IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Errafia Mustapha, cittadino marocchino, in Italia da diversi anni
tanto  che  il  12  maggio  2003  gli  e'  stata  rilasciata carta di
soggiorno  per  stranieri  a tempo indeterminato, documenta, mediante
produzione  delle  buste  paga  della  Cooperativa Gaia a r.l. via R.
Sanzio  Campi  Bisenzio nonche' mediante CUD AGN 97 S.r.l. di aver in
corso  un  rapporto  di lavoro a tempo indeterminato con qualifica di
operaio.   Egli  pertanto  ha  disponibilita'  di  un  reddito  annuo
superiore  al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale (dal Cud
si desume che il reddito per il quale e' previsto TFR ammonta ad Euro
12161  annui).  Egli  documenta inoltre, mediante produzione di copia
dell'atto,  di  aver stipulato un contratto quadriennale di locazione
con Saggese Maddalena avente ad oggetto un appartamento di tre stanze
sito  in  Prato,  via Senio 165, di durata quadriennale, ove risiede.
Documenta  ancora  essere  i  genitori  indigenti  (v. certificati di
indigenza  redatti  in  lingua francese ed aventi data 3 luglio 2003)
nonche', mediante richieste Banco Posta Money Gram, la circostanza di
aver  loro inviato denaro: Euro 300 il 10 maggio 2003; Euro 300 il 27
maggio 2003, Euro 250 il 14 luglio 2003.
    In  data  24 febbraio 2003 Errafia avvia con richiesta presentata
alla  Questura  di  Prato  procedura per ottenere il ricongiungimento
familiare  con  i  genitori,  il  padre  Errafia Abderrahman (nato il
1° gennaio  1938  e  quindi ultrasessantacinquenne) e la madre Donyan
Moulada  nata  il  1° marzo  1940  entrambi  attualmente residenti in
Marocco.  La  Questura di Prato, verificata la presenza dei requisiti
di  legge, in data 12 marzo 2003 rilascia il richiesto nulla osta, ma
il  12  giugno  2003  il  consolato  italiano a Casablanca rigetta la
domanda  di  visto  per entrambi comunicando, in lingua francese: «Je
vous  informe  que  votre demande de Visa a ete' rejetee vu quelle ne
remplit pas le conditions requises par la loi». Con lo stesso atto il
consolato,  sempre  in  francese,  informa  gli  interessati del loro
diritto di presentare, attraverso un avvocato italiano, ricorso entro
sessanta  giorni dalla notifica al Tribunale amministrativo regionale
del Lazio.
    Contro  questo  diniego  il  21 luglio 2003 ha proposto ricorso a
questo tribunale Errafia Mustapha chiedendo dichiararsi l'inefficacia
dei   provvedimenti   di   diniego  dei  visto  d'ingresso  ai  sensi
dell'art. 29   d.lgs.   n. 286/1998  emessi  dal  Consolato  generale
d'Italia  a  Casablanca  e  di  ordinare alle competenti autorita' di
provvedere al rilascio di detta documentazione.
    Il  ricorrente adduce la inefficacia dei provvedimenti sotto piu'
profili:  1)  essi sono redatti in lingua francese mentre gli anziani
genitori  di Errafia, privi di istruzione parlano solo l'arabo, tanto
che  essi avrebbero sottoscritto la notifica «in lingua che non e' il
francese». Inoltre il francese, pur diffuso in Marocco, non e' lingua
ufficiale  di  quello  Stato.  Cio'  contrasterebbe  con  il disposto
dell'art. 13,  comma 7,  del  t.u.  n. 286/1998;  2) contrariamente a
quanto   indicato  dal  Consolato,  l'art. 30,  comma 6,  del  d.lgs.
n. 286/1998   prevede   che  contro  i  provvedimenti  dell'autorita'
amministrativa   in   materia   di   diritto   all'unita'   familiare
l'interessato  possa  presentare  ricorso  al tribunale del luogo ove
egli  risiede  nei  modi  di  cui  all'art. 737  e  ss.  c.p.c.; 3) i
provvedimenti  in questione sono completamente carenti di motivazione
contrariamente a quanto disposto dall'art. 4 comma 2 del citato testo
unico   che   dispone   l'obbligo   di  motivazione  per  determinati
provvedimenti  di  diniego  di  visto di ingresso tra i quali vi sono
anche le domande di visto per ricongiungimento familiare. Non si puo'
infatti ritenere una motivazione l'apodittica affermazione di carenza
dei requisiti previsti dalla legge, mentre rientrando i provvedimenti
in  questione  nel  campo  di applicazione della legge n. 241/1990 la
motivazione   deve   essere   «idonea  a  valutare  ed  eventualmente
contestare  i  presupposti  sulla base dei quali l'amministrazione ha
assunto le proprie decisioni».
