IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza, Sul ricorso 2307/2003 proposto da Pulimeno Lucia, rappresentata e difesa da Leuzzi Riccardo, con domicilio eletto in Lecce, via del Mare 7/A, presso Monticchio Luciano; Contro comune di Nardo', per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, dell'ordinanza del dirigente del Settore urbanistica ed ambiente del comune di Nardo' prot. 25874 reg. ord. n. 165 del 25 giugno 2003; nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale; E sul ricorso 2306/2003 proposto da Pulimeno Roberto, rappresentato e difeso da Leuzzi Riccardo, con domicilio eletto in Lecce, via del Mare 7/A, presso Monticchio Luciano; Contro comune di Nardo', Per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, dell'ordinanza del dirigente del settore urbanistica ed ambiente del comune di Nardo', prot. n. 25874, reg. ord. n. 165 del 25 giugno 2003; Nonche' di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dai ricorrenti. Udito il relatore ref. Massimiliano Balloriani; Considerato in fatto e diritto quanto segue. F a t t o Questo tribunale amministrativo, con le ordinanze n. 1173 e n. 1174 del 17 dicembre 2003, si e' pronunziato in via cautelare su entrambi i ricorsi, con i quali sono stati impugnati due distinti provvedimenti di demolizione riferiti a parti diverse del medesimo immobile abusivo. L'accoglimento delle istanze cautelari si e' basato sulle seguenti considerazioni, tutte contenute nelle relative motivazioni. L'immobile risulta essere stato realizzato senza concessione edilizia, con inizio dei lavori a far data dal 1982, secondo l'accertamento operato dal comune. La costruzione ricade nella fascia dei trecento metri dal demanio marittimo, che, in virtu' dell'art. 51, lett. f), della legge regionale della Puglia n. 56/1980 risulta sottoposta a vincolo di inedificabilita' assoluta, fino all'entrata in vigore dei piani territorali. Con delibera di g.r. n. 1478 del 15 dicembre 2000 della Regione Puglia e' stato approvato il PUTT regionale pubblicato sul BUR Puglia dell'11 gennaio 2001, il quale prevede come prima fase la perimetrazione su cartografia catastale dei territori costruiti ai sensi dell'art. 1.03 comma 5 disposizioni generali - titolo 1 - delle norme tecniche di attuazione del Piano Urbanistico Territoriale Tematico regionale, secondo cui le norme contenute nel piano non trovano applicazione all'interno dei «territori costruiti», tra i quali, in base al punto 5.3 dell'articolo in questione, rientrano le aree che, ancorche' non tipizzate come zone omogenee B dagli strumenti urbanistici vigenti, vengano riconosciute come regolarmente edificate e vengano perimetrate su cartografia catastale con specifica deliberazione del consiglio comunale. All'art. 5.02 delle predette norme tecniche di attuazione, al punto 5.02, e' stabilito che l'autorizzazione paesaggistica non va richiesta per i beni inclusi nelle categorie di cui al titolo II del decreto legislativo n. 490/1999 e sottoposti a tutela dal piano, ricadenti nei «territori costruiti» di cui all'art. 1.03. Pertanto, come si evince anche dalla relazione generale allegata alla perimetrazione su base catastale redatta da un tecnico incaricato dal comune ed approvata, in attuazione delle citate norme del PUTT, con delibera del commissariale del Comune di Nardo' n. 292/2002, la definizione di tali perimetrazioni comporta la non assoggettabilita' degli interventi a preventiva autorizzazione paesaggistica. Ad un primo esame della predetta perimetrazione, gli immobili abusivi ricadono nell'ambito dei «territori costruiti». Il decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, all'art. 32, comma 25 ha previsto che le disposizioni di cui ai capi IV eV della legge n. 47/1985 e s.m.i. si applicano alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003. A una sommaria valutazione, non puo' escludersi che i ricorrenti, come da essi prospettato, possano beneficiare di tali disposizioni, tenuto conto che il disposto dell'art. 33 della legge n. 47/1985 deve essere interpretato nel senso che la concessione in sanatoria e' preclusa nel caso in cui il vincolo d'inedificabilita' assoluta non solo e' preesistente alla costruzione, ma, ovviamente, permane anche al momento della richiesta di condono. L'art. 44 del capo IV della legge n. 47/1985 prevede la sospensione automatica ex lege dei procedimenti ammministrativi