IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel giudizio iscritto al
n. 498 del r.g. a.a.c.c. dell'anno 2003, depositato in data 16 luglio
2003  vertente  tra  Cimino Nicoletta, nata a Venafro (Isernia) il 30
maggio 1979 ed ivi residente alla via Vittorio Emanuele n. 31, elett.
te  domiciliata in Venafro alla via Croce di Pozzilli n. 26 presso lo
studio  dell'avv. Mario  Valente giusto mandato con procura a margine
del  ricorso introduttivo, ricorrente, e la Prefettura di Isernia, in
persona  del  prefetto  pro  tempore, elett. te dom. to per la carica
presso l'Ufficio territoriale del Governo di Isernia, amministrazione
resistente;
    Avente   ad  oggetto:  opposizione  ad  ordinanza  -  ingiunzione
prefettizia prot. 336/2003 area IV Dep. del 2 luglio 2003, notificata
il  9  luglio  2003,  con  la  quale  si comminava alla ricorrente il
pagamento  della  sanzione  pecuniaria  di Euro 275,10 oltre spese di
bollo ai sensi dell'art. 204, comma primo c.d.s.
                          Premessa in fatto
    Con   verbale  n. 924079N,  elevato  dalla  Polizia  stradale  di
Isernia,  veniva accertato che in data 23 marzo 2003, alle ore 16,04,
al  km  15+500  della S.S. 85 in agro del comune di Sesto Campano, la
ricorrente,  conducente  del  veicolo  Ford Fiesta tg. BT 928 CF e di
proprieta'   della   medesima,   violava   le   disposizioni  di  cui
all'art. 142,  comma  ottavo del c.d.s., circolando alla velocita' di
109  km/h  e  superando  di  13  km/h (anche in sottrazione del 5% di
tolleranza  previsto dal decreto-legge n. 610/1996) il limite massimo
di  velocita' consentito di 90 km/h, stabilito dall'ente proprietario
della  strada,  infrazione  accertata  mediante apparecchio telelaser
mod.  Ultralyte matr. UL006579, omologato dal Min. ll.pp. con decreto
ministeriale  n. 1824 del 20 marzo 2000, ed immediatamente contestata
dai verbalizzanti. Avverso il prefato verbale la ricorrente proponeva
ricorso  al  prefetto ai sensi dell'art. 203 c.d.s., eccependo la non
preventiva  verifica dell'apparecchiatura di rilevamento da parte dei
verbalizzanti  e l'illegittimita' stessa della rilevazione, in quanto
l'accertamento   era   avvenuto   su   di   un  tratto  stradale  non
preventivamente  individuato  dal  prefetto a norma dell'art. 4 della
legge n. 168/2002. Effettuata la audizione personale della ricorrente
ed esaminate le controdeduzioni dell'organo accertatore del 14 maggio
2003,  la  prefettura  rigettava  il  ricorso  con  l'emanazione  del
provvedimento  impugnato,  mediante  il quale, a norma dell'art. 204,
comma  primo  c.d.s.,  veniva  ingiunto il pagamento del doppio della
sanzione  originaria pari a Euro 275,10, oltre ad Euro 1,29 per spese
di  bollo  per  un  totale  complessivo  di  Euro 176,39. Con ricorso
iscritto  al  n. 498 del r.g. a. c. c. dell'anno 2003 e depositato in
data   16   luglio   2003,   la  ricorrente  chiedeva  l'annullamento
dell'ordinanza  -  ingiunzione sulla base di quattro distinti profili
di  gravame:  a)  nullita'  assoluta  del verbale di accertamento per
violazione   di   legge,   in   quanto  l'apparecchiatura  era  stata
posizionata  su strada non preventivamente individuata dal prefetto a
norma  dell'art. 4  legge  1°  settembre  2002,  n. 168,  nonche' per
difetto  di  motivazione  (rectius:  di  informazione) per la mancata
segnalazione agli utenti dell'esistenza del controllo elettronico; b)
nullita' del verbale per falsita' ideologica e violazione del diritto
di   difesa,   non   essendo   accertata   l'effettiva   omologazione
dell'apparecchiatura  adoperata  dai  verbalizzanti, ne' tantomeno il
controllo  preventivo  sul  suo  corretto  funzionamento; c) nullita'
radicale  dell'ordinanza  -  ingiunzione  per  carenza  di  potere in
concreto,  essendo  il  provvedimento  firmato  dal  vice prefetto in
assenza  di  delega,  ed  infine:  d)  violazione  dell'art. 3, comma
quarto,  legge  7  agosto  1990,  n. 241 sul c.d. giusto procedimento
amministrativo,  per assenza di indicazione dell'autorita' competente
per il successivo sindacato giurisdizionale.