    Questo  tribunale  ha provveduto a convocare le parti comunicando
il ricorso al Consolato generale di Italia a Casablanca e per esso al
Ministero  degli  affari  esteri  mediante fax. All'udienza in camera
consiglio si e' presentato il solo ricorrente. In questa sede egli ha
precisato  di  avere  altri fratelli, due dei quali vivono con lui in
Italia  ed  hanno  regolari  permessi di soggiorno, un terzo fratello
vive  in  Marocco come le due sorelle. I fratelli in Marocco peraltro
non  sarebbero  in grado di mantenere i genitori: Ahmed ha un modesto
reddito,  vive  in  una  citta'  lontana  dal  luogo di residenza dei
genitori  ed  ha quattro figli tutti studenti. Delle tre sorelle, due
risiedono con i genitori, ma di fatto convivono e comunque non godono
di  redditi  propri essendo casalinghe. La terza vive in Spagna. Egli
ha  inoltre documentato l'invio di ulteriori somme di denaro da parte
propria  e  del  fratello  Abderrahman,  denari  che  sarebbero stati
richiesti dalla madre per delle visite agli occhi.
    Il tribunale e' competente ai sensi dell'art. 30, comma 6, d.lgs.
(v.  sul  punto cass. sez. 1 civile ord. 5004 del 1° aprile 2003 ric.
Kola).
    Ritiene  il  tribunale  infondati gli argomenti dei ricorrenti in
merito  alla  nullita'  dei  provvedimenti  di diniego per essere gli
stessi  redatti  in  lingua  francese.  I  certificati  di  indigenza
presentati  dal  ricorrente  sono redatti in francese e cio' dimostra
che  il  francese e' lingua conosciuta dal ricorrente medesimo. Anche
l'argomento  relativo  alla  erronea  indicazione  circa  l'autorita'
competente   alla   quale   ricorrere   non  pare  possa  determinare
inefficacia dell'atto nel momento in cui comunque il ricorso dimostra
essere l'interessato edotto dei mezzi di impugnazione.
    E' invece fondato il motivo relativo alla mancanza di motivazione
del  diniego,  essendo la motivazione addotta tautologica e certo non
idonea  a consentire una eventuale falsificazione dei presupposti sui
quali  l'amministrazione  ha  assunto  le  proprie  decisioni. E' poi
pacifico  proprio  in base all'art. 4, comma 2, del t.u. n. 286/1998,
correttamente  richiamato  dal  ricorrente,  l'obbligo di motivazione
delle  amministrazioni  competenti  in  materia  di visti di ingresso
relativi a ricongiungimenti familiari.
    Rileva   peraltro   l'ufficio   che   il  ricorrente  non  chiede
semplicemente dichiarazione di nullita' dei provvvedimenti impugnati,
ma chiede che il giudice, come espressamente consentito dall'art. 30,
comma 6,  d.lgs.  25  luglio  1998  n. 286,  disponga il rilascio del
visto. All'accoglimento di questa richiesta osta tuttavia il disposto
dell'art. 29   d.lgs.   n. 286/1998   come   modificato  dalla  legge
n. 189/2002.   Detta  disposizione  (v.  art. 29,  comma 1,  lett. c)
consente  infatti allo straniero, in possesso dei requisiti di cui al
comma  3  dello stesso articolo, di chiedere il ricongiungimento solo
per  «genitori  a carico qualora non abbiano altri figli nel paese di
origine  o  di  provenienza  ovvero  genitori  ultrasessantacinquenni
qualora  gli  altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento
per gravi motivi di salute».
    La  norma  richiamata,  alla  luce di quanto esposto dallo stesso
Errafia e' pertanto certamente rilevante ai fini del decidere.