e giurisdizionali, rigurdanti gli immobili abusivi, fino alla scadenza dei termini di presentazione della domanda in sanatoria (31 marzo 2004), e tale sospensione non si applica agli incidenti cautelari innanzi al giudice amministrativo. Quindi la sezione ha ritenuto che, nei casi in esame, per le considerazioni che precedono, debba essere dichiarato che i provvedimenti di demolizioni impugnati sono sospesi ex lege e pertanto ha deciso di accogliere le istanze cautelari fino alla decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, che viene rimessa con la presente ordinanza. Diritto Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. Come evincibile dalla premessa in fatto, la soluzione di entrambe le citate controversie all'esame del giudice rimettente e' determinata dall'applicazione dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, i cui commi 25 e 28, rinviando all'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ed ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 - nei quali e' compreso anche l'art. 44, che dispone la sospensione dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali e della loro esecuzione e che la sospensione non si applica ai procedimenti cautelari avanti agli organi di giurisdizione amministrativa - riaprono i termini per un nuovo condono edilizio. Pertanto la questione di legittimita' costituzionale di tali norme si pone come una vera e propria questione pregiudiziale, un antecedente logico-giuridico necessario per la decisione della causa, ed e' pertanto palesemente rilevante nei giudizi in esame. 1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione. (Poiche' l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, non escludendo che del condono possano benficiare anche coloro i quali sono gia' sottoposti a procedimento sanzionatorio per l'accertato abuso, si manifesta irragionevole per sproporzione rispetto allo scopo perseguito). Nella sentenza della Consulta n. 369 del 1988 (sulla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 31, 34, 35, 38, 39, 43 e 44 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) il condono edilizio viene qualificato come un'ipotesi di causa d'improcedibilita' sopravvenuta, distinta, come misura di clemenza, dall'amnistia, poiche' l'effetto dell'estinzione del reato prevede la «mediazione fattuale» consistente in una pluralita' di atti e comportamenti, quali la domanda di sanatoria, il versamento della prima rata, la procedura di sanatoria, sino al pagamento integrale dell'oblazione. Sulla base di tali presupposti, la Corte ha ritenuto che la legge di condono non dovesse rispettare la particolare procedura prevista dall'art. 79 della Costituzione (che attualmente prevede la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera) per le leggi che concedono l'indulto o l'amnistia (sentenza n. 427 del 1995). Il condono edilizio, secondo la Consulta, rientra comunque, in generale, nell'ambito dei modi di esercizio del potere di clemenza ed, in particolare, nei casi di uso della punibilita', considerata distinta ed autonoma dal reato, per orientare il comporatamento del reo verso fini diversi da quelli relativi alla difesa del bene tutelato dalla norma incriminatrice (sentenza n. 369 del 1988). Quindi, secondo la Corte, da cio' discende che la ragionevolezza di tale uso della punibilita', e la conseguente compatibilita' con l'art. 3 della Costituzione, deve essere valutata in funzione del rapporto tra i diversi fini cui essa viene diretta e la tutela del bene-interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice, rapporto dal quale deve risultare un bilanciamento non irrazionale. Cosi, puo' essere razionale cancellare il carico ingombrante dell'abusivismo perpetrato nel passato, sanando le precedenti irregolarita' oramai realizzate, per intensificare e potenziare il controllo nel futuro, stimolando, al contempo, l'autodenunzia degli abusi, ed ottenendo cosi agevolmente il risultato utile di una completa conoscenza dell'assetto edilizio del territorio. Proprio sotto tale profilo, pero', si rileva una prima palese irragionevolezza dell'art. 32 del decreto legge n.269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, laddove, come nel caso dei ricorsi in esame, permette di beneficiare del condono edilizio anche a chi e' gia' sottoposto al procedimento sanzionatorio, e cioe' anche in quei casi in cui nessun