    Con  decreto  n. 1498 reso in data 23 luglio 2003 e depositato il
30  luglio  2003,  nel  disporre  la  sospensione  in via provvisoria
dell'esecutivita'   ed  esecutorieta'  del  provvedimento  impugnato,
veniva  fissata  l'udienza  di comparizione delle parti per l'udienza
del  6 novembre 2003, laddove le stesse concludevano come da verbale,
con successivo rinvio all'udienza del 20 novembre 2003 per la lettura
del dispositivo.

                            Rilevato che

    Dall'esame   della   documentazione   depositata   in   atti,  ed
analizzando  partitamente  gli  argomenti  difensivi  proposti  dalla
ricorrente,   quanto   al   capo   sub   a),  va  rilevata  l'erronea
individuazione  dell'art. 4  della  legge  1° settembre 2002, n. 168,
poiche'  la stessa afferisce unicamente alla possibilita', nei tratti
di   strade   preventivamente  individuate  dal  prefetto,  di  poter
effettuare rilevamenti di velocita' in postazione fissa senza obbligo
di  contestazione  immediata,  da cio' l'inapplicabilita' della norma
nel  caso di specie, laddove tale onere risulta ritualmente adempiuto
da  parte  dei  verbalizzanti.  Quanto al capo sub b), va evidenziato
che,  nei  casi  di rilevamento dei limiti di velocita' effettuati ai
sensi  dell'art. 142,  comma  sesto, c.d.s., mediante apparecchiature
debitamente  omologate,  il  verbale  di accertamento fa piena prova,
fino a querela di falso (non proposta dalla ricorrente), dei fatti in
esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e
descritti,  senza margine alcuno di apprezzamento, salvo che la parte
ricorrente provi, in base a concrete circostanze di fatto, il difetto
di  funzionamento  dello strumento. Nel caso sub iudice dalla lettura
del  verbale  risulta  che  lo  strumento  e'  un modello debitamente
omologato  dal  Min. ll.pp.  con  decreto ministeriale n. 1824 del 20
marzo  2000,  ne' risulta provata altrimenti l'inattendibilita' delle
misurazioni   e   la   non   conformita'   ai   requisiti   richiesti
dall'art. 345, comma primo reg. c.d.s. emanato con d.P.R. 16 dicembre
1992,  n. 495,  poiche'  lo  strumento  fissa la velocita' tenuta dal
veicolo  sopraggiungente in un dato momento storico in modo chiaro ed
accertabile,  sia  mediante visualizzazione sul display, sia mediante
emissione   del   relativo   scontrino  cartaceo,  nella  fattispecie
visionato  dalla  ricorrente  e  da questa sottoscritto per ricevuta,
anche  in  funzione  di tutela della riservatezza (v. sullo specifico
punto  G.d.P.  Palestrina, sent. del 4 ottobre 2002; Cass. civ. sent.
n. 11293  del  28  agosto  2001;  Cass. civ. n. 8515 del 24 settembre
2001;  G.d.P. Pistoia, 27 settembre 2001; G.d.P. Trieste, 19 febbraio
2001).
    Relativamente  al  capo  sub  c),  va  rilevato che l'ordinanza -
ingiunzione  e'  stata  firmata  dal  vice  prefetto aggiunto «per il
prefetto»,  evidenziando, sia pur informalmente, la funzione delegata
all'emissione  del  provvedimento.  Sul punto, e' stato correttamente
ritenuta  la  legittimita'  dell'esercizio  di  tale  potere  al vice
prefetto, il quale, senza necessita' di delega o formale investitura,
solo  in  ragione della sua speciale qualifica, non deve giustificare
in  concreto,  nemmeno  dinanzi  a  terzi,  i  suoi  poteri (Cass. 12
febbraio  1976,  n. 464;  conformi  sent.  nn. 209/1974  e 1522/1974:
contra  G.d.p.  Oria, sent. 12 dicembre 2002, n. 206), e che, piu' in
generale, non e' viziato da nullita' il provvedimento sottoscritto da
un  funzionario  del  quale non sia indicata la qualifica, a meno che
risulti impossibile la sua identificazione (v. Cass. 11 ottobre 1996,
n. 8881; Cass. 20 gennaio 1994, n. 522; Cass. 5 maggio 2000, n. 5675,
in  Foro it., 2000, I, 2821; ancora Cass. 12 maggio 2000, n. 6101, in
Arch.  giur. circ. 2000, 838 ed in Riv. Giur. circ., 2000, 936), cio'
anche  nel  caso  di  mancata autografia della sottoscrizione, quando
appare  sicura  l'attribuzione  al  soggetto  emanante  (sul punto v.
