27 del predetto art. 32, considerandosi come il comma 28 del citato art. 32 dispone che trovino applicazione anche le norme di cui all'art. 39 della legge n. 724/1994, il cui comma 8 espressamente stabiliva che il rilascio della concessione in sanatoria (se preceduta dalle prescritte autorizzazioni delle pp.aa. preposte alla tutela del vincolo), produceva l'estinzione del reato relativo alla violazione del vincolo; Osservato che dette norme tuttavia appaiono di dubbia costituzionalita', ponendosi in contrasto con l'art. 79 della Costituzione, consistendo di una vera e propria amnistia condizionata «mascherata» da atipico provvedimento legislativo estintivo dell'azione penale; Ritenuto che la legge citata si ponga altresi' in contrasto con le norme in tema di autonomie locali (in particolare con gli artt. 118 comma 2 e 120 Cost.) nella parte in cui consentono - in forza di una disciplina gia' compiutamente realizzata e nel cui ambito la riserva «fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio» appare una mera formula di stile priva di qualsiasi effettivo contenuto - il rilascio di titolo abilitativo edilizio in sanatoria anche nei casi relativi ad «opere realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (cfr. punto 1 dell'allegato 1 alla legge, richiamato dall'art. 32 comma 26 della stessa, a definizione delle opere suscettibili di sanatoria); Osservato infatti che l'adozione degli strumenti urbanistici ed il rilascio dei titoli abilitativi all'esecuzione di opere edilizie rientrino nelle prerogative amministrative tipicamente assegnate dalla legge ai comuni e la cui titolarita' e' conseguentemente assoggettata a tutela costituzionale ai sensi del richiamato art. 118 comma 2 Cost., che, nel definire come «proprie» le funzioni amministrative dei comuni conformi alle loro competenze, e nel subordinare (art. 120 Cost.) l'esercizio di poteri sostitutivi dello Stato a casi eccezionali tipicamente predeterminati con riferimento ad esigenze (mancato rispetto di norme e trattati internazionali, tutela dell'unita' giuridica o economica dello Stato, con riferimento al livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non ravvisabili nel caso in oggetto in cui dette esigenze sono invece identificabili in esigenze di politica finanziaria contingente), chiaramente esclude la legittimita' di interventi esterni atti ad incidere su dette competenze; Osservato, quanto al contrasto con l'art. 79 comma 1 della Costituzione, che detta norma affida la potesta' di emanare amnistie solo a legge approvata con la maggioranza qualificata di 2/3 dei membri di ciascuna Camera, atteso che la previsione di un procedimento estintivo di tutti i reati gia' commessi entro una data prefissata in violazione di specifiche norme di legge, e subordinata al pagamento di somme ed altri comportamenti del reo, altro non e' che un' amnistia condizionata come disciplinata dall'art. 151 comma 4 c.p., a prescindere dal nomen iuris («condono», «sanatoria» et simila prescelto dal legislatore e che non puo' valere a mascherare l'effettiva natura del provvedimento emanato, pena la frustrazione delle garanzie e dei vincoli posti dalla costituzione in relazione all'oggetto, allo scopo ed alla funzione dei provvedimenti, in forza dei quali la legge fondamentale dello Stato opera una ripartizione di competenze tra i poteri dello Stato e, nell'ambito delle attribuzioni dello stesso potere, puo' determinare procedure e limiti per l'esercizio dello stesso; Rilevato che analoghe questioni di incostituzionalita', sollevate in relazione a precedenti leggi di «condono», furono ritenute non fondate dalla Corte costituzionale in forza di argomentazioni che appaiono meritevoli di riconsiderazione, almeno in relazione al caso in oggetto, atteso che: a) e' proprio dell'amnistia c.d. «condizionata» vedere l'effetto estintivo del reato promanare non gia' in via diretta ed immediata dal provvedimento di clemenza, ma dall'adempimento da parte dell'interessato di obblighi specificati dal provvedimento di clemenza, oltre che dal verificarsi di condizioni eventualmente esterne alla volonta' dello stesso: sicche' la circostanza che l'effetto estintivo previsto dal richiamato d.l. 269/2003 consegua ad una complessa fattispecie (presentazione di apposita domanda corredata di documentazione varia; versamento di una somma di danaro commisurata generalmente all'entita' dell'opera; non e' invece necessario il rilascio del provvedimento amministrativo di concessione in sanatoria, atteso che ex art. 39 legge 47/1985 - richiamata dal d.l. perche' compreso nel capo IV della legge 47/1985 - l'effetto estintivo del reato consegue al mero pagamento della somma dovuta a titolo di «oblazione»), peraltro tutta consistente di obblighi il cui adempimento e' rimesso alla volonta' dell'imputato, appare attagliarsi perfettamente alla figura dell'amnistia condizionata, sicche' non convincono, ed appaiono superate dall'effetto dell'abuso dell'istituto in meno di un decennio, le diverse argomentazioni proprie di C. Cost. nn. 369/1988 e 427/1995, che comunque sembravano poggiare sul rilievo dell' eccezionalita' dell'istituto; b) in ogni caso, quand'anche volesse ritenersi, reiterando l'insegnamento di cui alle due pronunzie della Corte costituzionale citate da ultimo, che la complessita' della fattispecie estintiva delineata dalla procedura di condono edilizio mal si attagli alla figura dell'amnistia condizionata, non puo' non dubitarsi fortemente della legittimita' costituzionale di provvedimenti legislativi aventi effetti estintivi del reato ma diversi dall'amnistia, atteso che quello di emanare quest'ultima e' l'unico potere che la Carta costituzionale assegni al Parlamento come strumento ed espressione di un potere assolutamente eccezionale di paralisi dell'azione penale, che l'art. 112 Cost. vuole obbligatoria e, secondo il comune insegnamento della dottrina costituzionale, irretrattabile. b-bis) invero, anche l'esegesi storica della Carta costituzionale conduce allo stesso risultato