vantaggio puo' essere ottenuto in termini di «autodenunzia» degli abusi e di aggiornamento catastale e tributario in genere. Venendo meno il vantaggio dell'«autodenunzia», inoltre, l'ulteriore vantaggio, derivante dall'eventuale differenza tra l'importo delle somme da versare per beneficiare della sanatoria e le sanzioni concretamente irrogabili a chi e' gia' conivolto nel procedimento sanzionatorio, non potrebbe comunque essere determinante in merito alla scelta di introdurre il condono, altrimenti esso sarebbe funzionalizzato ad obbiettivi meramenti finanziari, che, oltre a non essere affatto eccezionali, sono perseguibili in molti modi diversi e comunque piu' conformi all'ordinamento, ad es. attraverso un inasprimento delle sanzioni per gli abusi futuri, come quello che il legislatore ha introdotto nel comma 47 dell'art. 32 citato. Proprio tale ultimo inasprimento, a sua volta, per apparire razionale, presupporrebbe il riconoscimento di un alto rilievo costituzionale dei beni interessi tutelati, che alla fine pero' sono anche quelli che vengono sacrificati dalla sanatoria degli abusi, contenuta nella stessa legge che inasprisce le sanzioni. Quanto sopra, evidentemente, depone, sotto molteplici punti di vista, per la mancanza di un ragionevole bilanciamento tra i costi ed i benefici derivanti dal condono, nei casi di abusi gia' accertati. Inoltre, se tale irragionevolezza poteva essere gia' rilevata in occasione del condono edilizio di cui ai capi IV e V della legge n. 47/1985, essa si aggrava ulteriormente, come e' evidente alla luce delle considerazioni appena svolte, di pari passo con l'ulteriore aggravamento dello squilibrio nel rapporto tra costi e benefici del condono, aggravamento dovuto all'ulteriore svantaggio derivante dalla perdita delle aree abusive gia' acquisite dai comuni, resa possibile in seguito all'introduzione del comma 19 dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (secondo cui per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nei caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attivita' di pubblica utilita' entro la data del 10 dicembre 1994), al quale rinviano attualmente i commi 25 e 28 dell'art. 32 d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326. 2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione. (Perche', anche a prescindere dalle considerazioni fatte nel punto precedente, l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, laddove riapre i termini per un nuovo condono edilizio, appare comunque sporoorzionato ed inadeguato rispetto al fine). La Consulta, nel valutare la razionalita' della sanatoria edilizia, ha posto in evidenza anche la circostanza che spesso bisogna prendere realisticamente atto che si e' in presenza di una disapplicazione pressoche' assoluta delle norme che prevedono la demolizione delle opere abusive e che le amministrazioni locali, frequentemente, appaiono gestire in modo clientelare il fenomeno (cosi' nella sentenza n. 169 del 1994, in riferimento al disegno di legge allora approvato dall'Assemblea Regionale Siciliana ed avente ad oggetto «Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la destinazione delle costruzioni abusive esistenti», ma tali rilievi appaiono suscettibili di non azzardate generalizzazioni), e comunque della scarsa tempestivita' ed incisivita' delle azioni di controllo e repressione, specie prima dell'intera realizzazione di manufatti, motivo per cui deve parimenti escludersi che la riapertura dei termini del condono edilizio vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle amministrazioni (sentenza n. 416 del 1995, a proposito del condono reintrodotto dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994). Tali considerazioni pero' non possono estendersi anche all'art. 32 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, che, quindi, anche sotto tale profilo, si manifesta viziato da irragionevolezza, poiche' sproporzionato e comunque inadeguato rispetto al fine. Infatti, le considerazioni della Corte sono riferibili a provvedimenti unici ed eccezionali, di chiusura di un'epoca di illegalita', giustificati quindi anche dalla necessita' di evitare grosse disparita' fra il prima (caratterizzato da eccessivo permissivismo) ed il dopo (che si prospetta, almeno nelle intenzioni, intransigente verso gli abusi). Ma e' di tutta evidenza che tali valutazioni debbano ribaltarsi in ragione