ancora  Cass.  24  settembre  1997, n. 9394), ancorche' riprodotta in
moduli a stampa attraverso sistemi informatici e telematici (v. Cass.
7  agosto  1996,  n. 7234,  con  richiamo  all'art. 3  del  d.lgs. 12
febbraio  1993,  n. 39;  da  ultimo  v.  Trib.  Roma, sez. XII, sent.
n. 17747 del 12 aprile 2000. Sul punto v. anche il d.lgs n. 10 del 23
gennaio  2002).  Nel  caso di specie, il potere di delega di firma al
vice  prefetto  vicario  e' sicuramente ammissibile, in quanto non si
verte  in  materie  inderogabilmente  sottratte  alla  competenza dei
funzionari,  come  ad esempio per i provvedimenti di espulsione dello
straniero  (sul  punto v. Trib. Grosseto, sent. del 1° ottobre 2002),
e,  piu'  in  generale,  in tema di pubblica sicurezza, laddove viene
espressamente  prevista  l'attribuzione  funzionale al solo prefetto.
Quanto   alla   mancata   indicazione   del  giudice  competente  per
l'opposizione,  va  detto  che  l'art.  3, comma quarto della legge 7
agosto  1990,  n. 241,  nel  consacrare  i  principi  del c.d. giusto
procedimento amministrativo, effettivamente dispone che «in ogni atto
notificato  al  destinatario  devono  essere  indicati  il  termine e
l'autorita' a cui e' possibile ricorrere», ma e' altrettanto vero che
con  sentenza  n. 86  del  1° aprile 1998 la Corte, costituzionale ha
correttamente    ritenuto    che   tale   omissione   non   determina
l'illegittimita'  del  provvedimento  sanzionatorio,  bensi' una mera
irregolarita' che impedisce il verificarsi di preclusioni processuali
a  seguito del mancato rispetto del termine (v. analogamente Cass. 13
settembre  1997,  n. 9080  e Cass. 25 maggio 1999, n. 5050), per cui,
mediante   argumentum  a  fortiori,  non  puo'  concedersi  efficacia
invalidante  -  nel  caso  di  specie -  alla mancata indicazione del
giudice  competente  per  territorio,  dovendosi  concludere  che, al
limite,  l'unico  effetto riconoscibile sarebbe la mera rimessione in
termini.
    Purtuttavia,  anche  in caso di infondatezza del ricorso, ritiene
questo   giudicante   necessario  evidenziare  eventuali  profili  di
illegittimita'   costituzionale   del   sistema,   ravvisando,  nella
fattispecie,  non pochi dubbi sull'aderenza al dettato costituzionale
dell'art. 204,  comma primo c.d.s., nella parte in cui prevede che il
prefetto, alla fine del procedimento amministrativo proposto ai sensi
dell'art. 203,  con  ordinanza  motivata ingiunge il pagamento di una
somma  determinata  nel  limite  non  inferiore  al doppio del minimo
edittale per ogni singola violazione.
    La questione e' stata piu' volte sottoposta al vaglio del giudice
costituzionale,  il  quale,  con diverse pronunce (Corte cost., sent.
n. 366  del  19  luglio-27  luglio 1994; ordd. nn. 67 e 350 del 1994;
ordd.  nn. 92  e  268  del  1996  e  da ultimo con ord. n. 324 del 30
ottobre  1997),  ne  ha  dichiarato la manifesta infondatezza con una
serie  di  motivazioni  le  quali,  a  parere  di  questo giudicante,
necessitano  di  un  ripensamento  alla  luce  dei recenti interventi
normativi e della stessa giurisprudenza della Corte.