    Si  dubita,  peraltro,  della  legittimita'  costituzionale della
limitazione  dell'ambito  dell'istituto  del ricongiungimento imposta
dalla norma in questione perche' essa appare in contrasto:
        A)  con  gli  art.  2  e  29 della Costituzione la' dove essa
impedisce  ad  Errafia  Mustapha  di  esercitare  il  suo inviolabile
diritto  ad  una vita familiare impedendo allo stesso di vivere con i
propri  genitori,  malgrado  egli  sia  desideroso  di adempiere agli
obblighi  di  solidarieta'  familiare  nei confronti di padre e madre
anziani  ed  indigenti.  E'  certo infatti che detto diritto e' dalla
Costituzione   riconosciuto   non   solo   ai  cittadini  italiani  e
comunitari, ma anche agli extracomunitari. Lo afferma solennemente lo
stesso  art.  2 richiamato e la Corte costituzionale ha ripetutamente
affermato   la  piena  equiparazione  degli  stranieri  ai  cittadini
italiani  in  tema  di  godimento  di  diritti fondamentali (v. sent.
n. 376/2000 Corte costituzionale ove la Corte esplicitamente afferma,
sia  pure  in  relazione  agli  obblighi  che i genitori assumono nei
confronti  dei  figli minori, che gli art. 29 e 30 della Costituzione
impongono il riconoscimento della piu' ampia protezione e tutela alla
famiglia e che «tale assistenza e protezione non puo' non prescindere
dalla   condizione   di  cittadini  o  di  stranieri,  dei  genitori,
trattandosi di diritti umani fondamentali, cui puo' derogarsi solo in
presenza  di  specifiche  e motivate esigenze volte alla tutela delle
stesse  regole  della  convivenza democratica). Si rileva ancora come
appaia  del tutto irrilevante sotto l'aspetto del diritto del singolo
a godere della vita familiare la presenza o meno nel paese di origine
di  altri  figli  dei genitori. Sotto detto profilo appare sussistere
anche  una  ingiustificata  disparita' di trattamento tra richiedenti
che abbiano fratelli e quelli senza fratelli;
        B)  con  il  diritto al rispetto della vita familiare di ogni
persona.  Tale  diritto  e' espressamente affermato dall'art. 8 della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta'  fondamentali  ratificata  dall'Italia con la legge 4 agosto
1955  n. 848. La norma richiamata ha forza privilegiata rispetto alla
normativa ordinaria in virtu' dell'art. 10 Costituzione che impone al
legislatore  di regolare «la condizione giuridica dello straniero ...
in  conformita'  delle norme e dei trattati internazionali» (v. Cass.
Sez.  1  sent.  n. 801  del  13 gennaio 2003 imp. Bontempi, nonche' i
richiami  alla  Convenzione  europea  per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  ed  anche alla Carta dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  proclamata  a Nizza il 7
dicembre  2000  contenuti  nelle sent. n. 445/2002; sent. n. 376/2000
della  Corte  costituzionale).  Detto  diritto  puo' essere compresso
dall'autorita'  pubblica solo qualora l'ingerenza «costituisca misura
che,  in  una  societa'  democratica,  e' necessaria per la sicurezza
nazionale,  per la sicurezza pubblica, per il benessere economico dei
paese,  per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per
la  protezione  della  salute  o della morale o per la protezione dei
diritti  e  delle  liberta'  degli  altri».  E' evidente come l'unico
profilo  tra  quelli  enunciati  dalla  norma  che potrebbe addursi a
sostegno  della  limitazione  introdotta  dalla  legge n. 189/2002 al
ricongiungimento  familiare  nei  confronti  di genitori indigenti di
cittadino  straniero  potrebbe  essere  quello  relativo al benessere
economico  del  paese  posto  che  l'art. 30, comma 2, prevede che il
permesso  di  soggiorno  per  motivi familiari consente, tra l'altro,
l'accesso ai servizi assistenziali. E' tuttavia palese da un lato che
allo  stato  non  risulta  avere i genitori di Errafia necessita' dei
servizi  pubblici  assistenziali  essendo  in  grado il ricorrente di
mantenerli,  dall'altro  che  detto  accesso  consegue  ai contributi
pagati da Errafia come da qualsiasi altro lavoratore.
    Si  ritiene  pertanto  dover  d'ufficio  sollevare  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 29,  comma 1, lett. c) d.lgs.
n. 286/1998 come modificato dalla legge 30 luglio 2002 n. 189.