di una ciclicita' della riapertura dei termini di proposizione delle domande di condono. Guardando al passato, infatti, devono presumersi notevoli le perdite economiche derivanti dai procedimenti di accertamento gia' iniziati e giunti in fase avanzata o addirittura, come nei casi in decisione, arrivati alla fase dell'ordinanza di demolizione. Tali attivita' devono considerarsi, infatti, tutte, ancora una volta, inutilmente eseguite e quindi non compensate da alcuna acquisizione in termini di valore ambientale e paesaggistico, oltre che economico. Inoltre, nella comparazione (sempre nella logica della ragionevolezza, come bilanciamento fra interessi sacrificati e vantaggi perseguiti) dei valori in gioco, deve considerarsi anche l'effetto disincentivante dei controlli, ovvero la circostanza che la previsione del futuro esito vano dei procedimenti di vigilanza e repressione dell'abusivismo, per come si prospetta agli operatori ed agli enti locali in virtu' di tali interventi normativi ciclici, non certo contribuisce alla realizzazione dei dichiarati scopi di inasprimento della lotta all'abusivismo, anzi l'effetto si prospetta di segno contrario. A cio' si aggiungano inoltre gli oneri che le amministrazioni dovranno affrontare per la riqualificazione urbana e per l'adeguamento delle proprie scelte urbanistiche allo stato di fatto imposto dall'abusivismo. 3. - Violazione degli artt. 3, 27 comma terzo, e 97 comma primo della Costituzione. (Poiche' l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, introducendo per la terza volta un condono edilizio, sacrifica eccessivamente i beni protetti dalle norme incriminatrici in materia edilizia, i quali costituiscono risorse limitate, e pertanto non appare piu' ragionevole la valutazione sul bilanciamento fra interessi, fatta in occasione dei precedenti condoni, e cio' in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Poiche' l'art. 32 cit. svilisce l'efficacia preventiva delle norme sanzionatorie, in violazione dell'art. 27 comma terzo della Costituzione. Poiche' l'art. 32 cit. costituisce un esempio di diseducazione civile e si pone, nelle previsioni e negli effetti, al di fuori del quadro dei valori su cui e' costruito lo Stato di diritto, in violazione degli artt. 3 e 97 comma primo della Costituzione). Sempre in merito alla ragionevolezza del contemperamento dei valori in gioco, coinvolti dall'uso a diversi fini della punibilita', la Consulta, a proposito della legittimita' dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994, ha anche precisato che la riapertura dei termini per la presentazione delle domande non fa venir meno le condizioni di straordinarieta' del condono e quindi la sua ragionevolezza, poiche' l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione della norma impugnata nelle varie regioni induce a ritenere la persistenza dell'abusivismo, e, pertanto, la necessita' di un recupero della legalita' attraverso la regolamentazione dell'assetto del territorio, onde procedere ad un definitivo riordino della materia (sentenza n. 427 del 1995), tenuto pero' conto che la gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita' (sentenza n. 416 del 1995) e vanificazione delle norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perche' contrastanti con la tutela del territorio. Inoltre, sempre secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale, la normativa e' tanto piu' ragionevole quanto piu' da essa non emerga solo una sanatoria degli illeciti passati, ma, sempre nel contemperamento dei valori in gioco, dal complessivo quadro normativo emerga invece un serio intento di porre in atto una risistemazione della materia del governo del territorio idonea ad impedire il ripetersi del fenomeno dell'abusivismo edilizio attraverso la sua repressione (sentenza n. 427 del 1995). Anche alla luce di tale orientamento della Consulta, si manifesta pur sempre l'illegittimita' dell'art. 32 citato. Innanzitutto, il legislatore, riaprendo nuovamente i termini per il condono edilizio, ha realizzato proprio quella ciclicita' (novennale), che la Corte aveva gia' indicato come elemento di irragionevolezza di un ulteriore eventuale intervento. L'art. 32 del decreto-legge e' titolato «Misure per la riqualificazione urbanistica ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti e delle occupazioni di aree demaniali» ed in effetti, per il vero, il suo