    Ed infatti, con sentenza n. 366 del 19 luglio 1994 (seguita dalle
ordd.  n. 67  e  350  del  1994  nonche'  nn. 92  e 268 del 1996), la
Consulta     rigettava     l'eccezione     di     incostituzionalita'
sull'argomentazione  che il previo ricorso al prefetto non costituiva
(come non costituisce tuttora, ma con i gravi limiti di cui infra) un
presupposto  processuale  per il successivo sindacato giurisdizionale
(e  quindi  la  non  obbligatorieta'  del procedimento, cio' anche in
relazione al manifestato profilo di illegittimita' costituzionale per
violazione   dell'art. 3   Cost.)   per  cui  il  giudice,  a  fronte
dell'ordinanza  -  ingiunzione  per il pagamento di una somma pari al
doppio    del    minimo   edittale,   ben   poteva   procedere   alla
rideterminazione  della  sanzione inflitta dal prefetto. Investita di
nuovo sul punto, con ordinanza n. 324 del 30 ottobre 1997 la Consulta
rigettava  nuovamente  la  questione, ribadendo la propria posizione,
gia'  precedentemente  espressa, che al giudice spettano pieni poteri
nella rideterminazione della sanzione prefettizia, prescindendo dalle
valutazioni precedentemente compiute dall'organo amministrativo.
    Orbene,   ritiene   questo   giudicante   che  la  norma  di  cui
all'art. 204,  comma  primo c.d.s. possa essere nuovamente sottoposta
al  vaglio  di  legittimita' costituzionale in relazione all'art. 97,
primo  comma  Cost., laddove viene sancito, tra l'altro, il principio
di  imparzialita'  dell'azione amministrativa. Tale principio, inteso
quale  obbligo  per  le pubbliche amministrazioni di non privilegiare
alcuno   degli   interessi   coinvolti   nel   corso   dell'attivita'
amministrativa,  nel  senso  che non deve avere interessi propri (ne'
contrapposti,   ne'   coincidenti)  rispetto  all'oggetto  della  sua
decisione, non puo' certo essere rinvenuto, ne' tantomeno assicurato,
nel  procedimento  di  opposizione  innanzi  al  prefetto  avverso il
verbale  di  accertamento,  laddove  vi  e' piena identificazione tra
soggetto   controllato   e  soggetto  controllore,  in  una  simbiosi
inscindibile  tale  da  comprimere  enormemente, se non eliminare del
tutto, l'attuazione del richiamato principio di imparzialita'.
    In  tale  limitato  profilo,  la  previsione  di  un procedimento
amministrativo  che  puo'  concludersi  (e  che anzi, quasi sempre si
conclude)  con  l'inflizione  del  doppio  della sanzione originaria,
senza  la  necessaria  garanzia dell'intervento di un organo terzo ed
imparziale,  costituisce  un  insopportabile  vulnus,  oltre  che  al
richiamato  dettato  costituzionale,  alla  stessa logica comune, con
risultati,  come  vedremo,  tutt'altro che deflattivi del contenzioso
giudiziario.
    Ed  infatti, sebbene sia pacifica la non rilevanza costituzionale
dei  principi  del  c.d.  giusto  procedimento  amministrativo  e  la
conseguente inapplicabilita' dei canoni del giusto processo di cui al
novellato  art. 111,  comma  2  Cost,  non puo' negarsi che l'attuale
architettura  della  norma  in  esame  si pone in netto contrasto con
tutta  una  serie  di provvedimenti legislativi tesi ad assicurare la
partecipazione del privato in un regime di piena parita' sostanziale,
per  cui il peculiare potere attribuito al prefetto appare il residuo
di  una  concezione  anacronistica  ed irragionevole del rapporto tra
p.a.  e  cittadino,  superata  dai  numerosi interventi correttivi da
parte dello stesso giudice costituzionale.