interpretativo: nell'impianto originario, il potere di emanare amnistia era assegnato al Presidente della Repubblica, sia pure su legge di delega del Parlamento: legge, tuttavia, che costituiva in capo al Presidente della Repubblica un potere, e non gia' un obbligo (di emanare l'amnistia); potere, a sua volta, che era assegnato al Capo dello Stato perche', nella sua veste di garante super partes delle istituzioni e della Costituzione, valutasse l'opportunita' di emanare un provvedimento di amnistia, che la Costituzione non voleva assegnato all'arbitrio delle contingenti maggioranze politiche, stante l'ovvio ed evidente pericolo di abusi della maggioranza e della realizzazione di privilegi di esenzione dall'obbligatorieta' dell'azione penale, in violazione di tale principio, istituito a garantire l'effettivita' del principio di eguaglianza dei cittadini anche nel processo penale. Nell'impianto successivo alla modifica apportata dalla legge costituzionale n. 1/1992, all'emanazione dell'amnistia e' necessaria una legge votata con maggioranza altamente qualificata, al fine precipuo di realizzare quella stessa garanzia la cui tutela era prima affidata al Presidente della repubblica, atteso che - sottratto il relativo potere a quest'ultimo (anche al fine di accentuarne la deresponsabilizzazione politica) - solo il concorso di maggioranze altamente qualificate, statisticamente di lunga eccedenti quelli propri delle maggioranze di governo, poteva garantire da quel pericolo di abusi cui gia' si e accennato. b-ter) ne consegue che, come premesso, le leggi di «condono», in cui l'effetto estintivo della responsabilita' penale per fatti gia' commessi e' collegata all'adempimento di condizioni od obblighi da parte dell'imputato, sia o meno detto adempimento sottoposto a controlli da parte di organi amministrativi, se non costituiscono provvedimenti di amnistia condizionata «mascherata», senz'altro si pongono oltre i limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione al Parlamento, e sono pertanto illegittimi costituzionalmente. Concludendo, a prescindersi dal nomen iuris attribuibile all'istituto del condono edilizio, lo stesso appare comunque costituzionalmente illegittimo: se e un amnistia, e' in concreto incostituzionale perche' deliberato senza la maggioranza qualificata imposta dall'art. 79, comma 1, Cost.; se non e' un provvedimento di amnistia mascherata, e' incostituzionale perche' la Costituzione appare aver volutamente ed scientemente previsto solo l'amnistia - in forza del suo particolare procedimento deliberativo, prima rimesso ad un potere del capo dello Stato pur se su delega del Parlamento, poi ad una maggioranza altamente qualificata - come unico strumento per paralizzare per via normativa l'esercizio dell'azione penale. c) non appare infatti invocabile l'istituto della oblazione, dalla quale sia l'amnistia che il provvedimento di condono edilizio, al di la' dei «nomina iuris» scelti dal legislatore, profondamente si differenziano, atteso che l'oblazione e' un mezzo di estinzione del reato previsto dal legislatore in via generale ed astratta per tutti i reati, passati e futuri, rientranti in una determinata tipologia, e ricollegato al pagamento di una somma che, essendo una quota del massimo della pena pecuniaria prevista per tali reati (tant'e' che non e' prevista oblazione per i reati per i quali la pena da irrogarsi abbia natura detentiva) assolve nel concreto alle finalita' proprie della condanna a pena pecuniaria. Rileva pertanto che, invece, sia l'amnistia (condizionata o meno) che il condono edilizio sono rivolti solo a reati gia' commessi prima dell'emanazione del provvedimento estintivo, essendo peraltro il c.d. «condono» connesso al pagamento di somme che non costituiscono quota parte della pena prevista per i reati «condonabili» (ordinariamente, ed in particolare nel caso in oggetto, puniti con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, sicche', anche per tal via, il suddetto «condono» si presta ad assurgere a lesione del principio di' eguaglianza tra i cittadini (tra quelli che hanno rispettato la legge e quelli che non l'hanno rispettata, e tra quelli che sono stati condannati con pena di legge e quelli che, magari per la maggior capacita' di rendere difficoltoso l'accertamento della loro responsabilita', ancora non sono stati condannati a pena di legge, e mai lo saranno grazie proprio al «condono»): principio di eguaglianza peraltro che la stessa legge di amnistia rispetta - in quel che appare essere l'insegnamento della Corte costituzionale - ove ancorata ad eventi e situazioni eccezionali, mentre l'attuale legge di condono sembra essere ancorata solo ad una eccezionale difficolta' (probabilmente politica, piu' che oggettiva, di reperire altrimenti fonti finanziarie sufficienti a coprire le spese dello Stato; Ritenuto tuttavia che le caratteristiche di eccezionalita' risultino superate nel caso in oggetto, e quindi sia non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale della legge appena richiamata, con riferimento alla gia' accennata violazione degli artt. 118 comma 2 e 120 Cost., alla luce tra l'altro delle ulteriori censure sollevate da altre autorita' giudiziarie, quali ad es. Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, sez. di Parma - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27 - il quale ha osservato, con argomentazioni che qui si riportano pressocche' integralmente e peraltro in buona parte comuni al ricorso sollevato in data 25 ottobre 2003 dalla regione Campania contro lo Stato in riferimento alla medesima legge condividendosene il contenuto, che: «e' stato emanato il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 in Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003, suppl. ord. n. 157/L) recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, il quale fra l'altro, all'art. 32, formula una complessa normativa «per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali». Tale articolo dispone, per quanto qui interessa: 1) al primo, secondo e terzo comma il rilascio del titolo abilitativo edilizi o in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente, nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita' al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio (sostanzialmente peraltro tale autonomia viene contenuta negli angusti termini nel rispetto delle condizioni, dei limiti e delle modalita' del rilascio del titolo abilitativo sanante); 2) dal quattordicesimo al ventitreesimo comma la sanabilita', con alcuni limiti, oneri e autorizzazioni, delle opere abusive costruite nelle aree demaniali o patrimoniali dello Stato, anche se soggette a vincoli; 3) la proroga temporale delle disposizioni in materia di sanatoria contenute nei capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, proroga che consente la sanatoria delle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 entro taluni limiti quantitativi, soggettivi, tipologici e attinenti da ultimo alle aree vincolate sui quali esse insistono, con decorrenza dei termini previsti dalle disposizioni prorogate a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto legge; con applicazione per quanto compatibile della legge n. 47 del 1985 e dell'art. 39 della legge n. 724 del 1924; con salvezza dei diritti dei terzi.... Omissis. Orbene, appare rilevante notare, per quanto riguarda la presente controversia, che: a) .... Omissis; b) nelle more del procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei termini fissati dall'art. 35 della legge n. 47/1985 (come sopra rilevato, richiamati e prorogati a far tempo dalla data in vigore del decreto legge, unitamente a tutte le disposizioni che li contengono, da quest'ultimo decreto) dovrebbe operare la sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio e del presente procedimento giurisdizionale, ex art. 44 della legge n. 47/1985. Premesso, quindi, che la predetta normativa e' senza dubbio applicabile al caso qui in esame, ritiene il collegio che vi siano fondati dubbi per sostenerne la sua non conformita' ai principi costituzionali. Vero e' che, come osservato dalla Corte costituzionale (v. soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996**), le norme sul condono prendono atto di una situazione di illegalita' di massa che si intende ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilanci o che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nell'alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l'autodenuncia) dell'efficacia di estinzione dell'illiceita'; ma le stesse sentenze sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalita' e di chiusura di un'epoca, perche' in caso contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per cosi dire premiale dell'abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione. Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalita' dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz'altro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilita' delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi. In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la riapertura dei termini del condono, nei limiti dell'eccezionalita' sopra evidenziata, non sembrava con fliggere con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, non ha legittimato l'equazione fra carenza di controllo e nuova necessita' di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalita' qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto e' ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto - del tutto insufficiente, anche per la scarsita' delle risorse stanziate - di misure di riqualificazione del territorio. Ne' sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che fra l'altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli enti locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori. In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perche' la gestione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunita'. Un'eccezione non puo' quindi risolversi in un principio. Inoltre, rilevante e' la considerazione - come sopra accennato - che il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch'essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall'altro sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall'illegalita' edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado. La normativa censurata non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale). Infatti, come e' stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un'eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell'art. 32 il decreto-legge n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve. Al riguardo ... omissis ... le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il «rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalita' del rilascio del titolo abilitativo sanante» non puo' che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell'espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento. Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Ne' puo' fondatamente affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell'ordinamento giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie. Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli enti locali. Osservato conclusivamente che la questione, oltre che non manifestamente infondata per le ragioni sopra esposte, e' altresi' di assoluto rilievo, atteso che, in forza delle norme della cui costituzionalita' si dubita, questo giudice sarebbe costretto a sospendere l'esercizio dei suoi poteri e doveri giurisdizionali, tra l'altro con documento del principio della obbligatorita' dell'azione penale (il cui esercizio e la cui vigenza verrebbero ad essere indebitamente sospese, a nulla rilevando, come ovvio in virtu' dei poteri impositivi riconosciuti in merito al giudice dall'art. 409 comma 5 c.p.p., che il p.m. abbia di fatto abdicato a tale suo potere con la richiesta di archiviazione) nonche' di quello della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma secondo, Cost.