contenuto, prima facie, non ne tradisce il titolo, poiche' dal combinato disposto dei commi 50, 6, 9, 10, 11, 13 e 24, si evince che il nuovo condono e' in parte funzionalizzato al finanziamento dell'attivita' di repressione dell'abusivismo ed alla riqualificazione urbana e valorizzazione delle risorse ambientali e demaniali. I commi 47, 49-ter e 49-quater inaspriscono le sanzioni e rendono le demolizioni di immobili abusivi potenzialmente piu' effettive per il futuro. Quindi, anche questa volta, si potrebbe essere tentati di sostenere che la chiusura di un'epoca e' un passaggio necessario per rendere effettivo il cambiamento, caratterizzato da una migliore organizzazione ed un nuovo inasprimento delle sanzioni. Inoltre, i proventi del condono sono destinati in parte anche a finanziare proprio l'attivita' di vigilanza e repressione (commi 13 e 50) ed in cio' potrebbe trovarsi un ulteriore elemento di ragionevolezza dell'uso «strategico» della punibilita', perche' finalizzato proprio alla tutela futura dei beni-interessi tutelati dalle norme incriminatrici. Se non che tali previsioni sono neutralizzate alla base da effetti pratici dannosi ben piu' rilevanti di quelli positivi che si e' inteso raggiungere. Tali effetti dannosi derivano proprio dalla circostanza che e' la terza volta che, a puntuale scadenza, vengono nuovamente condonati gli abusi edilizi. E' evidente, infatti, che il bilanciamento dei vari interessi che la Corte aveva valutato ragionevole ora non puo' dare lo stesso risultato, poiche' i beni tutelati dalle norme incriminatrici vengono lesi per la terza volta, e quindi, complessivamente, con un risultato ben piu' grave, poiche' l'ambiente ed il territorio sono risorse limitate e gli effetti della loro compressione sono tendenzialmente irrevesibili. Il succedersi ciclico delle leggi incriminatrici e delle sanatorie, inoltre, produce un effetto svilente dell'efficacia preventiva delle sanzioni in materia edilizia, in aperta violazione dell'art. 27, comma terzo della Costituzione. Secondo l'insegnamento della Consulta, se da un lato e' vero che una politica di corretta gestione del territorio non puo' realizzarsi senza una contemporanea valutazione dei problemi di ordine pubblico che lo strumento della demolizione puo' comportare e, piu' in generale, delle tensioni presenti in aree dove il fenomeno dell'abusivismo e' pressoche' generalizzato (sentenza n. 169 del 1994), d'altro canto e' anche vero che una normativa consolidante situazioni di fatto costituitesi illegalmente e' di per se causa di ben piu' gravi e durature tensioni sociali, oltre che esempio di diseducazione civile, dimostrandosi ai cittadini rispettosi delle leggi che essi, anziche' tutelati, sono spogliati delle loro spettanze a favore di chi anche se spinto dall'impulso di saddisfare l'esigenza fondamentale dell'abitazione ha violato la legge (sentenza n. 16 del 1992). Ed il condono edilizio, nelle sue conseguenze pratiche, come ha insegnato il passato, e' foriero di danni proprio nei confronti di chi ha ripettato la legge, a vantaggio di chi l'ha violata. Spesso, ad esempio, i comuni hanno dovuto procedere ad espropriazioni in zone caratterizzate dall'abusivismo, per realizzare le opere di urbanizzazione a favore di chi aveva violato la legge, e cio' non puo' non essere ritenuto al di fuori del quadro dei valori su cui e' costruito lo Stato di diritto (Corte costituzionale n. 16 del 1992). In breve, una normativa che, per l'irragionevolezza che ne caratterizza il fine strategico (come visto il bilanciamento dei beni coinvolti, sotto le varie prospettive, porta sempre a risultati svantaggiosi per la collettivita), si manifesta in realta' utile solo a realizzare il consolidamento di privilegi ottenuti illegittimamente ed in violazione di norme sanzionatorie, appare in tutta evidenza come una normativa di diseducazione civile (sentenza n. 14 del 1999), e come tale non puo' essere compatibile con il sistema costituzionale, se non altro con gli art. 3 e 97 della Costituzione. Tale effetto di diseducazione civile, inolte, e' ancor piu' evidente proprio nelle sanatorie edilizie, dove, all'estinzione della pena, si accompagna l'effetto permanente di conservazione del prodotto del reato, poiche' la costruzione viene «sanata» (anche in spregio ai vigenti strumenti urbanistici) e quindi manca l'eliminazione delle cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l'attrattiva del reato (cosi' la relazione ministeriale sul progetto del codice penale, in merito alla confisca di cui all'art. 240 c.p.). E cio' trova puntuale conferma in quanto espresso dalla Consulta nella sentenza n. 416 del 1995, ovvero che, dato che l'abusivismo comporta effetti permanenti (qualora non segua la demolizione o la rimessa in pristino), il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale 4. - Violazione dell'art. 3 e 97 della Costituzione. (Perche' l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003. convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326 non prevede che gli oneri di concessione debbano essere comunque uguali o superiori al valore venale dell'immobile costruito abusivamente o all'aumento di valore dell'immobile abusivamente ampliato o modificato). Un altro vizio potrebbe ravvisarsi, in via subordinata, nell'art. 32 cit., laddove non prevede che gli oneri di concessione debbano essere comunque uguali o superiori al valore venale dell'immobile costruito abusivamente o all'aumento di valore dell'immobile abusivamente ampliato o modificato. Cio' perche', in caso contrario, l'ordinamento, in palese contraddizione con se' stesso, e quindi irragionevolemente, permetterebbe espressamente a chi ha violato la legge di ottenere un vantaggio economico. Anche dal punto 4.5 della parte in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 1994, sembrerebbe evincersi, generalizzando, che comunque il corrispettivo, che deve pagare chi beneficia di un illecito, non puo' essere una semplice indennita' ragguagliata agli oneri di urbanizzazione, ma si deve avvicinare al valore venale del vantaggio acquisito attraverso l'illecito, pena la violazione anche dell'art. 97 della Costituzione. 5. - Violazione degli artt. 117 comma terzo, 118, comma primo, 120, comma secondo della Costituzione. (Poiche', con l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, che non costituisce normativa di principi fondamentali, lo Stato ha invaso la competenza legislativa regionale, violando l'art. 117 comma terzo della Costituzione, senza che cio' possa essere giustificato dall'art. 118 comma primo, della Costituzione, poiche' non v'e' stato il coinvolgimento partecipativo delle regioni, e senza che cio' possa essere giustificato dall'art. 120,comma secondo della Costituzione, poiche' non e' stato rispettato il relativo procedimento). Laddove, in passato, si e' rilevato che il condono di abusi edilizi non solo formali, ma anche sostanziali, impedirebbe agli enti competenti (regioni e comuni) qualsiasi intervento di governo del territorio, costringendoli a prendere atto di scelte contrastanti con gli strumenti urbanistici adottati, la Corte ha ribadito che la diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio e' da addebitare, almeno in parte, anche alla scarsa incisivita' e tempestivita' dell'azione di controllo e di repressione da parte degli enti locali e regioni a cio' preposti, oltre - si puo' aggiungere - al difetto di una attivita' coordinata di polizia locale specializzata nel controllo del territorio, ed inoltre che la esclusione della punibilita' rientra nella materia penale, nel cui ambito l'affermazione della esclusivita' della competenza statale e' una costante della giurisprudenza costituzionale, ed inoltre che gli artt. 117 e 118 della Costituzione, come attuati dall'art. 81, comma primo, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, riservano allo Stato il potere di fissare le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale (sentenza n. 427 del 1995). Si e' gia' sopra osservato che tali considerazioni non appaiono riferibili al nuovo condono edilizio introdotto dall'art. 32 cit., poiche', come si e' cercato di evidenziare, gli effetti di tale condono appaiono tutt'altro che idonei a realizzare un'incentivazione dell'azione di contrasto ed una disincentivazione delle attivita' di costruzione abusiva, anzi, si e' denunziata l'irragionevolezza di tale normativa proprio perche' essa appare destinata a raggiungere il risultato contrario. A cio' deve aggiungersi che l'art. 120, comma secondo della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, regolamenta la procedura ed i casi di sostituzione del potere statale in caso si inerzia di quello regionale, ed a tal fine, l'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), in attuazione