    In  tal modo, viene superata - a parere di questo giudicante - la
motivazione  piu'  volte adottata dalla Consulta per il rigetto della
questione  di legittimita' costituzionale, ovvero che il giudice puo'
in   ogni   caso   procedere  alla  rideterminazione  della  sanzione
prefettizia  (nel  senso di ridurla al minimo edittale), cio' per due
ordini di motivi:
      a)  la  previsione del principio dell'alternativita', stabilito
dal  novellato art. 204-bis c.d.s., introdotto in sede di conversione
del  d.l. 27 giugno 2003, n. 186 con la legge 1° agosto 2003, n. 214,
per  il  quale,  una  volta proposto il ricorso avverso il verbale di
accertamento  davanti al prefetto, non e' piu' possibile ricorrere in
sede  giurisdizionale  avverso  il  medesimo  provvedimento,  ma solo
avverso l'ordinanza - ingiunzione a norma del successivo art. 205, da
cio'  il  legittimo  dubbio se - allo stato della novella - si ancora
permesso  al  giudice  il controllo sull'atto presupposto che ha dato
luogo  all'ingiunzione,  ovvero,  in  altre  parole,  se  sia  ancora
permessa  l'indagine  sul  merito  della pretesa sanzionatoria. Se si
adotta  la  soluzione  positiva  (come  riconosciuto in passato dalla
Corte),  allora la previsione dell'alternativita' risulta chiaramente
inutile,  anzi dannosa, concretandosi in un duplicato di indagine con
chiari  effetti  afflittivi sia degli uffici amministrativi che delle
cancellerie  giudiziarie.  Se  la  soluzione e' - come paventa questo
giudicante  - negativa, allora il giudice non puo' piu' rideterminare
la  sanzione  inflitta dal prefetto, poiche' tale potere (considerato
stavolta  come  un  limite  al  principio  del  libero convincimento)
risulta  previsto  al nuovo art. 204-bis, comma settimo c.d.s. per le
sole  opposizioni  al  verbale  di  accertamento,  e non anche per le
diverse  tipologie  provvedimentali,  da  cio' il problema dei limiti
applicativi  degli  artt. 22  e  22-bis  della  689/1981,  stante  il
principio  di specialita' da conferirsi alle norme processuali per le
infrazioni   previste   dal   codice   della   strada,  con  evidente
compressione  del  diritto di difesa, in quanto al giudice resterebbe
il  mero  controllo  di  legittimita'  sull'iter  procedimentale  del
ricorso amministrativo proposto ai sensi dell'art. 203 c.d.s.
      b)  inoltre, risulta gia' al vaglio della Consulta (ord. g.d.p.
di   Roma   del   13   agosto  2003)  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sull'obbligo del versamento di una cauzione (pari alla
meta'  del  massimo  edittale) per il ricorso immediato al giudice di
pace  avverso  il  verbale  di  accertamento,  disposta  con il nuovo
l'art. 204-bis,  comma  terzo  c.d.s.  Tale disposizione, a parere di
questo  remittente,  costituisce un severo limite a quel «diritto, di
scelta» del cittadino, tante volte in passato richiamato dalla Corte,
indirizzandolo  «subliminalmente»  verso  il ricorso al prefetto, che
non  comporta spese iniziali, ma con la previsione (quasi) automatica
del   raddoppio  della  sanzione  inflitta  nel  verbale,  e  con  la
conseguenza  (altrettanto  automatica)  della successiva impugnazione
dell'ordinanza  -  ingiunzione  innanzi al giudice di pace (anch'essa
senza  costi  iniziali, non essendo previsto - almeno cosi' pare - il
versamento  di  alcuna  cauzione  per  i ricorsi ex art. 205). In tal
modo,  l'intenzione  deflattiva  del  legislatore svanisce del tutto,
ottenendo  un  effetto  diametralmente opposto, poiche' e' proprio il
raddoppio della sanzione che costituisce - nella pressoche' totalita'
dei casi - il motivo principale, se non l'unico, dei ricorsi proposti
innanzi  al  giudice  di pace. Da qui l'irragionevolezza delle scelte
del  legislatore,  il  quale  da  un  lato  appronta  nuovi strumenti
normativi   con   il   dichiarato  fine  di  deflazionare  il  carico
giudiziario  (che  si  risolve,  in  buona  sintesi, nel porre limiti
sempre   piu'  pregnanti  all'esercizio  del  diritto  di  difesa)  e
dall'altro  mantiene  in  vita norme come quella dell'art. 204, primo
comma c.d.s., ingiustificata sia sotto il profilo logico-sistematico,
sia   alla  luce  del  richiamato  principio  di  imparzialita',  che
costituisce   uno   dei   valori   fondamentali  del  nostro  sistema
democratico.