IL GIUDICE DI PACE Sciogliendo la riserva che precede in merito alla eccezione di incostituzionalita' dell'art. 25 d.lgs. n. 274/2000 per violazione dell'art. 112 della Costituzione sollevata dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza dott. Lucio Setola, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 102003 R.G. e 531/2003 R.N.R. instaurato a carico di Lo Giurato Giuseppina - difesa dall'avv. Giuseppe Malta - a seguito del ricorso immediato proposto ai sensi dell'art. 21 d.lgs. n. 274/2000 da Lapenta Francesca - costituitasi parte civile con l'avv. Orlando Rossi - per il reato di cui all'art. 594 c.p. F a t t o Con atto in data 11 luglio 2003 il pubblico ministero, ritenendo che l'attuale sistema del ricorso immediato, cosi' come disciplinato dagli artt. 21-27 d.lgs. 274/2000, mostra profili di incostituzionalita' non manifestamente infondati per contrasto con l'art. 112 Cost. in quanto nei procedimenti per ricorso immediato il processo penale puo' essere svolto anche senza che l'azione penale sia stata esercitata dal p.m., richiedeva fissarsi udienza in camera di consiglio per la trattazione della questione cosi' come prospettata in dettaglio nella relativa memoria da cui vengono tratte le argomentazioni che seguono. Alla udienza del 16 settembre 2003 hanno presenziato il p.m. dott. Lucio Setola e del difensore di p.c. avv. Orlando Rossi argomentando in contraddittorio. D i r i t t o La questione e' certamente rilevante in quanto la norma di cui si contesta la legittimita' dovrebbe trovare necessaria applicazione al caso in questione. A seguito della presentazione del ricorso immediato, ai sensi del citato art. 25 «entro dieci giorni dalla comunicazione del ricorso pubblico ministero presenta le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace». Il comma secondo specifica che «se ritiene il ricorso inammissibile o manifestamente infondato ovvero presentato dinanzi a un giudice incompetente per territorio, il p.m. esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso». Il p.m. pertanto, e' - di fatto - obbligato ad esercitare l'azione penale (rectius: a formulare il capo di imputazione) a semplice «richiesta» del ricorrente non avendo altre alternative se non formulare l'imputazione ovvero segnalare l'inammissibilita' del ricorso ex art. 24 del d.lgs. n. 274/2000. Ebbene, l'art. 112 della Costituzione sancisce l'obbligo per il p.m. di «esercitare l'azione penale» nel senso che l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale ad opera del p.m. e' stata costituzionalmente affermata come elemento che concorre da un lato a garantire l'indipendenza del p.m. nell'esercizio della propria funzione, e, dall'altro, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale; sicche' l'azione e' attribuita a tale organo senza consentirgli alcun margine di discrezionalita' nell'adempimento di tale doveroso ufficio (cfr. Corte cost. n. 84/1979). La Corte costituzionale ha, peraltro, precisato che il ruolo del p.m. non e' quello di mero accusatore ma pur sempre di organo di giustizia obbligato a ricercare tutti gli elementi di prova rilevanti per una giusta decisione, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato (cfr. direttiva n. 37 e, su di essa, la relazione ministeriale alla Camera dei deputati e quella della Commissione II all'Assemblea del senato). E la stessa Corte ribadisce che la conseguenza che deriva dall'applicazione di tale principio e' che l'azione penale obbligatoria non significa affatto consequenzialita' automatica tra notizia di reato e processo ne' dovere del p.m. di iniziare il processo penale per qualsiasi notizia criminis. Limite implicito a tale obbligatorieta', quindi, e' che all'esito delle indagini preliminari, l'obbligo di esercitare l'azione penale sorge solo se sia stata verificata la mancanza dei presupposti che rendono doverosa l'archiviazione. La previsione dell'art. 25, al contrario, impone al p.m. di esercitare l'azione penale tutte le volte in cui, sulla base delle sole indicazioni presenti nel ricorso immediato, il ricorso stesso non possa essere ritenuto «inammissibile o manifestamente infondato ovvero presentato dinanzi a un giudice di pace incompetente per territorio». Il dovere di completezza delle indagini risulta, cosi', assolutamente disatteso in quanto l'esercizio dell'azione penale dipendera' dal mero rispetto di alcuni elementi formali presenti nel ricorso: se questo contiene gli elementi richiesti (e, pertanto, e' ammissibile e presentato davanti ad un giudice competente), il p.m. deve sempre e comunque esercitare l'azione penale. Il pubblico ministero risulta conseguentemente privato di ogni possibilita' di valutazione dei fatti e delle circostanze, ma soprattutto della possibilita' di verificarne la fondatezza oltre alla sola verifica formale dei requisiti di cui all'art. 24 d.lgs. 274/2000 e sulla base di una descrizione unilaterale dei fatti (peraltro proveniente da una parte «interessata») tale da non renderli «manifestamente infondati». Tali circostanze determinano una situazione che appare effettivamente in netto contrasto con l'art. 112 della Costituzione poiche' e' del tutto evidente che al pubblico ministero viene di fatto sottratto l'effettivo esercizio dell'azione penale laddove l'art. 25 d.lgs. 274/2000 si limita ad attribuirgli il ruolo di formalizzare un'azione penale che ha nel ricorrente l'unico dominus e che si fonda sulla mera rappresentazione di un fatto «non manifestamente infondato».