dell'art. 120 della Costituzione, prevede un procedimento per l'esercizio del potere sostitutivo del governo, procedimento che nel caso di specie non risulta essere stato osservato. Inoltre, alla luce delle modifiche introdotte nella Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, anche se le materie dell'urbanistica e dell'edilizia rientrano nell'ambito del «governo del territorio», cosi' come precisato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 303 del 2003), e pertanto sono materia di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3 della Costituzione, non si puo' pero' sostenere che il condono rientri nell'ambio dei principi fondamentali della materia la cui determinazione e' rimessa alla legge statale dall'art. 117, comma 3 della Costituzione, proprio perche' il condono e' una disposizione ontologicamente eccezionale e transitoria. Non si puo' sostenere che si versi in materia di principi fondamentali della materia laddove la normativa statale, come nel caso in esame, giunge, introducendo la sanatoria degli immobili abusivi, a derogare, di fatto, puntualmente e permanentemente, alle singole previsioni degli strumenti urbanistici approvati, privando cosi' la regione e gli enti locali anche delle funzioni proprie in materia di governo del territorio (gli enti locali, per scelta unilaterale dello Stato, dovranno rivedere i propri strumenti urbanistici per adeguarli allo stato di fatto creato dagli abusi sanati). Pertanto l'intervento del legislatore nel caso in esame non sembre trovare alcun fondamento nell'art. 117 comma 3 della Costituzione. Inoltre, l'art. 32 cit. appare in contrasto anche con l'art. 118, primo comma, della Costituzione. Secondo la Consulta (sentenza n. 303 del 2003), tale articolo, pur se riferito alla funzioni amministrative, per il necessario coordinamento con il principio di legalita' che le collega alla funzione legislativa, introduce un elemento di flessibilita', un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative la' dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarieta' differenziazione ed adeguatezza. Tuttavia la Consulta non ha mancato di rilevare che l'esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'. Nel caso in esame non risulta alcuna partecipazione delle regioni e degli enti locali all'adozione del provvedimento legislativo di che trattasi. Ne' una partecipazione successiva puo' ravvisarsi nella clausola contenuta nel comma 2 dell'art. 32 cit., secondo cui la normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, in conformita' del titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio, cosi come non puo' ravvisarsi nella «cedevolezza» delle norme statali non di principio, nelle materie di legislazione concorrente. La Consulta (sentenza n. 303 del 2003) ha rilevato che, nonostante l'inversione della tecnica di riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilita' di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, consente l'attrazione allo Stato, per sussidiarieta' e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, per soddisfare esigenze unitarie (ed effettivamente il condono edilizio comporta una considerazione globale di piu' materie tra loro strettamente connesse, ed alcune delle quali sottratte alla legislazione regionale, come l'ordinamento penale, la tutela dell'ambiente e dei beni culaturali) e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita', ed e' quindi legittima una disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo, la quale determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale. Tuttavia, come pare evincersi dalla stessa sentenza n. 303 del 2003, l'adozione di norme statali suppletive, se puo' essere legittimata dal principio di sussidiarieta', tuttavia deve avvenire gia' nell'ambito di intese e collaborazioni con le regioni ed enti locali, e non e' dato invece desumere che la «cedevolezza» delle norme, che e' un'effetto del sistema, possa sostituire le intese necessarie con le regioni, nell'ambito dello spirito di leale collaborazione, intese che pertanto devono essere adottate gia' prima che le norme abbiano efficacia (anche se «cedevole») all'interno dei territori regionali. 6. - Violazione degli artt. 3 e 117, comma secondo della Costituzione. (Poiche' l'art. 32 del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326 conferisce di fatto alle regioni il potere di innovare in materia di ordinamento penale, in violazione dell'art. 117, comma secondo della Costituzione, ed inoltre determina una disparita' di trattamento, fra i responsabili di reati edilizi, in ragione dell'aver costruito abusivamente in una determinata regione piuttosto che in un'altra, nonostante l'offesa di beni-interessi tutelati di pari rango). In virtu' dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, comma secondo (che, per il vero, non appare molto chiaro per finalita' ed effetti) si potrebbe anche ritenere che lo Stato, visto che la materia dell'ordinamento penale appartiene alla propria legislazione esclusiva, in virtu' dell' art. 117, comma secondo della Costituzione, abbia, di fatto, semplicemente offerto alle regioni la possibilita' di introdurre un nuovo condono edilizio, salva la «cedevolezza» di tali norme (che, come visto, non possono essere considerate principi fondamentali della materia, data la loro natura eccezionale e derogatoria), che appare ribadita proprio dalla clausola di «cedevolezza» del comma 2, secondo cui la normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, in conformita' del titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio. Tale ultima clausola, pertanto, puo' apparire analoga a quella prevista dall'art. 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, secondo cui le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riodino in esso conenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi. Con la particolarita' che, qualora invece le regioni intendessero mantenere in vigore nei propri territori la normativa statale sul condono, potrebbero apportarvi solo le modifiche ad esse consentite espressamente dall'art. 32 citato. Ad esempio alle regioni, in virtu' del comma 26, lett. b), dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito con legge del 24 novembre 2003, n. 326, e' dato il potere di disporre del condono degli abusi minori, cioe' quelli di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, e cio' puo' apparire una logica conseguenza del fatto che tali opere sono assoggettate alla denunzia di inizio attivita' in base all'art. 4 della legge n. 493 del 1993 (ora in virtu' del combinato disposto degli artt. 22 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001) e pertanto, in virtu' del comma 13 dell'art. 4 della legge n. 493 del 1993 (secondo cui la mancata denuncia di inizio dell'attivita' non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. E' fatta salva l'applicazione dell'art. 2 del codice penale per le opere e gli interventi anteriori alla data di entrata in vigore della presente disposizione), ora sostituito dall'art. 37, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, di fatto, le Regioni vengono in realta' a disporre solo della punibilita' in materia di sanzioni amministrative, in rispetto dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, che riserva in via esclusiva allo Stato la legislazione in materia di ordinamento penale. Anche accogliendosi tale interpretazione, che appare prima facie piu' rispettosa del riparto di competenze legislative fra Stato e regioni, tuttavia, la normativa si manifesta parimenti illegittima. Ed infatti, le regioni, avendo la possibilita', con un tempestivo intervento legislativo (il che, per il vero, non e' tanto agevole, ed in cio' di potrebbe ravvisare un importante effetto pratico dell'adozione da parte del Governo di un decreto-legge, nonostante le ragioni di necessita' ed urgenza siano tutt'altro che evidenti), di rendere operativa la clausola di «cedevolezza» contenuta nel comma 2 dell'art. 32, in questione, di fatto hanno la possibilita' di disporre in merito all'efficacia del condono dei reati edilizi sul proprio territorio, in violazione dell'art. 117 comma 2 della Costituzione, che affida allo Stato la legislazione esclusiva in materia di ordinamento penale, ed in violazione dell'art. 3 della Costituzione, poiche' i responsabili dei reati sarebbero discriminati in materia penale in ragione dell'aver costruito abusivamente in una determinata regione piuttosto che in un'altra, nonostante il reato offenda astrattamente beni- interessi tutelati di pari rango. Tale risultato illegittimo dovrebbe essersi gia' verificato per quelle regioni che hanno gia' ottemperato al combinato disposto dell'art. 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, comma 2.